ROBERT
ERVIN HOWARD:
IL
PIONIERE
DEL
WEIRD WESTERN
di
Matteo Mancini
Il
nome Robert Ervin Howard porta a pensare a una specifica tipologia di
narrativa, tutta giocata sul ritmo e l'azione, senza troppi fronzoli
autoriali o esigenze intellettuali da trasmettere a un pubblico a
caccia di conoscenze. Guerrieri muscolari, epoche perdute, sangue a
ettolitri e rumore di spade che intrecciano la loro ferraglia in
echeggianti suoni, tra grida e imprecazioni, sono i leit
motiv di
una narrativa popolare che mischia l'epica nordica o l'esoticità
orientale alla magia soprannaturale della narrativa del terrore.
Impossibile non pensare a personaggi quali Conan il Cimmero
(protagonista in un mondo di 15.000 anni fa) o Kull di Valusia (in
azione nell'Atlantide pre-cataclisma nel 20.000 a.c.), veri e propri
precursori di un sottogenere fantasy che sarà chiamato sword
and sorcery (spada
e sortilegio), o allo spadaccino puritano Solomon Kane, cavaliere
solitario globe
trotter
del XVI secolo al servizio divino contro le manifestazioni del
diavolo, senza dimenticare il forte apporto all'horror soprannaturale
dovuto alla lunghissima collaborazione col periodico Weird
Tales e
al suo contributo al cosiddetto ciclo di Cthulhu ideato dall'amico
Howard P. Lovecraft (1890-1937).
Quest'ultimo ha lasciato scritto che “i
racconti di Howard sono tutti contrassegnati dall'affinamento di
quell'abilità e di quel piacere nel descrivere conflitti sanguinari
che sono divenuti caratteristici del suo lavoro.”
Eppure,
i debutti e l'animo di fondo dell'autore, originario del Texas, sono
legati a un altro genere, se vogliamo molto diverso e tipicamente
americano, da cui il piccolo Howard ha preso le mosse per crescere
altrove e ritornarvi in modo esclusivo a fine carriera. Esordi tali
da
convincere studiosi ed esperti, del calibro di Gianfranco De Turris e
Sebastiano Fusco, a scrivere (a metà anni settanta) che le storie
western dell'autore “sono
letterariamente le sue opere migliori.”
Un'opinione,
questa, da cui noi ci dissociamo e che viene espressa in un periodo
in cui in Italia e in buona parte anche in America molti western
dell'autore sono ancora inediti (si pensi al ciclo Sonora Kid o
Grizzly Elkins). De Turris e Fusco, non sappiamo quanto in modo
diretto o, più verosimilmente, basando le loro considerazione in
virtù di scritti di colleghi d'oltreoceano,
fanno espresso riferimento alle antologie A
Gent from Bear Creek e
Pride
of Bear Creek,
rispettivamente uscite in Inghilterra nel 1937 e negli Stati Uniti
nel 1966, che insieme completano quasi del tutto il ciclo
Breckinridge Elkins.
In
modo più calzante, Michele
Tetro ha scritto che “ogni
racconto di Howard, sia poliziesco, d'avventura, fantasy o horror, è
in ultima analisi un western, giocato con gli stilemi del western e
affidato a personaggi tipicamente western.”
Lo
studioso italiano, per meglio far capire, cita due racconti legati al
ciclo Conan e al ciclo Solomon Kane riconducendoli, per il registro
adottato, al western. “È
in nuce un weird western il racconto di Conan Beyond the Black River,
con gli aquiloniani-coloni in fuga dai Pitti-indiani nelle grandi
foreste in cui agisce la magia nera degli sciamani selvaggi; quello
di Solomon Kane Wings in the Night, con la vendetta del puritano
inglese, cavaliere solitario contro i vampiri alati sterminatori di
una tribù a lui amica.”
Si
potrebbe allora azzardare che la carriera dello scrittore texano sia
tutta una preparazione in vista del definitivo e atteso approdo al
genere d'elezione,
dopo un percorso di rifinitura e avvicinamento passato dalle più
disparate tappe, così da affrontare il genere da ogni angolazione,
dal comico all'horror passando per il classico e il muscolare. Non a
caso Lovecraft, pensando ai pistoleri del west solitamente
raffigurati con due pistole nel cinturone, aveva ribattezzato il
collega Two-Gun
Bob (“Bob
Due Pistole”).
Un
simpatico soprannome ben indicativo della matrice westerner
del
giovane scrittore. Howard dimostra di possedere un'invidiabile
conoscenza della storia texana e, più in generale, del west e dei
suoi personaggi. Del resto, lui stesso è un cowboy, ha conoscenza
diretta di ciò che scrive e ciò lo porta a trasferire nei racconti
un qualcosa di sé che rende maggiormente vivo il testo. Un marchio
di fabbrica che ai tempi odierni sembra un po' essersi affievolito,
soverchiato dalla produzione fantastica ben più nota e apprezzata.
In pochi, specialmente in Italia, accosterebbero in prima battuta
Howard al western, mentre subito salterebbero in mente le imprese di
quel Conan il Barbaro esaltato da Hollywood con la mai sbiadita
fisicità di Mister Universo Arnold Schwarzenegger (1947).
La
produzione western dell'autore, nella nostra penisola, è tuttora
semisconosciuta, solo parzialmente sdoganata negli ultimi dieci anni,
grazie alla pubblicazione di una serie di antologie di estrema
nicchia (a cura di Fratini Editore, Providence Press, Elara e
pubblicazioni indipendenti), spesso finite fuori catalogo o esaurite,
innescate da Sfida
al Canyon Grande
(2014) della Fratini Editore. Non deve sorprendere questo
disinteresse nostrano, pur essendo l'Italia la patria del western
europeo (si pensi al cinema western italiano) di cui Howard è stato
un vero e proprio maestro antesignano. Gli scrittori western in
Italia non godono di un grande stuolo di fan, sono spesso poco
tradotti, inoltre il ritardo di diffusione dell'opera di Howard è
stata altresì addebitabile al fatto che l'autore si sia interessato
al genere solo negli ultimi anni di vita, tanto che la maggior parte
dei suoi contributi sono usciti postumi o a pochi mesi dalla
dipartita. Fondamentale per questa nuova rotta sembra esser stato
l'incontro con lo scrittore Otis Adelbert Kline (1891-1946) che, a
partire dalla primavera del 1933, diventa l'agente letterario di
Howard mantenendo il ruolo, per volere del padre, anche dopo la morte
dello scrittore. È soprattutto Kline, al cospetto di un Howard
sempre più bisognoso di soldi per sostenere le cure della madre
malata, a convincere il texano a dedicarsi al western e al giallo
(non particolarmente amato dall'autore), generi all'epoca richiesti
dai lettori sempre più desiderosi di esorcizzare il periodo di
recessione economica e di guardare a ciò che gli americani erano
riusciti a fare partendo dal nulla. Howard è infatti uno scrittore
di professione, una figura non molto diversa, per approccio
lavorativo, ai registi italiani di genere degli anni settanta che
dicevano di girare film (talvolta neppure graditi ai loro gusti) per
ragioni alimentari. Poliedrico e capace di adattarsi a ogni filone, è
un autore che insegue i compensi e che scrive per vivere (e non vive
per scrivere). Era solito rivelare ai corrispondenti di aver scelto
la professione di scrittore per essere libero e non sottostare a
orari o datori di lavoro che gli impartissero ordini. Lovecraft, che
pure sottolinea la matrice commerciale della produzione del texano,
ci tiene a sottolineare quanto “Howard
fosse più grande di qualunque politica del profitto perché, anche
quando faceva vistose concessioni a direttori guidati esclusivamente
dal Dio-denaro, la sua innata forza e sincerità venivano sempre a
galla, lasciando l'impronta della sua personalità su qualunque cosa
scrivesse.”
Ecco
che la scelta di dedicarsi a un genere in voga, oltre a garantire
l'immediata entrata in circolazione di una serie di racconti, offre
all'autore la possibilità di ampliare il giro dei periodici a cui
piazzare storie e dunque di aumentare le occasioni d'incasso. Weird
Tales,
principale fonte di redditi di Howard, si rivela nel periodo
instabile e in ritardo nei pagamenti, mentre Fight
Stories e
Oriental
Stories,
altri periodici frequentati con una certa regolarità dall'autore,
vengono
travolte dalla crisi generata dalla recessione che le porta presto a
chiusura. È tempo di guardare altrove e di cambiare strategie.
