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lunedì 19 luglio 2021

IL WESTERN DI ROBERT ERVIN HOWARD uno studio di MATTEO MANCINI.

ROBERT ERVIN HOWARD:

IL PIONIERE

DEL WEIRD WESTERN


di Matteo Mancini



Il nome Robert Ervin Howard porta a pensare a una specifica tipologia di narrativa, tutta giocata sul ritmo e l'azione, senza troppi fronzoli autoriali o esigenze intellettuali da trasmettere a un pubblico a caccia di conoscenze. Guerrieri muscolari, epoche perdute, sangue a ettolitri e rumore di spade che intrecciano la loro ferraglia in echeggianti suoni, tra grida e imprecazioni, sono i leit motiv di una narrativa popolare che mischia l'epica nordica o l'esoticità orientale alla magia soprannaturale della narrativa del terrore. Impossibile non pensare a personaggi quali Conan il Cimmero (protagonista in un mondo di 15.000 anni fa) o Kull di Valusia (in azione nell'Atlantide pre-cataclisma nel 20.000 a.c.), veri e propri precursori di un sottogenere fantasy che sarà chiamato sword and sorcery (spada e sortilegio), o allo spadaccino puritano Solomon Kane, cavaliere solitario globe trotter del XVI secolo al servizio divino contro le manifestazioni del diavolo, senza dimenticare il forte apporto all'horror soprannaturale dovuto alla lunghissima collaborazione col periodico Weird Tales e al suo contributo al cosiddetto ciclo di Cthulhu ideato dall'amico Howard P. Lovecraft (1890-1937). Quest'ultimo ha lasciato scritto che “i racconti di Howard sono tutti contrassegnati dall'affinamento di quell'abilità e di quel piacere nel descrivere conflitti sanguinari che sono divenuti caratteristici del suo lavoro.1

Eppure, i debutti e l'animo di fondo dell'autore, originario del Texas, sono legati a un altro genere, se vogliamo molto diverso e tipicamente americano, da cui il piccolo Howard ha preso le mosse per crescere altrove e ritornarvi in modo esclusivo a fine carriera. Esordi tali da convincere studiosi ed esperti, del calibro di Gianfranco De Turris e Sebastiano Fusco, a scrivere (a metà anni settanta) che le storie western dell'autore “sono letterariamente le sue opere migliori.2Un'opinione, questa, da cui noi ci dissociamo e che viene espressa in un periodo in cui in Italia e in buona parte anche in America molti western dell'autore sono ancora inediti (si pensi al ciclo Sonora Kid o Grizzly Elkins). De Turris e Fusco, non sappiamo quanto in modo diretto o, più verosimilmente, basando le loro considerazione in virtù di scritti di colleghi d'oltreoceano3, fanno espresso riferimento alle antologie A Gent from Bear Creek e Pride of Bear Creek, rispettivamente uscite in Inghilterra nel 1937 e negli Stati Uniti nel 1966, che insieme completano quasi del tutto il ciclo Breckinridge Elkins.

In modo più calzante, Michele Tetro ha scritto che ogni racconto di Howard, sia poliziesco, d'avventura, fantasy o horror, è in ultima analisi un western, giocato con gli stilemi del western e affidato a personaggi tipicamente western.4Lo studioso italiano, per meglio far capire, cita due racconti legati al ciclo Conan e al ciclo Solomon Kane riconducendoli, per il registro adottato, al western. “È in nuce un weird western il racconto di Conan Beyond the Black River, con gli aquiloniani-coloni in fuga dai Pitti-indiani nelle grandi foreste in cui agisce la magia nera degli sciamani selvaggi; quello di Solomon Kane Wings in the Night, con la vendetta del puritano inglese, cavaliere solitario contro i vampiri alati sterminatori di una tribù a lui amica.5

Si potrebbe allora azzardare che la carriera dello scrittore texano sia tutta una preparazione in vista del definitivo e atteso approdo al genere d'elezione6, dopo un percorso di rifinitura e avvicinamento passato dalle più disparate tappe, così da affrontare il genere da ogni angolazione, dal comico all'horror passando per il classico e il muscolare. Non a caso Lovecraft, pensando ai pistoleri del west solitamente raffigurati con due pistole nel cinturone, aveva ribattezzato il collega Two-Gun Bob (“Bob Due Pistole”). Un simpatico soprannome ben indicativo della matrice westerner del giovane scrittore. Howard dimostra di possedere un'invidiabile conoscenza della storia texana e, più in generale, del west e dei suoi personaggi. Del resto, lui stesso è un cowboy, ha conoscenza diretta di ciò che scrive e ciò lo porta a trasferire nei racconti un qualcosa di sé che rende maggiormente vivo il testo. Un marchio di fabbrica che ai tempi odierni sembra un po' essersi affievolito, soverchiato dalla produzione fantastica ben più nota e apprezzata. In pochi, specialmente in Italia, accosterebbero in prima battuta Howard al western, mentre subito salterebbero in mente le imprese di quel Conan il Barbaro esaltato da Hollywood con la mai sbiadita fisicità di Mister Universo Arnold Schwarzenegger (1947).

La produzione western dell'autore, nella nostra penisola, è tuttora semisconosciuta, solo parzialmente sdoganata negli ultimi dieci anni, grazie alla pubblicazione di una serie di antologie di estrema nicchia (a cura di Fratini Editore, Providence Press, Elara e pubblicazioni indipendenti), spesso finite fuori catalogo o esaurite, innescate da Sfida al Canyon Grande (2014) della Fratini Editore. Non deve sorprendere questo disinteresse nostrano, pur essendo l'Italia la patria del western europeo (si pensi al cinema western italiano) di cui Howard è stato un vero e proprio maestro antesignano. Gli scrittori western in Italia non godono di un grande stuolo di fan, sono spesso poco tradotti, inoltre il ritardo di diffusione dell'opera di Howard è stata altresì addebitabile al fatto che l'autore si sia interessato al genere solo negli ultimi anni di vita, tanto che la maggior parte dei suoi contributi sono usciti postumi o a pochi mesi dalla dipartita. Fondamentale per questa nuova rotta sembra esser stato l'incontro con lo scrittore Otis Adelbert Kline (1891-1946) che, a partire dalla primavera del 1933, diventa l'agente letterario di Howard mantenendo il ruolo, per volere del padre, anche dopo la morte dello scrittore. È soprattutto Kline, al cospetto di un Howard sempre più bisognoso di soldi per sostenere le cure della madre malata, a convincere il texano a dedicarsi al western e al giallo (non particolarmente amato dall'autore), generi all'epoca richiesti dai lettori sempre più desiderosi di esorcizzare il periodo di recessione economica e di guardare a ciò che gli americani erano riusciti a fare partendo dal nulla. Howard è infatti uno scrittore di professione, una figura non molto diversa, per approccio lavorativo, ai registi italiani di genere degli anni settanta che dicevano di girare film (talvolta neppure graditi ai loro gusti) per ragioni alimentari. Poliedrico e capace di adattarsi a ogni filone, è un autore che insegue i compensi e che scrive per vivere (e non vive per scrivere). Era solito rivelare ai corrispondenti di aver scelto la professione di scrittore per essere libero e non sottostare a orari o datori di lavoro che gli impartissero ordini. Lovecraft, che pure sottolinea la matrice commerciale della produzione del texano, ci tiene a sottolineare quanto “Howard fosse più grande di qualunque politica del profitto perché, anche quando faceva vistose concessioni a direttori guidati esclusivamente dal Dio-denaro, la sua innata forza e sincerità venivano sempre a galla, lasciando l'impronta della sua personalità su qualunque cosa scrivesse.7

Ecco che la scelta di dedicarsi a un genere in voga, oltre a garantire l'immediata entrata in circolazione di una serie di racconti, offre all'autore la possibilità di ampliare il giro dei periodici a cui piazzare storie e dunque di aumentare le occasioni d'incasso. Weird Tales, principale fonte di redditi di Howard, si rivela nel periodo instabile e in ritardo nei pagamenti, mentre Fight Stories e Oriental Stories8, altri periodici frequentati con una certa regolarità dall'autore, vengono travolte dalla crisi generata dalla recessione che le porta presto a chiusura. È tempo di guardare altrove e di cambiare strategie. Howard, che prima del 1933 aveva scritto solo quattro western, due dei quali scolareschi e uno in realtà horror (The Horror from the Mound), si getta anima e corpo nel genere creando, in circa tre anni, cinque cicli in prevalenza comico/grotteschi (quarantuno racconti, oltre sei frammenti di storie ancora da sviluppare), un sesto ciclo avventuroso ambientato in Afghanistan con protagonista un pistolero texano (El Borak) emigrato in Medio Oriente (sedici racconti più un frammento), una decina di racconti western tradizionali, in aggiunta a una serie di innovativi tentativi di contaminazione tra western e horror soprannaturale che daranno il via, a seconda dei contesti ambientali, a nuovi sottogeneri, da una parte il weird western e dall'altra il Southern Gothic. Dunque un tardivo e variegato impegno, non per questo poco convinto e diradato nell'intensità dello sforzo. Tutt'altro. Howard viene assorbito dal lavoro, sempre più rapito dal genere su cui inizialmente non aveva deciso di scommettere. Già nel 1934 scrive: “Trovo sempre più difficile scrivere qualcosa di diverso dai racconti western.” Complice il clamoroso successo della serie comico-grottesca legata al personaggio Breckinridge Elkins, Howard prende a vendere con maggiore facilità racconti che hanno per protagonisti pistoleri e banditi texani, al punto da ideare emuli e a fare di questi la materia prima delle sue invenzioni. Grazie ai western e ai suoi personaggi, si aprono le porte di riviste quali Action Stories, Top-Notch, Cowboy Stories, Western Aces, Star Western e persino la tanto bramata e rincorsa Argosy, oltre ovviamente alla costante Weird Tales.

Se mai farò qualcosa di valore in grado di sopravvivere nel tempo sarà qualcosa di legato alla narrativa ambientata nel primo west, per questo sto seriamente valutando di concentrare ogni mio sforzo sulla narrativa western, abbandonando ogni altro genere narrativo9prende a ripetere agli amici.

Il momento per il gran salto è a un passo, ma avviene la prematura morte che stronca una carriera ancora in divenire. Muore l'autore ma non si ferma la dimostrazione della sua verve creativa. Il flusso dei racconti inediti è continuo e persiste a sgorgare perle per circa cinquant'anni, a dimostrazione dell'eccezionale prolificità dell'autore e del suo inesauribile bagaglio produttivo.


LA NARRATIVA WESTERN

ALL'EPOCA DI HOWARD


Robert Ervin Howard vive l'ultima epoca del west americano. Può assaporare le leggende del lontano ovest, grazie ai racconti del nonno e di chi abbia conosciuto personaggi tramutati in leggenda da cronache e passaparola. Non si limita quindi a leggere resoconti o ricostruzioni stampate nei libri, ma può visitare i luoghi, assaporare l'aria e il mondo in cui, venti anni prima, il mito del west pulsava ancora per le polverose strade di cittadine in costruzione.

Convenzionalmente si è portati a individuare in James Fenimore Cooper (1789-1851) lo scrittore che ha iniziato a seminare i semi da cui sarebbe poi nata la narrativa western, con romanzi quali The Pioneers (“I Pionieri”, 1823), primo della serie di cinque romanzi del ciclo Calza di Cuoio10 comprendenti anche il famoso The Last of the Mohicans (“L'Ultimo dei Mohicani”, 1826) e The Prairie: A Tale (“La Prateria”, 1827). È con queste storie che si inizia a contrapporre il diritto di coltivare dei coloni al diritto di cacciare degli indiani in una dimensione che rende le due condotte incompatibili, in una lotta che potrà esser risolta solo dal più forte, costringendo il più debole a riparare verso le Montagne Rocciose11. Cooper però parla ancora di storie di pionieri, ambientate nel settecento, che raccontano le difficoltà di uomini venuti dall'Europa, colmi di speranze, chiamati a confrontarsi con territori sconosciuti, spesso boscosi e ricolmi di indiani e trapper poco raccomandabili. Entra così in gioco “la frontiera”, il lontano ovest, ma siamo solo agli inizi. Sebbene non si possa parlare di western, prende piede una tipologia di letteratura originale, non più legata alla tradizione europea, che segnerà le coordinate e i punti fermi per i successivi scrittori. La spinta verso l'ovest della civiltà da avvio con Cooper “alla caduta della natura selvaggia americana e della cultura dei pellerossa, che iniziano a perdere la loro libertà.12

Se Cooper si è interessato soprattutto al nord-est, con uguale popolarità, tra il 1835 e il 1860, lo schiavista e secessionista William Gilmore Simms (1806-1870), scrittore che Edgar Allan Poe non tarda a definire “il migliore romanziere che l'America abbia mai partorito13”, sposta l'attenzione sul sud, rendendo ancora più evidenti i conflitti di una società in via di sviluppo alle prese con un ambiente ostile caratterizzato da scontri con indiani, soldati di un esercito invasore e difficoltà naturali. Ecco che fanno la loro comparsa le lotte per la sopravvivenza al cospetto di baratri e fiumi tempestosi o di indiani armati di tomahawk e coltelli, fino ai ristoratori epiloghi che portano il robusto eroe a sposare la bella di turno. È la vigilia della nascita dei dime novel, risposta americana ai penny dreadfuls inglesi e preludio alla nascita dei pulp magazine di inizio novecento. Si tratta di periodici a basso costo e dal modesto valore, diretti a lettori senza pretese e di grana grossa, spesso pubblicati su carta suscettibile di corrompersi nell'arco di poco tempo. Le storie sono di mera evasione, infarcite di romanticismo e culminanti con epiloghi all'insegna del lieto fine. È il 9 giugno 1860 quando la Beadle & Adams lancia al prezzo di un dime Malaeska: The Indian Wife of the White Hunter di Anna Sophia Stephens (1810-1886), ottenendo un successo immediato tanto da spingere il Grolier Club a definire il romanzo “il libro più influente del 186014. L'esempio viene seguito da altre case editrici e da scrittori (che oggi definiremmo dilettanti) quali Edward Lytton Wheeler (1854-1885)15, Joseph E. Badger jr. (1848-1909)16 o Ned Buntline (1823-1886)17 che trasformano i personaggi del vecchio west in eroi di storie dense di azione e sparatorie, dove gli indiani sono i cattivi, mentre il ruolo dei protagonisti è riservato a pistoleri solitari, impavidi e non incuranti della morte. Sparisce ogni tentativo di fare filosofia o di lanciare messaggi politici, lo spettacolo e l'intrattenimento cancellano ogni velleità autoriale e lasciano campo libero a banditi che si ravvedono e diventano eroi, mercenari e soprattutto personaggi reali debitamente riscritti. Kit Carson (1809-1868), Buffalo Bill (1846-1917), Will Bill Hickok (1837-1876), Jesse James (1847-1882), Wyatt Earp (1848-1929), Billy the Kidd (1859-1881), John “Doc” Holliday (1821-1887), Calamity Jane (1852-1903), piuttosto che sulle vicende che li hanno visti davvero coinvolti, costruiscono qua, il (falso) mito che sarebbe poi sopravvissuto fino al nostro secolo grazie alla successiva esaltazione dei film licenziati a Hollywood e alla serie di storie raccontate dal mondo del fumetto. Ecco che i difetti, la dipendenza dall'alcool e persino la codardia che li aveva caratterizzati in vita viene spazzata da resoconti ingigantiti, se non totalmente inventati, plasmando caratterizzazioni e gesta assai lontane dalle reali. L'importanza dei dime novel è comunque centrale e dimostra l'interesse del pubblico verso il genere. Un successo che porta all'interessamento di scrittori apprezzati dalla critica, quali Mark Twain (1835-1910), Jack London (1876-1916), Robert William Chambers (1865-1933) e Ambrose Bierce (1842-1914). Quest'ultimo, attorno al 1890, prende addirittura a contaminare il western con elementi fantastici dettando la via per un sottogenere che sarà sviluppato da Robert Ervin Howard fino a essere chiamato weird western. Orientati invece a contenuti demistificatori votati all'ironia e al dissacrante sono Bret Harte (1836-1902), con i suoi The Luck of Roaring Camp (1868) e The Outcasts of Poker Flat (1869), e il malinconico, pessimista e antieroico Stephen Crane (1871-1900) con The Bride Comes to Yellow Sky (1898).

Il mito si diffonde, giunge in Europa attorno al 1880 quando scrittori quali Karl May (1842-1912) ed Emilio Salgari (1862-1911) esportano rispettivamente per il pubblico tedesco e italiano le vicende del west. May raggiunge il successo con Winnetou nel 1892. Più tardivo Salgari, con la sua trilogia del west aperta da Sulle Frontiere del Far West (1908).

La consacrazione avviene però con i veri e propri specialisti, che svestono la narrativa western della sua dimensione prettamente popolare per tornare su livelli più autoriali. Owen Wister (1860-1932) introduce con The Viriginian: A Horseman of the Plains (1902) la figura del pistolero gentile, rilanciando il genere. Zane Grey (1872-1939), Max Brand (1892-1944) ed Ernest Haycox (1899-1950) con i rispettivi Riders of the Purple Sage (1912), Destry Rides Again (1930) e Stage to Lordsburg (1937), che ispirerà due anni dopo il celeberrimo film Ombre Rosse di John Ford, disegnano nuove coordinate che Hollywood è pronta a esaltare e che detteranno la via per maestri successivi quali Louis L'Amour (1908-1988) ed Elmore Leonard (1925-2013).

La passione dei lettori ormai è tale da determinare la nascita di una serie di periodici interamente specializzati al genere. Western Story Magazine, fondata nel 1919, vanta il primato di essere la prima rivista di questo tipo. Le faranno seguito Star Western, West, Cowboy Stories, Ranch Romances e altre che ne prendono la scia furoreggiando per ventenni. I western si fanno largo anche su periodici non specializzati, quali Argosy, Weird Tales e Action Stories, a dimostrazione della crescente richiesta dei lettori. È qui che entra in ballo Robert Ervin Howard, grande estimatore, tra gli altri, di Jack London, Stephen Crane, Bret Harte e Zane Grey.


HOWARD E IL WESTERN


Howard è un autore estremamente precoce che dimostra fin da bambino l'interesse per il western, salvo poi allontanarsene a beneficio di epoche e location esotiche.

Cresce leggendo tutto quello che gli capita a tiro, perché non ha la possibilità di acquistare copie in libreria o in edicola. “Leggevo per amore della lettura” racconta agli amici. Quando non trova i volumi si fa raccontare dal nonno, dalle domestiche di colore o dai contadini e fattori della zona le leggende locali, storie che mischiano il mito del west all'orrore. Magia indiana, fatture messicane e tradizioni popolari di frontiera si miscelano in un mix che trova campo fertile nella giovane mente del futuro scrittore. Il suo abitare in Texas lo porta ad assaporare in prima persona le atmosfere del far west che ancora vivono negli echi e negli ambienti che il giovane si reca a visitare. Cerca così di mettere in scena, con gli amici, le sue fantasie, vestito da cowboy o da pirata. I resoconti di sparatorie, banditi in fuga braccati da sceriffi lanciati al galoppo al loro inseguimento e di indiani pronti a lanciarsi dai costoni delle rocce su soldati in perlustrazione lo affascinano, facendogli sognare un passato per lui di gran lunga preferibile al crescente materialismo del mondo capitalista. Anni dopo, dirà di aver preso le caratteristiche di Conan Il Cimmero da una serie di pugili, pistoleri, contrabbandieri, bulli dei giacimenti petroliferi e giocatori d'azzardo incontrati sul suo cammino, a dimostrazione della natura western di molti personaggi confinati in epoche assai lontane nel tempo e nei costumi.

Per dare sfogo alla fantasia e al suo irrefrenabile desiderio di libertà, inizia a scrivere molto presto. All'età di nove-dieci anni, stende un racconto su un vichingo danese che non avrà seguito in età adulta. Sono invece i personaggi western quelli che svilupperanno le radici da cui poi fiorire in età adulta. In quel periodo, infatti, vengono definiti i caratteri di El Borak, il pistolero texano trapiantato in Afghanistan, che a partire dal dicembre del 1934 diverrà protagonista di un ciclo di storie orientaleggianti. Si tratta del primo di una galleria interminabile di anti-eroi concepiti dall'autore. Tuttavia, sono gli uomini comuni del west che portano il giovanissimo Howard a pubblicare i suoi primi racconti, pur se non in una rivista professionale. Nel dicembre del 1922, alle porte dei diciassette anni, quando ancora frequenta il liceo, ottiene la pubblicazione sul locale The Tattler, il giornaletto della Bronwood High School, di due racconti western che suggeriscono quanto l'autore farà una decina di anni dopo. Howard infatti si farà conoscere, soprattutto in patria e in Inghilterra, per la capacità di affrontare il genere da diverse prospettive, non sempre classiche. Cultore di scrittori quali Jack London e Zane Grey, ma anche dei dissacranti Stephen Crane e Brett Harte, Howard parte dal western classico, con tanto di indiani nel ruolo dei cattivi, per spostarsi su soggetti basati su storie e personaggi davvero esistiti e da qui progressivamente allontanarsi dagli stilemi del genere per prendere la via della contaminazione horror e poi di quella umoristica. In quest'ultima veste andrà a ideare un ventaglio di protagonisti seriali (cinque più El Borak) che vanno in scala dal comico/grottesco di Breckinridge Elkins fino al classico e letale Sonora Kid, intervallando le due diverse impostazioni con gradazioni intermedie costituite dal comico Pike Bearfield, dal farsesco ma tendente al classico Buckner J. Grimes e dal serioso cacciatore di bufali Grizzly Elkins. Dunque una visione sul western aperta a tutte le prospettive, da cui manca la sola fantascienza e in cui l'umorismo e la componente fantastica sono fin da subito presenti, a dimostrazione di un autore desideroso di rompere gli schemi del genere.

Sebbene si sia scritto che “la maggior parte dei western di Howard sono indistinguibili dalla normale serie di storie western d'azione pulp degli anni '30”18, lo studio della narrativa di Howard mostra un evidente tentativo di variare il taglio delle storie, al punto da presentare marcate similitudini al successivo spaghetti western.

Dopo essersi affermato tra i lettori di Weird Tales come autore di narrativa soprannaturale o del terrore, spesso e volentieri con ambientazioni in epoche sepolte oltre la memoria umana, Howard trova la formula del successo ideando il goffo e monumentale Breckinridge Elkins. Siamo alla fine del 1933, Solomon Kane, Bran Mak Morn, Turlogh Dubh O'Brien, Steve Costigan, Kull e Conan si sono già fatti conoscere mettendo in mostra, in molti di questi casi, un'eccezionale potenza fisica che permette all'autore di eccellere in descrizioni di battaglie e scontri intrisi di una forte componente grandguignol. “Eccelle nel dipingere scene di lotta e di massacro, ma è altresì unico nella capacità di creare vere emozioni di terrore spettrale e spaventosa suspense” scriveva Lovecraft. Indispettito per certe critiche ricevute dagli editori per l'elevato tasso di violenza e desideroso di ampliare la rete delle collaborazioni editoriali, Howard decide di giocare con sé stesso, cambiando registro ma non ingredienti. Trasferisce nel west la possanza di alcuni di questi personaggi, ma in chiave farsesca. Una soluzione e un'ambientazione che gli permette di rendere più vivi i personaggi, non più idealizzati ma specchio di quelli incontrati in vita, con il loro linguaggio locale e i modi di dire dell'epoca. Potremmo dunque dire che dal filone mitologico il texano passa al western, portandosi dietro i personaggi e quello spirito bellicoso votato al corpo a corpo, ma qua scaricato di violenza. Howard dimostra di non amare le soluzioni convenzionali, fatte da morti rapide garantite da proiettili esplosi a distanza con un winchester, ma preferisce le risse da saloon, gli scontri all'arma bianca e i lunghi e rocamboleschi inseguimenti a cavallo che culminano in cadute e capitomboli nella polvere.

Howard vive così una situazione non molto dissimile a quella che, negli anni sessanta, investirà il nostro cinema italiano, quando dai peplum19, altrimenti detti sword and sandal (proprio occhieggiando al sword and sorcery nato con Howard), si giungerà a un western in parte rivoluzionario e spaccone, orientato allo spettacolo e all'azione fin dalle prime sequenze (a differenza dei ritmi crescenti dei western d'oltreoceano funzionali a narrare lentamente l'epopea del west e a idealizzare l'importanza della legge e della famiglia), infarcito di scazzottate, morti ammazzati e con una vera e propria esaltazione della violenza. Gli americani, forse dimenticando la genesi dei loro western narrativi, prenderanno inizialmente le distanze dal “nuovo western” che ribattezzeranno con intento denigratorio Spaghetti Western. Un contenitore di storie in cui prenderanno a miscelarsi al classico western il gotico di matrice horror, l'orientalismo già anticipato da Howard (si pensi al film Lo Straniero di Silenzio di Luigi Vanzi, con un pistolero che, sull'esempio di El Borak, emigra in Giappone armato dell'inseparabile pistola) fino alla deriva grottesca/comica di saghe assai simili a quelle ideate a fine carriera dallo scrittore texano (si pensi a personaggi come Bambino e Trinità protagonisti del film Lo Chiamavano Trinità di Enzo Barboni) senza dimenticare il tentativo, poi abortito dallo sceneggiatore Dardano Sacchetti, di concepire un weird western con pistoleri contrapposti agli zombi20. Un'altra caratteristica comune tra i western howardiani e i western italiani sarà l'iniziale presenza di protagonisti tutto muscoli e potenza, rappresentati da attori quali Richard Harrison, Gordon Mitchell, Mickey Hargitay, Domenico Palmara (in arte Dick Palmer), Gordon Scott e persino Steve Reeves, tutti ex culturisti passati dal peplum e promossi al ruolo principale nel western. Dunque pistoleri voluminosi, statuari, perfetti per il corpo a corpo, ma che saranno scalzati da colleghi brevilinei e acrobatici, quali gli ex stuntmen Giuliano Gemma (anch'esso proveniente dal peplum) e Fabio Testi o i più sarcastici Franco Nero e Tomas Milian. Lo “stile italiano” dunque, tanto bistrattato da registi quali John Ford e Burt Kennedy21, si rivelerà essere quello su cui a inizio secolo proliferavano i magazine americani interamente dedicati al western, riviste su cui pullulavano racconti in cui lo sceriffo era l'uomo a cui si sparava nella prima pagina22. Questo era il taglio caro a Robert Ervin Howard, un precursore di quel western che farà la fortuna in Italia e in Europa piuttosto che negli Stati Uniti. Ironia del caso, uno dei western classici di Howard si intitolerà proprio come un western interpretato da Bud Spencer e Terence Hill senza aver nulla in comune con questo: La Collina degli Stivali.

Prima di passare a un'analisi specifica dei vari racconti preme sottolineare come i western classici di Howard siano un lotto molto ristretto. A parte i due esperimenti giovanili, solo un racconto, perfettamente in linea con la tradizione western che contrappone i cowboy agli indiani, viene pubblicato prima dell'ideazione del Breckinridge Elkins. Si tratta di Drums of the Sunset (“Tamburi al Tramonto”) che esce in nove puntate, dal novembre del 1928 al gennaio del 1929, su The Cross Plains Review (il giornale della cittadina di Howard). Howard abbandona poi il genere, salvo ritornarvi, tra il 1932 e il 1933, per utilizzarlo quale ambientazione di storie horror. Concepisce così per Weird Tales un trittico di racconti che utilizzano il contenitore western per trattare storie che parlano di altro e che miscelano la frontiera con Bram Stoker, Ambrose Bierce o Edgar Allan Poe. Vengono così scritti e pubblicati The Horror from the Mound, The Man on the Ground e Old Garfield's Heart. Dei tre, The Man on the Ground, racconto peraltro molto gradito all'autore, è quello più prossimo al genere, mettendo in scena un inconsueto duello tra i massi tra due rappresentanti di due famiglie in faida.

Il vero impulso arriva con l'ideazione, sul finire del 1933, del primo personaggio seriale howardiano in ambito western: l'ingenuo e involontariamente comico Breckinridge Elkins. Il primo racconto, Mountain Man, vede la luce su Action Stories nel marzo del 1934 e segna un successo tale che porta Howard a concentrasi sempre più sul genere e a creare epigoni necessari per ottenere spazio su riviste concorrenziali. Nascono così Buckner J. Grimes, Pike Bearfield, Grizzly Elkins e Sonora Kid. Howard riuscirà a vedere pubblicati solo parte dei racconti del Breckinridge e del Buckner J. Grimes, mentre gli altri resteranno confinati nel cassetto per poi essere ripescati strada facendo. Si tratta di serie, a parte quella di Breckinridge Elkins, incomplete, troncate (causa morte dell'autore) sul nascere ma che già mostrano la direzione verso la quale si sarebbero indirizzate. L'atmosfera western è vivida, con tutti i personaggi che sarebbe lecito attendersi. Viene tuttavia stemperata da una comicità che spesso scivola nel demenziale, dove si vedono pistoleri costretti a fuggire in mutande o a saltare in aria perché attinti da colpi sparati nei glutei che invece di squarciare la carne lasciano un intollerabile frizzore. Pur se lontani da quanto un lettore patito del genere potrebbe attendersi, il ciclo umoristico western è fondamentale a spingere Howard a scrivere una decina di western fuori da ogni ciclo che saranno definiti “la quintessenza del western classico, con tutte le caratteristiche canoniche che ci aspetteremo di trovare: eroi e banditi, cavalieri solitari e biscazzieri, ladri di bestiame e soldati, fanciulli in pericolo e cercatori d'oro, praterie infinite e montagne scoscese, fumosi saloon e canyon frastagliati, sparatorie rimbombanti e galoppate forsennate, il tutto con taglio cinematografico perfettamente visivo...23

Howard, ormai convinto di poter fare il salto definitivo grazie al western, scrive ai corrispondenti che è sul punto di poter trasformarsi da autore da riviste pulp a scrittore capace di conquistare la critica. Purtroppo per lui, di questi western classici post Breckinridge, ne vedrà uscire uno solo: Boot-Hill Payoff (“La Collina degli Stivali”) acquistato da Western Aces.


I WESTERN CLASSICI DI HOWARD


Il western howardiano è un coacervo di storie disinteressate all'epopea dei pionieri, alle imprese dei soldati e dei cowboy elevati a eroi dal mito del west, non cerca neppure di trovare le basi di una società da esaltare in modo da proiettarla verso il futuro o, di converso, da smascherare in vista di un revisionismo storico ancora tardo a manifestarsi. Il western “classico” di Howard è piuttosto un contenitore in cui dare sfogo all'azione, alle scazzottate, ai duelli e a sparatorie messe in scena con un senso dello spettacolo che da l'idea di un sapiente e calibrato uso dei rallenty, prima ancora che “Bloody (“il sanguinoso”) Sam Peckinpah (1925-1984) impartisse ai colleghi quella lezione di cinema che avrebbe reso leggendarie pellicole quali The Wild Bunch (“Il Mucchio Selvaggio”, 1969) e Pat Garrett and Billy The Kid (1973). Un western dunque dallo spiccatissimo impatto pulp, dove violenza, eroismo e sangue abbondano e dove, soprattutto, non ci sono paladini della giustizia che ricordano i ruoli che hanno reso famoso John Wayne, bensì avventurieri, uomini senza scrupoli, cercatori d'oro, ubriachi, giocatori d'azzardo, falsi sceriffi e pistoleri guidati da uno spirito cavalleresco che si ribellano alla forza bruta di chi calpesta i più deboli.

L''obiettivo dell'autore non è denunciare tematiche sociali o riscrivere il west ma intrattenere e divertire i lettori. I vari racconti che delineano il ciclo western sono uniti da alcuni minimi comuni denominatori, a partire da un'etica cavalleresca che segna i limiti della violenza e delinea i contorni del rispetto verso chi è incapace di difendersi. Ecco allora l'elevazione della donna su una sorta di piedistallo intoccabile e la necessità di concedere margini di difesa ad avversari che, per un motivo o un altro, si trovano in condizione di svantaggio. “Lui viveva secondo un proprio codice, selvaggio, rozzo, violento, duro, talora incongruo, ma tale da ritenere sacra la figura femminile, immune alla violenza che insozzava la vita degli uomini” scrive Howard, a proposito del suo protagonista modello, nella fattispecie protagonista di quello che è il suo miglior western in assoluto: The Vultures of Whapeton (“Gli Avvoltoi di Whapeton”)

Apprezzabile è inoltre l'assenza di una netta divisione tra buoni e cattivi. “Conosceva due razze di pistoleri: una profondamente cinica, molto coraggiosa, ma sempre pronta ad acquisire vantaggi con l'inganno; l'altra troppo orgogliosa delle proprie capacità per usare l'inganno quando si trattava di affrontare apertamente un rivale, e che quindi si affidava completamente alla rapidità, ai nervi d'acciaio e alla precisione.” I "buoni" di Howard sono i meno cattivi, coloro che vivono sul filo della legalità, provocando reazioni altrui per sfruttare la legittima difesa. Sempre in The Vultures of Whapeton, la novella manifesto del western classico howardiano, si legge: “Gli uomini del west seguivano un codice personale di condotta. La linea che separava il fuorilegge dal vaccaro o dal cowboy onesto era spesso sottile come un capello, troppo vaga per essere tracciata con precisione.” Un eroe howardiano è colui che non ruberebbe mai un solo capo di bestiame a un contadino, magari abusivo, ma che non esiterebbe a depredare intere mandrie a proprietari terrieri messicani oppure è colui che non rapirebbe mai un uomo per estorcergli denaro, ma che non perderebbe tempo a impadronirsi del denaro a chi lo abbia a sua volta rubato, poco importandogli se sia stato depredato a uomini onesti. Insomma, ci orientiamo sempre più verso quei personaggi che, grazie al sapiente utilizzo che Sergio Leone ne saprà fare una trentina di anni dopo, trasformeranno il western hollywoodiano in una nuova visione giostrata su personaggi come lo straniero senza nome interpretato da Clint Eastwood a partire da Per un Pugno di Dollari (1964). Siamo dunque alle prese con veri e propri antieroi che non seguono i crismi della legge o i valori del cittadino modello, uomini che fanno della violenza la condotta di vita in ossequio a regole di condotta che non rispondono ai canoni di comportamento auspicabili in una società civilizzata.

Ancora legata alla caratterizzazione dei pulp è la vena romantica di questi antieroi, una caratteristica che andrà a perdersi, a esempio, nello spaghetti western. I pistoleri di Howard sono infatti uomini che si innamorano facilmente per effetto di colpi di fulmine che li portano a perdere la testa per un donna, tanto da dimenticarsi di tesori nascosti o da mutare i propri progetti e persino a non accorgersi del nemico che sta per incombere minaccioso. La donna è capace di redimere l'antieroe o comunque di farlo riflettere sul fatto che la violenza conduce a una spirale dove il male soffoca l'amore e con esso la vita. “I suoi occhi non erano più accecati da quello splendore dorato. Per la prima volta si rese conto del sangue che vi gravava sopra fino a renderlo nero: era il sangue di uomini innocenti, perfino quello di una donna.” Si tratta di una caratteristica comune al primo western hollywoodiano ma destinata a estinguersi con l'avvento dello spaghetti western. Nell'opera post leoniana sopravvive un'immagine assai più triste e indolente del pistolero, quasi sempre un vendicatore che vuol porre rimedio a un torto subito. L'antieroe “italiano” è disilluso, ferito in un profondo che non gli permette di avere una vita felice di coppia. È il pistolero che se ne va in giro tirandosi alle spalle una bara in cui ha sepolto sé stesso (“c'è uno che si chiama Django” dice Franco Nero, nell'omonimo film di Sergio Corbucci). Così laddove i western di Howard si chiudono in baci e abbracci, quelli italiani mostrano il pistolero di turno che lascia in lacrime la sua bella, innamorata pazza ma tanto sfortunata da non poter vedere realizzato il suo sogno. “Non sono l'uomo giusto e nemmeno lui” prende a dire Jason Robards all'innamoratissima Claudia Cardinale nel finale di C'era una Volta il West (1968). “La gente come lui ha dentro qualcosa, qualcosa che sa di morte. Quello lì se è ancora vivo, entra da quella porta e dice addio.” Charles Bronson, detto Armonica, apre la porta, entra e, col magnifico commento sonoro di Ennio Morricone, guarda Jill facendole capire che tra loro non potrebbe mai funzionare. Fa nove passi, prende le sue cose e se ne va, dopo aver detto: “Io ho finito qui!” È il manifesto del cinema western all'italiana, ricchissimo di epiloghi melodrammatici, totalmente assenti in Howard, che vengono mutuati dai precedenti Django (1966) e Arizona Colt (1966) di Michele Lupo e confermati dai successivi Keoma (1976) di Enzo G. Castellari, Amore, Piombo e Furore (1978) di Monte Hellman e in parte I Quattro dell'Apocalisse (1975) di Lucio Fulci. L'amore è un qualcosa che i pistoleri del western italiano non possono più provare, ma per gli eroi di Howard è ancora una possibilità, sebbene si tratti di un western dove, a farla da padroni, non sono sceriffi, contadini o giudici, ma banditi in cerca di riscatto, mandriani che ricorrono all'uso delle armi per difendersi, giocatori d'azzardo, persino falsi sceriffi che sfruttano l'incarico in vista di un colpo da mettere a segno. Sono allora pur sempre i reietti a ergersi a protagonisti di queste storie, in un'apologia dell'uomo macho, specie se texano, che porta all'esaltazione del pistolero: “Un vero pistolero non era semplicemente un uomo dotato di vista più acuta e muscoli più reattivi rispetto a una persona comune; era anche un fine psicologo, uno studioso della natura umana, la cui vita dipendeva dalla correttezza delle sue conclusioni.” Howard addirittura anticipa di quasi un secolo ciò che viene attualmente insegnato ai poliziotti nei corsi di formazione, parlando espressamente del linguaggio corporeo tenuto dal soggetto in cui ci si imbatte, così da poterne prevedere le mosse e comprendere se sia pericoloso o meno.

L'uomo muscolare, comunque presente, viene dunque superato qua da quello più deduttivo e saettante con la pistola. È questo modello a incarnare il profilo del dominatore del west, un mondo in cui l'unica cosa veramente democratica resta la colt, lo strumento che abbatte ogni differenza e rende tutti uguali, a condizione di saperne fare uso.

Un'attenzione particolare viene infine riservata alle ambientazioni contraddistinte da città di frontiera, assolate e polverose, da cui i pistoleri si lanciano nel cuore del deserto per sfidare pareti rocciose, talvolta da scalare, altre da utilizzare per ricercare insenature in cui proteggersi dal fuoco nemico o, ancora, per organizzare segreti luoghi di ritrovo.
Da un punto di vista formale, i racconti sono molto scorrevoli, portati in scena con una pazzesca capacità visionaria che permette al lettore di affrontare il testo come se fosse alle prese con un film degli anni settanta. L'efficacia viene anteposta ai lirismi e ogni parola viene misurata in vista della spettacolarizzazione delle gesta. È incredibile constatare la cura, praticamente rallentata, attraverso la quale Howard descrive il moto dei proiettili durante il loro percorso dalla canna della pistola all'obiettivo, con tutte le deviazioni cui vanno incontro. Uno stile che oggi farebbe subito saltare alla memoria certe regie dei fratelli (ora sorelle) Wachowski
24.

Howard scrive senza fronzoli, adottando un lessico che rimanda al mondo del fumetto, assai colorito e squisitamente pulp. Ritmi serrati, costruzioni delle storie concepite in modo tale da mantenere alta la tensione, in cui in ogni capitolo c'è una sparatoria, così da scongiurare quello che diverrà il marchio di fabbrica del western cinematografico americano ovvero lo sviluppo crescente del soggetto. Come direbbe Sergio Leone, nei western di Howard c'è un finale ogni tre pagine, con un ritmo degno erede del riscontro di un sismografo in piena scossa tellurica.

I debutti nel western di Howard, tuttavia, sono diversi e, se vogliamo, innocenti e riparatori di torti subiti. A quindici anni invia un racconto dal retrogusto western, anche se di ambientazione canadese, al magazine Adventure di cui Howard è un accanito lettore. Il racconto, intitolato Bill Smalley and The Power of Human Eye, narra di due cacciatori e dei guai in cui si cacciano nel tentativo di realizzare una trappola per orsi. Il texano condisce il tutto con una forte componente umoristica, all'insegna dell'esagerazione e dell'inaffidabilità. Il testo non colpisce particolarmente e viene rigettato. Sarà pubblicato solo nel 1991 su The Dark Man.

Vanno incontro a miglior sorte altri due elaborati, scritti quando Howard non ha ancora compiuto diciassettenne. Sono le prime due pubblicazioni dell'autore che vede West is West (“Il West è il West”) e Golden Hope Christmas (“Natale a Golden Hope”) comparire sul giornaletto del liceo che frequenta. Si tratta di due racconti brevissimi che non saranno più pubblicati, se non postumi su The Howard Collector e su Cross Plains, rispettivamente, nel 1962 e nel 1974.

In West is West un cowboy chiede al caposquadra del ranch presso cui lavora un cavallo per recuperare una mucca fuggita sulle colline. “Non ho alcuna abilità nel cavalcare, quindi desidero un cavallo tranquillo.” Assicurato dai compagni, l'uomo riceve un cavallo chiamato Whirlwind, ovvero Turbine. Nomen omen. All'apparenza mansueto, il cavallo, una volta sellato e spronato a partire, si trasforma in un demonio. Curiosamente, il suo cavaliere, rimasto legato in groppa dal lazzo e dal cinturone incagliato sul corno della sella, riesce a non essere disarcionato, resistendo a urti su tronchi e persino alle capriole del cavallo, liberandosi dall'agonia solo a seguito della rottura dei sottopancia della sella. “Sei la più bella creatura che abbia mai visto. Non c'è nessun altro nel ranch che potrebbe rimanere su Whirlwind così a lungo” lo plaude il caposquadra, rimasto ad ammirarlo con tutti gli altri lavoratori, con un diabolico divertimento evaporato, nel corso delle sgroppate, in sincera ammirazione. Il giovane però, rimasto in sella per un mero caso, non la prende bene.

Molto più interessante è il “fiabesco” Golden Hope Christmas, un racconto sull'avidità con stoccate ironico/beffarde. Un tetro pistolero, deciso ad appendere al gancio le pistole a causa del proliferare dei vigilantes, prova senza successo a riciclarsi minatore. Dopo aver acquistato a prezzo stralciato - facendo forza sul proprio status - una concessione, la vende a prezzo gonfiato a un giovane straniero. Il nuovo arrivato si spacca la schiena senza raggranellare spicci, mentre l'altro, tra una bevuta e l'altra al saloon, si gode la somma ricevuta. Un giorno però le cose mutano e dimostrano quanto un prezzo d'acquisto di un bene produttivo possa essere relativo. Il terreno venduto infatti si rivela un pozzo senza fine di pepite. Il pistolero, da truffatore si sente truffato, e non può tollerarlo, perché ora il valore dell'appezzamento è molto più alto del prezzo sborsato per l'acquisto. Decide così di riprendere le pistole in mano e di uccidere il nuovo proprietario che, invece, predispone in suo favore una somma di denaro aggiuntiva perché ritiene di averlo involontariamente danneggiato. Pronto a esaudire il proposito, il pistolero carica il fucile e pone l'occhio sul mirino quando la magia del natale si presenta nella sostanza di un sole che spunta dalla montagna... gli occhi lacrimano, il dito trema, il male è vinto.

Howard prende con questi racconti le misure al genere, ma soprattutto affila la penna in vista del suo vero debutto, pubblicato a puntate su Cross Plain Review dal novembre del 1928 al gennaio del 1929, che avviene con l'uscita di Drums of the Sunset (“Tamburi al Tramonto). È un racconto piuttosto classico, scritto con verve pulp e qualche venatura stereotipata ai danni degli indiani, caratterizzati con descrizioni razziste in linea a quanto si vedrà al cinema, prima del successo di Soldato Blu (1970) che porterà al cosiddetto revisionismo25. È fin da subito presente il lato romantico di Howard e il suo pompare le doti temerarie e di coraggio dei Texani, vero e proprio leit motiv di tutta la produzione.

La storia vede tre falsari rintanati in cima a un monte, intenti a fare quattrini ai danni degli indiani a cui vengono rifilati whisky e dollari falsi, finché gli stessi non si rendono conto di esser stati truffati. Ha così inizio la preparazione dell'attacco indiano, preceduto per giorni dai rulli e i canti di morte, di sera in sera, un po' come erano soliti fare i messicani quando intonavano il deguello26. Nessuno però sembra dare peso alle stranezze musicali che echeggiano nella notte, neppure il protagonista. Quest'ultimo è un viandante di passaggio che viene informato da colui che gli concede ospitalità che sui monti c'è una ricchezza d'oro e di quarzo. Il vecchio non ricorda più dove abbia visto i giacimenti, perché una frana, anni prima, è scesa a celare quanto aveva scoperto. Incuriosito dalla rivelazione, il giovane si inerpica sulle ripide pareti rocciose e scorge una ragazza di cui si innamora per effetto del classico colpo di fulmine. L'amore è più importante del tesoro, forse è il vero tesoro, sembra suggerire Howard. Ecco che il ragazzo si disinteressa della miniera e, quando il vecchio gli chiede notizie, fa il vago. L'amore ottenebra le menti, specie se corrisposto. Tutto facile, allora? Manco per sogno, perché la giovane è semi-prigioniera dello zio e di altri due uomini che non le concedono la libertà, perché temono che abbia visto qualcosa di compromettente. La stessa infatti ha scorto i macchinari con cui i tre producono i soldi falsi. A risolvere tutto ci penseranno gli indiani. Mentre i giovani programmano di fuggire, i pellerossa scagliano l'attacco alla baracca e compiono un massacro. Il protagonista cade preda della disperazione, perché tra le vittime dell'assalto non vi è la ragazza, scomparsa nel nulla. Sarà stata rapita o bruciata nel rogo? Parte la spedizione di recupero, piuttosto rambesca, alla caccia degli indiani, col protagonista e il vecchio che gli ha concesso ospitalità a vedersela con l'intero gruppo di pellerossa. Braccati da questi ultimi, i “nostri eroi”, recuperata la ragazza, ricevono un aiuto imprevisto: la friabilità della montagna. Una tremenda frana, involontariamente innescata dal gruppo dei cavalli cavalcati dagli indiani, travolge gli inseguitori seppellendoli sotto i massi. I due giovani possono finalmente baciarsi, promettendosi amore eterno e parlare già di matrimonio. Ma c'è di più... la frana ha denudato la parete di quarzo e di oro che era finita nascosta anni addietro... i tre possono considerarsi ricchi.

Drums of the Sunset è un testo semplice, scritto in modo moderno e accattivante. Howard è convenzionale nel concepire la trama, ma giostra bene gli elementi della storia e alla fine piazza un racconto di tutto rispetto. Non manca la commemorazione per gli avversari caduti. Questi ultimi, pur se indiani e brutali, sono sempre esseri umani. Il vecchio, che ha subito in gioventù uno scalpo, dichiara di non poter restare indifferente nel veder morire tanti uomini in un colpo solo. In questo modo, Howard stempera le accuse di razzismo che, specie al tempo odierno, qualcuno non si periterebbe a muovere.

Gli esperimenti con il weird western e l'ideazione del western umoristico portano, sette anni dopo, alla stesura del secondo e ultimo western classico uscito durante la vita di Howard. Si tratta di Boothill's Payoff (“La Collina degli Stivali”), pubblicato su Western Aces e conosciuto anche col titolo The Last Ride. Racconto fluido, infarcitissimo di azione, sia a livello di sparatorie che di scontri fisici. L'anima pulp è apprezzabile e il ritmo sollecito, tanto da dare l'idea più di un western all'italiana che di un classico americano.

Protagonista è un giovane che ritorna nel paesino in cui è cresciuto, San Leon, col fine di risarcire gli abitanti per i furti e le razzie subite per mano sua e dei fratelli ormai tutti morti. L'arrivo non è ben accolto dai cittadini. In paese infatti è all'opera una banda che si spaccia per quella di cui il giovane faceva parte. “I tuoi fratelli erano dei bastardi, ma pur sempre dei bianchi. Uccidevano senza rimorso, ma in modo pulito. Questi ratti non si contentano di rubarci le mandrie. Bruciano i ranch e avvelenano l'acqua dei pozzi come una tribù di maledetti apache.

Traspare ancora una volta la sfiducia per la categoria degli indiani, tratteggiati alla stregua di sanguinari e scorretti. I detrattori di Howard, in nome di logiche filo razziste, devono però degustare qualche bicchierino di camomilla, perché di indiani non vi è traccia. Dietro alla banda che insanguina San Leon c'è l'insospettabile banchiere del posto. Un uomo senza scrupoli, che mira a diventare il padrone assoluto dell'area, mandando in rovina i mandriani. Questi vengono prima flagellati dai furti di bestiame e poi dagli interessi usurari maturati sui prestiti concessi dal banchiere stesso. La cessione dei terreni diventa così l'unico modo per far fronte alle deficienze.

Coadiuvato dallo sceriffo e da un vecchio amico, sarà allora il protagonista, un ex bandito, a riabilitare, in un pirotecnico finale, il proprio nome e a debellare la banda che infanga il ricordo della famiglia. Howard ambienta la resa dei conti finale in un rifugio incastonato in mezzo ai canyon. Sparatorie, scazzottate e cavalli al galoppo sono il cliché offerto dalla lettura. Howard non dimentica la sdolcinata chiusura in cui, oltre alla giustizia, trionfa l'amore. Il “nostro” troverà infatti la donna dei propri sogni, dichiarandosi alla sorella dello sceriffo, sua vecchia compagna di scuola. Sarà lei a convincerlo a restare e a mettere su famiglia, nella pura tradizione del western all'americana. “Ti amo anche io, Buck. Ti ho sempre amato da quando ero una bambina e andavamo a scuola insieme. Mi sono solo costretta a non pensare a te negli ultimi sei anni. Ma ero innamorata del tuo ricordo... ecco perché ero così addolorata per il tuo essere diventato un bandito... Sapere che sei sempre stato onesto e onorevole è come sollevare per sempre l'ombra nera che era scesa fra di noi. Non mi abbandonerai, vero?” Dunque un testo di sicura presa per i lettori dell'epoca che mischia azione, buoni propositi, romanticismo, ed eroismo degli uomini di legge.

Un terzo racconto classico, venduto da Howard ad Argosy insieme alle storie di Buckner J. Grimes, esce nel novembre del 1936. È Vulture's Sanctuary (“Il Nido dell'Avvoltoio”), che conferma le location del precedente Boothill's Payoff e ne mutua, in buona parte, l'epilogo. L'eroe di turno sfida un'intera banda debellandola all'interno del covo della stessa, ancora una volta in un impervio luogo nel cuore dei canyon. Nella circostanza lo fa mandando allo sbaraglio un muscolare texano che intraprende l'azione solo perché una ragazza, che per giunta lo ha umiliato a inizio racconto, è finita nelle mani di un gruppo di reietti. "Come la maggior parte degli uomini della frontiera, era molto sensibile a qualsiasi questione che riguardasse le donne... Il codice per cui viveva, quello rigido e adamantino delle frontiera texana, non permetteva alcun tipo di rappresaglia verso una donna, a prescindere dalla provocazione subita." Vediamo ancora una volta esaltato il galateo texano, se così lo vogliamo definire. Oggi diciamo che “tira più un pelo di... che un carro di buoi” e anche qui la donna è un qualcosa capace di influenzare i comportamenti dei rozzi e temerari uomini sempre in bilico tra la vita e la morte.

Per la felicità dei detrattori, tornano anche le scoccate verso le categorie indesiderate. Così leggiamo frasi quali "un bianco andava in soccorso di una fanciulla in pericolo, a prescindere di chi potesse essere, mentre per i pellerossa e i messicani le donne bianche erano merce pregiata." Evidente, ancora una volta, la distinzione razziale operata da Howard. Tuttavia, proprio a voler disinnescare quanto affermato, c'è qualcun altro che reputa le donne una merce pregiata: El Bravo, il leader dei reietti (un bianco, ex uomo delle istituzioni), che si prende la ragazza oggetto della contesa come dolcetto con cui deliziare il proprio palato. È per lei che il texano sfida la morte in "una partita disperata", anche perché "è abituato a giocare con il diavolo e a distribuire carte letali." El Bravo, inoltre, ha un conto in sospeso con lui. Si tratta di un ex sceriffo, destituito in quanto dedito al crimine, che ha organizzato una vera e propria banda di reietti, costringendo gli stessi a versargli un quota di adesione per essere ammessi al gruppo. Potrà far ben poco contro l'arguzia e l'astuzia del protagonista. "Questo demonio non sarebbe mai venuto qui da solo, a meno di non avere qualche asso nella manica..." Eppure il nostro non ha assi ma, da grande giocatore, è artefice di un bluff risolutivo.
Vulture's Sanctuary è un western rambesco, un po' ingenuo. Il nostro texano, con uno stratagemma, riuscirà a entrare nel covo dei cattivi e capovolgerà a proprio favore la situazione, ormai legato come un salame. Lo farà facendo sorgere dei dubbi nel capobanda. così da indurlo a pensare che i propri uomini lo abbiano tradito, mettendoli così l'uno contro l'altro. Una soluzione che arriva direttamente dal secondo episodio della serie Buckner J. Grimes, A Man-Eating Jeopard.

Si confermano il taglio pulp e quel romanticismo che pervade tutti i racconti del genere firmati R.E.Howard. Il bene trionfa e la donna può stringersi al suo salvatore. “O quanto siamo machi noi uomini di azione” suggerisce Howard, strizzando l'occhiolino a ragazze desiderose di scorgere lo spirito di azione e di sacrificio negli uomini dei sogni, così da poterli accudire e,a fine battaglia, disinfettarne le ferite sugli addominali e sui pettorali tremanti.