Howard, che prima del 1933 aveva scritto solo quattro western, due
dei quali scolareschi e uno in realtà horror (The
Horror from the Mound), si
getta anima e corpo nel genere creando, in circa tre anni, cinque
cicli in prevalenza comico/grotteschi (quarantuno racconti, oltre sei
frammenti di storie ancora da sviluppare), un sesto ciclo avventuroso
ambientato in Afghanistan con protagonista un pistolero texano (El
Borak) emigrato in Medio Oriente (sedici racconti più un frammento),
una decina di racconti western tradizionali, in aggiunta a una serie
di innovativi tentativi di contaminazione tra western e horror
soprannaturale che daranno il via, a seconda dei contesti ambientali,
a nuovi sottogeneri, da una parte il weird
western
e dall'altra il Southern
Gothic. Dunque
un tardivo e variegato impegno, non per questo poco convinto e
diradato nell'intensità dello sforzo. Tutt'altro. Howard viene
assorbito dal lavoro, sempre più rapito dal genere su cui
inizialmente non aveva deciso di scommettere. Già nel 1934 scrive:
“Trovo
sempre più difficile scrivere qualcosa di diverso dai racconti
western.” Complice
il clamoroso successo della serie comico-grottesca legata al
personaggio Breckinridge Elkins, Howard prende a vendere con maggiore
facilità racconti che hanno per protagonisti pistoleri e banditi
texani, al punto da ideare emuli e a fare di questi la materia prima
delle sue invenzioni. Grazie ai western e ai suoi personaggi, si
aprono le porte di riviste quali Action
Stories, Top-Notch, Cowboy Stories, Western Aces, Star Western
e persino la tanto bramata e rincorsa Argosy,
oltre ovviamente alla costante Weird
Tales.
“Se
mai farò qualcosa di valore in grado di sopravvivere nel tempo sarà
qualcosa di legato alla narrativa ambientata nel primo west, per
questo sto seriamente valutando di concentrare ogni mio sforzo sulla
narrativa western, abbandonando ogni altro genere narrativo”
prende
a ripetere agli amici.
Il
momento per il gran salto è a un passo, ma avviene la prematura
morte che stronca una carriera ancora in divenire. Muore l'autore ma
non si ferma la dimostrazione della sua verve creativa. Il flusso dei
racconti inediti è continuo e persiste a sgorgare perle per circa
cinquant'anni, a dimostrazione dell'eccezionale prolificità
dell'autore e del suo inesauribile bagaglio produttivo.
LA
NARRATIVA WESTERN
ALL'EPOCA
DI HOWARD
Robert
Ervin Howard vive l'ultima epoca del west americano. Può assaporare
le leggende del lontano ovest, grazie ai racconti del nonno e di chi
abbia conosciuto personaggi tramutati in leggenda da cronache e
passaparola. Non si limita quindi a leggere resoconti o ricostruzioni
stampate nei libri, ma può visitare i luoghi, assaporare l'aria e il
mondo in cui, venti anni prima, il mito del west pulsava ancora per
le polverose strade di cittadine in costruzione.
Convenzionalmente
si è portati a individuare in James Fenimore Cooper (1789-1851) lo
scrittore che ha iniziato a seminare i semi da cui sarebbe poi nata
la narrativa western, con romanzi quali The
Pioneers (“I
Pionieri”, 1823), primo della serie di cinque romanzi del ciclo
Calza
di Cuoio
comprendenti anche il famoso The
Last of the Mohicans (“L'Ultimo
dei Mohicani”, 1826) e The
Prairie: A Tale
(“La Prateria”, 1827). È con queste storie che si inizia a
contrapporre il diritto di coltivare dei coloni al diritto di
cacciare degli indiani in una dimensione che rende le due condotte
incompatibili, in una lotta che potrà esser risolta solo dal più
forte, costringendo il più debole a riparare verso le Montagne
Rocciose.
Cooper però parla ancora di storie di pionieri, ambientate nel
settecento, che raccontano le difficoltà di uomini venuti
dall'Europa, colmi di speranze, chiamati a confrontarsi con territori
sconosciuti, spesso boscosi e ricolmi di indiani e trapper poco
raccomandabili. Entra così in gioco “la frontiera”, il lontano
ovest, ma siamo solo agli inizi. Sebbene non si possa parlare di
western,
prende
piede una tipologia di letteratura originale, non più legata alla
tradizione europea, che segnerà le coordinate e i punti fermi per i
successivi scrittori. La spinta verso l'ovest della civiltà da avvio
con Cooper “alla
caduta della natura selvaggia americana e della cultura dei
pellerossa, che iniziano a perdere la loro libertà.”
Se
Cooper si è interessato soprattutto al nord-est, con uguale
popolarità, tra il 1835 e il 1860, lo schiavista e secessionista
William Gilmore Simms (1806-1870), scrittore che Edgar Allan Poe non
tarda a definire “il
migliore romanziere che l'America abbia mai partorito”,
sposta l'attenzione sul sud, rendendo ancora più evidenti i
conflitti di una società in via di sviluppo alle prese con un
ambiente ostile caratterizzato da scontri con indiani, soldati di un
esercito invasore e difficoltà naturali. Ecco che fanno la loro
comparsa le lotte per la sopravvivenza al cospetto di baratri e fiumi
tempestosi o di indiani armati di tomahawk e coltelli, fino ai
ristoratori epiloghi che portano il robusto eroe a sposare la bella
di turno. È la vigilia della nascita dei dime
novel,
risposta americana ai penny
dreadfuls inglesi
e preludio alla nascita dei pulp
magazine
di inizio novecento. Si tratta di periodici a basso costo e dal
modesto valore, diretti a lettori senza pretese e di grana grossa,
spesso pubblicati su carta suscettibile di corrompersi nell'arco di
poco tempo. Le storie sono di mera evasione, infarcite di
romanticismo e culminanti con epiloghi all'insegna del lieto fine. È
il 9 giugno 1860 quando la Beadle & Adams lancia al prezzo di un
dime Malaeska:
The Indian Wife of the White Hunter di
Anna Sophia Stephens (1810-1886), ottenendo un successo immediato
tanto da spingere il Grolier Club a definire il romanzo “il
libro più influente del 1860”.
L'esempio viene seguito da altre case editrici e da scrittori (che
oggi definiremmo dilettanti) quali Edward Lytton Wheeler
(1854-1885),
Joseph E. Badger jr. (1848-1909)
o Ned Buntline (1823-1886)
che trasformano i personaggi del vecchio west in eroi di storie dense
di azione e sparatorie, dove gli indiani sono i cattivi, mentre il
ruolo dei protagonisti è riservato a pistoleri solitari, impavidi e
non incuranti della morte. Sparisce ogni tentativo di fare filosofia
o di lanciare messaggi politici, lo spettacolo e l'intrattenimento
cancellano ogni velleità autoriale e lasciano campo libero a banditi
che si ravvedono e diventano eroi, mercenari e soprattutto personaggi
reali debitamente riscritti. Kit Carson (1809-1868), Buffalo Bill
(1846-1917), Will Bill Hickok (1837-1876), Jesse James (1847-1882),
Wyatt Earp (1848-1929), Billy the Kidd (1859-1881), John “Doc”
Holliday (1821-1887), Calamity Jane (1852-1903), piuttosto che sulle
vicende che li hanno visti davvero coinvolti, costruiscono qua, il
(falso) mito che sarebbe poi sopravvissuto fino al nostro secolo
grazie alla successiva esaltazione dei film licenziati a Hollywood e
alla serie di storie raccontate dal mondo del fumetto. Ecco che i
difetti, la dipendenza dall'alcool e persino la codardia che li aveva
caratterizzati in vita viene spazzata da resoconti ingigantiti, se
non totalmente inventati, plasmando caratterizzazioni e gesta assai
lontane dalle reali. L'importanza dei dime
novel è
comunque centrale e dimostra l'interesse del pubblico verso il
genere. Un successo che porta all'interessamento di scrittori
apprezzati dalla critica, quali Mark Twain (1835-1910), Jack London
(1876-1916), Robert William Chambers (1865-1933) e Ambrose Bierce
(1842-1914). Quest'ultimo, attorno al 1890, prende addirittura a
contaminare il western con elementi fantastici dettando la via per un
sottogenere che sarà sviluppato da Robert Ervin Howard fino a essere
chiamato weird
western. Orientati
invece a contenuti demistificatori votati all'ironia e al dissacrante
sono Bret Harte (1836-1902), con i suoi The
Luck of Roaring Camp (1868)
e The
Outcasts of Poker Flat (1869),
e il malinconico, pessimista e antieroico Stephen Crane (1871-1900)
con The
Bride Comes to Yellow Sky (1898).
Il
mito si diffonde, giunge in Europa attorno al 1880 quando scrittori
quali Karl May (1842-1912) ed Emilio Salgari (1862-1911) esportano
rispettivamente per il pubblico tedesco e italiano le vicende del
west. May raggiunge il successo con Winnetou
nel 1892. Più tardivo Salgari, con la sua trilogia del west aperta
da Sulle
Frontiere del Far West (1908).
La
consacrazione avviene però con i veri e propri specialisti, che
svestono la narrativa western della sua dimensione prettamente
popolare per tornare su livelli più autoriali. Owen Wister
(1860-1932) introduce con The
Viriginian: A Horseman of the Plains (1902)
la figura del pistolero gentile, rilanciando il genere. Zane Grey
(1872-1939), Max Brand (1892-1944) ed Ernest Haycox (1899-1950) con i
rispettivi Riders
of the Purple Sage (1912),
Destry
Rides Again (1930)
e Stage
to Lordsburg
(1937), che ispirerà due anni dopo il celeberrimo film Ombre
Rosse di
John Ford, disegnano nuove coordinate che Hollywood è pronta a
esaltare e che detteranno la via per maestri successivi quali Louis
L'Amour (1908-1988) ed Elmore Leonard (1925-2013).
La
passione dei lettori ormai è tale da determinare la nascita di una
serie di periodici interamente specializzati al genere. Western
Story Magazine,
fondata nel 1919,
vanta
il primato di essere la prima rivista di questo tipo. Le faranno
seguito Star
Western, West, Cowboy Stories, Ranch Romances e
altre che ne prendono la scia furoreggiando per ventenni. I western
si fanno largo anche su periodici non specializzati, quali Argosy,
Weird Tales e
Action
Stories,
a dimostrazione della crescente richiesta dei lettori. È qui che
entra in ballo Robert Ervin Howard, grande estimatore, tra gli altri,
di Jack London, Stephen Crane, Bret Harte e Zane Grey.
HOWARD
E IL WESTERN
Howard
è un autore estremamente precoce che dimostra fin da bambino
l'interesse per il western, salvo poi allontanarsene a beneficio di
epoche e location
esotiche.
Cresce
leggendo tutto quello che gli capita a tiro, perché non ha la
possibilità di acquistare copie in libreria o in edicola. “Leggevo
per amore della lettura” racconta
agli amici. Quando non trova i volumi si fa raccontare dal nonno,
dalle domestiche di colore o dai contadini e fattori della zona le
leggende locali, storie che mischiano il mito del west all'orrore.
Magia indiana, fatture messicane e tradizioni popolari di frontiera
si miscelano in un mix che trova campo fertile nella giovane mente
del futuro scrittore. Il suo abitare in Texas lo porta ad assaporare
in prima persona le atmosfere del far west che ancora vivono negli
echi e negli ambienti che il giovane si reca a visitare. Cerca così
di mettere in scena, con gli amici, le sue fantasie, vestito da
cowboy o da pirata. I resoconti di sparatorie, banditi in fuga
braccati da sceriffi lanciati al galoppo al loro inseguimento e di
indiani pronti a lanciarsi dai costoni delle rocce su soldati in
perlustrazione lo affascinano, facendogli sognare un passato per lui
di gran lunga preferibile al crescente materialismo del mondo
capitalista. Anni dopo, dirà di aver preso le caratteristiche di
Conan
Il Cimmero da
una serie di pugili, pistoleri, contrabbandieri, bulli dei giacimenti
petroliferi e giocatori d'azzardo incontrati sul suo cammino, a
dimostrazione della natura western di molti personaggi confinati in
epoche assai lontane nel tempo e nei costumi.
Per
dare sfogo alla fantasia e al suo irrefrenabile desiderio di libertà,
inizia a scrivere molto presto. All'età di nove-dieci anni, stende
un racconto su un vichingo danese che non avrà seguito in età
adulta. Sono invece i personaggi western quelli che svilupperanno le
radici da cui poi fiorire in età adulta. In quel periodo, infatti,
vengono definiti i caratteri di El Borak, il pistolero texano
trapiantato in Afghanistan, che a partire dal dicembre del 1934
diverrà protagonista di un ciclo di storie orientaleggianti. Si
tratta del primo di una galleria interminabile di anti-eroi concepiti
dall'autore. Tuttavia, sono gli uomini comuni del west che portano il
giovanissimo Howard a pubblicare i suoi primi racconti, pur se non in
una rivista professionale. Nel dicembre del 1922, alle porte dei
diciassette anni, quando ancora frequenta il liceo, ottiene la
pubblicazione sul locale The
Tattler,
il giornaletto della Bronwood High School, di due racconti western
che suggeriscono quanto l'autore farà una decina di anni dopo.
Howard infatti si farà conoscere, soprattutto in patria e in
Inghilterra, per la capacità di affrontare il genere da diverse
prospettive, non sempre classiche. Cultore di scrittori quali Jack
London e Zane Grey, ma anche dei dissacranti Stephen Crane e Brett
Harte, Howard parte dal western classico, con tanto di indiani nel
ruolo dei cattivi, per spostarsi su soggetti basati su storie e
personaggi davvero esistiti e da qui progressivamente allontanarsi
dagli stilemi del genere per prendere la via della contaminazione
horror e poi di quella umoristica. In quest'ultima veste andrà a
ideare un ventaglio di protagonisti seriali (cinque più El Borak)
che vanno in scala dal comico/grottesco di Breckinridge Elkins fino
al classico e letale Sonora Kid, intervallando le due diverse
impostazioni con gradazioni intermedie costituite dal comico Pike
Bearfield, dal farsesco ma tendente al classico Buckner J. Grimes e
dal serioso cacciatore di bufali Grizzly Elkins. Dunque una visione
sul western aperta a tutte le prospettive, da cui manca la sola
fantascienza e in cui l'umorismo e la componente fantastica sono fin
da subito presenti, a dimostrazione di un autore desideroso di
rompere gli schemi del genere.
Sebbene
si sia scritto che “la
maggior parte dei western di Howard sono indistinguibili dalla
normale serie di storie western d'azione pulp degli anni '30”,
lo studio della narrativa di Howard mostra un evidente tentativo di
variare il taglio delle storie, al punto da presentare marcate
similitudini al successivo spaghetti western.
Dopo
essersi affermato tra i lettori di Weird
Tales
come autore di narrativa soprannaturale o del terrore, spesso e
volentieri con ambientazioni in epoche sepolte oltre la memoria
umana, Howard trova la formula del successo ideando il goffo e
monumentale Breckinridge Elkins. Siamo alla fine del 1933, Solomon
Kane, Bran Mak Morn, Turlogh Dubh O'Brien, Steve Costigan, Kull e
Conan si sono già fatti conoscere mettendo in mostra, in molti di
questi casi, un'eccezionale potenza fisica che permette all'autore di
eccellere in descrizioni di battaglie e scontri intrisi di una forte
componente grandguignol. “Eccelle
nel dipingere scene di lotta e di massacro, ma è altresì unico
nella capacità di creare vere emozioni di terrore spettrale e
spaventosa suspense”
scriveva Lovecraft. Indispettito per certe critiche ricevute dagli
editori per l'elevato tasso di violenza e desideroso di ampliare la
rete delle collaborazioni editoriali, Howard
decide di giocare con sé stesso, cambiando registro ma non
ingredienti. Trasferisce nel west la possanza di alcuni di questi
personaggi, ma in chiave farsesca. Una soluzione e un'ambientazione
che gli permette di rendere più vivi i personaggi, non più
idealizzati ma specchio di quelli incontrati in vita, con il loro
linguaggio locale e i modi di dire dell'epoca. Potremmo dunque dire
che dal filone mitologico il texano passa al western, portandosi
dietro i personaggi e quello spirito bellicoso votato al corpo a
corpo, ma qua scaricato di violenza. Howard dimostra di non amare le
soluzioni convenzionali, fatte da morti rapide garantite da
proiettili esplosi a distanza con un winchester, ma preferisce le
risse da saloon, gli scontri all'arma bianca e i lunghi e
rocamboleschi inseguimenti a cavallo che culminano in cadute e
capitomboli nella polvere.
Howard
vive così una situazione non molto dissimile a quella che, negli
anni sessanta, investirà il nostro cinema italiano, quando dai
peplum,
altrimenti detti sword
and sandal (proprio
occhieggiando al sword
and sorcery nato
con Howard), si giungerà a un western in parte rivoluzionario e
spaccone, orientato allo spettacolo e all'azione fin dalle prime
sequenze (a differenza dei ritmi crescenti dei western d'oltreoceano
funzionali a narrare lentamente l'epopea del west e a idealizzare
l'importanza della legge e della famiglia), infarcito di scazzottate,
morti ammazzati e con una vera e propria esaltazione della violenza.
Gli americani, forse dimenticando la genesi dei loro western
narrativi, prenderanno inizialmente le distanze dal “nuovo western”
che ribattezzeranno con intento denigratorio Spaghetti
Western.
Un contenitore di storie in cui prenderanno a miscelarsi al classico
western il gotico di matrice horror, l'orientalismo già anticipato
da Howard (si pensi al film Lo
Straniero di Silenzio di
Luigi Vanzi, con un pistolero che, sull'esempio di El Borak, emigra
in Giappone armato dell'inseparabile pistola) fino alla deriva
grottesca/comica di saghe assai simili a quelle ideate a fine
carriera dallo scrittore texano (si pensi a personaggi come Bambino e
Trinità protagonisti del film Lo
Chiamavano Trinità di
Enzo Barboni) senza dimenticare il tentativo, poi abortito dallo
sceneggiatore Dardano Sacchetti, di concepire un weird
western
con pistoleri contrapposti agli zombi.