Il vero capolavoro di Howard giunge però un mese dopo, con la pubblicazione di Vultures of Whapeton (“Gli Avvoltoi di Whapeton”), altrimenti conosciuto con i titoli Vultures e Vulteres of Teton Gulch. La lunghezza della storia cresce. Howard confeziona addirittura un finale alternativo (decisamente smielato). A ottenere i diritti di distribuzione è Smashing Novels Magazine, dopo che il racconto è stato respinto per anni da tutte le principali testate western del periodo “perché troppo anomalo”27 o forse perché eccessivamente lungo. Il magazine pubblica la storia e persino il finale alternativo, non certo all'altezza di quello tragico scelto da Howard. Senza ombra di dubbio, è il western che tocca l'apice nella produzione di genere dell'autore, con le sue oltre cento pagine a delineare un vero e proprio romanzo breve ricchissimo di azione. Non tutti sono d'accordo. Ben P. Indick elogia l'epilogo tragico, ma suggerisce di non aver apprezzato la storia. Scrive infatti “Il finale tragico si eleva sopra la banalità dei personaggi, l'atmosfera vuota e la trama modesta.28

La trama, di cui parla il critico, viene plasmata guardando a un fatto realmente accaduto nel 1880 a Caldwell, Kansas, quando Hendry Brown, ex socio del fuorilegge Billy the Kid e conosciuto per essere uno dei più veloci pistoleri della zona, fu assunto come vice-sceriffo della cittadina. Introdotto a Caldwell, l'uomo fu oggetto di un agguato in saloon nel modo riproposto da Howard nel testo. Come Steve Corcoran, eroe howardiano, Brown si liberò degli attentatori a colpi di pistola. Riconvertito alla legge, riuscì col tempo a debellare i mafiosi che imperversavano nella cittadina, portando la legge e l'ordine a dominare sulla città salvo poi abbandonare la stella e tornare al crimine.

Lo scrittore texano segue la linea offerta dalla cronaca nera per costruire un violentissimo noir ante litterram ambientato nel solito paesino di frontiera, con venature gialle e molte sparatorie. Saloon, ufficio dello sceriffo e celle sono le location di questo western prevalentemente notturno.
Il protagonista è il solito rude texano, veloce nell'estrarre le armi e di corporatura robusta, che finisce per innamorarsi di una donna che ne determinerà i comportamenti finali (specie nello sdolcinato finale alternativo). Howard cerca di caratterizzare la figura con piglio maschilista, ma sempre guardando a quel codice non scritto di rispetto verso la figura femminile, ritenuta sacra e inviolabile in un'ottica cavalleresca più incline al periodo medioevale che al west.
Il soggetto è di quelli che avrebbero fatto la fortuna dello spaghetti western, con film come
Per Qualche Dollaro in più (1965) che riprende l'idea del capobanda che pensa di sfruttare a suo favore i bounty killers (qua vigilantes) per far eliminare i propri uomini e azzerare il numero di coloro con cui dividere il bottino.

Siamo a Whapeton, cittadina in cui imperversa una banda di delinquenti (gli avvoltoi) i cui componenti sono ignoti a tutti, pur vivendo e muovendosi tranquillamente in città. Lo sceriffo, incapace di far fronte alle uccisioni continue, ingaggia un temibile pistolero proveniente dal Texas e lo nomina vice-sceriffo. I due danno vita a una pantomima per illudere i cittadini di lavorare per contrastare gli avvoltoi, quando in realtà sono il capobanda e il braccio destro dei criminali. I due stanno pianificando la fuga a discapito dei cittadini e dei componenti della banda stessa. Lo sceriffo, in particolare, è un doppiogiochista che mette contro, ben prima di Yojimbo (“La Sfida del Samurai”, 1961) di Kurosawa e Per un Pugno di Dollari (1964) di Leone, i due gruppi con cui è in combutta, la banda degli avvoltoi e i vigilantes, per far suo il bottino rubato in mesi di crimine. Howard è magistrale a scrivere questo personaggio, un po' diverso dai soliti.

In un clima di continui sospetti, morti, saccheggi e processi sommari si giungerà, alla maniera de I Giorni dell'Ira (1967) di Tonino Valerii, all'inevitabile duello finale tra lo sceriffo e il suo vice. I personaggi di Howard non sono uomini tutto di un pezzo, sono canaglie, la cui etica resta in equilibrio sul sottile filo di un rasoio. È facile errare nelle valutazioni e ferirsi in modo inatteso, scambiando un uomo onesto per un manigoldo che risponde solo al profumo dell'oro e viceversa. Qualche bicchierino di troppo e la morte della donna amata, punita per esser andata in giro per il paese a dichiarare la vera identità dei capobanda, porteranno il vice-sceriffo texano a ritornare sui suoi passi nel sanguinoso epilogo. Solo a questo punto, l'uomo guarderà nel profondo della propria anima, rinunciando a un oro fin troppo macchiato di rosso, il rosso del sangue dei morti. Howard chiude con una morale che forse mal si concilia alla tempra di certi personaggi, offrendo ai suoi lettori un racconto dove la polvere da sparo e la sabbia mossa dal vento si liberano dalle pagine per investire il volto di chi si lascia immergere nella magia orchestrata dalla parola. Ecco che i tratti del luogo in cui il lettore sta leggendo sfumano e acquistano i caratteri di una landa incastonata tra canyon e vecchie strutture di legno. Il west rivive, lo fa nell'immaginazione, a oltre un secolo e mezzo di distanza; i colpi di pistola e le mascelle che si rompono sotto i pugni sganciati dai protagonisti di Howard si liberano, dal silente effetto del nero solcato sul bianco, per assumere una consistenza percepibile dai limitati sensi umani.

Registro diverso per The Extermination of Yellow Donory (“Il Suicidio di Donory il Codardo), uscito postumo nel 1970 su Zane Grey Magazine. Howard torna al parodistico, ma lo fa con enorme intelligenza e studio psicologico dei personaggi, tanto che alla fine la parodia si tramuta in racconto amaro.
Un codardo, deriso da tutti, è stanco di continuare vivere. La disperazione, la mancanza di stimoli e i fallimenti lavorativi lo portano a prendere l'estrema decisione. Non importa quanto i motivi siano effettivi e tali da giustificare il comportamento che ne segue, poiché "
un problema che per gli altri può sembrare una stupidaggine, spesso è un vero inferno sulla terra per colui che ne soffre, e l'incubo di rendersi conto della propria codardia è il peggiore fra quanti perseguitano il genere umano." Così scrive Howard, forse accusando sé stesso e meditando sull'estremo gesto con cui concluderà la propria vita. Sotto l'apparenza di comicità, si delinea una tragedia, che vede un uomo pianificare il proprio suicidio in modo da trasformarlo da vigliaccata a gesto eroico. Decide infatti di riscattare la propria esistenza, approfittando della straordinaria presenza in paese del più formidabile pistolero dello stato. Entra così nel saloon e lo provoca a viso aperto, da autentico sbruffone sicuro di sé, ghiacciando un pubblico incredulo. Per la prima volta nella sua vita, Donory ha cucito addosso gli occhi di tutti i presenti. La sensazione che prova è quella di un outsider che, in una partita di contorno trasmessa in diretta internazionale, sta facendo barcollare il numero uno del torneo. Da una parte abbiamo il più celebre codardo della contea e dall'altra il più famoso assassino della zona. Una situazione che sembra preludere a una barzelletta e a una soluzione scontata, se non fosse che si ribalta l'intera situazione. Com'è possibile una cosa del genere? Chiederete voi. Solo in un romanzo potrebbe succedere... ma ne siete sicuri? Sembra di leggere un'innovativa tecnica psicologica applicata alle regole non scritte del far west. Del resto se è pur vero che "il Colonnello Colt ha reso tutti gli uomini uguali, sono poche le persone che si affidano a occhi chiusi a questo adagio, e molte sono più propense a pensare che un'arma fiammeggiante sia più efficace nelle mani di un uomo dall'aspetto imponente." Sono i pregiudizi i veri boomerang che si abbattono sulla visione dell'uomo, poiché inidonei a trarre le giuste conclusioni e tali da determinare, come controindicazione, pericolose derive comportamentali indotte dall'erronea premessa. Ma quali sono questi pregiudizi? Presto detto. Un uomo imponente, muscolare e dalla forza bruta, magari grande esperto nel combattimento corpo a corpo, induce timore. E lo fa anche al cospetto di uno armato che, tuttavia, disponendo di un'arma, ha il vantaggio della distanza e del controllo, così da potersi considerare, a ragion veduta, su una scala di pericolosità superiore, ma solo se è bravo a mantenere l'uso dell'arma. Ma c'è un uomo ancora più pericoloso, in un ideale combattimento, e questo uomo non è l'erculeo né, tanto meno, colui che dispone dell'arma, ma è un altro che entra in gioco disarmato (o almeno così sembrerebbe). Questo suggerisce, con verve ironica e dissacrante, l'autore. Howard scrive che "un vero assassino è sempre anche un grande attore, un perfetto uomo di spettacolo." E così in The Estermination of Yellow Donory è proprio la figura dell'uomo di spettacolo a ergersi sul trono più alto in un ideale combattimento mortale. È la tecnica psicologica, seppur nella fattispecie involontaria, a risultare l'arma di risoluzione del conflitto, un'arma all'apparenza pacifica e idonea a stimolare l'ilarità della platea, eppur capace di ribaltare una situazione che, agli occhi di tutti, sembrava da vero e proprio suicidio comportamentale. L'aperta sfida, con fare smargiasso, di un piccolo e inutile uomo, resa davanti a un pubblico copioso che finisce con l'invadere un saloon pronto a raccontare l'evento ai nipotini, è un qualcosa che mina le certezze e fa sgretolare le colonne che sorreggono le convinzioni di un avversario incapace di leggere la situazione. "Più alta un uomo reputa la propria abilità, tanto più probabile che valuti ancora più alta la capacità, pur indimostrata, di un avversario sprezzante... Dentro il pistolero andava crescendo una curiosa sensazione, ovvero che quel tipo dovesse essere un pistolero terrificante, talmente terribile che neppure Demon Darts sarebbe stato in grado di opporglisi. Altrimenti, perché mai l'avrebbe sfidato? Doveva sicuramente avere un asso nella manica..." E così ecco che assistiamo alla fuga del pistolero e del grande uomo muscolare invincibile, costretto alla resa da un insignificante individuo che lo ha affrontato senza mostrare alcuna arma apparente, col solo gioco della mente (qua tuttavia involontario). Sembra quasi un'apologia del coraggio che si spinge ai limiti dell'incoscienza. Giocare la propria vita a volte potrebbe essere una somma troppo alta per un avversario che non vuol perdere quanto di più ricco ha, specie quando questa posta viene avvolta dall'incertezza dei processi che potrebbero scattare facendo un data mossa. Un vero e proprio rischio da effetto domino, difficile da arginare con i rozzi modi tipici della violenza fisica. Ed ecco quella che potrebbe definirsi una critica di Howard all'atteggiamento popolare, che muta in modo radicale a seguito di un unico evento. Lo scemo del villaggio, piuttosto che il più grande codardo della contea, diventa un grande uomo di valore, un vero e proprio bluffeur che nell'immaginario collettivo copriva, con i suoi atteggiamenti, la sua vera e propria natura, quella del grande valoroso che non può dar sfogo alla propria superiorità per il rispetto di valori superiori. Un po' come faranno Jerry Siegel (1914-1996) e Joe Shuster (1914-1992), nel '33, nell'ideazione di Clark Kent ovvero l'alter-ego codardo di Superman.
Qui ci viene in soccorso Quentin Tarantino, che di certo sarebbe ben felice di allestire un set incentrato sui racconti dell'autore texano, quando in
Kill Bill V.2 fa dire a Carradine, a proposito della filosofia dei supereroi, che il suo fumetto "preferito è superman, perché la filosofia di questo fumetto non è soltanto eccelsa, ma unica... Superman non diventa superman, superman è nato superman. Quando superman si sveglia al mattino è superman. Il suo alter-ego è Clark Kent... Quello che indossa come Kent, gli occhiali, l'abito da lavoro, quello è il suo costume. È il costume che indossa per mimetizzarsi tra noi. Clark Kent è il modo in cui Superman ci vede. E quali sono le caratteristiche di Clark Kent? È debole, non crede in sé stesso ed è un vigliacco. Clark Kent rappresenta la critica di Superman alla razza umana" più o meno come Joey Donory è il limite occulto di Demon Darts, ovvero l'insidia insuperabile dalla forza bruta che, in quanto tale, è incapace di adeguarsi alle mutevoli varianti indotte dalla tattica mentale. Situazione dunque totalmente capovolta, in una sola mossa. Un esito che porta tutti ad avanzare proposte di collaborazione e a manifestare valutazioni, completamente sballate, indotte da errori di fondo sorretti, ancora una volta, dai rigidi schemi mentali che impediscono di vedere la vera realtà delle cose, poiché la scorciatoia della prepotenza è sempre la via eletta dagli uomini di scarsa intelligenza. "Avrei dovuto intuire che voi avete troppo autocontrollo e siete troppo importante per perdere tempo con mezze cartucce come Bull Groker e compagnia. Come tutti i veri pistoleri, voi eravate solo in attesa di un avversario del vostro livello" dicono al modesto protagonista gli uomini del villaggio. Torna centrale il vecchio tema del west, ma anche del mondo marzialista, del grande maestro che cerca sempre di incontrare un altro grande maestro per dimostrare chi sia davvero il più valoroso e abile. Esilaranti, ma calibrati, i commenti degli uomini del bar/saloon: "Ragazzi, stasera abbiamo assistito a qualcosa da raccontare ai nostri nipoti... Chi pensate che sia, veramente? Scommetto che ha una lista di duelli lunga dieci chilometri! Sembrava uno smidollato, ma sono sempre loro quelli realmente cattivi..." Difficile uscire dalla rigidità di certi schemi mentali, questo il messaggio di fondo di un Howard che, giocando, porta a galla grandi verità e soprattutto eleva la psicologia e l'uso della mente ad arma più letale tra tutte, capace di influenzare il comportamento altrui... Il bluff del resto, se ben orchestrato, ha sempre pagato molto bene e questo i veri giocatori lo sanno. Siamo assai lontani dalle logiche di Conan.

Altro testo postumo è Showdown at Hell's Canyon (“Sfida la Canyon Infernale”), edito nel 1973 su The Vultures. Tipica caccia al tesoro sepolto (nientemeno che un milione di dollari destinati, in origine, a Pancho Villa per finanziare la rivoluzione messicana) e indicato in una mappa, con un soggetto morente che fornisce gli indizi utili per ricostruire il tutto, proprio prima di spirare. Cosa vi ricorda? Esatto, qualcosa che Sergio Leone metterà in scena ne Il Buono, il Brutto e Il Cattivo (si pensi non tanto all'acqua, ma alle ultime parole di Bill Carson), con l'antagonista di turno che fa in modo che gli altri due cacciatori individuino il punto in cui il tesoro è sepolto per poi presentarsi e sottrarre l'intero bottino. Ritornano le pareti rocciose dei canyon, il colpo di fulmine che porta l'eroe a innamorarsi della ragazza che trova sul proprio cammino, ma anche il tema del bandito che ha un delitto da riscattare per riparare al male inferto agli altri. Belle descrizioni, grande senso del ritmo Dopo indiani e mandriani, arriva la stilettata a danno dei messicani. "Non sei più negli Stati Uniti, sei nel vecchio Messico... Qui può succedere di tutto." La frase arriva a commento di un assassinio a sangue freddo, con un colpo sparato nella schiena della vittima sotto gli occhi di tutti e in modo impunito. Howard traccia così una situazione ambientale, quella messicana, in cui non vi è neppure l'esigenza di salvare le forme, con ipocrisie o escamotage atti ad aggirare la legge. Niente di tutto questo, in Messico il crimine avviene alla luce del sole e in modo impunito.



PROTAGONISTI SERIALI


Sono cinque i personaggi western ritornanti ideati da Robert Ervin Howard, oltre a un sesto, El Borak (pseudonimo di Francis Xavier Gordon), utilizzato in storie di altro genere (ambientate in Afghanistan) ma comunque di provenienza western29. Di questi personaggi, curiosamente, solo due sono apparsi sui pulp magazine quando Howard era ancora in vita: il pistolero tutta forza e zero cervello Breckinridge Elkins e il suo emulo, ma più sveglio e più snello, Buckner Jeopardy Grimes, uscito in un numero di Cowboy Stories nel mese della morte di Howard. Una coppia che anticipa di trent'anni il duo Bambino e Trinità che farà la fortuna del western comico italiano all'insegna del sorrisi & cazzotti, a dimostrazione di quanto possa sembrare originale abbia sempre un antenato storico.


BRECKINRIDGE ELKINS


Tra i personaggi più longevi dell'intera produzione di Robert Ervin Howard, con un numero di gettoni inferiore ai soli Conan Il Barbaro (ventotto storie) e Steve Costigan (ventisette storie), figura Breckinridge Elkins. Protagonista di ventitré storie30, oltre di una ventiquattresima ingiustamente ascritta al ciclo Buckner J. Grimes31 e di un romanzo a episodi (A Gent of Bear Creek), è il primo personaggio western ritornante che compare nel mondo editoriale a firma Robert Ervin Howard. Il suo avvento si rivela piuttosto rivoluzionario nella produzione dello scrittore texano. Howard volge verso la parodia i super eroi muscolari che gli avevano permesso di farsi un nome in riviste quali Weird Tales, Oriental Stories e Fight Stories. Gli eroi cupi e privi di umorismo e le belle e sensuali femmine che la narrativa pulp richiedeva lasciano spazio a soggetti impacciati, lenti, involontariamente comici, uomini che vengono respinti dalle donzelle di turno e che si battono contro bifolchi, furbetti e parenti alquanto farseschi. Howard sembra divertirsi nel creare situazioni comiche non rinunciando tuttavia all'azione e al ritmo. Alcuni critici sostengono che il ciclo Breckinridge rappresenti una “faccia della stessa medaglia, l'una che fornisce una fantasia erotica soddisfacente (e commerciabile), e l'altra che scopre una parte essenziale di Howard nell'amabile e inespugnabile idiota, i cui poteri fisici rappresentano la meta verso la quale l'autore aveva così assiduamente allenato il proprio corpo per raggiungerla.32” È dunque un Howard autoironico, che gioca con sé stesso, quello che i lettori si apprestano a scoprire.

L'idea del personaggio nasce a seguito delle storie incentrate su alcuni miti del folklore e della tradizione orale americana, quali Paul Bunyan33, John Henry34 e Pecos Bill. Proprio dalla serie di racconti legati a Pecos Bill arrivano molte delle idee che si ritroveranno nel ciclo Breckinridge. Cowboy texano decisamente sopra le righe, ben al di là delle umane possibilità e in linea ai contenuti della favola farsesca, Pecos Bill vantava di esser stato allevato dai coyote e cavalcava un cavallo selvatico ingovernabile per ogni altro uomo. Abile nel maneggiare i serpenti, al punto da utilizzarli come lazo o come frusta d'occasione, era persino in grado di cavalcare i puma. Howard non si lascerà sfuggire l'occasione di recepire simili caratteristiche per plasmarle in vista della sua nuova creatura. Il ciclo Breckinridge diviene così un banco di prova all'insegna della comicità e della satira grottesca, un contenitore di storie utile a tastare il polso dei lettori che premieranno l'iniziativa, portando l'autore a dar vita a una serie di nuovi personaggi, più o meno cialtroneschi, protagonisti di ulteriori serie western. C'è chi ha scritto che queste western stories costituivano “una sorta di corazza di autoironia e parodia che lo scrittore si era forgiato contro il mondo circostante con cui lottava e divergeva.35Ciò che è certo è che attraverso queste storie l'autore poteva parlare di luoghi, usanze e personaggi di cui aveva cognizione diretta, ma anche di inserire qualche stoccata al mondo moderno che sentiva assai lontano dal suo modo di concepire l'ideale società umana.

Alla maniera di molti altri personaggi howardiani, Breckinridge, per gli amici semplicemente “Breck”, è un ragazzo dalla mole ciclopica, alto due metri e con una struttura fisica che porta molti a paragonarlo a un grizzly. Tanto potente quanto rozzo e non acculturato, è originario di Bear Creek, immaginifica cittadina montana del Nevada. Si definisce pacifista, ma è sempre coinvolto in risse altamente distruttive tanto da essere preceduto da una fama tutt'altro che raccomandabile giunta anche in luoghi da lui non ancora visitati. Generoso e buono di animo, è penalizzato da un atteggiamento a dir poco infantile. Incapace di comprendere i propri limiti, non accetta di vedersi superato in astuzia, cosa che puntualmente avviene nonostante i suoi sforzi. Manipolato e tradito di continuo, è forse il personaggio più ritardato dell'intera produzione di Howard. Eppure riesce sempre a farsi rispettare, a suo modo, ricorrendo alla devastazione che poi tenta di addebitare ad altri. I suoi resoconti, tutti in prima persona, iniziano spesso con la frase “non è colpa mia se...”

Un modo di fare che ricorda un po' la conclusione delle esperienze del suo stesso autore, solito a litigi più o meno burrascosi con i tantissimi datori di lavoro con cui cercava di collaborare. “Tanti uomini pensano che un impiegato sia una specie di servo. Io sono di buon carattere e accomodante, e detesto e mi ritraggo da baruffe di ogni tipo; ma non è bene che un uomo ingoi tutti” dice di se Howard, che poi nella vita risulta essere tutt'altro che accomodante e refrattario alle baruffe. Non a caso l'amico scrittore Edgar Hoffmann Price, nel leggere un suo racconto western umoristico pubblicato alla memoria dell'autore, scriverà che Howard e i protagonisti dei suoi western umoristici erano la stessa persona. Una somiglianza non solo caratteriale e comportamentale ma anche fisica. Nevrile, distruttivo, Breckinridge è sorretto da una possanza fisica che impressiona gli interlocutori, impotenti al suo cospetto. Colpi di bastone in testa, cazzotti e persino le pallottole non sembrano frenarlo. Ogni eroe però ha il suo tallone d'Achille e nel caso di Breckinridge il punto debole è la ridotta intelligenza o, meglio ancora, l'ingenuità. Convinto di possedere un irresistibile sex appeal, si propone in quasi tutte le storie a una donzella diversa, ma ognuna di queste finisce per sfuggirgli, scappando col primo che capita pur di evitare le richieste di matrimonio del nostro. "Era già abbastanza dura, ma il fatto di doverti sposare è stata l'ultima goccia. Sei stato molto gentile con me, ma sarebbe come sposare un grizzly" gli lascia scritto una ragazza. I parenti rincarano la dose non lesinando critiche: “Quando la natura ti ha dato il corpo di un gigante, ha dimenticato di darti un cervello da affiancare ai tuoi muscoli”. Breckinridge fa ben poco per dimostrare il contrario, manovrato in modo sistematico per la sua difficoltà ad andare oltre le apparenze o per i suoi continui errori di valutazione. Nonostante questo riesce sovente a risolvere gli intrighi, più per fortuna che per bravura, mentre rilassa i nervi sparando sui cappelli di coloro in cui si imbatte giusto per contenere la sua indole a menare le mani. Combatte contro i grizzly (scambiandoli per uomini!?), addormenta con pugni in testa i puma e poi li trascina per la collottola, utilizzandoli come armi improprie, mentre cavalca l'immancabile Captain Kidd36. Quest'ultimo non è a di meno del suo proprietario. Cavallo selvaggio, il più veloce dello stato, si fa cavalcare solo dal suo padrone. Breckinridge l'ha catturato sugli Humboldt ed è riuscito a domarlo. Di mole statuaria, è l'unico cavallo in grado di sostenere il peso di Breckinridge. Ha“il sangue di un pittore nelle vene e l'indole di uno squalo” spiega il pistolero. Lo vediamo scartare, scalciare e mordere gli altri cavalli, ma anche recuperare clamorosi distacchi e permettere al nostro di darsi alla fuga quando è inseguito dai manigoldi. Un vero demonio a quattro zampe esorcizzabile solo dal suo proprietario. Vediamo dunque come Howard costruisca la dimensione in cui si muove il suo personaggio, accompagnato da parenti serpenti ritornanti e da cliché comportamentali ripetuti, molto prossima alla logica del fumetto.

Da un punto di vista strutturale, le storie sono narrate in prima persona e in dialetto montanaro. È lo stesso Breckinridge a raccontarci i fatti, partendo il più delle volte con una serie di giustificazioni finalizzate a smontare le accuse di distruzione di volta in volta avanzate contro di lui dagli abitanti dei paesini dove si è trovato a mettere piede. “La gente che ha cuore la propria pelle dovrebbe stare alla larga da tornado, tori selvaggi, torrenti straripati e da un Elkins insultato!” tuona. Il taglio delle storie è parodistico, sebbene si spari, ci si ferisca e non manchi l'azione. Trent'anni prima della deriva comica del western all'italiana, con l'avvento dei cosiddetti fagioli western, vediamo già qui pistoleri costretti alla fuga in mutande, altri che saltano in aria perché colpiti da fucilate nei glutei con colpi che invece di squarciare la carne sortiscono l'effetto tipico dei proiettili di sale; inoltre si assiste sovente a rocambolesche missioni in cui Breckinridge cerca di aiutare amici o parenti finendo per combinare una catena di pasticci degni degli sviluppi di una commedia degli equivoci. Sono infatti gli equivoci in cui cade Breckinridge la costante dell'intera produzione.

L'unicità del personaggio viene altresì testimoniata dal tentativo di Howard di tramutare le sue storie in un romanzo a episodi. Sul finire del 1935, lo scrittore texano, forte del successo mietuto dai racconti, pensa di pubblicare il suo primo libro assoluto. Aveva già tentato in precedenza di dare alle stampe raccolte di racconti o di poesie, senza mai trovare i giusti riscontri. Per realizzare il nuovo progetto, raccoglie i primi nove racconti usciti su Action Stories dal marzo del 1934 all'agosto del 193537, li riscrive con lievi modifiche e li combina con quattro storie inedite (tre delle quali mai apparse su Action Stories)38 scritte appositamente per l'operazione con la funzione di fare da collante, così da dar vita a un romanzo a episodi legati da un trait d'union. Il “romanzo” viene intitolato A Gent from Bear Creek e presenta la novità dell'introduzione di un nuovo personaggio: la rude Glory McGraw, una montanara tutt'altro che seducente e romantica. È lei la vera e sola fidanzata di Breckinridge, l'unica donna che può davvero amarlo e comprenderlo. "Non c'è una ragazza a Bear Creek, nemmeno le mie sorelle, che sappia brandire un'ascia come lei, o friggere una bistecca altrettanto saporita, o preparare semolini altrettanto buoni, e non c'è nessuno, uomo o donna, che possa superarla, a meno che non sia io" dice entusiasta di lei Breckinridge, che poi però finisce per perdere la testa per le ragazze della città che puntualmente lo respingono. La storia d'amore tra i due procede a corrente alternata e ricorda un po', per rendere l'idea, il canovaccio de Il Ragazzo di Campagna (1984), il film comico anni ottanta con Renato Pozzetto protagonista. Il “nostro” cerca di concedersi svariate scappatelle, perché reputa le ragazze della città superiori, salvo tornare sempre da Glory, tra le montagne. Lei lo accoglie a suo modo, rompendogli in testa “pietre grandi come un'anguria” con Breckinringe che le assicura di non aver amato nessun'altra ragazza al di fuori di lei: “Non ho mai visto una ragazza che possa arrivare a cento miglia da te nell'aspetto e nel coraggio...” Alla fine Glory accetterà la proposta di matrimonio dell'uomo, destinato a esser dominato dalla stessa come già successo a svariati personaggi della serie.

Il libro va in porto, ma Howard non riesce a piazzarlo agli editori americani. Solo nel 1936 chiude un contratto con un piccolo editore inglese: Herbert Jenkins. L'accordo prevede la pubblicazione di A Gent from Bear Creek e di un romanzo weird che non vedrà mai la luce39. Nonostante la morte dell'autore, il romanzo viene pubblicato in Inghilterra, dove c'è una discreta domanda di racconti western40. Esce in due edizioni. Nel 1937 compare sul mercato al prezzo di sette scellini e sei pence in volume rigido con una copertina a colori, in cui è raffigurato un cowboy in sella a un cavallo pezzato imbizzarrito. L'uomo tiene una pistola in pugno rivolta verso il cielo. In quarta di copertina due cowboy in un duello a fuoco impreziosiscono l'accattivante veste grafica. Inoltre un'attraente bionda, con cappello e foulard verde, adorna il dorso del volume. Sulla copertina, gli addetti al marketing, paragonano Howard all'”umorismo inconscio” di Bret Harte (1836-1902)41. Nel 1938 esce una misteriosa seconda versione economica, al prezzo di due scellini e sei pence, che sembra non esser stata vista da nessuno degli studiosi contemporanei dell'autore42. Come se non bastasse, il successo viene frenato dallo scoppio della seconda guerra mondiale e dall'ordine del governo inglese di requisire tutti i volumi in commercio per destinarli al macero così da soddisfare il fabbisogno di carta. Una decisione questa che trasforma il volume in un incredibile cimelio da collezione degno delle ricerche del Lucas/Dean Corso de Il Club Dumas di Arturo Perez Reverte poi trasposto al cinema col titolo La Nona Porta. Già di suo scarsamente distribuite, le copie della prima edizione finiscono infatti con l'andare pressoché estinte. A oggi si parla di un numero di copie variabili, a seconda delle fonti, dalle sei alle diciotto43, due delle quali conservate in biblioteche inglesi, una (in origine appartenuta al padre di Howard e inviata in omaggio dall'editore inglese) custodita in Texas presso la biblioteca del Ranger Junior College di Ranger, un'altra passata di mano in mano a suon di migliaia di dollari a ogni passaggio. Si tratta di copie sprovviste di sovraccoperta, a differenza invece del volume attualmente in possesso di Patrice Louinet (pagato, nel giugno del 2017, 18.000 dollari), in precedenza di proprietà dello studioso Glenn Lord (1931-2011) di Pasadena (Texas) che l'aveva acquistato negli anni '70 per 4.000 dollari dagli eredi dello scrittore ed editore August Derleth (1909-1971); una copia che presenta una scritta olografa dell'ex possessore a inizio libro. Pazzesca poi la notizia secondo la quale una copia, apparsa dal nulla, sarebbe stata ceduta il 15 luglio del 2006 su AbeBooks da un poco accorto venditore che, non essendo a conoscenza del valore del libro, se ne sarebbe disfatto a modico prezzo in favore di un acquirente in vena di affari, tanto da rivenderla pochi giorni dopo su ebay per 8.500 dollari. La copia è poi finita nella collezione privata di Edward Gobbett. Quattro anni prima un'altra copia, sempre su ebay, è stata piazzata a 2.465 dollari da un libraio inglese a un collezionista privato. Un'altra copia, contro il pagamento di 3.700 dollari, è finita nel 2002 al REH Museum di Cross Plains dopo esser stata salvata dalla distruzione in Sud Africa dal libraio Ian Snelling di Forest Town. Sembra che il volume sia stato ritrovato all'interno di un cestino degli scarti poco ore prima di esser destinato al macero.

Dunque un volume divenuto col tempo una rarità tale da aver trasformato il debutto letterario di Howard nell'opera di maggior pregio economico di tutta la sua produzione44. Il personaggio però, come abbiamo anticipato, appare qualche anno prima, nel marzo del 1934, col racconto Mountain Man, un titolo che rimanda a Bud Spencer45. A dargli ospitalità è la rivista Action Stories46, periodico multidisciplinare presso il quale Howard era già conosciuto a partire dal gennaio del 1931 per precedenti pubblicazioni (cinque) della serie Steven Costigan. Su Action Stories il personaggio trova patria pressoché esaustiva, con una sola eccezione su Star Western, beneficiando di uscite piuttosto regolari. Nel 1934 vi compaiono cinque racconti, sei nel 1935 e sette nel 1936, con un ottavo in uscita nel gennaio del 1937, prima di un lungo silenzio47. Howard riesce a vederne pubblicati addirittura quattordici, tutti su Action Stories, a dimostrazione del successo ottenuto nel pubblico, tanto da essere la terza serie più longeva durante la vita dell'autore. I compensi si aggirano sui sessanta dollari a testo, per una una lunghezza media a racconto di 35.000 battute. Le entrate economiche però, come spesso avviene, non vanno di pari passo con la qualità dei racconti. La copiosità delle uscite e la spinta a scrivere per racimolare fondi si riflettono in modo evidente sui testi che, a mano a mano che la serie prosegue, tendono a diventare ripetitivi con sviluppi di storia ricalcati sui precedenti episodi.

Il registro della serie è fin subito delineato nel racconto Mountain Man. Breckinridge viene portato in scena come se fosse un ragazzone ritardato non ancora maggiorenne e alle prime esperienze di vita. Il padre lo spedisce in città per andare a recuperare una lettera giunta dal Mississippi. Mai allontanatosi oltre trenta miglia, il giovane parte in sella a un mulo, scendendo la montagna in direzione della valle. Il padre gli impartisce ogni sorta di consiglio, in particolare lo invita a non opporre resistenze al cospetto di uomini che hanno una stella d'argento appuntata sul petto. Derubato nel corso del viaggio di tutti i vestiti, Breckinridge ricambia il favore depredando un solitario e strano individuo appiedato, vestito con abiti cittadini. Il cambio di vestiti porta alcuni scommettitori della città, presso cui è diretto Elkins, a scambiarlo per il famoso pugile fatto venire da lontano per battere il campione della città confinante. È l'inizio di una serie di incomprensioni che innescano una storia rocambolesca e paradossale che porta Breckinridge a vagare con pantaloncini che gli cadono di continuo sulle ginocchia, mentre si confronta con pistoleri rimasti in mutandoni e con un pugile in un incontro di box che si trasforma presto in un confronto di lotta libera, con tanto di morsi alle orecchie di tysoniana memoria. Alla fine, tra mille peripezie, Breckinridge riuscirà a giungere alla stazione postale, approfittando di una rissa generale scoppiata per via dell'arrivo del vero pugile che si è portato dietro un gruppo di uomini. Giunto all'ufficio, dopo aver sventato una rapina ai danni delle casse postali, Breckinridge scopre che la lettera che il padre avrebbe dovuto ritirare era indirizzata a un'altra persona... la distruzione delle poste sarà l'inevitabile risultato finale. “La prossima volta che papà riceverà una lettera all'ufficio postale, se la verrà a prendere da solo, perché è evidente che la civiltà non è un posto per un ragazzo che non abbia raggiunto la piena crescita e forza.

Sulla stessa falsa riga, ma meno comico e con scene più cruente è Scalp Hunter48. Breckinridge, sempre confusionario e avventato, appare più maturo e più sveglio, in sella all'inseparabile Captain Kidd. Nell'occasione giunge a Grizzly Claw per cercare di scoprire cosa sia successo al vecchio zio che, come spesso succede con Howard, si chiama Jeppard Grimes (nome che ricorda l'altro celebre personaggio ironico del texano). A un bivio, infatti, un conoscente fa cenno a Breckinridge che a Grizzly Town qualcuno ha fatto qualcosa di terribile allo zio ma che, a causa di un colpo in testa, non riesce a ricordare cosa gli sia stato detto in merito. Breckinridge parte alla volta della città dove, una volta giunto, si mette subito in mostra in negativo, coinvolto in una serie di fatti rocamboleschi che lo portano a esser additato per un falsario, un azzoppatore di muli, un bruciatore di case e un killer. Grizzly Claw è una città strana, popolata da simulatori, pretenziosi, persone che ingigantiscono i fatti e sceriffi paurosi. La prima parte del racconto è decisamente comica, finché Elkins non sente parlare alcuni individui dello scalpo di Jeppard Grimes. Convinto che lo zio sia stato scalpato, Breckinridge carica, alla maniera di una bestia feroce apparsa dal nulla, quelli che crede essere gli assassini del parente. Sfonda porte e pareti di legno alla maniera di Lou Ferrigno ne L'Incredibile Hulk. Ancora una volta, troviamo pistoleri che perdono capi di indumento, scappano a piedi scalzi, con camicie e pantaloni ridotti a brandelli, prendono colpi di pistola nei glutei. Deciso a fare giustizia, Breckinridge segue i fuggitivi nel rifugio degli stessi. Smantella per tale via la banda di falsari che spacciavano soldi falsi a Grizzly Claw, pur rischiando di esser arrestato dallo sceriffo che gli vorrebbe imputare lo stesso delitto oltre che assassinio e maltrattamento di animali. Se ne ritorna così a casa, triste per non esser riuscito a farsi giustizia da solo e non aver avuto la possibilità di sfidare a duello gli scalpatori dello zio. Questi ultimi, pur di esser sottratti dalle grinfie del gigante, hanno implorato lo sceriffo di esser arrestati e per questo hanno confessato i loro reati. Sul viaggio di ritorno però si confeziona la beffa. Breckinridge ritrova l'amico che gli aveva parlato della tragedia dello zio. L'uomo lo ferma e gli dice di ricordarsi cosa fosse successo. Breckinridge fa cenno allo scalpo e l'amico annuisce, dicendo che suo cugino gli aveva detto di dirgli di stare attento ad alcuni truffatori di Grizzly Claw che avevano preso lo scalpo di Jeppard rivogandogli moneta falsa...!!! Ancora una volta, Breckinridge si è trovato coinvolto in risse, sparatorie, distruzioni varie e minacce di arresto senza che vi fosse ragione alcuna. Lo scalpo di cui si parla infatti non riguarda il cuoio capelluto dello zio Jeppard bensì quello di un suo vecchio scalpo venduto ai truffatori. Breckinridge, conscio di esser stato vittima di un malinteso, non la prende bene. Si lancia dietro all'amico con fare omicida, inseguendolo per cinque miglia giù dalla montagna, assicurando di non aver intenzione di ucciderlo ma di incaprettarlo con un bel nodo al collo per aiutarlo a ricordare meglio. “Questa gente che va in giro a raccontare che ho buttato il sindaco di Grizzly Claw giù per una scalinata con un fornello da cucina non ha ancora aggiunto che il sindaco stava cercando di farmi fuori con un fucile a canne mozze. Se fossi una testa calda come alcuni che conosco, potrei inoltre perdere facilmente le staffe per quanto ho sentito dire circa il fatto che avrei premeditato quanto è successo a Grizzly Claw, ma essendo timido e riservato per natura, mantengo la mia dignità e mi limito a dire che questi pettegoli sono dei bugiardi ad avermi incolpato, e che, se li acciuffo, li prenderò a calci nelle orecchie!

Meno riuscito ma comunque di qualità è A Gent of Bear Creek, sempre costruito su un equivoco che induce Breckinridge ad azionarsi per scongiurare una faida in famiglia. Al centro della contesa vi è un malloppo di pepite scoperto per caso e in tempi diversi da più ritrovatori, tutti parenti del nostro (due cugini e uno zio), in un anfratto della montagna. Il bottino è scomparso nel nulla con ogni ritrovatore che accusa gli altri di averlo trafugato. Breckinridge fatica a convincere i parenti a non farsi giustizia da soli, riuscendo a ottenere una tregua di ventiquattro ore così da poter recuperare il malloppo. Il nostro si dice infatti convinto che autore del furto sia stato uno straniero di passaggio. Così, sulle tracce dello sconosciuto, Breckinridge si reca nella cittadina di Wampum, dove salva un bandito dalla forca liberandolo dal cappio che lo sta strozzando. Il gesto non viene affatto tollerato dallo sceriffo che, sopraggiunto in città, fa incarcerare Breckinridge, nonostante il pistolero gli riferisca di esser giunto in paese per recuperare da un forestiero il bottino che lo stesso ha illegittimamente trafugato. C'è un particolare però: nessuno è colui che dice di essere. Lo sceriffo infatti è un bandito, colui che è stato salvato dall'impiccagione è il vero sceriffo, mentre l'individuo ricercato da Elkins altro non è che un uomo di fiducia del falso sceriffo. Questo, pena regolamento dei conti, prende al volo l'occasione per impartire al suo uomo l'ordine di consegnargli il denaro trafugato. Quest'ultimo però non sa niente del bottino, ma impaurito dall'ordine si attiva per racimolare la somma indicata.

Intanto Breckinridge, salvato dalla banda dello sceriffo destituito, evade dal carcere e recupera la somma trafugata dallo straniero, facendo fuori la banda di malviventi. Il tutto viene compiuto oltre le ventiquattro ore pattuite. Per fortuna di Elkins però il bottino di cui i parenti lamentavano la scomparsa non è stato sottratto da alcun ladro, ma dal bimbo dello zio di Elkins, che ha utilizzato le pepite come proiettili per il suo fucile da gioco...!!! Tra un'imprecazione e l'altra, il nostro dona quanto recuperato alla ragazzina che lo ha liberato dalla prigionia.

Esilarante è The Road to Bear Creek, uscito nel dicembre del 1934, dove Breckinridge riceve l'incarico dal padre di convincere e scortare lo zio in paese dopo un'assenza di numerosi anni. L'uomo ha infatti un temperamento focoso e un passato in cui si è scontrato col padre di Breckinridge. Certo di trovarlo quale passeggero di una diligenza, il “nostro” si reca nella cittadina di War Paint dove è previsto l'arrivo dello sconosciuto zio, un tempo facilmente riconoscibile per i baffoni rossi. Celato e ben attento a non indurre sospetti nello sceriffo, Breckinridge nota scendere dalla diligenza tre uomini, uno dei quali con due baffi rossi. Certo di aver riconosciuto lo zio, Breckinridge lo invita a seguirlo, trovandosi sotto il fuoco dei due loschi figuri che l'uomo si porta dietro. Ha inizio un vero e proprio rapimento, con un lungo inseguimento condotto sia dagli uomini radunati dallo sceriffo, certi di avere a che fare con un manigoldo autore di sequestro di persona, sia da quelli facenti capo al più pericoloso bandito della zona, che vogliono invece mettere le mani sul rapito perché lo credono in possesso di una grossa somma di denaro. Tra peripezie continue, scazzottate e sparatorie, Breckinridge riuscirà a condurre l'uomo a Bear Creek, con questo che, per nulla convinto dei proclami di salvezza gridati dal giovane, lo implorerà in tutti i modi di lasciarlo andare fino a indicare un luogo in cui avrebbe nascosto un ingente bottino. "Sono un uomo distrutto! Prendi il mio segreto e lasciami tornare dalla banda. Tutto quello che voglio ora è una buona e sicura prigione." Ferito, più volte disarcionato di sella, colpito al capo e con i vestiti ridotti a brandelli, il presunto zio viene condotto al cospetto del padre di Breckinridge. Non dimenticate però che siamo in un ciclo comico, dove le incomprensioni sono di casa. “I baffi rossi, col tempo, diventano grigi” commenta una voce, alle spalle di Breckinridge e dell'uomo con i baffi rossi, mentre i due sono al cospetto del padre di famiglia. È il vero zio Esau Grimes a parlare, l'uomo a cui Breckinridge ha sparato a inizio racconto gridando: "Così impari a interferire negli affari di famiglia!" Curato da una ferita di striscio alla testa, Esau è giunto per conto proprio a destinazione, in sella al suo cavallo (perché le diligenze sono roba per donne e bambini), sfruttando le tracce lasciate dal nipote inseguito da tutti i banditi di zona e dagli uomini di legge, perché l'uomo rapito altro non è che un rapinatore di banche artefice di un grosso colpo. Errori di persona e incomprensioni sono ancora una volta la linfa di un racconto altamente ironico.

"Cosa farete con me?" chiede il bandito. Il padre di Breckinridge, cercando di tranquillizzarlo, assicura che sarà curato e poi ricondotto dal figlio a War Paint, città da cui è stato tratto. Invece di esser sollevato, l'uomo, non appena sente di dover finire di nuovo nelle mani di Breckinridge, ha una reazione imprevista. Ehi, che cos'ha?" chiede il padre del giovane pistolero, ma lo sconosciuto è svenuto al pensiero di dover intraprendere una nuova odissea...

I racconti della stagione successiva, il 1935, iniziano a ruotare su una serie di ragionamenti relativi alla figura femminile, dipingendo la donna quale “una trappola e un'illusione.” In The Haunted Mountain, uscito nel febbraio del 1935, la donna è rappresentata quale trappola. Tutti i soggetti protagonisti, infatti, sfuggono da donne virago, preferendo l'isolamento in miniere reputate stregate dai messicani e la compagnia di grizzly. Nonostante i tentativi di evasione però non riusciranno a liberarsi dalla caparbietà delle loro compagne. Breckinridge protesta nei confronti della disillusione dei più anziani compagni di avventura: “Cosa in questo mondo schifoso e tormentato può essere paragonato alla dolcezza delle donne?” dice col suo consueto fare romantico. L'irruzione grezza e brutale della moglie dello zio, partito alla ricerca di una miniera inesistente e braccato da due “idioti” in cerca dell'uomo delle caverne, farà ricredere il “nostro.”

In War on Bear Creek, di due mesi successivo, assistiamo all'innamoramento di Breckinridge, che si reca addirittura dalla ragazza che gli ha rapito il cuore per prendere lezioni di “inglese”. Convinto di essere irresistibile, peculiarità che accompagnerà l'intero ciclo, annuncia alla giovane che sarà sua moglie, lasciando la stessa stupefatta.“Non tutte le ragazze hanno la possibilità di sposarsi con Breckinridge Elkins, quindi non la biasimavo per essere eccitata” commenta al ricordo il “nostro”, impegnato a condurre in giro per i boschi un imbranato cacciatore inglese che spara in continuazione verso bersagli che crede essere animali e invece sono i parenti di Breckinridge. Giudicato uno scemo ritardato dal “nostro”, l'inglese fa innamorare la giovane maestra e fugge con questa, mentre Breckinridge viene coinvolto in una rissa di famiglia per proteggere il forestiero che, a sua insaputa, si è dato alla fuga. La delusione finale viene amplificata dal tentativo di salvataggio del “nostro” che si lancia, tra le fiamme, nella casetta di legno della maestrina e trascina fuori un corpo scalciante. Certo di aver salvato l'innamorata, si ritroverà tra le braccia il peloso e baffuto zio penetrato là dentro per mettere le mani sull'inglese. Quando si suol dire: cornuto e mazziato.

Di qui in avanti, dopo sette uscite, il ciclo Breckinridge si rende compassato e ripetitivo. Howard mantiene la struttura e i toni, ma lesina in fantasia. Pur cambiando gli intrecci, i plot diventano simili tra loro e solo di rado riescono a innovare il ciclo. In The Feud Buster, del giugno del 1935, la ricerca di un fidanzato che si è vantato di aver lasciato la sorella di Breckinridge Elkins si trasforma in una caccia all'uomo che porta il nostro, pur di mettere mano sullo svergognato e costringerlo a riparare in matrimonio, a debellare una banda di manigoldi contrapposta a un'altra, salvo poi scoprire che è l'uomo è esser stato lasciato dalla donna.

Ripetitivo è Cupid from Bear Creek, dell'agosto del 1935, dove Breckinridge viene assoldato da un conoscente per trasportare un carico di pepite per il west, con l'invito di rintracciare un reverendo. Il “nostro” accetta con entusiasmo, perché chi lo ha incaricato è un rivale in amore che gli ha garantito di aver programmato di sposarsi con un'altra ragazza a condizione di condurre in città il reverendo. Ciò che il “nostro” non sa è di esser stato giocato dal rivale, che ha programmato di sposare proprio la ragazza contesa, trovando un modo per far allontanare l'avversario, mentre questo, avvicinato da un tizio che si spaccia per il citato reverendo, dovrà vedersela col più pericoloso bandito di zona (allettato dalle pepite). Ribaltamenti dei ruoli, col bandito che finisce per implorare Breckinridge di liberarlo, pur di sottrarsi dalle involontarie torture dello stesso che lo vorrebbe portare in città per celebrare il matrimonio dell'amico. Ripetitivo anche The Riot at Cougar Paw, dell'ottobre 1935, in cui Breckinridge diviene vittima di uno scherzo del fratello che lo manda in un paese confinante per farsi dare quanto un tale gli ha promesso. Il “nostro” si troverà così alle prese con un soggetto manesco intenzionato a vendicarsi di un precedente pestaggio subito dal fratello del “nostro”. Classica distruzione di saloon, risse e arresto di Breckinridge per gli atti compiuti, con successiva liberazione a condizione che lo stesso cacci dal paese un nuovo gigante dalla mano calda: il cugino Bearfield Buckner...

Banale The Apache Mountain War dove il tentativo di dissuadere uno zio ubriacone dall'alcool ottiene effetti diametralmente opposti. Breckinridge ricorre a un mulo zebrato per convincere il parente degli effetti distorsivi delle sostanze ingerite, se non fosse che l'uomo, di ritorno dal saloon per una volta sobrio, alla vista dell'animale, si convince di esser affetto da allucinazioni dovute all'acqua ingerita nella giornata, giurando pertanto di non bere più una simile schifezza...

La serie gode di una ripresa di qualità nel 1936, ultimo semestre di attività di Howard. Nel febbraio di quell'anno esce Pilgrims to the Pecos, racconto che testimonia la vicinanza del ciclo a Lo Chiamavano Trinità, e non certo per la famosa battuta proferita dal padre di Trinità - nel vedere l'acqua sporca della tinozza da cui fuoriesce il figlio – in Continuavano a Chiamarlo Trinità: “non vedevo tanta sporcizia dallo straripamento del Pecos...” Protagonisti, infatti, sono due cugini maneschi, in rapporto tra loro di odio e amore, che si trovano, ognuno per conto proprio, a dover proteggere due gruppi di coloni refrattari alla violenza che si sono stabiliti in una valle che fa gola, per i pascoli, a una banda di messicani razziatori di cavalli. Breckinridge, incaricato dal padre di condurre fuori Bear Creek un manipolo di indesiderati, incontra di nuovo il cugino Bearfield Buckner, già suo rivale in The Riot at Cougar Paw, e sono scintille. I due, in competizione tra loro per permettere ai rispettivi gruppi rappresentati di aver tutta la vallata, si sfidano a colpi di pugni, di carte e infine a chi uccide più messicani della banda del pericoloso Zamora, che non ha niente da fare che cercare di mettere in fuga “le cornacchie” da una terra particolarmente adatta al pascolo dei cavalli. I coloni, impauriti e inabili alle armi, vorrebbero darsela a gambe, ma sono i nostri due esperti di “sorrisi & cazzotti” a opporsi ai cattivoni. Se già tutto questo ricorda il film diretto da Barboni, non è da meno l'epilogo all'insegna dell'amore sociale, con i due gruppi di coloni che decidono di spartirsi la vallata, ponendo fine alla competizione tra i due cugini. “Siamo sommersi da un casino di pacifismo. La razza sta degenerando” afferma Breckinridge, disgustato dall'arrendevolezza degli uomini. “Questa atmosfera di amore fraterno è quanto di più possa sopportare!”

Da puro westerner Howard piazza un altro racconto meritevole di segnalazione, un'opera in cui prende le distanze dalla nascente società del nuovo millennio. In Pistol Politics, dell'aprile del 1936, il tentativo di importare la civiltà si trasforma in risse, uccisioni e incremento di reati, ben oltre quanto prima registrato, per effetto dei tentativi dei due candidati a sindaco di racimolare nuovi elettori. Breckinridge, coinvolto nella campagna elettorale col compito di condurre in città un uomo colto per organizzare spettacoli utili a ottenere consenso, si trova a dover riconoscere che “tutta la legge di cui un uomo ha bisogno è una pistola infilata nei pantaloni. E l'unica cosa di cui ha bisogno è sapere da quale estremità della pistola esce la pallottola." Divertente l'atteggiamento del candidato sindaco che Breckinridge dovrebbe aiutare ad aumentare i voti; a a ogni morte, impreca: “quello era un mio elettore!”

L'impulso innovativo tende a esaurirsi qua. Nel giugno del 1936, mese della morte dell'autore, si torna ai tradizionali cliché con Evil Deeds at Red Cougar. Il “nostro” viene indotto a credere che una giovane donzella braccata da un manipolo di uomini sia una verginella prossima a cadere nelle grinfie di un gruppo di stupratori. Howard costruisce la storia sui preconcetti e ribalta quanto sarebbe logico pensare per tutto il corso del racconto. La giovane, dagli occhi dolci e dai modi fini, rapisce il cuore alquanto volubile del nostro che pianifica un agguato per mettere fuori combattimento gli inseguitori. Invitato dalla giovane a entrare a Red Cougar, finisce per scontrarsi con una banda di bulli che gravita attorno al saloon e che manifestano il loro odio verso gli stranieri. La potenza di Breckinridge non passa inosservata agli occhi del barista che gli confida di esser stato vittima di un furto di un carico di pepite d'oro per mano di un manigoldo che si nasconde sulle montagne. Breckinridge, sempre molto generoso nel concedere il suo aiuto, garantisce all'uomo di recuperare quanto gli è stato tolto. Prima però di lanciarsi sulle montagne passa dalla giovane a cui ha salvato la vita, immaginando già di sposarla. Questa lo accoglie e lo induce a parlare. Breckinridge le dice tutto e non sospetta della buona fede della giovane, neppure quando questa esce per poi rientrare dicendogli di andare sulle montagne insieme a un suo cugino.

L'uomo, un componente della banda del boss di Red Cougar, riesce a farsi dire dove è nascosto il detentore delle pepite e una volta ottenuta l'informazione colpisce alla testa col calcio del fucile Breckinridge. Il fucile però si spezza in due, senza che il pistolero subisca effetti. L'ingenuità di Breckinridge è tale da fargli pensare che il giovane compagno di avventura sia vittima di una patologia psichica. Neppure quando questo cercherà di rivelargli come stanno le cose Breckinridge riuscirà a connettere. Intanto, il detentore di pepite viene ritrovato esanime, malmenato e derubato. Breckinridge riesce a fargli dire chi sia stato a ridurlo in quel modo e scopre che le pepite sono ora in mano del boss di Red Cougar. Parte così alla ricerca di quest'ultimo e, dopo scazzottata e sparatoria, riesce a recuperare il bottino. Contento per aver assolto al compito che gli era stato dato dal barista, Breckinridge viene avvicinato da un gruppo di soggetti che sfoggiano stelle sul petto: si tratta dei medesimi individui vittime dell'agguato iniziale. Questi, sulle tracce di Breckinridge fin dall'inizio, prendono a elogiarlo per aver sgominato la banda del boss di Red Cougar, plaudendone l'intelligenza. Sono infatti convinti che Breckinridge abbia adottato una strategia ben definita fingendosi idiota al punto da manipolare la fidanzata del boss di Red Cougar e il barista della città. La realtà è ben diversa: Breckinridge è stato giocato sia dalla giovane che dal barista, uno smidollato incapace di compiere rapine se non per interposta persona. Il detentore di pepite infatti era un cercatore d'oro costretto a nascondersi sulle montagne per sfuggire ai banditi di zona. Pur essendo stato preso di giro da tutti, Breckinridge riesce a portare a termine con esito positivo la missione.