Un'altra caratteristica comune tra i western howardiani
e i western italiani sarà l'iniziale presenza di protagonisti tutto
muscoli e potenza, rappresentati da attori quali Richard Harrison,
Gordon Mitchell, Mickey Hargitay, Domenico Palmara (in arte Dick
Palmer), Gordon Scott e persino Steve Reeves, tutti ex culturisti
passati dal peplum e promossi al ruolo principale nel western. Dunque
pistoleri voluminosi, statuari, perfetti per il corpo a corpo, ma che
saranno scalzati da colleghi brevilinei e acrobatici, quali gli ex
stuntmen
Giuliano Gemma (anch'esso proveniente dal peplum) e Fabio Testi o i
più sarcastici Franco Nero e Tomas Milian. Lo “stile italiano”
dunque, tanto bistrattato da registi quali John Ford e Burt Kennedy,
si rivelerà essere quello su cui a inizio secolo proliferavano i
magazine americani interamente dedicati al western, riviste su cui
pullulavano racconti in cui lo sceriffo era l'uomo a cui si sparava
nella prima pagina.
Questo era il taglio caro a Robert Ervin Howard, un precursore di
quel western che farà la fortuna in Italia e in Europa piuttosto che
negli Stati Uniti. Ironia del caso, uno dei western classici di
Howard si intitolerà proprio come un western interpretato da Bud
Spencer e Terence Hill senza aver nulla in comune con questo: La
Collina degli Stivali.
Prima
di passare a un'analisi specifica dei vari racconti preme
sottolineare come i western classici di Howard siano un lotto molto
ristretto. A parte i due esperimenti giovanili, solo un racconto,
perfettamente in linea con la tradizione western che contrappone i
cowboy agli indiani, viene pubblicato prima dell'ideazione del
Breckinridge Elkins. Si tratta di Drums
of the Sunset (“Tamburi
al Tramonto”) che esce in nove puntate, dal novembre del 1928 al
gennaio del 1929, su The
Cross Plains Review
(il giornale della cittadina di Howard). Howard abbandona poi il
genere, salvo ritornarvi, tra il 1932 e il 1933, per utilizzarlo
quale ambientazione di storie horror. Concepisce così per Weird
Tales un
trittico di racconti che utilizzano il contenitore western per
trattare storie che parlano di altro e che miscelano la frontiera con
Bram Stoker, Ambrose Bierce o Edgar Allan Poe. Vengono così scritti
e pubblicati The
Horror from the Mound, The Man on the Ground e
Old
Garfield's Heart.
Dei tre, The
Man on the Ground,
racconto peraltro molto gradito all'autore,
è
quello più prossimo al genere, mettendo in scena un inconsueto
duello tra i massi tra due rappresentanti di due famiglie in faida.
Il
vero impulso arriva con l'ideazione, sul finire del 1933, del primo
personaggio seriale howardiano
in
ambito western: l'ingenuo e involontariamente comico Breckinridge
Elkins. Il primo racconto, Mountain
Man, vede
la luce su Action
Stories nel
marzo del 1934 e segna un successo tale che porta Howard a
concentrasi sempre più sul genere e a creare epigoni necessari per
ottenere spazio su riviste concorrenziali. Nascono così Buckner J.
Grimes, Pike Bearfield, Grizzly Elkins e Sonora Kid. Howard riuscirà
a vedere pubblicati solo parte dei racconti del Breckinridge e del
Buckner J. Grimes, mentre gli altri resteranno confinati nel cassetto
per poi essere ripescati strada facendo. Si tratta di serie, a parte
quella di Breckinridge Elkins, incomplete, troncate (causa morte
dell'autore) sul nascere ma che già mostrano la direzione verso la
quale si sarebbero indirizzate. L'atmosfera western è vivida, con
tutti i personaggi che sarebbe lecito attendersi. Viene tuttavia
stemperata da una comicità che spesso scivola nel demenziale, dove
si vedono pistoleri costretti a fuggire in mutande o a saltare in
aria perché attinti da colpi sparati nei glutei che invece di
squarciare la carne lasciano un intollerabile frizzore. Pur se
lontani da quanto un lettore patito del genere potrebbe attendersi,
il ciclo umoristico western è fondamentale a spingere Howard a
scrivere una decina di western fuori da ogni ciclo che saranno
definiti “la
quintessenza del western classico, con tutte le caratteristiche
canoniche che ci aspetteremo di trovare: eroi e banditi, cavalieri
solitari e biscazzieri, ladri di bestiame e soldati, fanciulli in
pericolo e cercatori d'oro, praterie infinite e montagne scoscese,
fumosi saloon e canyon frastagliati, sparatorie rimbombanti e
galoppate forsennate, il tutto con taglio cinematografico
perfettamente visivo...”
Howard,
ormai convinto di poter fare il salto definitivo grazie al western,
scrive ai corrispondenti che è sul punto di poter trasformarsi da
autore da riviste pulp a scrittore capace di conquistare la critica.
Purtroppo per lui, di questi western classici post Breckinridge, ne
vedrà uscire uno solo: Boot-Hill
Payoff (“La
Collina degli Stivali”) acquistato da Western
Aces.
I
WESTERN CLASSICI DI HOWARD
Il
western howardiano
è un coacervo di storie disinteressate all'epopea dei pionieri, alle
imprese dei soldati e dei cowboy elevati a eroi dal mito del west,
non cerca neppure di trovare le basi di una società da esaltare in
modo da proiettarla verso il futuro o, di converso, da smascherare in
vista di un revisionismo storico ancora tardo a manifestarsi. Il
western “classico” di Howard è piuttosto un contenitore in cui
dare sfogo all'azione, alle scazzottate, ai duelli e a sparatorie
messe in scena con un senso dello spettacolo che da l'idea di un
sapiente e calibrato uso dei rallenty,
prima ancora che “Bloody”
(“il
sanguinoso”) Sam Peckinpah (1925-1984) impartisse ai colleghi
quella lezione di cinema che avrebbe reso leggendarie pellicole quali
The
Wild Bunch (“Il
Mucchio Selvaggio”, 1969) e Pat
Garrett and Billy The Kid
(1973). Un western dunque dallo spiccatissimo impatto pulp,
dove violenza, eroismo e sangue abbondano e dove, soprattutto, non ci
sono paladini della giustizia che ricordano i ruoli che hanno reso
famoso John Wayne, bensì avventurieri, uomini senza scrupoli,
cercatori d'oro, ubriachi, giocatori d'azzardo, falsi sceriffi e
pistoleri guidati da uno spirito cavalleresco che si ribellano alla
forza bruta di chi calpesta i più deboli.
L''obiettivo
dell'autore non è denunciare tematiche sociali o riscrivere il west
ma intrattenere e divertire i lettori. I vari racconti che delineano
il ciclo western sono uniti da alcuni minimi comuni denominatori, a
partire da un'etica cavalleresca che segna i limiti della violenza e
delinea i contorni del rispetto verso chi è incapace di difendersi.
Ecco allora l'elevazione della donna su una sorta di piedistallo
intoccabile e la necessità di concedere margini di difesa ad
avversari che, per un motivo o un altro, si trovano in condizione di
svantaggio. “Lui
viveva secondo un proprio codice, selvaggio, rozzo, violento, duro,
talora incongruo, ma tale da ritenere sacra la figura femminile,
immune alla violenza che insozzava la vita degli uomini” scrive
Howard, a proposito del suo protagonista modello, nella fattispecie
protagonista di quello che è il suo miglior western in assoluto: The
Vultures of Whapeton (“Gli
Avvoltoi di Whapeton”)
Apprezzabile
è inoltre l'assenza di una netta divisione tra buoni e cattivi.
“Conosceva
due razze di pistoleri: una profondamente cinica, molto coraggiosa,
ma sempre pronta ad acquisire vantaggi con l'inganno; l'altra troppo
orgogliosa delle proprie capacità per usare l'inganno quando si
trattava di affrontare apertamente un rivale, e che quindi si
affidava completamente alla rapidità, ai nervi d'acciaio e alla
precisione.” I
"buoni" di Howard sono i meno cattivi, coloro che vivono
sul filo della legalità, provocando reazioni altrui per sfruttare la
legittima difesa. Sempre in The
Vultures of Whapeton,
la novella manifesto del western classico howardiano,
si legge: “Gli
uomini del west seguivano un codice personale di condotta. La linea
che separava il fuorilegge dal vaccaro o dal cowboy onesto era spesso
sottile come un capello, troppo vaga per essere tracciata con
precisione.” Un
eroe howardiano
è colui che non ruberebbe mai un solo capo di bestiame a un
contadino, magari abusivo, ma che non esiterebbe a depredare intere
mandrie a proprietari terrieri messicani oppure è colui che non
rapirebbe mai un uomo per estorcergli denaro, ma che non perderebbe
tempo a impadronirsi del denaro a chi lo abbia a sua volta rubato,
poco importandogli se sia stato depredato a uomini onesti. Insomma,
ci orientiamo sempre più verso quei personaggi che, grazie al
sapiente utilizzo che Sergio Leone ne saprà fare una trentina di
anni dopo, trasformeranno il western hollywoodiano in una nuova
visione giostrata su personaggi come lo straniero senza nome
interpretato da Clint Eastwood a partire da Per
un Pugno di Dollari (1964).