In High Horse Rampage, uscito nell'agosto del 1936, si rinnova il confronto tra Breckinridge e suo cugino Bearfield, innescato da un rivale d'amore del secondo che convince il “nostro” della sopraggiunta pazzia del parente. “Soffre di allucinazioni. È convinto di dover sposare una tale Ann Wilkins che neppure esiste” viene detto. Di nuovo giocato dagli sconosciuti e aiutato da un sedicente professore inventore di un siero utile a curare i matti, Breckinridge imprigiona il cugino pianificando di ricondurlo a casa. A nulla servono le frasi dello stesso che sostiene di doversi spostare il giorno successivo. Breckinridge prende ogni frase del cugino alla stregua di un vaneggiamento fin quando scoprirà che colui che gli ha dato l'informazione iniziale è scappato con una tale Ann Wilkins dopo che il promesso sposto, un tale Bearfield, non si è presentato sull'altare. Resosi conto di aver mandato all'aria il matrimonio del cugino, Breckinridge scappa braccato dall'altro...

Similari sono No Cowherders Wanted e The Conquerin' Hero of the Humbolts, pubblicati nell'annata, dove il “nostro” si innamora di donzelle che in apparenza sembrano starci ma, in entrambi casi, finiranno per unirsi ad amici che Breckinridge ha involontariamente aiutato a conseguire proprio questo risultato. Nel primo caso, il “nostro” viene chiamato in paese da un amico allo scopo di versare la cauzione di dieci dollari necessaria a farlo uscire dal carcere. Il carcerato lamenta una cucina a base di fagioli avariati e preme su Breckinridge affinché questo effettui il pagamento. Il gigante però tergiversa, perché è preso dalla volontà di conquistare una ragazza del posto che sembra esser sensibile alle sue lusinghe. Così lo vediamo spendere i soldi dell'amico per comprarsi una camicia e tentare, col resto, di vincere a poker. Rimasto coinvolto in una rissa, Breckinridge scopre di aver malmenato lo zio della sua futura sposa e viene pertanto invitato dalla stessa a inseguirlo nel vicino paese per potersi scusare. Così parte come un missile, non prima di aver invitato la giovane a portare del cibo all'amico in cella. Quando il “nostro” ritornerà dal viaggio scoprirà che la sua futura moglie ha pagato la cauzione dell'amico, con un prestito ottenuto per comprarsi un vestito per far colpo su Breckinridge, ed è fuggita con lo stesso non prima di averlo sposato. Della serie: chi la fa l'aspetti.

In The Conquerin' Hero of the Humbolts, Breckinridge, su invito di un amico, smantella una banda di razziatori di bestiame e di pelli, aiutando l'inetto sceriffo a essere rieletto. Breckinridge non sa che così facendo permetterà allo sceriffo di sposare la poca convinta fidanzata. La giovane infatti si è impegnata con l'uomo solo a condizione che questo arresti la banda che semina morte e disperazione in paese, spendendo una parola, in caso contrario, proprio con Breckinridge, come al solito perdutamente innamorato e non a conoscenza di chi sia il fidanzato della giovane.

Folle ma sulla stessa linea è Sharp's Gun Serenade, uscito nel gennaio del 1937, dove Breckinridge salva dal suicidio un ragazzo che è stato abbandonato dalla fidanzata e poi organizza una spedizione per strappare a una cittadina confinante la nuova maestra incaricata di portare cultura in paese. Innamorato a prima vista, Breckinridge incarica l'aspirante suicida, fin lì legato e recalcitrante, a condurre la giovane a Bear Creek, preparandosi a respingere i pistoleri del paese confinante. Al ritorno in paese però il “nostro” troverà un biglietto ad attenderlo: l'aspirante suicida e la giovane maestra sono fuggiti, dichiarandosi amore eterno. Il racconto viene ispirato dalla visione del film tratto dal romanzo The Virginian (1902) di Owen Wister (1860-1938), uno degli scrittori reputati fondatori della narrativa western49. Howard, scherzandoci sopra in una lettera inviata all'amico Harold Preece, scrive: “Ho visto The Virginian50 non molto tempo fa e mi è abbastanza piaciuto, a differenza di Breck, il viriginiano non si è solo innamorato della maestra ma l'ha anche sposata!”

Al di là dell'ispirazione dichiarata, non può non constatarsi la similitudine con quanto successo nella vita dello stesso autore. Innamorato di Novalyne Price Ellis (1908-1999), giovane insegnante di lingua inglese giunta per farsi le ossa nella scuola locale di Cross Plains, Howard vive il dramma dell'abbandono. Aspirante scrittrice, nel 1933, la donna viene consigliata a rivolgersi allo scrittore, perché in cerca di qualcuno che le dia qualche dritta per come pubblicare. I due hanno frequenti colloqui da cui nasce una relazione sentimentale che va avanti tra alti e bassi. Proprio come il suo Breckinridge Elkins, Howard vede andar via la maestra, l'unica che forse avrebbe potuto salvarlo dall'infausto destino che cercava di esorcizzare con i suoi western, traslandosi nei panni dell'eroe di turno. Il rapporto, osteggiato anche dalla madre dell'autore, va definitivamente in archivio nel 1935, quando la ragazza parte per l'università della Louisiana51. Sposerà qualche anno dopo, ironia del caso visto che abbiamo parlato di Jason Robards, il sottotenente John Douglas Robarts. I due convoleranno a nozze nel 1942, ma se Howard non era l'uomo che faceva per lei, anche Robarts non si dimostrerà tale. I due si separeranno nel 1946. A differenza di Howard, troverà comunque la felicità contraendo un secondo e duraturo matrimonio.

Trent'anni di silenzio, intanto, distanziano l'uscita di Sharp's Gun Serenade dall'iniziativa del The Summit County Journal che dal giugno del 1967, con l'uscita di Striped Shirts and Busted Hearts (estrapolato dal romanzo A Gent from Bear Creek), al marzo del 1972 pubblica a puntate l'intera serie impreziosita dai quattro racconti concepiti per il romanzo e da allora mai più pubblicati al di fuori del volume, ristampato nel 1965 da Donald M. Grant52.

Nonostante l'importanza del personaggio e il valore di alcuni racconti, le storie non vengono tradotte in Italia dove giungono solo nell'aprile del 2021 per mezzo di una pubblicazione indipendente facente capo a Claudio Foti. Il volume, intitolato Un Gentleman di Bear Creek, si propone di presentare al pubblico la versione italiana del romanzo a episodi A Gent from Bear Creek.



BUCKNER JEOPARDY GRIMES


Personaggio nato da una costola del Breckinridge Elkins per incrementare gli incassi attraverso la vendita di nuovi personaggi a ulteriori magazine western. Howard lo concepisce per Cowboy Stories quale suo ultimo personaggio, mantenendo la narrazione in prima persona e la verve ironica che gli aveva garantito il successo della precedente serie, ma diminuendo la portata grottesca. Cerca inoltre di plasmare una struttura ciclica destinata a essere sviluppata nel prosieguo delle storie. Se Breckinridge viene ogni qualvolta inviato a recarsi in un paese vicino a quello in cui vive per compiere una missione o comunque un incarico, Buckner è un personaggio itinerante, uno zingaro che viaggia dal Texas in direzione di una meta ben precisa: la California. Le sue avventure sono incidentali, casuali, dovute al suo passaggio in paesi in cui la legge fatica a radicarsi. Assai più vicino alla figura tradizionale del pistolero, non cade vittima di raggiri né diviene oggetto di manipolazioni. Più intelligente e fascinoso del rozzo Breckinridge, ne costituisce una sorta di integrazione. Diverso nel fisico, ha una corporatura esile e un volto onesto che esprime fiducia e simpatia nell'interlocutore. Sgraziato nelle movenze, cammina con un'andatura a papera favorita dalla particolare curvatura delle gambe. Non ha un cavallo proprio, ma si muove in sella a quello del fratello.

Le sue abilità sono tutte riposte nell'uso delle due calibro 45 che porta nel cinturone. Veloce a estrarre, ma anche a leggere le situazioni, riesce sempre a mettersi al servizio del più debole senza nulla pretendere in cambio. Scapestrato nel carattere e predisposto alle risse, un po' alla Trinità di Terence Hill, paga le sue inclinazioni venendo cacciato di casa dal padre nell'episodio lancio della serie, Knife-River Prodigal (“Il Prodigo di Knife-River”), uscito postumo su Cowboy Stories curiosamente come secondo episodio della serie.

Lo scrittore Edgar Hoffmann Price, che sul personaggio costruirà l'epigono Simon Bolivar Grimes protagonista di una successiva serie western per le riviste Spicy Western Stories, Speed Western Stories e Fighting Western53, riconosce nel personaggio un tentativo di Howard di parodiare se stesso. “I suoi personaggi sono veri, parlano il linguaggio del popolo. Il dottor Howard e suo figlio spesso infarcivano la loro conversazione con battute e frasi poi riportate nei western di Robert.54

È proprio con un dialogo tra padre e figlio che si apre la serie. Il “vecchio” ordina a Buckner di raggiungere la California, ammonendolo a non fare ritorno prima di quarant'anni. Non c'è un motivo particolare che giustifichi la destinazione (“perché è il posto più lontano che venga in mente”), se non quello di togliersi dai piedi l'incomodo figlio.

Fanciullesco e inesperto, tanto da essere convinto che l'oro si trovi all'interno delle rocce, viene avvistato nel Nuovo Messico da una banda di fuorilegge mentre prende a picconate le rocce. Scambiato per un bamboccio (proprio come avverrà con Trinità), viene convinto ad aggregarsi al gruppo giusto per fungere da svago comico utile ad allietare il viaggio. Il ruolo dello scemo del villaggio si dimostra non andargli a pennello. Appena giunti nella cittadina di Smokeville, un piccolo agglomerato che ripudia la violenza ma non ha la forza per far rispettare le leggi, passa nell'arco di una giornata da vagabondo a sceriffo dei sogni. Qui la banda a cui si è aggregato è temuta e tollerata, nonostante i continui atti di bullismo e le accuse di furto che ricadono sui componenti. Indisposti dai cartelli che invitano a non usare armi e a non entrare nei saloon in sella ai cavalli, gli uomini della banda ridicolizzano lo sceriffo e, per farsi qualche risata, gli sottraggono la stella dal petto affidandola proprio a Buckner. Nominato sceriffo in modo tutt'altro che procedurale, il “nostro” sveste in panni dello zimbello e prende a comportarsi da vero uomo di stato. Mette fuori combattimento un membro della banda, reo di aver importunato una donzella, arresta il capobanda e gli sottrae 500 dollari che destina a un ex cuoco che gli ha in precedenza raccontato di aver subito il furto di una mandria di vacche per 500 dollari proprio per mano dell'uomo imprigionato da Buckner. Tutt'altro che impaurito dai manigoldi, a differenza di tutti gli altri uomini della cittadina, Buckner resta in paese anche quando il capobanda evade dalla prigione. Tutto da solo, il “nostro” sgomina l'intero gruppo criminale, uccidendo tutti i componenti e rifilando quindici coltellate al capobanda in un corpo a corpo grandguignol. Il paese esplode in un'ovazione con tanto di richiesta ufficiale per confermarlo sceriffo. Buckner però ha una missione da compiere: raggiungere la California, anche se non sa il perchè...

Nel successivo A Man-Eating Jeopard (“Il Jeopardo Mangiauomini”), uscito nel giugno del 1936 e ripubblicato sul giornale di Cross Plains il 19 giugno 1936 per celebrare la notizia della morte dell'autore, Buckner prosegue il suo viaggio verso l'ambita meta. Giunto in Arizona si trova di nuovo protagonista della liberazione di un paese flagellato dalla faida tra bande rivali. A differenza del personaggio di Clint Eastwood in Per un Pugno di Dollari, “il nostro” sceglie la banda più onesta e offre il suo contributo senza vantaggi personali. Purtroppo per lui, insieme a buona parte del gruppo, cade in un'imboscata gestita da un personaggio in combutta con la banda rivale. Bravo ad anticiparne le mosse, Buckner fa ritorno in paese in tempo per salvare il capobanda e sottrarlo dalle mani del rivale. Sparatorie e scazzottate non mancano proprio, lasciando l'elemento ironico della vicenda legato all'escamotage che funge da ago della bilancia: un disegno di un animale scarabocchiato su un foglietto. Convinto di aver disegnato un leopardo, così da suggerire la propria presenza al di fuori della baracca in cui è prigioniero chi l'ha ingaggiato, si trova a vedere esaudito il proprio intento per una via tutt'altro che programmata. Il disegno finisce infatti nelle mani del boss rivale che vedendo raffigurato un animale pensa di esser stato vittima di uno scherzo ordito dai suoi uomini per deriderlo. Accecato dalla rabbia, il bandito non riconosce la raffigurazione di un leopardo, ma di una puzzola, l'animale che anni prima gli era stato legato al collo quando era stato cacciato dal Nevada. Deciso a vendicarsi, prende a sparare sui propri uomini, perché non tollera essere accostato a quell'animale, innescando involontariamente l'irruzione di Buckner e la liberazione del prigioniero. Acclamato da eroe, Buckner rifiuta ogni progetto di collaborazione futura perché deve raggiungere la California e perché non può certo soffermarsi in un paese in cui non si apprezza l'arte (è ferito nell'orgoglio perché il suo leopardo è stato scambiato per una puzzola!?).

Qua finisce la miniserie Buckner J. Grimes, un dittico di racconti all'insegna dell'ironia, dove però non mancano il sangue, un copioso numero di morti ammazzati e addirittura scontri all'arma bianca. Ancora in corso di formazione, il personaggio esaurisce le sue avventure con una storia definita da molti tra le più riuscite dell'autore. Qualche anno dopo, per dovere di completezza, nel 1944 su Masked Rider Western, sotto la firma Patrick Ervin (pseudonimo riconducibile allo scrittore texano), esce per volere dell'agente di Howard un terzo racconto intitolato Texas John Alden. Di difficile attribuzione e con una struttura più in linea alla serie Breckinridge, si tratta di un testo che ha subito il cambio di titolo in A Ring-Tailed Tornado (“Il Tornado Furioso”) e la sostituzione del nome Grimes e in quello di Breckinridge dopo essere stato incluso in un'antologia a tiratura limitata (812 copie), The Pride of Bear Creek (1966) a cura di Donald M. Grant, comprendente sei racconti della serie Breckinridge Elkins non inclusi nel precedente romanzo a episodi A Gent from Bear Creek (1937). Da un punto di vista strutturale e contenutistico è un racconto da ascrivere alla serie Breckinridge. Il racconto infatti differisce del tutto dalle storie della saga Grimes rispondendo invece in pieno ai cliché della serie Breckinridge, a partire dal tentativo iniziale del protagonista di trovare giustificazioni necessarie a motivare le distruzioni che lo stesso si appresta a raccontare. Vi è inoltre la presenza di personaggi del ciclo del pistolero di Bear Creek, come il cavallo Capitan Kidd. Secondo alcuni critici55 Otis Kline avrebbe riscritto il racconto, cambiando il nome del personaggio protagonista da Grimes in Breckinridge. Oltre a quanto già detto, questa ricostruzione è sconfessata anche da altri aspetti. Il protagonista è infatti in ballottaggio con altri due ragazzi per conquistare il cuore di una ragazza. Certo di esser preferito ai rivali, lo vediamo minacciarli salvo poi accettare una missione che gli viene proposta da uno degli stessi. Uno dei rivali in amore, scoppiando in lacrime, gli rivela infatti di amare perdutamente un'altra ragazza, una cantante di un vicino villaggio da cui è stato espulso, ma di non poter andare a trovarla per dichiararle il proprio nome. Ecco che sarà dato incarico a Breckinridge/Grimes di recarsi nel paese da ambasciatore. Il ragazzo gli specifica di rivolgersi a un tale che potrà condurlo dalla ragazza. Il “nostro” non sa di esser stato giocato. L'uomo a cui è stato indirizzato, infatti, è il gelosissimo ragazzo della giovane, che non perderà tempo per scatenare la propria gelosia. Come spesso succede nelle storie di Breckinridge, il protagonista distrugge tutto, finisce in carcere da dove riesce a evadere e a garantire la fuga della giovane che, in tutta risposta, gli ruba la carrozza dopo avergli raccontato di non aver nulla a che fare con l'amico. Al ritorno dalla missione, Breckinridge/Grimes scoprirà la verità: la missione era un escamotage per farlo allontanare dalla città, tanto che la sua promessa sposa è fuggita con il terzo spasimante. Classico e ripetitivo racconto ascrivibile, in modo evidente, alla serie Breckinridge per il suo essere in linea a una tipologia di storie già incontrate con Cupid from Bear Creek e The Riot at Cougar Paw.


PIKE BEARFIELD e GRIZZLY ELKINS


Si tratta di due epigoni di Breckinridge Elkins a loro modo costruiti sulle gesta e la struttura del più famoso antenato, ma con toni diversi. Pike Bearfield viene ideato da Robert Ervin Howard su richiesta esplicita di John Francis Byrne (1902-1972), editore di Action Stories passato nel 1936 ad Argosy in qualità di redattore. È infatti Byrne, conscio del successo ottenuto dal ciclo Breckinridge, a chiedere a Howard di creare una serie simile per la rivista56. L'invito è particolarmente ghiotto per lo scrittore texano che, a parte una storia pubblicata nel luglio del 1929, non era mai riuscito a vendere niente all'importante settimanale, primo pulp magazine americano (fondato nel 1882) interessato a storie pulp di ogni genere, ivi compresa la fantascienza e il softcore. Dunque una prospettiva molto allettante, in vista di una lucrosa e longeva collaborazione, che viene subito colta al volo da Howard. Lo scrittore costruisce sul Breckinridge Elkins lo speculare Pike Bearfield e vende all'amico editore tre storie del personaggio, oltre altri due western non umoristici, tra cui il weird western The Dead Remember (“I Morti Ricordano”). Howard sforna così un nuovo gigante, di altezza prossima ai due metri, più intelligente di Breckinridge ma più pasticcione di Buckner J. Grimes.

I racconti escono nell'ottobre del 1936, a quattro mesi dalla morte dell'autore. A Gent From the Pecos avvia la serie il 3 ottobre del 1936, seguito da Gents on the Lynch (17 ottobre) e The Riot at Bucksnort (31 ottobre).

Altri due racconti, While Smoke Rolled e The Diablos Trail, escono anni dopo, rispettivamente nel 1956 su Double Western Action e nell'antologia Bran Mak Morn: A Play and Others stampata in tiratura limitata (400 copie) da Robert M. Price.

La caratteristica della serie è quella di essere costituita da racconti infarciti di stralci scritti in forma epistolare o di telegramma. Pur essendo intrisa di umorismo, è una serie che non gode di grande notorietà, tanto che risulta essere completamente inedita in italiano e scarsamente tradotta al di là dei confini americani.

A differenza del Pike Bearfield, il dittico Grizzly Elkins richiama solo nel nome e nella corporatura il più fortunato epigono, volgendo poi le storie su un piano più serioso. Cacciatore di bufali e dalla mole ciclopica, abile nelle scazzottate, predilige l'uso di un fucile Sharps a colpo singolo e di grosso calibro in alternativa all'inseparabile bowie. Grizzly Elkins è protagonista di due racconti, nel secondo dei quali con un ruolo più marginale, riesumati dall'oblio negli anni settanta e tradotti anche in Repubblica Ceca (nel 2009)57 e Italia. Law Shooters of Cowtown è il primo ad apparire nel 1974 sul periodico Cross Plains per essere incluso quattro anni dopo, unitamente al secondo racconto del ciclo (Gunman's Debt), nell'antologia The Last Ride insieme ad altri cinque western di Howard. La casa editrice Elara, nell'aprile del 2019 a cura di Armando Corridore e Ugo Malaguti, ha tradotto per la prima volta in italiano i due racconti, intitolandoli “Due Balordi a Cowtown” e “Il Debito del Pistolero” e inserendoli nell'antologia western Storie della Frontiera.


SONORA KID


Steve Allison, meglio noto col soprannome Sonora Kid, dallo stato di provenienza (Messico nord occidentale, ai confini con l'Arizona), è il penultimo personaggio seriale a firma Robert Ervin Howard in ambito western. La sua notorietà è assai circoscritta, pur essendo un elemento in linea con l'idea del pistolero di matrice cinematografica. Assai tardiva la sua comparsa, peraltro per un totale di storie che lo pongono al centro del ciclo più corposo dopo la saga Breckinridge. Pressoché sconosciuto per oltre cinquant'anni, compare per la prima volta nella primavera del 1965, a quasi trent'anni dalla morte dell'autore, ripescato da Glenn Lord per il Volume 1, Numero 6, del periodico The Howard Collector.

Risulterà in seguito personaggio di sette ulteriori racconti, oltre sei frammenti di storie non completate e sprovviste di titolo. A questi sono da aggiungersi quattro ulteriori racconti, appartenenti al ciclo El Borak, che vedono il pistolero di Sonora partecipare in terra straniera alle avventure dell'amico texano. Si tratta dei racconti The Land of Mystery, North of Khyber, A Power Among the Islands e The Shunned Castle curiosamente proposti per la prima volta sul mercato in Francia dalla NeO all'interno dell'antologia El Borak l'Éternel (1984) e solo tre anni dopo ristampati negli Stati Uniti dalla Cryptic Publications in un'antologia di cinque racconti58 intitolata North of Khyber (dicembre 1987), a cura Robert M. Price59. L'anima western di quest'ultimo volume è dimostrata dalla copertina. Si vedono infatti due cowboy, entrambi con due pistole in mano in versione smoking guns, con la scritta aggiuntiva The El Borak – Sonora Kid Team - Ups a non lasciare adito a dubbi circa il contenuto.

Quando il volume francese esce, inoltre, Sonora Kid è conosciuto solo per due precedenti storie: The Devil's Joker e Knife, Gun and Noose. Tutte le altre usciranno successivamente al volume della NeO.

A differenza dei precedenti cicli, i racconti di Sonora Kid sono ascrivibili al western classico. Leggermente più alto della media, è un pistolero che, da degno antenato della tradizione cinematografica che tutti noi conosciamo, vive ai limiti della legge. Furbo, abile a leggere in anteprima le situazioni e a ricorrere a ogni sorta di trucco per togliersi dagli impicci, si trova a dover fronteggiare cacciatori di bufali truffaldini e veri e propri banditi, ma anche sceriffi pronti a incastrarlo. È il classico soggetto da non sottovalutare mai, neppure quando lo si tiene sotto tiro. L'esperienza lo ha portato a tenere sotto la camicia una derringer a due colpi, ma anche a maneggiare con grande abilità i coltelli. Cresciuto in un paese di frontiera, infestato dai messicani, ha saputo cogliere gli usi locali facendone dei punti di forza.

Atletico, snello e forte, dalla pelle bruciata dal sole e dal vento, se ne va in giro sfoggiando due colt dai calci d'avorio, mentre sposta le mandrie da una cittadina all'altra senza ricorrere a treni o altri mezzi di trasporto. “Grande o piccolo, davanti a una .45 sono tutti uguali” ripete. Conosciuto per i tanti duelli che lo hanno visto vittorioso senza mai incappare in condanne penali, si mantiene grazie ai proventi a lui riconosciuti dal ruolo di capo mandria. È pertanto un commerciante di bestiame che lambisce il confine tra eroe e bandito, sospeso tra la veste di uomo di legge e il suo esatto contrario, poiché “nessun pistolero può restarsene semplicemente un cowboy.“ Estremamente corretto, agisce guidato da un'etica che non ammette deroghe neppure se contrapposto ai nemici. Uccide quando è costretto dalla necessità di difendere sé stesso o chi si trova in condizione di debolezza. La sua correttezza non ne fa però uno sprovveduto. Rapido nel leggere le situazioni, prevede le azioni dei rivali e adotta soluzioni che gli consentono di mandare a monte i piani orditi per incastrarlo. Così non tergiversa nello sparare alle luci del saloon per dileguarsi prima di cadere vittima di un agguato.

Le storie che lo riguardano sono molto brevi, talvolta fulminee, caratterizzate da un ritmo vorticoso, con intrecci che sconfinano nel giallo. Dopo due pubblicazioni estemporanee, che avevano visto uscire Knife, Bullet and Noose (“Lama, Pallottola o Capestro”) nel 1965 e The Devil's Joker (“Lo Scherzo del Diavolo”) dieci anni dopo, l'intero ciclo viene completato nel 1988 da Robert M. Price che pubblica l'antologia The Sonora Kid. Il volume raccoglie i sei racconti ancora inediti60 e sei frammenti di storie incompiute sprovviste di titolo, senza includere i due racconti già usciti. Il volume viene quasi del tutto incluso nel 1999 in una versione in lingua russa intitolata Kogot Drakona nonché riproposto integralmente nell'antologia The Early Adventures of El Borak (2010).

Nel primo episodio, Knife, Bullet and Noose, curiosamente, Sonora Kid viene assistito da un tale che si chiama Elkins e che cerca di informarlo di un piano concepito per eliminarlo per sottrargli i soldi a lui dovuti per l'attività lavorativa prestata. Sonora Kid si trova infatti al centro di una disputa con alcuni cacciatori di bisonti che gli imputano l'ingiusto assassinio di un loro amico. Dietro all'accusa vi è tuttavia una montatura, ordita dal bullo di paese, per non pagare quanto promesso al pistolero.

Il testo è semplice, ma onesto e dal grande ritmo. Howard lascia trapelare una certa impostazione conservatrice vedendo nel progresso un cancro che distrugge i vecchi e sani valori. "Le città dei mercati di bestiame si erano riempite di giocatori d'azzardo, imbroglioni, pistoleri, tutta la genia di parassiti che segue passo passo ogni boom economico... Un ingenuo cowboy trovava meno pericolo tra le insidie della pista che non fra gli intrighi della città in espansione." E sono infatti gli intrighi, dal retrogusto mafioso, a muovere la città e i burattini che la comandano dall'alto delle loro posizioni di vertice. Eloquente la posizione filosofica e sociologica dell'autore che vede nella città un luogo in cui pullula, prolifica e fa affari la feccia sociale. "Tutti i cacciatori erano a loro volta uomini di grossa statura, in gran parte coperti di pelli e con mocassini indiani.... Dal momento che la loro esistenza era primitiva, erano duri e feroci non meno degli indiani, ma molte volte più pericolosi. Ispidi, burberi, fieri, con gli occhi a lampeggiare alla luce delle lampade e le mani a oscillare davanti al manico dei grandi coltelli che portavano alla cinta." Traspare la presa di distanza dell'autore da certe categorie di soggetti, visti come tribali, privi di capacità di ragionamento e tanto bestiali da preferire il coltello (arma da corpo a corpo che offre la convinzione di dominio fisico sull'avversario e dunque una sensazione di virilità) alla più fredda pistola, un oggetto che rende la morte meno apprezzabile per il suo colpire a distanza.