Siamo dunque alle prese con veri e propri antieroi che non seguono i
crismi della legge o i valori del cittadino modello, uomini che fanno
della violenza la condotta di vita in ossequio a regole di condotta
che non rispondono ai canoni di comportamento auspicabili in una
società civilizzata.
Ancora
legata alla caratterizzazione dei pulp
è la vena romantica di questi antieroi, una caratteristica che andrà
a perdersi, a esempio, nello spaghetti western. I pistoleri di Howard
sono infatti uomini che si innamorano facilmente per effetto di colpi
di fulmine che li portano a perdere la testa per un donna, tanto da
dimenticarsi di tesori nascosti o da mutare i propri progetti e
persino a non accorgersi del nemico che sta per incombere minaccioso.
La donna è capace di redimere l'antieroe o comunque di farlo
riflettere sul fatto che la violenza conduce a una spirale dove il
male soffoca l'amore e con esso la vita. “I
suoi occhi non erano più accecati da quello splendore dorato. Per la
prima volta si rese conto del sangue che vi gravava sopra fino a
renderlo nero: era il sangue di uomini innocenti, perfino quello di
una donna.” Si
tratta di una caratteristica comune al primo western hollywoodiano ma
destinata a estinguersi con l'avvento dello spaghetti western.
Nell'opera post
leoniana
sopravvive un'immagine assai più triste e indolente del pistolero,
quasi sempre un vendicatore che vuol porre rimedio a un torto subito.
L'antieroe “italiano” è disilluso, ferito in un profondo che non
gli permette di avere una vita felice di coppia. È il pistolero che
se ne va in giro tirandosi alle spalle una bara in cui ha sepolto sé
stesso (“c'è
uno che si chiama Django” dice
Franco Nero, nell'omonimo film di Sergio Corbucci). Così laddove i
western di Howard si chiudono in baci e abbracci, quelli italiani
mostrano il pistolero di turno che lascia in lacrime la sua bella,
innamorata pazza ma tanto sfortunata da non poter vedere realizzato
il suo sogno. “Non
sono l'uomo giusto e nemmeno lui”
prende a dire Jason Robards all'innamoratissima Claudia Cardinale nel
finale di C'era
una Volta il West (1968).
“La
gente come lui ha dentro qualcosa, qualcosa che sa di morte. Quello
lì se è ancora vivo, entra da quella porta e dice addio.” Charles
Bronson, detto Armonica, apre la porta, entra e, col magnifico
commento sonoro di Ennio Morricone, guarda Jill facendole capire che
tra loro non potrebbe mai funzionare. Fa nove passi, prende le sue
cose e se ne va, dopo aver detto: “Io
ho finito qui!” È
il manifesto del cinema western all'italiana, ricchissimo di epiloghi
melodrammatici, totalmente assenti in Howard, che vengono mutuati dai
precedenti Django
(1966)
e Arizona
Colt (1966)
di Michele Lupo e confermati dai successivi Keoma
(1976)
di Enzo G. Castellari, Amore,
Piombo e Furore
(1978) di Monte Hellman e in parte I
Quattro dell'Apocalisse (1975)
di Lucio Fulci. L'amore è un qualcosa che i pistoleri del western
italiano non possono più provare, ma per gli eroi di Howard è
ancora una possibilità, sebbene si tratti di un western dove, a
farla da padroni, non sono sceriffi, contadini o giudici, ma banditi
in cerca di riscatto, mandriani che ricorrono all'uso delle armi per
difendersi, giocatori d'azzardo, persino falsi sceriffi che sfruttano
l'incarico in vista di un colpo da mettere a segno. Sono allora pur
sempre i reietti a ergersi a protagonisti di queste storie, in
un'apologia dell'uomo macho, specie se texano, che porta
all'esaltazione del pistolero: “Un
vero pistolero non era semplicemente un uomo dotato di vista più
acuta e muscoli più reattivi rispetto a una persona comune; era
anche un fine psicologo, uno studioso della natura umana, la cui vita
dipendeva dalla correttezza delle sue conclusioni.” Howard
addirittura anticipa di quasi un secolo ciò che viene attualmente
insegnato ai poliziotti nei corsi di formazione, parlando
espressamente del linguaggio corporeo tenuto dal soggetto in cui ci
si imbatte, così da poterne prevedere le mosse e comprendere se sia
pericoloso o meno.
L'uomo
muscolare, comunque presente, viene dunque superato qua da quello più
deduttivo e saettante con la pistola. È questo modello a incarnare
il profilo del dominatore del west, un mondo in cui l'unica cosa
veramente democratica resta la colt, lo strumento che abbatte ogni
differenza e rende tutti uguali, a condizione di saperne fare uso.
Un'attenzione
particolare viene infine riservata alle ambientazioni contraddistinte
da città di frontiera, assolate e polverose, da cui i pistoleri si
lanciano nel cuore del deserto per sfidare pareti rocciose, talvolta
da scalare, altre da utilizzare per ricercare insenature in cui
proteggersi dal fuoco nemico o, ancora, per organizzare segreti
luoghi di ritrovo.
Da un punto di vista formale, i racconti sono
molto scorrevoli, portati in scena con una pazzesca capacità
visionaria che permette al lettore di affrontare il testo come se
fosse alle prese con un film degli anni settanta. L'efficacia viene
anteposta ai lirismi e ogni parola viene misurata in vista della
spettacolarizzazione delle gesta. È incredibile constatare la cura,
praticamente rallentata, attraverso la quale Howard descrive il moto
dei proiettili durante il loro percorso dalla canna della pistola
all'obiettivo, con tutte le deviazioni cui vanno incontro. Uno stile
che oggi farebbe subito saltare alla memoria certe regie dei fratelli
(ora sorelle) Wachowski.
Howard
scrive senza fronzoli, adottando un lessico che rimanda al mondo del
fumetto, assai colorito e squisitamente pulp.
Ritmi serrati, costruzioni delle storie concepite in modo tale da
mantenere alta la tensione, in cui in ogni capitolo c'è una
sparatoria, così da scongiurare quello che diverrà il marchio di
fabbrica del western cinematografico americano ovvero lo sviluppo
crescente del soggetto. Come direbbe Sergio Leone, nei western di
Howard c'è un finale ogni tre pagine, con un ritmo degno erede del
riscontro di un sismografo in piena scossa tellurica.
I
debutti nel western di Howard, tuttavia, sono diversi e, se vogliamo,
innocenti e riparatori di torti subiti. A quindici anni invia un
racconto dal retrogusto western, anche se di ambientazione canadese,
al magazine Adventure
di
cui Howard è un accanito lettore. Il racconto, intitolato Bill
Smalley and The Power of Human Eye,
narra di due cacciatori e dei guai in cui si cacciano nel tentativo
di realizzare una trappola per orsi. Il texano condisce il tutto con
una forte componente umoristica, all'insegna dell'esagerazione e
dell'inaffidabilità. Il testo non colpisce particolarmente e viene
rigettato. Sarà pubblicato solo nel 1991 su The
Dark Man.
Vanno
incontro a miglior sorte altri due elaborati, scritti quando Howard
non ha ancora compiuto diciassettenne. Sono le prime due
pubblicazioni dell'autore che vede West
is West (“Il
West è il West”) e Golden
Hope Christmas (“Natale
a Golden Hope”) comparire sul giornaletto del liceo che frequenta.
Si tratta di due racconti brevissimi che non saranno più pubblicati,
se non postumi su The
Howard Collector e
su Cross
Plains,
rispettivamente, nel 1962 e nel 1974.
In
West
is West un
cowboy chiede al caposquadra del ranch presso cui lavora un cavallo
per recuperare una mucca fuggita sulle colline. “Non
ho alcuna abilità nel cavalcare, quindi desidero un cavallo
tranquillo.” Assicurato
dai compagni, l'uomo riceve un cavallo chiamato Whirlwind, ovvero
Turbine. Nomen
omen.
All'apparenza mansueto, il cavallo, una volta sellato e spronato a
partire, si trasforma in un demonio. Curiosamente, il suo cavaliere,
rimasto legato in groppa dal lazzo e dal cinturone incagliato sul
corno della sella, riesce a non essere disarcionato, resistendo a
urti su tronchi e persino alle capriole del cavallo, liberandosi
dall'agonia solo a seguito della rottura dei sottopancia della sella.
“Sei
la più bella creatura che abbia mai visto. Non c'è nessun altro nel
ranch che potrebbe rimanere su Whirlwind così a lungo”
lo plaude il caposquadra, rimasto ad ammirarlo con tutti gli altri
lavoratori, con un diabolico divertimento evaporato, nel corso delle
sgroppate, in sincera ammirazione. Il giovane però, rimasto in sella
per un mero caso, non la prende bene.
Molto
più interessante è il “fiabesco” Golden
Hope Christmas, un
racconto sull'avidità con stoccate ironico/beffarde.