Più atipico è The Devil's Joker (“Lo Scherzo del Diavolo”), apparso dieci anni dopo sul periodico Cross Plains, in cui tutto prende piede da uno scherzo che innesca una serie di errori di valutazione. Terrorizzato dai serpenti, Sonora Kid spara d'impeto all'uomo che gli ha lanciato contro un rettile. Certo di averlo ucciso e convinto di esser braccato dallo sceriffo, Sonora Kid si da alla fuga programmando un'esistenza dedita al crimine. La fama di abile pistolero e il fatto di esser ricercato dalla legge non tardano a renderlo appetibile alle bande in cerca di nuove reclute. "Erano uomini indomiti, non riconducibili sotto le leggi che governano la massa del genere umano. Vivevano in modo violento, duro, spietato, prendendosi tutto quanto volevano e quando morivano lo facevano in battaglia, con le pistole fumanti, sicuri che non avrebbero mai ottenuto, né concesso tregua." La differenza tra male e bene in questo racconto si assottiglia. Howard sembra non fare riferimento alla retta via come discrimine tra uomini di valore e manigoldi. Il buono non è colui che rispetta le leggi, ma colui che risponde a una data etica. Ecco che l'eroe è piuttosto un antieroe guidato da una sportività e una correttezza di fondo, poiché il ritrovarsi a vivere da bandito ben potrebbe essere un mero accadimento non dovuto a una libera scelta.

Raggiunto dallo sceriffo, Sonora Kid riesce a mettere fuori combattimento il rivale ma, avendolo ferito alla testa, non se la sente di giustiziarlo a sangue freddo. La decisione genera il malcontento dei banditi con cui il pistolero è in combutta. Deciso a proteggere lo sceriffo, Sonora Kid si oppone ai nemici in un confronto tarantiniano (si eliminano tutti sparandosi contro in simultanea come ne Le Iene). La scelta si rivelerà azzeccata poiché, in un finale a effetto, lo sceriffo, ripresosi dalla ferita, rivelerà al nostro di essergli andato dietro per dirgli che l'uomo a cui ha sparato non è morto; il proiettile ha colpito il tamburo della pistola che l'individuo teneva infilata nei pantaloni. Sonora Kid, pertanto, deve ritenersi libero da ogni accusa...


WEIRD WESTERN

&

SOUTHERN GOTHIC


Le capacità poliedriche di Robert Ervin Howard, così come le letture di un autore quale Ambrose Bierce (1842-1914)61, non potevano non indurre lo scrittore texano a operare dei tentativi di contaminazione tra il western e il fantastico. Vengono infatti comunemente fatti risalire ai lavori di Bierce, sul finire dell'ottocento, i primi tentativi di commistione tra il western e la cosiddetta narrativa soprannaturale, opere che avrebbero segnato la via per quel sottogenere che avrebbe poi preso il nome weird western e che avrebbe fatto la fortuna dei fumetti bonelliani, quali Tex e Zagor, e soprattutto di scrittori contemporanei del calibro di Richard Matheson (Shadow on the Sun), Stephen King (la saga formata da otto romanzi Dark Tower), Joe Lansdale (Dead in the West, Magic Wagon), Tim Curran (Skin Medecine) fino ai “nostri” Valerio Evangelisti (trilogia del pistolero Pantera, rappresentata da Metallo Urlante, Black Flag e Antracite) e Luca Barbieri (antologia Five Fingers). È in tale contesto che prendono a muoversi alcuni tra i più riusciti western/horror di Howard, dei veri e propri antesignani che faranno scuola. Il texano viene stimolato da una serie di lettere scambiate con Howard P. Lovecraft, tra l'inverno del 1930 e la primavera del 1931, dove l'entusiasmo del giovane scrittore è tale da intrattenere il collega con racconti lunghi dove gli scontri a fuoco, le faide, gli assalti indiani, le guerre per accaparrarsi i terreni, ma anche la siccità, i serpenti a sonagli e gli uomini di colore la fanno da padroni. Colpito dalla verve e dall'intensità macabra delle storie, Lovecraft non perde tempo a operare azione di convincimento sull'amico: “Prova a raccontare questi racconti macabri su carta stampata. Dovrai scrivere la storia del “Southwest”. La tua profonda conoscenza dell'argomento e la tua capacità geniale di saperlo mettere in scena sono tali che nessun altro potrebbe farlo meglio.” Howard raccoglie il suggerimento e pubblica, in vita, quattro weird western su Weird Tales e ne vende un quinto, che esce due mesi dopo la morte, ad Argosy. Un sesto racconto (Pigeons from Hell) sarà pubblicato su Weird Tales nel maggio del 1938, trovando apprezzamenti tanto importanti da indurre Stephen King a definirlo “una delle migliori storie horror del novecento che, adattata per la tv, rimane la preferita di molti che seguirono Thriller.62

Ulteriori testi usciranno nel corso degli anni in riviste periodiche riuscendo solo di rado a raggiungere le qualità dei precedenti racconti.

Il primo tentativo di Howard, seppur particolarmente intenso e cupo, non riceve immediato consenso dai redattori delle riviste dedite al fantastico e neppure dai primissimi lettori. The Horror from the Mound (“L'Orrore del Tumolo”) viene presentato nel luglio del 1931 a Strange Tales senza essere accettato. Il “nostro” però non deve attendere molto per vedere accolti i suoi sforzi. Ad agosto indirizza con successo il racconto alla rivista su cui, a partire dal luglio del 1925, aveva iniziato a costruire il suo mito. Per la pubblicazione si devono attendere ulteriori nove mesi. Allo scoccare del mese di maggio del 1932, quale suo ventiquattresimo racconto uscito sul periodico, su weird tales è il turno di The Horror from the Mound. Si tratta di un racconto che fa subito discutere gli appassionati integralisti. Snobbato e criticato per il suo voler riscrivere la figura del vampiro, acquisirà importanza al passare degli anni, al punto da esser reputato uno dei migliori esempi del genere. L'orrore vittoriano irrompe nel west senza che venga dato troppo spazio a pistoleri, saloon e sceriffi. “Le oscure leggende erano vere: le armi umane non avevano efficacia”. Howard prende le mosse dalla difficoltà cui va incontro un contadino del Texas chiamato a fare i conti con il clima avverso. L'autore, non ancora un westerner e con alle spalle due brevissimi racconti giovanili oltre il classico Drums of the Sunset, sembra a maggior agio con la componente horror. Così si limita a utilizzare il contesto ambientale della frontiera messicana per importarci un horror che cita vagamente Dracula (1897) di Bram Stoker e lo contamina con scontri muscolari e polvere da sparo. La scelta viene influenzata in modo determinante dall'uscita nel febbraio del 1931 del film diretto da Tod Browning, Dracula, con Bela Lugosi nei panni del conte. Howard rimane entusiasta dalla visione della pellicola e, memore del romanzo di Stoker, introduce il suo Don Santiago de Valdez, un nobiluomo che aveva abitato fra i monti della Castiglia fin dai tempi dei Mori nutrendosi del sangue degli uomini. Dall'opera dell'irlandese giunge l'idea del nobile vampiro, ma anche quella del suo entrare in scena nel “Nuovo Mondo” a seguito di un viaggio in una nave su cui, a poco a poco, muoiono tutti gli occupanti (ufficialmente per peste, come nel Nosferatu di Murnau). In realtà è stato Valdez a ucciderli e a gettarli a mare, così come capiterà ai componenti del manipolo di soldati spagnoli giunti in suo soccorso alla deriva nel Mar dei Caraibi. A uno a uno, minacciati da un male che non palesa la sua reale natura e che si nasconde tra loro sotto mentite spoglie, il gruppo si assottiglia falcidiato da un mostro che lascia un'unica traccia: dei piccoli fori sul collo delle vittime. Allo stesso modo di Stoker, il texano ricorre allo stratagemma metaletterario per narrare i fatti che fungono da premessa al racconto vero e proprio. Niente diari o epistole, ma una testimonianza olografa lasciata da un erede dei militari che si sono imbattuti nel vampiro nel XVI secolo.

Protagonista della storia è un agricoltore, con l'istinto del cowboy, piegato dalla stanchezza e dalle difficoltà nel vedere non ripagati gli sforzi delle proprie fatiche. Prossimo alla resa e alla prese con un terreno arido, l'uomo nota l'impegno del vicino messicano. In particolare, viene incuriosito dall'abitudine di quest'ultimo di allontanarsi ad ampie falcate ogni qualvolta si trovi a passare vicino a un tumulo indiano. Certo che il messicano vi abbia celato qualcosa di valore e non convinto dalle dichiarazioni dello stesso che invita chiunque a tenersi alla larga dal sepolcro, l'agricoltore prende a scavare sotto il tumolo, nella speranza di trovare un tesoro. L'avidità, così come il non credere ai demoni e ai fantasmi, gli costerà cara. Un vampiro sepolto dai conquistadores spagnoli nel 1545 tornerà a calcare il suolo terrestre. Howard accenna al campionario fatto di crocifissi e paletti di legno per uccidere il più tradizionale dei revenant, ma poi da vita a un racconto piuttosto atipico, non solo per il contesto scenografico. Pur ambientando la storia oltre il crepuscolo, si deduce dai fatti che hanno portato al suo imprigionamento che il vampiro howardiano non è limitato durante il giorno. Può muoversi e agire sotto il sole, inoltre non dorme in bare scoperte né vive appartato, anzi si infiltra in gruppi di uomini. Come in Stoker però c'è la possibilità di sorprendere il mostro, approfittando dello stato di catalessi in cui lo stesso cade poco dopo essersi saziato.

Il modus operandi del vampiro, elimina uno a uno i componenti del gruppo di cui fa parte (sette anni prima dell'uscita di Dieci Piccoli Indiani di Agatha Christie), non può non ricordare agli afecionados di horror cinematografici il capolavoro assoluto The Thing (“La Cosa”) di John Carpenter. Come nel film di Carpenter, l'orrore, a suo modo congelato (Howard non giustifica bene la cosa), emerge dal passato e dalle profondità della terra, dopo involontario intervento umano, seminando la morte all'interno di un gruppo in cui si è inserito. “Un lugubre orrore si era abbattuto sulla carovana solitaria, vagante nell'immensità desolata. A uno a uno gli uomini morivano, e nessuno conosceva l'uccisore. La paura e il sospetto divoravano i cuori come un cancro, e il comandante non sapeva cosa fare. Sapeva soltanto che tra loro c'era un demonio in forma umana.” Così scrive Howard, anticipando capolavori assoluti. Originale e in perfetta linea con la narrativa del texano è la lotta tra il protagonista e il vampiro. Steve Brill, l'eroe di turno, sconfigge il demone non attraverso esorcismi o brandendo croci, ma lo alla stregua di un guerriero impegnato in uno scontro su un campo di battaglia. Lo aiuterà il fuoco, accidentalmente liberato da una lampada a petrolio, col vampiro incapace di muoversi dopo aver subito, nel corso della lotta, la frattura della spina dorsale (aspetto ricorrente nei weird western dell'autore).

Dunque una sorta di riscrittura della figura del vampiro che viene accolta da molte perplessità. Un abbonato di Weird Tales invia una stizzita lettera all'editore per criticare il lavoro dello scrittore, trovando il vampiro avulso dalla tradizione letteraria accettata. “The Horror of the Mound è l'unico lavoro scadente del numero... Contiene non meno di quattro evidenti violazioni della tradizione vampiresca accettata. Howard ci informa che i vampiri possono rimanere in vita per anni, sottoterra, senza bisogno di alimentarsi e che possono essere imprigionati nelle loro tombe da una semplice roccia. Intrattengono inoltre combattimenti di wrestling con le loro vittime... I miglioramenti sono sempre all'ordine del giorno, ma il nuovo tipo di vampiro di Howard non può certo ritenersi un miglioramento!63

C'è anche chi si definisce piacevolmente sorpreso, seppur con riserve. Tra questi figura August Derleth che scrive alla redazione manifestando di apprezzare il racconto, lamentando tuttavia un epilogo poco in linea al resto della storia, per via del combattimento corpo a corpo tra il protagonista e il vampiro64. Howard si difende lasciando trapelare, in una lettera a Lovecraft, di essersi ispirato alla saga di Grettir il Forte65 e, in modo più specifico, all'episodio in cui il guerriero sconfigge un draugr (letteralmente colui che cammina dopo la morte), spezzandogli la schiena dopo furiosa lotta, subendo le maledizioni dello stesso che saranno poi la causa delle sue successive sfortune. Ecco che il non-morto di Howard non costituisce un nuovo modello, ma una combinazione tra il garbato aristocratico vampiro di Stoker e la minaccia più fisicamente imponente del folklore scandinavo.

Il solitario di Providence plaude il texano (“un pallido ossario sembra aleggiare in tutto il racconto”) sostenendo di aver provato nella lettura “un brivido di quel tipo genuino che non è spesso ottenibile con le riviste popolari.” Grandi elogi arrivano anche dallo scrittore Manly Wade Wellman (1903-1986) che, nella primavera del 1968, pubblica un'ampia recensione (An Analysis of Howard's Vampire) su The Howard Collector n.10, parlando di “capolavoro che fa rimpiangere il fatto che il sostantivo genio abbia perso così tanto significato ai giorni nostri.66

A ogni modo, quattordici mesi dopo, preceduto da sei racconti, Weird Tales propone un altro weird western: The Man on the Ground (“Uomo a Terra”), un vero e proprio omaggio ad Ambrose Bierce e ai racconti quali An Occurrence at Owl Creek Bridge (“Accadde al Ponte di Owl Creek”). Si tratta di un racconto più classico, in linea a quanto i lettori avessero già incontrato e dunque più facilmente apprezzabile. Howard lo concepisce come un western tradizionale, se non fosse per il finale fantastico che lo commuta in ghost story. Due uomini, legati da un profondo e duraturo odio, vivono l'uno per la morte dell'altro sfidandosi per ore a colpi di fucile. Entrambi protetti da una fila di massi, attendono con pazienza sotto la calura e il sole battente l'errore dell'altro. D'un tratto, uno dei due, affacciatosi troppo dalla copertura offerta dai massi finisce per esser ferito in modo lieve. L'urlo di dolore, spinge l'altro a uscire dal riparo, certo di aver il duello in pugno. Una fitta acuta al cranio però fa cadere anche quest'ultimo tra le rocce. Il confronto sembra giunto a un punto decisivo. Scoperto e sotto il tiro dell'avversario, in un disperato tentativo di reazione, l'uomo, pur se ferito, si rialza e imbraccia di nuovo il fucile, perché non può tollerare di esser spedito all'inferno dal rivale storico. Pronto a sparare, resta alcuni secondi in sospeso, stupefatto da una constatazione di cui non sa comprenderne la ragione: perché l'altro si avvicina senza preoccuparsi di lui...? Non vede che sta andando incontro a morte certa...? Il colpo di fucile echeggerà di nuovo nella valle isolata, ma non ci saranno vincitori, poiché chi ha sparato era già morto...

In una lettera ad August Derleth, Howard spiega all'amico la genesi dell'idea: “Mi sono spesso chiesto quale sarebbe stato il risultato di un duello tra Jack Hayes e John Wesley Hardin, o tra Billy the Kid e Wild Bill Hickok. Sono incline a credere che ognuno avrebbe ucciso l'altro."

Nel medesimo anno, precisamente nel dicembre del 1933, Weird Tales ospita il terzo weird western dell'autore: Old Garfield's Heart (“Il Cuore del Vecchio Garfield”). La qualità fa un discreto balzo in avanti, sia dal punto di vista dei contenuti sia sul versante tecnico e di gestione del plot. La storia resta costantemente in sospeso tra magia e western, ma anche tra presente e passato. I fatti avvengono nel 1920, ma la narrazione procede a rimbalzo guardando ad accadimenti di cinquanta anni prima per tornare al presente e da qui di nuovo al passato. Howard rievoca la propria infanzia quando, affascinato alle ombre delle piante, ascoltava i racconti narrati dal nonno. Alla stessa maniera, il protagonista ascolta in veranda un racconto del nonno risalente al 1874. La storia procede su un doppio binario col quale passato e presente vengono cuciti in modo da ideare un racconto vero e proprio a cavallo tra modernità ed epica western. Da una parte abbiamo il lungo flashback, narrato in forma di dialogo, indispensabile a presentare il personaggio del vecchio Jim Garfield, un pioniere forgiato da numerose battaglie e peripezie; dall'altra abbiamo il presente, dove il giovane protagonista si è trovato coinvolto in uno di quegli scontri tipici della narrativa howardiana contrapposto al bullo di turno.

La componente western è minimale, giusto il contesto iniziale da cui prende piede la storia fantastica. Jim Garfield, ferito a morte da una lancia Comanche durante uno scontro con gli indiani avvenuto negli anni '70, viene soccorso da un pellerossa desideroso di ricambiare l'aiuto avuto anni prima. Portato all'ombra delle piante, lontano da occhi indiscreti, Garfield vince la morte. Dopo poche ore, con una lunga cicatrice sul petto, fa ritorno sano e vegeto tra gli amici che lo avevano dato per morto. Anni dopo, l'uomo racconta di aver subito l'asportazione del cuore e la sostituzione con quello di un Dio. Per quanto inverosimile, la rivelazione si dimostrerà tutt'altro che una leggenda metropolitana. Durante una discussione, ormai negli anni venti, un colpo di fucile colpirà, per errore, la testa di Garfield. Il vecchio, poco prima, aveva detto a tutti che solo una pallottola nel cervello avrebbe potuto ucciderlo, spiegando il mistero della sua esistenza. Tutta la notte Uomo Spettro compì delle magie, richiamando la mia anima dalla terra degli spiriti. Ricordo un poco quel viaggio. Era scuro e grigio e io mi libravo in mezzo alla nebbia opaca, e udii i morti ululare e superarmi nella nebbia. Però Uomo Spettro mi riportò indietro. Prese ciò che era rimasto del mio cuore mortale e al suo posto mi mise nel petto il cuore del dio. Però quel cuore è suo, e quando non ne avrò più bisogno tornerà a riprenderselo. Mi ha mantenuto vivo e forte per la durata della vita di un uomo. L'invecchiamento non mi può toccare.” Howard accenna all'aldilà in un racconto che apre a future vite ulteriori. Lo spirito sopravvive al corpo ma, per farlo, deve liberarsi dalla carne marcescente. “Finché quel cuore batterà nel mio petto, il mio spirito sarà legato al corpo, anche se la mia testa fosse ridotta come un uovo schiacciato sotto un piede! Una cosa vivente in un corpo che marcisce!” Parole profetiche, confermate dall'epilogo innescato dal regolamento dei conti tra il giovane protagonista e il bullo con cui aveva avuto un alterco. Muore l'uomo, ma il cuore, assimilabile a una dinamo dotata di vita autonoma, prosegue finché sull'uscio riapparirà l'indiano, l'uomo spettro, giunto a riprendersi quanto di sua proprietà: il cuore del Dio adorato dai Lipan. Chi è l'Uomo spettro? Howard resta sul vago. Vivo o morto che sia non ha importanza, perché l'uomo spettro semplicemente è, mentre quel cuore... quel cuore è “il punto più vicino all'immortalità che sia possibile per il deperibile corpo umano, la materializzazione di un segreto cosmico.” Possiamo definire il racconto un omaggio a The Facts in the Case of Mr.Valdemar (1845) di Edgar Allan Poe, ma messo in scena col tipico stile grandguignol del texano che regala uno dei racconti più belli e interessanti della sua intera produzione.

Ascrivibile al medesimo genere e sempre con struttura su doppio binario è For the Love of Barbara Allen (“Per Amora di Barbara Allen”), ispirato dai racconti del nonno. Howard fa ricorso a tutto il suo romanticismo, per parlare di un amore in grado di vincere la morte. Un giovane ascolta una storia narrata del nonno che gli parla di un soldato sudista morto durante la guerra di secessione, lasciando a casa una fidanzata disperata che non ha più voluto conoscere e frequentare altri ragazzi. La forza della storia è tale che il giovane, poco dopo, colpito da un calcio di un cavallo, cade tramortito a terra rivivendo, in sogno, l'avventura narrata dal nonno. Il sogno è talmente preciso da permettergli di notare aspetti precedentemente non conosciuti che si riveleranno reali (in particolare la foto della ragazza). Il giovane capisce pertanto di essere l'incarnazione dello spirito dell'uomo deceduto, il fratello del nonno, e corre sul capezzale della donna ormai anziana e morente. In camera, riconoscerà la foto vista nel sogno e sarà certo della sua reale identità quando poserà il suo sguardo negli occhi della donna. Lo scambio di sguardi tra i due segnerà il momento d'incontro di due anime separate dal fato e, al contempo, il 'preludio alla morte dell'anziana signora.

Se i racconti sopraelencati sotto tutti usciti quando Howard era ancora in vita, il weird western più amato dai fan (seppur autocitazionista e derivativo) è probabilmente The Valley of the Lost (“La Valle Perduta”), rimasto confinato per anni tra le opere inedite, ma anticipato da racconti di altre serie come Worms of the Earth (“Vermi della Terra”) pubblicato su Weird Tales nel 1932 e appartenente al ciclo del re pitto Bran Mak Morn. Il racconto, il più sovrannaturale tra i western dell'autore, vede la luce col titolo Secret of Lost Valley, al fianco di racconti di Herbert G. Wells, Seabury Quinn, August Derleth, Oscar Cook e Victor Rousseau, nella primavera del 1967 all'interno del periodico Startling Mystery Stories. In Italia giunge appena undici anni dopo col titolo “La Valle del Verme”, grazie all'Editrice Nord e a Roberta Rambelli che lo inseriscono, unitamente ai correlati Worms of the Earth e The Black Stone (“La Pietra Nera”), in un'antologia epocale per gli appassionati dell'autore intitolata Skull Face (1978), dove, tra gli altri, vengono proposti per la prima volta al pubblico italiano anche il western A Man-Eating Jeopard (“Un Jeopardo Antropofago”), i southern gothic Black Canaan (“Canaan Nero)” e Pigeon from Hell (“I Colombi dell'Inferno”) nonché il già edito in italiano The Horror from the Mound (“L'Orrore del Tumulo”).

Colpisce fin da subito la costruzione del plot. Howard opera una netta separazione tra il genere western e l'horror. Si tratta di una soluzione di scrittura che farà scalpore negli anni novanta del secolo scorso, quando Quentin Tarantino presenterà il copione di From Dusk Till Dawn (“Dal Tramonto all'Alba”), poi diretto da Robert Rodriguez, sostenendo di voler spiazzare lo spettatore dopo averlo convinto di vedere un genere di film (nella fattispecie il noir) per poi catapularlo in un altro (l'horror). Howard dimostra per l'ennesima volta di essere uno scrittore in anticipo di mezzo secolo sulla concorrenza. Ben prima della nascita di Tarantino, inizia infatti il racconto in pieno stile western salvo poi piombare in un horror sovrannaturale di matrice fantastica. John Reynolds, il protagonista, si nasconde dietro i massi, nel cuore del deserto, tra i canyon. È fuggito dalla città in sella a un mustang, inseguito da un quintetto di manigoldi facenti parte di una famiglia rivale che lo vuole morto. Rimasto con due soli proiettili nel tamburo della pistola, ben protetto dalle rocce, spara un colpo in direzione di uno dei cinque. Colpito al cuore, l'uomo muore sul colpo scatenando la reazione scomposta dei compagni che prendono a sparare a casaccio verso i massi. I rumori spaventano il mustang di Reynolds. Imbizzarritosi, il cavallo strappa le redini e si da alla fuga. Gli zoccoli echeggiano nella vallata giungendo alle orecchie dei manigoldi, fornendo loro la certezza che il rivale si stia allontanando. Sarebbe una fuga senza speranza, al punto che i quattro organizzano in fretta e furia un piano per chiudere l'avversario poco più avanti, prendendosi anche il tempo di deporre il cadavere del compagno in una grotta occlusa da un masso, così da proteggerlo da avvoltoi e lupi e dargli in un secondo tempo degna sepoltura. Strane leggende indiane però insistono sulla zona, non a caso chiamata “la valle degli esseri perduti”. Si narra infatti di strani accadimenti verificatesi attorno alla grotta, addirittura di cadaveri che, una volta sotterrati oltre il portale d'accesso, sarebbero tornati a calcare il mondo dei vivi seminando morte e distruzione. “I superstiti avevano raccontato strampalate storie infarcite di omicidi, fratricidi, follia, vampirismo, massacri e cannibalismo.”

Reynolds, pur conoscendo la leggenda, dopo aver atteso la partenza dei rivali, sposta il masso che occlude la caverna per recuperare dal cinturone del morto i proiettili necessari per riarmare la pistola. Il corpo però è scomparso nel nulla. Incredulo, Reynolds poggia una mano sulla roccia trovandosi, d'un colpo, in un budello buio che scende nelle profondità della terra. Qui ha inizio la seconda parte del racconto, che cambia totalmente genere. “Un semplice passo lo aveva gettato dal normale mondo della realtà materiale in un regno d'incubo e follia.” L'orrore irrompe all'ennesima potenza con grande sense of wonder e uno stile tipicamente lovecraftiano. Dopo aver affrontato lo zombie del pistolero ucciso - misteriosamente ritornato in vita - che Reynolds liquida spezzandogli la schiena in un combattimento a corpo libero (“L'empio potere che aveva animato il morto, qualunque fosse, lo aveva abbandonato quando la spina dorsale, spezzandosi, aveva troncato ogni collegamento con i centri nervosi e strappato le radici dell'apparato muscolare”), il protagonista scopre una realtà occulta popolata da esseri antidiluviani di natura antropomorfa ma striscianti al suolo. Nei sotterranei infatti vive un razza aliena rettiliana, più antica dell'uomo e un tempo protagonista sotto la luce solare in metropoli gigantesche, costretta a riparare nelle profondità della terra per via degli scontri avuti con i mongoli antenati degli indiani d'America. Costretti per millenni nell'ombra, questi esseri avrebbero mutato la loro natura per adattarsi al nuovo habitat, assumendo sempre più le caratteristiche dei serpenti ma con capacità mentali superiori agli uomini. Devoti a un idolo serpentiforme e praticanti la magia nera, riescono infatti a comunicare telepaticamente col protagonista e persino a mostrargli la loro storia evolutiva. Reynolds, impotente, scopre il mistero dei cadaveri ritornanti. Attraverso uno speciale rito, questo popolo degli abissi riesce a separare lo spirito dal corpo per penetrare nei cadaveri utilizzando le membra di questi per fare scempio nella società umana. Ormai spacciato e prossimo a essere sacrificato, con una trovata geniale, Reynolds riesce a darsi alla fuga. Prende infatti l'idolo venerato dai mostri e, in cambio della libertà, promette la restituzione dello stesso a condizione di non essere aggredito fino all'uscita dalla caverna. Quanto visto però è così forte da non liberarlo dall'impulso di suicidarsi, non prima di aver fatto brillare la grotta. Semplicemente notevole. Howard combina western e horror in un racconto diviso in modo netto in due anime. L'idea centrale è ripresa da Worms of the Earth, da cui tornano le creature serpentiformi relegate negli anfratti del sottosuolo, ma anche l'escamotage (il furto di un loro idolo) attraverso il quale il protagonista tiene sotto scacco il popolo dell'abisso. Cambia solo il contesto geografico e con esso la popolazione responsabile della fuga di questi esseri un tempo simili all'uomo e ora desiderosi di vendicarsi in quanto ancora memori del loro passato67.

Un lettore di narrativa fantastica potrebbe pensare che Howard sia stato ispirato dalla popolazione “aliena” rifugiatasi da millenni sottoterra e in possesso di un potere soprannaturale che potrebbe spazzare via la razza umana presente in The Coming Race (“La Razza che Verrà”, 1871) di Edward Bulwer-Lytton (1803-1873) e che abbia contaminato il tutto con la tradizione de I Miti di Cthulhu (a proposito di grandi antichi), lasciando agli insegnamenti di Charles Darwin (1809-1882) sull'evoluzione della specie il compito di fare il resto. Alcuni studiosi68 però intravedono omaggi alla narrativa di Arthur Machen e al cosiddetto “piccolo popolo”, in particolare al racconto The Shining Pyramid (“La Piramide di Fuoco”, 1895) dove lo scrittore gallese parlava di una popolazione sotterranea che costituiva una minaccia per l'uomo. Il riferimento a Machen non è fuorviante, anzi. In The Little People (“Il Piccolo Popolo”), pubblicato per la prima volta nel 1970, Howard fa espresso riferimento al racconto The Shining Pyramid, citando il titolo nel testo. In questo racconto una giovane studentessa americana, non convinta dell'esistenza del piccolo popolo che avrebbe spinto Machen a scrivere il racconto da lei stessa letto, decide di passare la notte in un primordiale circolo di pietre. Accerchiata da una serie di “creature scimmiesche dagli occhi serpentini”, viene salvata dal tempestivo intervento del fratello. Ecco che l'influenza di Machen diviene certa, ma Howard va ben oltre la semplice citazione. Il suo interesse, infatti, affonda nel mito antropologico e nella convinzione dell'esistenza di un'antica stirpe di ceppo lappo-finnico dai tratti mongoloidi costretta dai più progrediti ariani alla fuga nei sotterranei. Una stirpe destinata alla degenerazione fisica tanto da dare origine ai miti relativi alle fate, agli gnomi e al cosiddetto piccolo popolo delle isole britanniche69.

A ogni modo, al di là delle origini del testo, The Valley of the Lost presenta delle caratteristiche peculiari che lo portano ad anticipare di decenni classici assoluti dei più grandi maestri del brivido. Impossibile non citare Pet Sematary (1983) e The Tommyknocker (1986) di Stephen King, dove saranno ripresi, nel primo caso, l'idea degli uomini (e animali) che una volta sepolti in un terreno maledetto dagli indiani ritornano dall'aldilà guidati da una forza malvagia e, nel secondo caso, la presenza di creature aliene sepolte sottoterra da millenni capaci di muovere telepaticamente gli uomini sulla terra trasformandoli in meri veicoli in loro balia. Sempre King ricorrerà all'idea dell'altare eretto in onore di un Dio serpente in Jerusalem's Lot (1981). In The Last Feast of Harlequin (“L'Ultimo Banchetto di Arlecchino”, 1989) di Thomas Ligotti si parlerà di una setta di uomini che si trasformano in esseri serpentiformi all'apice di un sabba che vede una giovane vittima sacrificale issata su un altare sotterraneo. Su tematiche similari sarà anche The Croning (“La Cerimonia”, 2012) di Laird Barron, autore rappresentante l'ultima frontiera del cosiddetto modern weird, a coronamento di un percorso che dalle origini howardiane dimostra di essere ancora vivo e vegeto nel secolo in corso. Non è poi da sottovalutare il principio in base al quale per spegnere la dinamicità di un “non-morto” occorre distruggere la fonte dei centri nervosi. Se George A. Romero, con l'indimenticabile Night of the Living Dead (“La Notte dei Morti Viventi”, 1968), introdurrà l'idea del colpo di pistola al cervello, Howard individua nella spina dorsale il centro da spezzare per spegnere l'azione di un corpo.

La spinta di commistione tra regionalismo e horror non si esaurisce qua. Il weird western assume sfumature ben più regionali con un'altra serie di racconti più maturi che sono stati ricondotti nell'alveo del southern gothic. Sottogenere tipicamente americano portato al successo dal premio nobel William Faulkner (1897-1962) e caratterizzato da un tentativo di ammodernamento del gotico europeo, da cui si riprendono gli stilemi, per effetto di elementi soprannaturali legati al folklore afroamericano legato alle terre degli stati del sud dell'America (in particolare la Louisiana e Mississippi). Entrano qua in gioco santoni, donne incantatrici e la magia dell'hoodoo70. Nei southern gothic del texano non viene poi meno la tradizione dei cowboy, sebbene il periodo storico (inizio novecento) e la presenza di elementi moderni (quali le auto) trasformino i contesti in scenografie più urbanizzate rispetto a quelle del lontano west. È ancora Weird Tales a tenere a battesimo il nuovo esperimento howardiano, nel giugno del 1936, con la pubblicazione del famoso Black Canaan (Canaan Nero). Howard lavora sul progetto per diversi anni. Propedeutico alla stesura del racconto è il breve Kelly The Conjure-Man, tradotto dalla Elara come “Kelly, Uomo della Magiae in precedenza, nel 2005, dalla CS Coop. Studi Libreria Editrice, come “Kelly lo Stregone”. Il testo, su suggerimento di Howard P. Lovecraft, viene steso nel 1933, facendo tesoro delle leggende narratagli dal nonno paterno. Il Solitario di Providence, infatti, in una delle tante missive che i due si scambiavano, lo convince a utilizzare il personaggio. Più che un racconto, però, siamo alle prese con una caratterizzazione oscura, di valenza magica, funzionale alla stesura di un eventuale e futuro elaborato, cosa che poi avverrà con Black Canaan. Il texano predispone la struttura del testo alla maniera di un articolo di folklore locale71. Kelly The Conjure Man, ovvero “Kelly l'incantatore”, è uno strano individuo vissuto nell'ultimo ventennio dell'ottocento a Holy Springs, un insediamento scozzese-irlandese di cui Howard era venuto a conoscenza a seguito dei racconti del nonno residente da quelle parti. Howard non fa altro che mettere nero su bianco la leggenda del personaggio, un gigante d'ebano con anelli di rame nelle orecchie e il potere della magia, spostandone l'ambientazione geografica in Arkansas, in un contesto boschivo circondato da fiumi e capanne di legno. Figlio di un sacerdote ju-ju del Congo, the conjure-man arriva in paese poco dopo la guerra civile americana. Non ci sono dialoghi o azioni che lo riguardano, ma semplici descrizioni. Di indole solitaria, ci viene riferito della sua abitudine iniziale di ricevere i colored per sottoporli a intrugli magici che avrebbero dovuto aiutarli a guarire dalla tubercolosi o a liberarli dai malefici. “Bruciava ossa di serpente in polvere e setacciava la polvere in un'incisione nel braccio della vittima per mezzo di una lancetta fatta con un vecchio rasoio. Non è certo che qualcuno sia mai guarito con questi metodi, anzi, c'è ragione di credere che i risultati fossero spaventosamente opposti.

Presto la fama dell'uomo muta: da liberatore di malefici, diviene un vero e proprio sacerdote occulto dispensatore di maledizioni. A poco a poco il villaggio diviene preda di un'isteria collettiva. “Erano ossessionati dall'orribile convinzione che i loro stomaci fossero pieni di serpenti vivi, creati dall'incantesimo di qualche mago, e alla menzione di questo mago senza nome, il sospetto non poteva che andare a Kelly.” Il potere del sacerdote è così destinato a sgonfiarsi. Un giorno, alla fine degli anni '70, così come era venuto, Kelly scompare nel nulla. Howard resta sul vago. Suggerisce possibili soluzioni, ma garantisce che nessuno seppe mai fornire notizie al riguardo della sua scomparsa.

Il testo viene spedito a The Texaco Star che però lo rigetta. Uscirà solo trentuno anni dopo, nel 1964, in The Howard Collector 5. Howard tuttavia non si arrende. A metà 1933 sviluppa il personaggio e lo utilizza in un racconto ambientato negli anni venti che prende il titolo di Black Canaan (“Canaan Nero). Il racconto viene rigettato da weird tales. Per trovare l'adesione della rivista, Howard lo deve revisionare e riproporre nel novembre del 1934. Il racconto però tarda a uscire. Solo nel giugno del 1936 Black Canaan vede la luce. Il risultato finale non convince il texano. "Ignora il mio prossimo Black Canaan. È iniziato come un buon racconto", scrive in una lettera ad August Derleth il 9 maggio 1936, "ambientato nella vera Canaan, che si trova tra Tulip Creek e il fiume Ouachita nell'Arkansas sud-occidentale, la patria degli Howard, ma ne ho tagliato così tanto i contenuti, in risposta alle esigenze editoriali, che nella sua forma pubblicata non assomiglierà molto alla stesura iniziale."

Nonostante la poca convinzione dell'autore, Black Canaan trova l'adesione di svariati autori, tra cui Lovecraft. Al centro del narrato c'è l'esotico orrore che arriva dall'Africa, al ritmo di tamburo, una minaccia che rischia di minare la società bianca dando il là a un clima di ribellione e sovversione degli equilibri precostituiti. Avvertito a New Orleans di un pericolo generico sul fiume Tularoosa, Kirby Buchner, figlio di un colonnello di origine irlandese, torna nel natio Canaan, una regione tra il torrente Tularoosa e il Fiume Nero, per verificare cosa sia successo. Durante il viaggio, rigorosamente in sella a un cavallo, subisce un agguato, anticipato dall'incontro con un'incantatrice di colore dai modi e dagli atteggiamenti estremamente sensuali. Abile nell'utilizzo delle pistole e nel combattimento all'arma bianca, Buchner riesce a salvarsi e a fare ingresso in città dove viene informato degli strani avvenimenti che stanno funestando la quiete del villaggio. Un tale Saul Stark si è messo in testa di uccidere tutti i bianchi del Canaan, così da diventare il re della regione. Per farlo ha soggiogato la popolazione nera attraverso il ricorso ad arti magiche di origine voodoo, con le quali è persino in grado di ridurre gli uomini in creature anfibie molto simili agli zombie. I neri, che Howard chiama col dispregiativo termine niggers (“negri”), sono tutti fuggiti dalla città e si sono rintanati nella vicina palude. Intenzionato a porre fine alla minaccia e rapito da un sortilegio ordito dalla strega precedentemente incontrata e da cui è attratto tanto da non riuscire a parlarne ad anima viva, Buchner parte alla caccia del quartier generale di Stark, nel cuore di una palude infestata di umanoidi assassini. Tra apparizioni ectoplasmatiche (denominate “proiezioni psichiche”), riti, canti propiziatori e il provvidenziale aiuto di un compagno d'avventura, riuscirà a uccidere il sacerdote e la strega, mandando in fuga gli impauriti e grezzi africani incapaci di comprendere cosa sia successo.

Black Canaan è un racconto intriso di esoterismo, impreziosito da un bel mix di grandguignol e tensione. Buchner è un personaggio in parte diverso rispetto agli altri ideati dall'autore, si pensi a esempio a Steve Harrison, di cui mutua l'abitudine a lavorare in solitaria e a lanciarsi d'impulso in braccio al pericolo senza ponderare le situazioni. Pur se coraggioso e d'azione (“Forse rischiavo la vita: ma è un rischio che un uomo deve assumersi, quando accetta la responsabilità del comando”), è un uomo caratterizzato da una particolare sensibilità esoterica. Al cospetto di una baracca di un santone voodoo, preferisce non sfondarne l'uscio per il timore che lo spirito ju-ju lo ossessioni con la follia e la morte. Accetta dunque il paranormale e addirittura ne viene rapito, ipnotizzato, al punto da non riuscire a premere un grilletto al cospetto dell'ammaliante minaccia. “Gli uomini e gli animali non sono gli unici esseri intelligenti che popolano questo pianeta. Ci sono cose invisibili, spiriti oscuri delle paludi e del fango dei fiumi: e i negri li conoscono.”

Le vaghe reminiscenze western di Black Canaan tendono a scomparire col successivo Pigeons from Hell (“I Colombi dell'Inferno”). Kirby Buchner, questa volta presentato come sceriffo, conduce le indagini utili a scriminare un forestiero testimone oculare di uno strano omicidio. Giunto in paese in compagnia di un amico a bordo di un autovettura, l'uomo si trova a correre a perdifiato nella notte inseguito da due occhi diabolici che sembrano quelli di un lupo. Salvato dall'entrata in scena di Buchner, apparso in sella a un cavallo imbizzarritosi alla vista dello sconosciuto, racconta una strana storia. Al centro della vicenda c'è una villa abbandonata, un tempo di proprietà di una facoltosa famiglia locale i cui componenti sono scomparsi nel nulla nel corso degli anni. Rifugiatisi all'interno della villa per poter passare la notte, i due forestieri sono caduti vittima di uno stato di ipnosi che ha portato uno di loro a camminare con un'accetta in mano e col cranio spaccato da un colpo in testa. Il testimone parla di un vero e proprio cadavere intenzionato ad assassinarlo. Inizialmente incredulo e convinto di essere alle prese con un assassino, Buchner comprende, ispezionando il luogo del delitto, la straordinarietà del caso. “Abbiamo a che fare con una vicenda che richiede qualcosa di ben diverso dal razionalismo dei bianchi. I neri sanno molte più cose di noi, su queste cose.”

Horror in piena regola, tra la ghost story (tema case infestate) e quello che oggi definiremmo uno slasher, ma con un equilibrato mix di grandguignol, giallo, magia e tensione. Tornano di nuovo in scena il voodoo e il suo mito o, più specificatamente, le maledizioni voodoo. Al posto dei classici zombi, abbiamo una zuvembi, un mostro frutto della trasformazione di un uomo a cui è stato somministrato un filtro fatto di “ossa di serpente macinate, sangue di vampiri, rugiada raccolta sulle ali di un falco notturno e altre cose innominabili.” Una zuvembi perde ogni caratteristica umana, dalla proprietà di linguaggio ai ricordi della vita precedente, e diviene una sorta di demone che comanda l'oscurità, ipnotizza gli uomini e guida i cadaveri finché la carne degli stessi non si raffredda. Il suo unico obiettivo è massacrare gli umani. Può essere uccisa, ma se questo non avviene vive in eterno. Di western non c'è praticamente niente, a parte le pistole di Buchner. Memorabile la parte finale del testo, con uno scantinato che offre una visione indimenticabile ai due indagatori. Il mistero della scomparsa dei proprietari della villa è risolto e, con esso, è fatta luce sullo strano omicidio di inizio racconto.

Ascrivibile al medesimo genere è The Dead Remember (“L'Abito a Scacchi”), pubblicato il 15 agosto del 1936 su Argosy. Il racconto ha una struttura sfilacciata frutto di un collage realizzato da una lettera, quattro deposizioni testimoniali e un referto del coroner. Tutto ha inizio con l'uccisione, da parte di un mandriano, di una coppia di colored. Annebbiato dai fumi dell'alcool e convinto di esser stato truffato al gioco dei dadi, l'uomo uccide a colpi di pistola i due, peraltro suoi vecchi amici, per difendersi da una loro aggressione. “Non vivrai per vantartene; ti maledico in nome del grande serpente, della palude nera e del gallo bianco. Prima che il giorno nasca nuovamente tu starai marchiando le mucche del diavolo all'inferno” sussurra prima di spirare la donna, una mulatta conosciuta per la sua abitudine di predire il futuro. Da quel giorno, la malasorte inizia a funestare il mandriano. Strani incidenti, vitelli furiosi e cavalli impazziti mettono di continuo a rischio la vita dell'uomo, tanto da indurlo a credere nella sussistenza della minaccia della mulatta. Certo di andare incontro alla morte nel giro di qualche giorno, il mandriano rivela al fratello di voler combattere fino all'ultimo. Troverà la morte in modo rocambolesco. La sua inseparabile pistola, pulita giorno per giorno con un panno a scacchi bianco e nero, gli scoppierà in mano per un errore di pulitura, inceppata da un lembo di camicia ritrovato nella canna, o, forse, esplosa per effetto del maleficio scagliato pochi minuti prima da una strana mulatta vista alle porte del saloon. A far pensare al maleficio sarà il lembo trovato dal coroner, un brandello di camicia a scacchi rosso e verde proprio come l'indumento indossato dalla strega uccisa dal mandriano.

Altri quattro racconti minori e poco noti escono tra il 1966 e il 1977 su periodici e antologie. Tra questi è doveroso menzionare il tesissimo The Shadow of the Beast (“L'Ombra della Bestia”), uscito nel 1977 e tradotto per la prima volta in italiano nel marzo del 2015 nel volume Urania Horror I Figli della Notte, in cui un colored invaghito di una donna bianca tenta di rapirla e, per farlo, spara un colpo di pistola a un uomo bianco. L'azione fallisce, ma da avvio a una caccia all'uomo che si estende all'interno delle paludi dove il manigoldo trova protezione. Qui il protagonista si imbatte in una casa abbandonata già teatro di bizzarre morti nel passato. Il colored, contravvenendo alle superstizioni e braccato dall'eroe di turno, si rifugia all'interno della magione, svegliando qualcosa che non era il caso di importunare. Entrati dentro il rudere, i due soggetti si troveranno in balia di una forza ultraterrena. Uno strano essere si muove lì dentro e la sua ombra, come in un film di Murnau, getta nello sconforto preda e cacciatore, trasformandoli entrambi in vittime designate. I proiettili non serviranno a nulla, l'unica speranza sarà gettarsi giù dalle finestre. “Si dice che un fantasma getta un'ombra al chiaro di luna anche quando di per sé non è visibile all'occhio umano, ma non è mai vissuto uomo il cui fantasma potesse proiettare un'ombra simile.” Racconto semplice, espressionista come il Nosferatu, ma senza mai mostrare il mostro. Il pericolo è abbozzato, rappresentato da un'ombra che si riflette sul terreno e sui muri ma che si distende da un corpo che non da traccia materiale di sé.

IL WESTERN DI HOWARD

IN EUROPA E IN ITALIA



I western di Howard sono stati per tutto il novecento ignorati nel nostro territorio, sebbene autorevoli critici, su tutti il sempre lungimirante Gianfranco De Turris, parlassero di essi, già nel lontano 1974, come ”letterariamente le sue opere migliori.”

In verità, si è trattato di un atteggiamento di disinteresse piuttosto comune a quanto verificato nel resto d'Europa. A parte l'Inghilterra, che ha fin da subito accolto Howard, si è dovuto aspettare quasi cinquant'anni per vedere pubblicato un racconto western del texano al di fuori dei confini nazionali. Ad anticipare tutti, si ricorda, la pubblicazione del 1937, prima ancora delle case editrici americane, del romanzo a episodi A Gent from Bear Creek, preceduto addirittura dal racconto A Man-Eating Jeopard, finito sul pulp magazine inglese Western Adventures72.

È tuttavia la Germania a vantare il primato di aver tradotto in una lingua non anglofona un western di Robert Ervin Howard, tralasciando ovviamente i weird western e i southern gothic. La Wilhelm Heyne Verlag nel 1982 acquista, per il magazine tedesco Heyne Western Magazin, i diritti per la pubblicazione di due western del texano. Esce così il numero 2.634 della rivista esclusivamente dedicato all'autore. Le centoventicinque pagine vengono interamente occupate da una storia intitolata Im Schatten der Geier. È la traduzione in tedesco di The Vulture of Whapeton, il capolavoro western di Howard. Il testo è curato da Rainer M. Schröder. La rivista omaggia ulteriormente l'autore includendolo nel numero successivo, il 2.635, al fianco di altri otto autori americani di western, tra cui il maestro del genere Louis L'Amour. Howard viene rappresentato da Showdown at Hell's Canyon, tramutato nel teutonico Abrechnung im Hell's Canyon, che diviene così il secondo racconto western di Howard tradotto in lingua estera. Nel numero viene anche riportato un estratto, di una pagina e mezza, della postfazione di Glenn Lord a The Vulture of Whapeton.

I due racconti vengono seguiti, quattro anni dopo, dalla pubblicazione di un altro volume interamente dedicato a Howard. Sempre la Wilhelm Heyne Verlag, per il numero 2.731 della rivista, presenta Schüsse am Bear Creek, riproposizione a cura di Alfred Dunkel di The Pride of Bear Creek, che raccoglieva la serie di racconti non utilizzati da Howard (semplicemente perché non li aveva ancora scritti) per il suo romanzo a episodi A Gent from Bear Creek. Nella versione tedesca, dei sette racconti originariamente inclusi nel testo da Glenn Lord, vengono tagliati A Ring-Tailed Tornado e The Conquerin' Hero of the Humbolds.

L'interesse della Germania si ferma qua. Subentrano allora, in modo poco convinto, Francia e Spagna, anche se c'è da riconoscere ai transalpini il primato di aver pubblicato per primi, in anticipo sugli americani, la serie di racconti semi-western che vedono il pistolero Sonora Kid supportare l'avventuriero texano trapiantato in Afghanistan El Borak. È infatti il 1984 quando la NeO, grazie alle traduzioni di Francois Truchaud, pubblica El Borak l'Éternel che include le quattro storie aggiuntive al ciclo Sonora Kid (personaggio all'epoca apparso in soli due racconti). Sempre in Francia, così come in Spagna, si traduce A Man-Eating Jeopard, famoso soprattutto per essere il racconto con cui il giornale di Cross Plains salutò la morte dello scrittore. Il racconto, peraltro già tradotto anche in Italia nel 1978 (primo vero e proprio western di Howard ad arrivare nella nostra penisola), viene tradotto come Rostro de Calavera (1987) e Un Putois Putride (1990) e inserito in antologie incentrare sulla narrativa onnicomprensiva di Howard. Nel volume francese viene pubblicato anche il primo racconto della serie Buckner J. Grimes, Knife-River Prodigal, che diviene Le Fils Prodigue de Knife-River.

Ancora sotto la protezione dei diritti d'autore, si interessano ad Howard una serie di paesi dell'est Europa. La polacca Wydawnictwo Andor pubblica nel 1994 l'antologia Nie Kopcie mi Grobu (“Dig Me No Grave”). All'interno sono presenti dieci racconti prevalentemente horror, tradotti da Grzegorz Prusinowski, Katarzyna Pawlak e Paweł Stasiak. Viene dato molto spazio ai weird western, rappresentato da The Dead Remember, Old Garfield's Heart, The Valley of the Lost, The Man on the Ground, ma compare all'interno anche il western classico Drums of the Sunset (Bębny w Górach Zachodzącego Słońca).

Molto attiva anche la Russia, più specificatamente la casa editrice North West. È il 1998 quando nelle librerie di Mosca arriva Брат бури (Brat buri). Si tratta di un volume diviso in tre sezioni, che fa parte di una collezione di quindici volumi (1997-99) tutti dedicati ad Howard. Nella prima parte, intitolata Brother of the Storm, vengono proposti sette racconti della serie Breckinridge, ossia quelli inseriti in The Pride of Bear Creek. Le altre due parti del libro sono dedicate a un racconto di altro genere (The Return of Skull Face) e alla corrispondenza dell'autore. Un anno dopo, sempre la North West licenzia Коготь дракона (Kogot Drakona) “Claw of the Dragon”. Si tratta del primo libro non americano che presenta l'intero ciclo Sonora Kid, con l'eccezione di The Devil's Joker e dei racconti in cui il pistolero supporta El Borak. Vengono tradotti e inseriti all'interno anche i sarcastici Knife-River Prodigal, primo racconto del ciclo Buckner J. Grimes, e The Extermination of Yellow Donory.

Nel 2009, caduti i diritti d'autore, si aggiunge all'elenco la Repubblica Ceca, patria da sempre interessata al genere western73. L'Albatros Media Plus da alle stampe Z Divokého Západu (The Wild West), antologia interamente dedicata al western howardiano. La casa editrice ceca è la prima a tradurre in lingua diversa dall'inglese il mini-ciclo Grizzly Elkins. Pavel Medek cura l'edizione e traduce i testi. Tra questi figurano The Vulture of Whapeton, The Man on the Ground, The Extermination of Yellow Donory, The Haunted Mountain (racconto del ciclo Breckinridge), Law-Shooters of Cowtown e Gunman's Debt (ossia i due racconti del ciclo Grizzly Elkins).

L'Italia, in tutto questo, sta a guardare, interessata solo agli horror e ai fantasy dell'autore. Non a caso, prima del 2014, solo i weird western e i southern gothic ricevono l'interesse delle nostre case editrici. C'è però un eccezione. Nel calderone finisce infatti, per mero caso, A Man-Eating Jeopard. Il motivo è semplice. L'Editrice Nord traduce (per mano di Roberta Rambelli) nel 1978 in italiano il volume Skull Face and Others (1946) della Arkham House dove, al suo interno, sono presenti horror, weird western e southern gothic oltre A Man-Eating Jeopard (incomprensibilmente inserito all'interno per scelta di August Derleth). Non si tratta però della prima pubblicazione italiana74. È infatti The Horror from the Mound a vantare il primato di essere il primo racconto, in qualche modo western (la componente horror è prevalente), tradotto nella nostra lingua. Sono Giampaolo Cossato e Sandro Sandrelli a tradurre il testo, su commissione della Casa Editrice La Tribuna, che lo inserisce nell'antologia Chi di Vampiro Ferisce... Il racconto, L'Orrore dalla Collina75, apre l'antologia che propone specialisti dell'horror quali Edward F. Benson, Manly W. Wellman, Montague R. James, Howard P. Lovecraft, Nathaniel Hawthorne e persino Agatha Christie. Il volume esce il 15 novembre 1972, per la collana Galassia.

Nove anni dopo viene tradotto Old Garfield's Heart che la Fanucci convoglia nel numero 10 della collana Il Meglio di Weird Tales. A curare la traduzione sono Gianni Pilo, Daniela Galdo e Maria Teresa Tenore. L'esempio viene seguito tre anni dopo dalla Garden Editoriale, per la collana Horror Story, che impingua l'antologia Horror Story 4, per lo più formata da racconti di William H. Hodgson, con The Man on the Ground, tradotto da Alda Carrer. Il volume viene anticipato di cinque mesi dall'Urania che nel Millemondiestate 1990 include For the Love of Barbara Allen (tradotto da Lydia Di Marco). Nel 1994 è la volta di The Dead Remember, pescato dalla Fanucci Editore per l'antologia Ombre dal Tempo, con Gianfranco De Turris che introduce sedici racconti del texano (nessuno western, a parte le nuove versioni di Old Garfield's Heart e di The Man on the Ground, alla loro seconda pubblicazione in italiano, tradotte da Cristian Carlone).