Un tetro pistolero, deciso ad appendere al gancio le pistole a causa
del proliferare dei vigilantes, prova senza successo a riciclarsi
minatore. Dopo aver acquistato a prezzo stralciato - facendo forza
sul proprio status - una concessione, la vende a prezzo gonfiato a un
giovane straniero. Il nuovo arrivato si spacca la schiena senza
raggranellare spicci, mentre l'altro, tra una bevuta e l'altra al
saloon, si gode la somma ricevuta. Un giorno però le cose mutano e
dimostrano quanto un prezzo d'acquisto di un bene produttivo possa
essere relativo. Il terreno venduto infatti si rivela un pozzo senza
fine di pepite. Il pistolero, da truffatore si sente truffato, e non
può tollerarlo, perché ora il valore dell'appezzamento è molto più
alto del prezzo sborsato per l'acquisto. Decide così di riprendere
le pistole in mano e di uccidere il nuovo proprietario che, invece,
predispone in suo favore una somma di denaro aggiuntiva perché
ritiene di averlo involontariamente danneggiato. Pronto a esaudire il
proposito, il pistolero carica il fucile e pone l'occhio sul mirino
quando la magia del natale si presenta nella sostanza di un sole che
spunta dalla montagna... gli occhi lacrimano, il dito trema, il male
è vinto.
Howard
prende con questi racconti le misure al genere, ma soprattutto affila
la penna in vista del suo vero debutto, pubblicato a puntate su Cross
Plain Review dal
novembre del 1928 al gennaio del 1929, che avviene con l'uscita di
Drums
of the Sunset (“Tamburi
al Tramonto”).
È un racconto
piuttosto classico, scritto con verve pulp
e qualche venatura stereotipata ai danni degli indiani,
caratterizzati con descrizioni razziste in linea a quanto si vedrà
al cinema, prima del successo di Soldato
Blu (1970)
che porterà al cosiddetto revisionismo.
È fin da subito presente il lato romantico di Howard e il suo
pompare le doti temerarie e di coraggio dei Texani, vero e proprio
leit
motiv
di tutta la produzione.
La
storia vede tre falsari rintanati in cima a un monte, intenti a fare
quattrini ai danni degli indiani a cui vengono rifilati whisky e
dollari falsi, finché gli stessi non si rendono conto di esser stati
truffati. Ha così inizio la preparazione dell'attacco indiano,
preceduto per giorni dai rulli e i canti di morte, di sera in sera,
un po' come erano soliti fare i messicani quando intonavano il
deguello.
Nessuno però sembra dare peso alle stranezze musicali che echeggiano
nella notte, neppure il protagonista. Quest'ultimo è un viandante di
passaggio che viene informato da colui che gli concede ospitalità
che sui monti c'è una ricchezza d'oro e di quarzo. Il vecchio non
ricorda più dove abbia visto i giacimenti, perché una frana, anni
prima, è scesa a celare quanto aveva scoperto. Incuriosito dalla
rivelazione, il giovane si inerpica sulle ripide pareti rocciose e
scorge una ragazza di cui si innamora per effetto del classico colpo
di fulmine. L'amore è più importante del tesoro, forse è il vero
tesoro, sembra suggerire Howard. Ecco che il ragazzo si disinteressa
della miniera e, quando il vecchio gli chiede notizie, fa il vago.
L'amore ottenebra le menti, specie se corrisposto. Tutto facile,
allora? Manco per sogno, perché la giovane è semi-prigioniera dello
zio e di altri due uomini che non le concedono la libertà, perché
temono che abbia visto qualcosa di compromettente. La stessa infatti
ha scorto i macchinari con cui i tre producono i soldi falsi. A
risolvere tutto ci penseranno gli indiani. Mentre i giovani
programmano di fuggire, i pellerossa scagliano l'attacco alla baracca
e compiono un massacro. Il protagonista cade preda della
disperazione, perché tra le vittime dell'assalto non vi è la
ragazza, scomparsa nel nulla. Sarà stata rapita o bruciata nel rogo?
Parte la spedizione di recupero, piuttosto rambesca,
alla caccia degli indiani, col protagonista e il vecchio che gli ha
concesso ospitalità a vedersela con l'intero gruppo di pellerossa.
Braccati da questi ultimi, i “nostri eroi”, recuperata la
ragazza, ricevono un aiuto imprevisto: la friabilità della montagna.
Una tremenda frana, involontariamente innescata dal gruppo dei
cavalli cavalcati dagli indiani, travolge gli inseguitori
seppellendoli sotto i massi. I due giovani possono finalmente
baciarsi, promettendosi amore eterno e parlare già di matrimonio. Ma
c'è di più... la frana ha denudato la parete di quarzo e di oro che
era finita nascosta anni addietro... i tre possono considerarsi
ricchi.
Drums
of the Sunset è
un testo semplice, scritto in modo moderno e accattivante. Howard è
convenzionale nel concepire la trama, ma giostra bene gli elementi
della storia e alla fine piazza un racconto di tutto rispetto. Non
manca la commemorazione per gli avversari caduti. Questi ultimi, pur
se indiani e brutali, sono sempre esseri umani. Il vecchio, che ha
subito in gioventù uno scalpo, dichiara di non poter restare
indifferente nel veder morire tanti uomini in un colpo solo. In
questo modo, Howard stempera le accuse di razzismo che, specie al
tempo odierno, qualcuno non si periterebbe a muovere.
Gli
esperimenti con il weird
western e
l'ideazione del western umoristico portano, sette anni dopo, alla
stesura del secondo e ultimo western classico uscito durante la vita
di Howard. Si tratta di Boothill's
Payoff (“La
Collina degli Stivali”), pubblicato su Western
Aces e
conosciuto anche col titolo The
Last Ride. Racconto
fluido, infarcitissimo di azione, sia a livello di sparatorie che di
scontri fisici. L'anima pulp
è apprezzabile e il ritmo sollecito, tanto da dare l'idea più di un
western all'italiana che di un classico americano.
Protagonista
è un giovane che ritorna nel paesino in cui è cresciuto, San Leon,
col fine di risarcire gli abitanti per i furti e le razzie subite per
mano sua e dei fratelli ormai tutti morti. L'arrivo non è ben
accolto dai cittadini. In paese infatti è all'opera una banda che si
spaccia per quella di cui il giovane faceva parte. “I
tuoi fratelli erano dei bastardi, ma pur sempre dei bianchi.
Uccidevano senza rimorso, ma in modo pulito. Questi ratti non si
contentano di rubarci le mandrie. Bruciano i ranch e avvelenano
l'acqua dei pozzi come una tribù di maledetti apache.”
Traspare
ancora una volta la sfiducia per la categoria degli indiani,
tratteggiati alla stregua di sanguinari e scorretti. I detrattori di
Howard, in nome di logiche filo razziste, devono però degustare
qualche bicchierino di camomilla, perché di indiani non vi è
traccia. Dietro alla banda che insanguina San Leon c'è
l'insospettabile banchiere del posto. Un uomo senza scrupoli, che
mira a diventare il padrone assoluto dell'area, mandando in rovina i
mandriani. Questi vengono prima flagellati dai furti di bestiame e
poi dagli interessi usurari maturati sui prestiti concessi dal
banchiere stesso. La cessione dei terreni diventa così l'unico modo
per far fronte alle deficienze.
Coadiuvato
dallo sceriffo e da un vecchio amico, sarà allora il protagonista,
un ex bandito, a riabilitare, in un pirotecnico finale, il proprio
nome e a debellare la banda che infanga il ricordo della famiglia.
Howard ambienta la resa dei conti finale in un rifugio incastonato in
mezzo ai canyon. Sparatorie, scazzottate e cavalli al galoppo sono il
cliché offerto dalla lettura. Howard non dimentica la sdolcinata
chiusura in cui, oltre alla giustizia, trionfa l'amore. Il “nostro”
troverà infatti la donna dei propri sogni, dichiarandosi alla
sorella dello sceriffo, sua vecchia compagna di scuola. Sarà lei a
convincerlo a restare e a mettere su famiglia, nella pura tradizione
del western all'americana. “Ti
amo anche io, Buck. Ti ho sempre amato da quando ero una bambina e
andavamo a scuola insieme. Mi sono solo costretta a non pensare a te
negli ultimi sei anni. Ma ero innamorata del tuo ricordo... ecco
perché ero così addolorata per il tuo essere diventato un
bandito... Sapere che sei sempre stato onesto e onorevole è come
sollevare per sempre l'ombra nera che era scesa fra di noi. Non mi
abbandonerai, vero?”
Dunque un testo di sicura presa per i lettori dell'epoca che mischia
azione, buoni propositi, romanticismo, ed eroismo degli uomini di
legge.
Un
terzo racconto classico, venduto da Howard ad Argosy
insieme alle storie di Buckner J. Grimes, esce nel novembre del 1936.
È Vulture's
Sanctuary (“Il
Nido dell'Avvoltoio”), che conferma le location
del precedente Boothill's
Payoff
e ne mutua, in buona parte, l'epilogo.