Il cerchio si chiude con la pubblicazione di The Secret of the Last Valley, Kelly The Conjure Man e The Shadow of the Beast rispolverati dalla Mondadori, per la collana Urania Horror, per due antologie interamente dedicate all'autore apparse nel 2015 e subito divenute oggetto per collezionisti. E il western classico? Neanche l'ombra, fino all'iniziativa della piccola casa editrice fiorentina Fratini Editore. È ormai il 2014, quando escono otto racconti inediti, tutti western puri, in un'antologia intitolata Sfida al Canyon Infernale. È un volume epocale per l'Italia. Ricordo di averlo acquistato al Pisa Bookfestival, nel novembre del 2014, quando ancora scrivevo la mia tetralogia sullo spaghetti western per le Edizioni Il Foglio di Piombino. Camminavo tra gli innumerevoli stand quando, d'improvviso, ebbi la sensazione di aver visto qualcosa che non poteva essere: un volume sul western di Robert Ervin Howard! Avevo in una busta di plastica, nascosto alla vista dei presenti, il volume Guida alla Letteratura Horror (2014) dell'Odoya, acquistato poco prima come mia abitudine a ogni edizione del festival (compro sempre il mio primo volume dall'Odoya, peraltro primo stand alla sinistra di una delle due entrate del festival), curato tra gli altri da Walter Catalano, Michele Tetro, Roberto Chiavini e Gian Filippo Pizzo. Avete presente un bimbo quando la mattina di Natale si appresta ad affacciarsi verso l'angolo in cui è collocato l'albero di Natale? Beh, quello ero io, nell'attimo in cui il bimbo vede i pacchi regalo. Prendo il libro e dico: non ci credo, un libro di Howard sul western! L'editore, o chi per lui, mi guarda e mi fa: “Me lo hanno fatto un gruppo di ragazzi un po' particolari, un po' strani per la verità, che di solito fanno horror.” Io lo guardo, pesco nella busta e faccio: “Guardi un po'...? Li conosco... li conosco, ho anche bisticciato con uno di loro che qui, a differenza degli altri tre, non vedo!” Non posso fare che una cosa: aprire il portafoglio e liberare un bel ventone (perfetto gioco di parole per acquistare uno che ha a che fare con i Tornado del Texas). Compro il libro e me lo leggo. L'anno successivo cerco di convincere l'amico, anche lui saggista per Zothique, Cesare Buttaboni a compare il volume, ma la Fratini Editore non c'è più. Sparita nel nulla, non più presente al festival. Il volume diventa introvabile e va fuori catalogo. Davvero un vero peccato, per la cura, l'importanza e il valore dell'opera. Il testo è tuttavia fondamentale a scuotere l'ambiente. La Providence Press, che debutta nel mondo editoriale proprio con una serie di volumi di Howard, pubblica nel dicembre del 2018 Buckner J. Grimes. Il Tornado del Texas. All'interno, Andrea Sottana e Gianfranco Calvitti traducono la trilogia “Buckner J. Grimes” (con due inediti in italiano su tre), mentre Giacomo Ortolani si occupa della parte saggistica. Anche questo volume finisce fuori catalogo. Acquisto per il rotto della cuffia l'ultima copia disponibile, nel gennaio del 2021, ordinandola direttamente a Calvitti che, in quarta di copertina, mi regala la dedica “A Matteo, con amicizia e... piombo rovente!!!”

Il materiale western di Howard sembra esser condannato a restare merce di nicchia per collezionisti. Ma ecco che arrivano altre due nuove pubblicazioni. La Elara, casa editrice fortemente interessata all'autore, nell'aprile del 2019 pubblica un volume notevole. Lo apre un'introduzione di Armando Corridore che, insieme ad Annarita Guarnieri e Martina Ferraina, cura le traduzioni dei testi raccolti sotto il titolo Storie della Frontiera. All'interno sono presenti lettere, quindici poemi nonché sette inediti e nove riproposizioni, tutti western. Tra gli inediti abbiamo West is West, Golden Hope Christmas, The Judgement of the Desert, The Ghost of Camp Colorado, il dittico della serie Grizzly Elkins ( Law Shooters of Cowtown e Gunman's Debt) e The Strange Case of Josiah Wilbarger. Tre racconti già usciti su Sfida al Canyon Infernale76 e sei weird western77 completano il testo. Per l'eterogeneità dell'offerta si tratta, senza ombra di dubbio, del volume da cui iniziare per avvicinarsi al western di Howard. Purtroppo il testo non è facilmente recuperabile, se non rivolgendosi direttamente all'editore78.

Nel novembre del 2020, dopo aver già pubblicato un volume dedicato al personaggio, la Providence Press, nella persona di Gianfranco Calvitti, propone un volume destinato ai collezionisti, in edizione limitata (80 copie), intitolato El Borak Volume 2 Deluxe dove è possibile leggere, per la prima volta in italiano, due delle quattro avventure che vedono Sonora Kid, in territorio estero, spalleggiare il pistolero texano. Il libro è attualmente esaurito.

Un'ultima novità viene offerta da un inatteso volume curato da Claudio Foti. A giugno 2021, proprio dopo che il sottoscritto ultimava le letture dei testi in inglese, Foti, in via indipendente, traduce per i lettori italiani il ciclo tanto nominato, anche in Italia, ma mai (clamorosamente e vergognosamente) proposto alle nostre latitudini, il western umoristico per eccellenza nella produzione del texano. Esce finalmente, tutto inedito in italiano, Un Gentleman a Bear Creek, la traduzione del romanzo a episodi A Gent From Bear Creek.

Questo è quanto. La speranza è che si completi l'intero materiale. Molti racconti persistono a restare inediti, a partire dall'intero ciclo Pike Bearfield (l'emulo di Breckinrdige Elkins che Howard scrisse su richiesta di Argosy). Mancano anche i racconti del Breckinridge non inclusi nel romanzo tradotto da Foti (circa una dozzina), quasi tutto l'adrenalinico Sonora Kid (sei racconti e sei frammenti di storia, oltre due delle quattro storie che lo vedono collaborare col pistolero texano trapiantato in Afghanistan El Borak) e un piccolo pugno di western secondari. Il grosso però, pur se con quasi ottanta anni di ritardo, è stato fatto... meglio tardi che mai, come si suol dire. Ai prossimi appuntamenti e ricordate: non date mai a nessuno più pallottole di quante gliene servono... Quella in più, potrebbe esservi fatale!

1Così Howard P. Lovecraft, Ricordo di Robert E. Howard, in H.P. Lovecraft, Teoria dell'Orrore – Tutti gli Scritti Critici, a cura di Gianfranco De Turris, Edizioni Bietti, Milano, 2011, p. 278.

2Così Gianfranco De Turris & Sebastiano Fusco, alla voce Howard, Robert Erwin, in Il Fantastico, La Fantascienza, La Favola, Volume Primo, Longanesi & C., Milano, 1974, p. 115.

Il duo di critici basa la propria conclusione nel ravvisare nei racconti dedicati a Conan e agli eroi analoghi una certa frettolosità nella stesura dei racconti, oltre un trattamento superficiale delle caratterizzazioni. I due studiosi scrivono che i protagonisti si comportano“come delinquenti giovanili e che le ambientazioni sono un caleidoscopio di anacronismi con trame che sfruttano troppo spesso la scappatoia della coincidenza fortuita.”

3Tra i quali Edgar Hoffmann Price che, in una pubblicazione dell'estate del 1961, su The Howard Collector n. 1, giudicò i western di Howard superiori a tutto ciò che l'autore avesse scritto.

4Così Michele Tetro, Weird Western, in Gian Filippo Pizzo, Guida alla Letteratura Horror, Odoya, Bologna, 2014, p. 40.

5Ibidem.

6Non va comunque sottovalutata la dedizione nello studio e la curiosità dell'autore nel suo continuo approfondire le conoscenze sulle antichità celtiche, tartare, mongole e sul mondo antico dei barbari.

7Cfr Howard P. Lovecraft, op. cit., p. 281.

8Robert Ervin Howard, con otto racconti, risulta essere il principale collaboratore della rivista, poi rinominata Magic Carpet. Si tratta di racconti di tipo storico, incentrati sullo scontro tra la cultura cristiana e quella musulmana nel periodo delle crociate, con rari innesti fantastici, ma molta azione e avventura, vagamente ispirati alle opere di Walter Scott (1771-1832) e dei contemporanei Harold Lamb (1892-1962) e Talbot Mundy (1879-1940). Tra questi racconti spicca la serie del crociato Cormac Fitzgeoffrey.

9Così in una lettera datata 13 maggio 1936 e indirizzato ad August Derleth.

10Il protagonista Natty Bumppo, meglio noto come Calza di Cuoio, è un esploratore e cacciatore di daini nordamericano, cresciuto presso gli indiani del Delaware, che, tra il 1740 e il 1804, si trova coinvolto in avventure dove intreccia la propria sorte a quella dei coloni inglesi, in contesti ambientali in cui imperversano le guerre tra francesi e inglesi per l'impossessamento del continente, ma anche quelle con gli indiani d'America.

11Conforme James K. Folsom, The American Western Novel, College and University Press, 1966, p. 50.

12Cfr Harry B. Henderson III, Version of the Past, Oxford Univeristy Press, 1974, p. 73.

13Così Edgar A. Poe in una recensione pubblicata il 20 settembre 1845 sul Broadway Journal.

14Vad. Nelson, Randy F., The Almanac of American Letters. Los Altos, California.

15Autore di circa cento dime novel, tra cui spicca la serie avente per protagonista Deadwood Dick (protagonista di trentatré romanzi), in cui personaggi dell'immaginazione incrociavano le loro sorti con personaggi della realtà. Tra questi Calamity Jane e Sitting Bull sono i due eroi del west più volte utilizzati, ma nelle storie figura anche Toro Seduto.

16Autore estremamente prolifico, spesso trincerato dietro pseudonimi, lanciato dalla Beadle & Adams su Dime Novel nr 203 col romanzo The Masked Guide, al punto da presentare per un lungo periodo una media di un romanzo al mese. Ha collaborato con la Beadle per venticinque anni. È altresì ricordato quale abile risolutore di rompicapo ed enigmi

17Scrittore di cronaca nera noto soprattutto per i suoi racconti su Wyatt Earp e John “Doc” Holliday che sosteneva essere suoi amici, al punto da aver loro regalato un modello di pistola Colt a canna lunga (la Buntline Special), secondo suo dire, appositamente fatto costruire su sua diretta indicazione.

18Vedi Ben P. Indick, The Western Fiction of Robert E. Howard, in The Dark Barbarian – The Writings of Robert E. Howard: A Critical Antology, Don Herron, 2000.

19Sottogenere cinematografico di film storici in costume, in voga in Italia a cavallo tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta, in cui venivano narrate, tra le altre, le gesta dei vari Maciste, Ercole, Sansone o Goliath non di rado alle prese con mostri, divinità e creature mitologiche.

20Sul finire del 1978 c'è un evento che potrebbe dar vita a un nuovo filone western. Il produttore Gianfranco Couyoumdjiam, reduce da erotici e “poliziotteschi”, contatta lo sceneggiatore Dardano Sacchetti e gli chiede se possa avere successo un western di impronta orrorifica. Più in particolare, il produttore fa riferimento a un albo del fumetto Tex in cui il pistolero è alle prese con una valle infestata di zombi. Couyomdjiam vorrebbe fare un western nuovo, contaminato e dai toni forti, un qualcosa che non si sia mai visto (al cinema). Purtroppo, Sacchetti lo dissuade. Riferisce che, a suo avviso, un western con gli zombi non può funzionare e che invece l'idea potrebbe esser buona in un'ambientazione caraibica. L'intuizione di Sacchetti porta, a ogni modo, alla realizzazione di Zombi 2 (1979), il film che consacrerà Lucio Fulci a grande maestro dell'horror e darà il via a un vero e proprio filone: lo zombiesco italico.

Ved. Matteo Mancini, Spagheti Western Volume 4, Edizioni Il Foglio, Piombino (Li), 2019, p. 1769

21Famoso il loro siparietto nel 1969 su Films in Review con cui Burt Kennedy, regista de La Carovana di Fuoco (1967) e di altri classici americani, spiegava al maestro John Ford cosa fossero i western italiani dicendo: “No story. No Scenes. Just Killing” ovvero “Nessuna storia. Nessuna scena. Solo morti!”.

22Cfr Michele Tetro, Robert E. Howard e Gli Eroi della Valle Oscura, Odoya, Bologna, 2018, p. 77.

23Ibidem.

24Il riferimento va a Larry (ora Lana) e Andy (ora Lilly) Wachowki e alla scena con Keanu Reeves che schiva le pallottole che gli vengono sparate contro in Matrix (1999).

25Si tratta di un periodo legato ai primi anni settanta, gli anni del malcontento per la snervante guerra in Vietnam, spesso al centro di pesanti contestazioni studentesche con accuse di massacri perpetrati a danno di civili. Gli orrori del Vietnam vengono traslati da Hollywood indietro nel tempo per investire gli indiani d'America, caricando il tutto di una valenza politica allineata alle tesi dei sostenitori delle linee sinistrorse. Gli indiani non sono più un pericolo per i coloni, ma diventano le vittime della civilizzazione dell'America. Il western revisionista, altrimenti detto anti- western, nasce partendo dal cinema europeo, per influenzare lo stesso generando corrispondenti epigoni nel vecchio continente. A essere interessato dal revisionismo non è solo il rapporto tra i bianchi e gli indiani, ma anche il ruolo di personaggi centrali dell'epopea western, riscritti sotto un'ottica critica e non filtrata dai sospetti e dalle macchie che gettano ombre su chi, fin lì, era sempre stato valutato quale una celebrità senza ombre e peccati. Ecco che autentiche leggende quali Buffalo Bill, il Generale Custer, ma anche pistoleri quali Doc Holliday e Wyatt Earp vengono caratterizzati sotto altra ottica. Il regista Robert Altman, nel film Buffalo Bill and The Indians , or Sitting Bull's History Lesson (“Buffalo Bill e Gli Indiani”, 1976), presenta un Buffalo Bill, interpretato da Paul Newman, assai diverso dai cliché proposti in precedenza sia dai film degli Stati Uniti che da quelli europei. Ubriaco, tronfio, privo di contenuti, l'esatto contrario di Toro Seduto che, con poche gesta e parole, riesce a stupire tutti. Si assiste dunque a un ribaltamento dello spessore umano. Il supposto eroe è un idiota e l'uomo dalla cultura primitiva è il vero eroe.

26Altrimenti detto “il canto della morte”, è un tradizionale canto funebre messicano ben conosciuto da R.E. Howard. I messicani lo suonarono per i texani quando li assediarono ad Alamo. Ispirandosi a questi canti, Howard Hawks e il compositore Dimitri Tiomkin utilizzarono una colonna sonora che richiamava il deguello per il loro Rio Bravo (“Un Dollaro d'Onore”, 1959), capolavoro assoluto della filmografia western hollywoodiana, con John Wayne e Dean Martin nei panni degli eroi.

Un canto su cui si fissò anche Sergio Leone, al punto da avere qualche scontro con Ennio Morricone quando si giunse a dover discutere della colonna sonora di Per un Pugno di Dollari (1964), col regista intenzionato a inserire il deguello e il compositore orientato a creare un sound più originale.

27Conforme L. Ortino, W. Catalano, G.F. Pizzo e R. Chiavini, Lama, Pallottola o Cappio: Il Western nella narrativa, nel Cinema e nell'Opera di R.E. Howard, in Robert E. Howard, Sfida al Canyon Infernale, Fratini Editore, Firenze, 2014, p.17.

28Così Ben P. Indick, op.cit.

29Si tratta probabilmente del primo personaggio in assoluto ideato da Howard, addirittura concepito all'età di dieci anni, ma apparso sulla scena editoriale solo nel dicembre del 1934, su Top-Notch, quale protagonista del racconto The Daughter of Erlik Khan. È un pistolero globe trotter texano originario di El Paso emigrato in Afghanistan, dove è protagonista di una serie di avventure che solo di rado sono contaminate da elementi fantasy. Abile nell'estrazione della pistola è per questo soprannominato “il fulmine” (appunto El Borak nella lingua locale), un personaggio astuto non di grossa mole eppure potente.

Solo cinque su diciassette storie (oltre due frammenti) del ciclo sono state pubblicate quando Howard era ancora in vita, le restanti sono apparse tra il 1974 e il 1984. In Italia sono state tradotte solo di recente, grazie al volume El Borak, Avventuriero del Deserto edito nell'ottobre del 2018 dalla Elara Edizioni. Anche la Providence Press, nel medesimo periodo, ha dato alle stampe due volumi a tiratura limitata. Da notare il fatto che il personaggio viene, in più di una storia, a intrecciare le proprie sorti con quelle di Sonora Kid, altro pistolero howardiano titolare di un proprio ciclo.

30Su alcuni fonti, tra le quali http://www.howardworks.com/subject.htm#elkins, viene ricondotta alla serie il racconto While Smoke Rolled, originariamente apparso nel dicembre del 1956 su Double Action Western come inserito nella serie Pike Bearfield e solo successivamente ripubblicato in sette puntate, tra l'ottobre e il novembre del 1967, su The Summit County Journal come racconto con protagonista Breckinridge Elkins.

31Il riferimento va al racconto Ring-Tailed Tornado non a caso inserito, col titolo Texas John Alden, nell'antologia The Breckinridge Elkins Stories: 19 Western Short Stories edita nel 2012 da Jame-Books.

32Vedi Ben P. Indick, Op.cit.

33Enorme tagliaboschi canadese al centro di numerosi racconti, le cui imprese ruotano intorno alle storie delle sue fatiche sovrumane. Il personaggio è stato esaltato dallo scrittore William B. Laughead (1882-1958).

34Eroe popolare afroamericano dotato di eccezionale potenza, solitamente ricondotto nel ruolo di steel driver, ovvero coloro che praticavano grazie all'utilizzo di pesanti martelli dei fori nella roccia al fine di predisporre le cariche esplosive necessarie ad aprire le gallerie per il passaggio della rete ferroviaria.

35Cfr Edgar Hoffmann Price, Ricordo di R.E. Howard, in Robert E. Howard, Skull Face, Editrice Nord, 1978, p. XVIII.

36Howard lo caratterizza guardando a Widow-Maker (conosciuto anche come Lightning), il cavallo di Pecos Bill, così chiamato perché nessun uomo poteva cavalcarlo senza poi dover morire (da qui il nome di “fabbricante di vedove”).

37Si tratta dei racconti Mountain Man; Guns of the Mountain; The Scalp Hunter;War on Bear Creek; The Haunted Mountain; The Feud Buster; Cupid from Bear Creek; The Road to Bear Cree; e A Gent from Bear Creek.

38Striped Shirts and Busted Hearts; Meet Cap'n Kidd; Educate or Bust (sarà poi pubblicato nel gennaio del 1937 su Action Stories col titolo Sharp's Gun Serenade); e When Bear Creek Came to Chawed Ear. I racconti, a parte il citato pubblicato su Action Stories, verranno per la prima volta pubblicati, trent'anni dopo, in via autonoma e a puntate su The Summit County Journal.

39Vedi Ben P. Indick, op.cit.

40Per l'edizione americana bisogna attendere il 1965 col volume a cura di Donald M. Grant, che propone un puma stordito in versione fumetto in copertina. In Italia giungerà solo nel 2021 con un'edizione indipendente curata da Claudio Foti.

41Contemporaneo e amico di Mark Twain, è ricordato quale uno tra i più eccezionali testimoni della vita della frontiera. Celebre il suo stile dissacrante e provocatorio per le convenzioni dell'epoca. Molto apprezzato nei primi due decenni del novecento, tanto da beneficiare del forte interesse di Hoollywood che ha traslato sul grande schermo del cinema molte delle sue opere salvo poi dimenticarsene. Dai suoi racconti, tra i tanti western, tra cui I Proscritti di Poker Flat (1919) di John Ford, è stato tratto lo spaghetti western diretto da Lucio Fulci I Quattro dell'Apocalisse (1975). Per chi volesse approfondire la narrativa dell'autore è da recuperare Storie del West, antologia comprensiva di sei racconti western, edita nel 2006 da Mattioli Editore.

42Così su http://www.howardworks.com/gentj.htm.

43Numero indicato da https://reh.world/howardworks/hardcovers/a-gent-from-bear-creek-3/.

44Cfr https://web.archive.org/web/20150722031654/http://www.conan.com/invboard/?showtopic=4032

45Si ricorda il ritornello della colonna sonora del film con Bud Spencer Lo Chiamavano Bulldozer, titolo a sua volta costruito sul precedente Lo Chiamavano Trinità, giusto per rinnovare il collegamento tra Bud Spencer e Terence Hill, in cui gli Oliver Onions (all'anagrafe fratelli De Angelis) cantano: You can see a mountain here comes Bulldozer!

46Rivista pulp americana operativa dal settembre del 1921 all'autunno del 1950 non esclusivamente interessata al western, genere comunque di predilezione unitamente all'adventure oltre, in minor parte, al genere sportivo, al bellico e all'esotico. Tra gli autori pubblicati si ricordano Walt Coburn, Horace McCoy, Theodore Roscoe, Greye La Spina, Anthony Melville Rud, Thomas Thursday e Les Savage Jr.

47Ne usciranno una nel 1944 su Masked River Western anche se successivamente presentata quale ascrivibile al personaggio Buckner J. Grimes, due ulteriori nel 1967, una nel 1968 e una nel 1971 tutte su The Summit County Journal.

48Terzo racconto della serie, uscito su Action Stories nell'agosto del 1934.

49The Virginian è considerato il primo romanzo sui cowboy. Il suo successo immediato portò alla produzione di quattordici ristampe in otto mesi.

50Il riferimento va al film muto diretto nel 1914 da Cecil B. DeMille.

51Rimasta comunque legata al ricordo dello scrittore, Novalyne Price Ellis scriverà il volume One Who Walked Alone. Robert E. Howard: The Final Years (Great Publishing, 1986). Il volume, un libro di memorie, sarà utilizzato come base per la realizzazione del film The Whole Wide World (“Il Mondo Intero”), diretto nel 1997 da Dan Ireland con Vincent D'Onofrio, il “Palla di Lardo” di Full Metal Jacket, perfettamente calato nei panni del texano.

52Qua potete leggere l'elenco delle uscite: http://www.howardworks.com/periodlst.htm#summit.

53Lo scrittore nell'estate del 1961 su The Howard Collector n.1, a riguardo, scriverà: “La mia serie di western umoristici ha una vitalità insolita: in sette anni ho venduto ventiquattro storie di fila senza un rifiuto.”

54Ibidem.

55Si veda Giacomo Ortolani, in La voce di Robert E. Howard: Le omeriche goffaggini e la mano pesante di Buckner J. Grimes, contenuto in Buckner J. Grimes Il Tornado del Texas, Providence Press, Bologna, 2018, p. 91.

56Vedi Ben P. Indick, op.cit.

57L'Albatros Media Plus di Ondřej Müller, Alexandra Horová e Arnoštka Svobodová, grazie alle traduzioni di Pavel Medek, ha realizzato nel 2009 l'antologia Z Divokého Západu (“Il Selvggio West”) - con in copertina un grizzly urlante in direzione dei lettori in piedi su un crostone roccioso sospeso nel vuoto – composta da nove racconti e una poesia western di Robert E. Howard. I racconti contenuti sono: The Extermination of Yellow Donory; The Man on the Ground; The Judgement of the Desert; The Haunted Mountain; Law-Shooters of Cowtown; Vulture's Sanctuary; Gunman's Debt; Black Wind Blowing; Vultures of Wahpeton.

58Il quinto racconto è El Borak.

59Gianfranco Calvitti tradurrà due di questi quattro racconti, The Shunned Castle (“Il Castello Evitato”) e A Power Among the Islands (“Una Potenza tra le Isole”), per un'edizione limitata (80 copie) edita dalla Providence Press e intitolata El Borak Volume 2 – La Maledizione a tre Lame, Il Falco delle Colline & Altre Storie (novembre, 2020).

60Brotherly Advice; Desert Rendezvous; The West Tower; Red Curls and Bobbed Hair; The Sonora Kid Cowhand; e The Sonora Kid's Winning Hand.

61Per un'analisi dell'autore si rinvia a Pietro Guarriello, Il Cinico dell'Orrore, in Zothique 2, Dagon Press, 2019, dove si legge: “In tutta la produzione di Bierce emerge un amore particolare per il genere fantastico, attraverso cui lo scrittore racconta in maniera singolare la metà oscura del Far West, che nei suoi racconti diventa una sorta di territorio sconosciuto, quasi ai confini della realtà, capace di attrarre ma anche di spaventare i pionieri... Una prateria popolata da misteriose forze aliene, da fantasmi, licantropi, morti viventi, donne pantera, automi impazziti.”

62Così Stephen King in Danse Macabre, Sperling & Kupfer, 1992.

63Cfr Jeffrey Shanks & Mark Finn, Vaqueros and Vampires in the Pulps: Robert E. Howard and the Dawn of the Undead West, in Cynthia J. Miller & A. Bowdoin Van Riper, Undead in the West II: The Just Keep Coming, The Scarecrow Press. Inc, Toronto, 2013, p.9.

64Ibidem, p.10.

65Saga islandese di autore ignoto, scritta tra il XIII e il XIV secolo, tratta dalla vita del guerriero Grettir Ásmundarson nel IX e X secolo. Si tratta di una saga narrata in modo realistico ma contenente elementi sovrannaturali. Il protagonista è un anti-eroe, divenuto fuorilegge.

66Per la versione italiana dell'articolo si rinvia a Un'Analisi del Vampiro Howardiano di Wade Wellmann, in Zothique 7, Dagon Press, Pineto (Te), 2021, p. 33-39.

67Nel racconto Worms of the Earth sono stati i pitti a costringere alla fuga una razza un tempo umana destinata a millenni di confinamento nel sottosuolo fino alla degenerazione corporea e a una regressione di natura bestiale. Bran Mak Morn non si troverà per caso a penetrare nel loro mondo sotterraneo, ma cercherà un contatto per poter utilizzare la loro brama di sangue per annientare i romani condotti da Tito Silla.

68Tra questi Cfr Jeffrey Shanks & Mark Finn, op.cit., p. 11.

69Cfr Michele Tetro, Robert E. Howard e Gli Eroi della Valle Oscura, op. cit, p. 242.

70Da non confondere con il voodoo per il suo presentare elementi sincretici che tendono a unire in un'unica forma di magia popolare insegnamenti legati alla cultura africana, europea e nativa americana. L'hoodoo non è una religione ma un sistema magico sprovvisto di una sua teologia (presente invece nel voodoo). Particolarmente noti sono i vari grimori riconosciuti dai praticanti di hoodoo quali il Sixth and Seventh Books of Moses e il libro degli incantesimi Pow Wows or Long Lost Friend.

71Segue il medesimo schema il nostalgico The Ghost of Camp Colorado, incentrato sui residui di un'epoca, quella western, consumata dagli anni ed evaporata nella forma del ricordo.

72Uscito nell'agosto del 1936 con all'interno diversi racconti anonimi, oltre dei western di Charles Roy Cox, G.M. Bowman, Ken Martin e del creatore di Zorro Johnston McCulley (1883-1958)

73Per il rapporto tra il western e la repubblica ceca si veda Jan Svabenicky, Il Western in Cecoslovacchia e nell'Europa dell'Est, in Matteo Mancini, Spaghetti Western Volume 3, 2016, Edizioni Il Foglio, Piombino, p. 679-724.

74Qui sono tradotti, per la prima volta in italiano, Black Canaan, The Valley of the Worm e Pigeons from Hell.

75 Sarà pubblicato di nuovo in altre due versioni, quella di Roberta Rambelli (titolo “L'Orrore del Tumulo” inserito in Skull-Face. Editrice Nord, 1978) e quella di Gianni Pilo (Storie dell'Orrore, 1999, sempre col titolo “L'Orrore del Tumulo”) per il Mammut della Newton & Compton.

76Si tratta di Drums of the Sunset, Vulture's Sanctuary e The Vultures of Whapeton.

77Si tratta di Kelly The Conjure-Man, Black Canaan, The Man on the Ground, Old Garfield's Heart, The Dead Remember e For the Love of Barbara Allen.

78http://www.elaralibri.it/cat/fan/fan-018.htm

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