L'eroe di turno sfida un'intera banda debellandola all'interno del
covo della stessa, ancora una volta in un impervio luogo nel cuore
dei canyon. Nella circostanza lo fa mandando allo sbaraglio un
muscolare texano che intraprende l'azione solo perché una ragazza,
che per giunta lo ha umiliato a inizio racconto, è finita nelle mani
di un gruppo di reietti. "Come
la maggior parte degli uomini della frontiera, era molto sensibile a
qualsiasi questione che riguardasse le donne... Il codice per cui
viveva, quello rigido e adamantino delle frontiera texana, non
permetteva alcun tipo di rappresaglia verso una donna, a prescindere
dalla provocazione subita."
Vediamo
ancora una volta esaltato il galateo texano, se così lo vogliamo
definire. Oggi diciamo che “tira
più un pelo di... che un carro di buoi”
e anche qui la donna è un qualcosa capace di influenzare i
comportamenti dei rozzi e temerari uomini sempre in bilico tra la
vita e la morte.
Per
la felicità dei detrattori, tornano anche le scoccate verso le
categorie indesiderate. Così leggiamo frasi quali "un
bianco andava in soccorso di una fanciulla in pericolo, a prescindere
di chi potesse essere, mentre per i pellerossa e i messicani le donne
bianche erano merce pregiata."
Evidente, ancora una volta, la distinzione razziale operata da
Howard. Tuttavia, proprio a voler disinnescare quanto affermato, c'è
qualcun altro che reputa le donne una merce pregiata: El Bravo, il
leader dei reietti (un bianco, ex uomo delle istituzioni), che si
prende la ragazza oggetto della contesa come dolcetto con cui
deliziare il proprio palato. È per lei che il texano sfida la morte
in "una
partita disperata",
anche perché "è
abituato a giocare con il diavolo e a distribuire carte letali."
El Bravo, inoltre, ha un conto in sospeso con lui. Si tratta di un ex
sceriffo, destituito in quanto dedito al crimine, che ha organizzato
una vera e propria banda di reietti, costringendo gli stessi a
versargli un quota di adesione per essere ammessi al gruppo. Potrà
far ben poco contro l'arguzia e l'astuzia del protagonista. "Questo
demonio non sarebbe mai venuto qui da solo, a meno di non avere
qualche asso nella manica..."
Eppure il nostro non ha assi ma, da grande giocatore, è artefice di
un bluff risolutivo.
Vulture's
Sanctuary è
un western rambesco,
un po' ingenuo. Il nostro texano, con uno stratagemma, riuscirà a
entrare nel covo dei cattivi e capovolgerà a proprio favore la
situazione, ormai legato come un salame. Lo farà facendo sorgere dei
dubbi nel capobanda. così da indurlo a pensare che i propri uomini
lo abbiano tradito, mettendoli così l'uno contro l'altro. Una
soluzione che arriva direttamente dal secondo episodio della serie
Buckner J. Grimes, A
Man-Eating Jeopard.
Si
confermano il taglio pulp e quel romanticismo che pervade tutti i
racconti del genere firmati R.E.Howard. Il bene trionfa e la donna
può stringersi al suo salvatore. “O
quanto siamo machi noi uomini di azione”
suggerisce Howard, strizzando l'occhiolino a ragazze desiderose di
scorgere lo spirito di azione e di sacrificio negli uomini dei sogni,
così da poterli accudire e,a fine battaglia, disinfettarne le ferite
sugli addominali e sui pettorali tremanti.
Il
vero capolavoro di Howard giunge però un mese dopo, con la
pubblicazione di Vultures
of Whapeton (“Gli
Avvoltoi di Whapeton”), altrimenti conosciuto con i titoli Vultures
e
Vulteres
of Teton Gulch.
La lunghezza della storia cresce. Howard confeziona addirittura un
finale alternativo (decisamente smielato). A ottenere i diritti di
distribuzione è Smashing
Novels Magazine, dopo
che il racconto è stato respinto per anni da tutte le principali
testate western del periodo “perché
troppo anomalo”
o forse perché eccessivamente lungo.
Il magazine pubblica la storia e persino il finale alternativo, non
certo all'altezza di quello tragico scelto da Howard. Senza ombra di
dubbio, è il western che tocca l'apice nella produzione di genere
dell'autore, con le sue oltre cento pagine a delineare un vero e
proprio romanzo breve ricchissimo di azione. Non tutti sono
d'accordo. Ben P. Indick elogia l'epilogo tragico, ma suggerisce di
non aver apprezzato la storia. Scrive infatti “Il
finale tragico si eleva sopra la banalità dei personaggi,
l'atmosfera vuota e la trama modesta.”
La
trama, di cui parla il critico, viene plasmata guardando a un fatto
realmente accaduto nel 1880 a Caldwell,
Kansas, quando Hendry Brown, ex socio del fuorilegge Billy the Kid e
conosciuto per essere uno dei più veloci pistoleri della zona, fu
assunto come vice-sceriffo della cittadina. Introdotto a Caldwell,
l'uomo fu oggetto di un agguato in saloon nel modo riproposto da
Howard nel testo. Come Steve Corcoran, eroe howardiano, Brown si
liberò degli attentatori a colpi di pistola. Riconvertito alla
legge, riuscì col tempo a debellare i mafiosi che imperversavano
nella cittadina, portando la legge e l'ordine a dominare sulla città
salvo poi abbandonare la stella e tornare al crimine.
Lo
scrittore texano segue la linea offerta dalla cronaca nera per
costruire un violentissimo noir ante
litterram ambientato
nel solito paesino di frontiera, con venature gialle e molte
sparatorie. Saloon, ufficio dello sceriffo e celle sono le location
di questo western prevalentemente notturno.
Il protagonista è il
solito rude texano, veloce nell'estrarre le armi e di corporatura
robusta, che finisce per innamorarsi di una donna che ne determinerà
i comportamenti finali (specie nello sdolcinato finale alternativo).
Howard cerca di caratterizzare la figura con piglio maschilista, ma
sempre guardando a quel codice non scritto di rispetto verso la
figura femminile, ritenuta sacra e inviolabile in un'ottica
cavalleresca più incline al periodo medioevale che al west.
Il
soggetto è di quelli che avrebbero fatto la fortuna dello spaghetti
western, con film come Per
Qualche Dollaro in più (1965)
che riprende l'idea del capobanda che pensa di sfruttare a suo favore
i bounty
killers
(qua vigilantes)
per far eliminare i propri uomini e azzerare il numero di coloro con
cui dividere il bottino.
Siamo
a Whapeton, cittadina in cui imperversa una banda di delinquenti (gli
avvoltoi) i cui componenti sono ignoti a tutti, pur vivendo e
muovendosi tranquillamente in città. Lo sceriffo, incapace di far
fronte alle uccisioni continue, ingaggia un temibile pistolero
proveniente dal Texas e lo nomina vice-sceriffo. I due danno vita a
una pantomima per illudere i cittadini di lavorare per contrastare
gli avvoltoi, quando in realtà sono il capobanda e il braccio destro
dei criminali. I due stanno pianificando la fuga a discapito dei
cittadini e dei componenti della banda stessa. Lo sceriffo, in
particolare, è un doppiogiochista che mette contro, ben prima di
Yojimbo
(“La
Sfida del Samurai”, 1961) di Kurosawa e Per
un Pugno di Dollari (1964)
di Leone, i due gruppi con cui è in combutta, la banda degli
avvoltoi e i vigilantes, per far suo il bottino rubato in mesi di
crimine. Howard è magistrale a scrivere questo personaggio, un po'
diverso dai soliti.
In
un clima di continui sospetti, morti, saccheggi e processi sommari si
giungerà, alla maniera de I
Giorni dell'Ira (1967)
di Tonino Valerii, all'inevitabile duello finale tra lo sceriffo e il
suo vice. I personaggi di Howard non sono uomini tutto di un pezzo,
sono canaglie, la cui etica resta in equilibrio sul sottile filo di
un rasoio. È facile errare nelle valutazioni e ferirsi in modo
inatteso, scambiando un uomo onesto per un manigoldo che risponde
solo al profumo dell'oro e viceversa. Qualche bicchierino di troppo e
la morte della donna amata, punita per esser andata in giro per il
paese a dichiarare la vera identità dei capobanda, porteranno il
vice-sceriffo texano a ritornare sui suoi passi nel sanguinoso
epilogo. Solo a questo punto, l'uomo guarderà nel profondo della
propria anima, rinunciando a un oro fin troppo macchiato di rosso, il
rosso del sangue dei morti. Howard chiude con una morale che forse
mal si concilia alla tempra di certi personaggi, offrendo ai suoi
lettori un racconto dove la polvere da sparo e la sabbia mossa dal
vento si liberano dalle pagine per investire il volto di chi si
lascia immergere nella magia orchestrata dalla parola. Ecco che i
tratti del luogo in cui il lettore sta leggendo sfumano e acquistano
i caratteri di una landa incastonata tra canyon e vecchie strutture
di legno. Il west rivive, lo fa nell'immaginazione, a oltre un secolo
e mezzo di distanza; i colpi di pistola e le mascelle che si rompono
sotto i pugni sganciati dai protagonisti di Howard si liberano, dal
silente effetto del nero solcato sul bianco, per assumere una
consistenza percepibile dai limitati sensi umani.
Registro
diverso per The
Extermination of Yellow Donory (“Il
Suicidio di Donory il Codardo), uscito postumo nel 1970 su Zane
Grey Magazine. Howard
torna al parodistico, ma lo fa con enorme intelligenza e studio
psicologico dei personaggi, tanto che alla fine la parodia si tramuta
in racconto amaro.
Un codardo, deriso da tutti, è stanco di
continuare vivere. La disperazione, la mancanza di stimoli e i
fallimenti lavorativi lo portano a prendere l'estrema decisione. Non
importa quanto i motivi siano effettivi e tali da giustificare il
comportamento che ne segue, poiché "un
problema che per gli altri può sembrare una stupidaggine, spesso è
un vero inferno sulla terra per colui che ne soffre, e l'incubo di
rendersi conto della propria codardia è il peggiore fra quanti
perseguitano il genere umano."
Così scrive Howard, forse accusando sé stesso e meditando
sull'estremo gesto con cui concluderà la propria vita. Sotto
l'apparenza di comicità, si delinea una tragedia, che vede un uomo
pianificare il proprio suicidio in modo da trasformarlo da
vigliaccata a gesto eroico. Decide infatti di riscattare la propria
esistenza, approfittando della straordinaria presenza in paese del
più formidabile pistolero dello stato. Entra così nel saloon e lo
provoca a viso aperto, da autentico sbruffone sicuro di sé,
ghiacciando un pubblico incredulo. Per la prima volta nella sua vita,
Donory ha cucito addosso gli occhi di tutti i presenti. La sensazione
che prova è quella di un outsider che, in una partita di contorno
trasmessa in diretta internazionale, sta facendo barcollare il numero
uno del torneo. Da
una parte abbiamo il più celebre codardo della contea e dall'altra
il più famoso assassino della zona. Una situazione che sembra
preludere a una barzelletta e a una soluzione scontata, se non fosse
che si ribalta l'intera situazione. Com'è possibile una cosa del
genere? Chiederete voi. Solo in un romanzo potrebbe succedere... ma
ne siete sicuri? Sembra di leggere un'innovativa tecnica psicologica
applicata alle regole non scritte del far west. Del resto se è pur
vero che "il
Colonnello Colt ha reso tutti gli uomini uguali, sono poche le
persone che si affidano a occhi chiusi a questo adagio, e molte sono
più propense a pensare che un'arma fiammeggiante sia più efficace
nelle mani di un uomo dall'aspetto imponente."
Sono i pregiudizi i veri boomerang che si abbattono sulla visione
dell'uomo, poiché inidonei a trarre le giuste conclusioni e tali da
determinare, come controindicazione, pericolose derive
comportamentali indotte dall'erronea premessa. Ma quali sono questi
pregiudizi? Presto detto. Un uomo imponente, muscolare e dalla forza
bruta, magari grande esperto nel combattimento corpo a corpo, induce
timore. E lo fa anche al cospetto di uno armato che, tuttavia,
disponendo di un'arma, ha il vantaggio della distanza e del
controllo, così da potersi considerare, a ragion veduta, su una
scala di pericolosità superiore, ma solo se è bravo a mantenere
l'uso dell'arma. Ma c'è un uomo ancora più pericoloso, in un ideale
combattimento, e questo uomo non è l'erculeo né, tanto meno, colui
che dispone dell'arma, ma è un altro che entra in gioco disarmato (o
almeno così sembrerebbe). Questo suggerisce, con verve ironica e
dissacrante, l'autore. Howard scrive che "un
vero assassino è sempre anche un grande attore, un perfetto uomo di
spettacolo." E
così in The
Estermination of Yellow Donory è
proprio la figura dell'uomo di spettacolo a ergersi sul trono più
alto in un ideale combattimento mortale. È la tecnica psicologica,
seppur nella fattispecie involontaria, a risultare l'arma di
risoluzione del conflitto, un'arma all'apparenza pacifica e idonea a
stimolare l'ilarità della platea, eppur capace di ribaltare una
situazione che, agli occhi di tutti, sembrava da vero e proprio
suicidio comportamentale. L'aperta sfida, con fare smargiasso, di un
piccolo e inutile uomo, resa davanti a un pubblico copioso che
finisce con l'invadere un saloon pronto a raccontare l'evento ai
nipotini, è un qualcosa che mina le certezze e fa sgretolare le
colonne che sorreggono le convinzioni di un avversario incapace di
leggere la situazione. "Più
alta un uomo reputa la propria abilità, tanto più probabile che
valuti ancora più alta la capacità, pur indimostrata, di un
avversario sprezzante... Dentro il pistolero andava crescendo una
curiosa sensazione, ovvero che quel tipo dovesse essere un pistolero
terrificante, talmente terribile che neppure Demon Darts sarebbe
stato in grado di opporglisi. Altrimenti, perché mai l'avrebbe
sfidato? Doveva sicuramente avere un asso nella manica..."
E così ecco che assistiamo alla fuga del pistolero e del grande uomo
muscolare invincibile, costretto alla resa da un insignificante
individuo che lo ha affrontato senza mostrare alcuna arma apparente,
col solo gioco della mente (qua tuttavia involontario). Sembra quasi
un'apologia del coraggio che si spinge ai limiti dell'incoscienza.
Giocare la propria vita a volte potrebbe essere una somma troppo alta
per un avversario che non vuol perdere quanto di più ricco ha,
specie quando questa posta viene avvolta dall'incertezza dei processi
che potrebbero scattare facendo un data mossa. Un vero e proprio
rischio da effetto domino, difficile da arginare con i rozzi modi
tipici della violenza fisica. Ed ecco quella che potrebbe definirsi
una critica di Howard all'atteggiamento popolare, che muta in modo
radicale a seguito di un unico evento. Lo scemo del villaggio,
piuttosto che il più grande codardo della contea, diventa un grande
uomo di valore, un vero e proprio bluffeur
che
nell'immaginario collettivo copriva, con i suoi atteggiamenti, la sua
vera e propria natura, quella del grande valoroso che non può dar
sfogo alla propria superiorità per il rispetto di valori superiori.
Un po' come faranno Jerry Siegel (1914-1996) e Joe Shuster
(1914-1992), nel '33, nell'ideazione di Clark Kent ovvero l'alter-ego
codardo di Superman.
Qui
ci viene in soccorso Quentin Tarantino, che di certo sarebbe ben
felice di allestire un set incentrato sui racconti dell'autore
texano, quando in Kill
Bill V.2 fa
dire a Carradine, a proposito della filosofia dei supereroi, che il
suo fumetto "preferito
è superman, perché la filosofia di questo fumetto non è soltanto
eccelsa, ma unica... Superman non diventa superman, superman è nato
superman. Quando superman si sveglia al mattino è superman. Il suo
alter-ego è Clark Kent... Quello che indossa come Kent, gli
occhiali, l'abito da lavoro, quello è il suo costume. È il costume
che indossa per mimetizzarsi tra noi. Clark Kent è il modo in cui
Superman ci vede. E quali sono le caratteristiche di Clark Kent? È
debole, non crede in sé stesso ed è un vigliacco. Clark Kent
rappresenta la critica di Superman alla razza umana"
più o meno come Joey Donory è il limite occulto di Demon Darts,
ovvero l'insidia insuperabile dalla forza bruta che, in quanto tale,
è incapace di adeguarsi alle mutevoli varianti indotte dalla tattica
mentale. Situazione dunque totalmente capovolta, in una sola mossa.
Un esito che porta tutti ad avanzare proposte di collaborazione e a
manifestare valutazioni, completamente sballate, indotte da errori di
fondo sorretti, ancora una volta, dai rigidi schemi mentali che
impediscono di vedere la vera realtà delle cose, poiché la
scorciatoia della prepotenza è sempre la via eletta dagli uomini di
scarsa intelligenza. "Avrei
dovuto intuire che voi avete troppo autocontrollo e siete troppo
importante per perdere tempo con mezze cartucce come Bull Groker e
compagnia. Come tutti i veri pistoleri, voi eravate solo in attesa di
un avversario del vostro livello"
dicono al modesto protagonista gli uomini del villaggio. Torna
centrale il vecchio tema del west, ma anche del mondo marzialista,
del grande maestro che cerca sempre di incontrare un altro grande
maestro per dimostrare chi sia davvero il più valoroso e abile.
Esilaranti, ma calibrati, i commenti degli uomini del bar/saloon:
"Ragazzi,
stasera abbiamo assistito a qualcosa da raccontare ai nostri
nipoti... Chi pensate che sia, veramente? Scommetto che ha una lista
di duelli lunga dieci chilometri! Sembrava uno smidollato, ma sono
sempre loro quelli realmente cattivi..."
Difficile uscire dalla rigidità di certi schemi mentali, questo il
messaggio di fondo di un Howard che, giocando, porta a galla grandi
verità e soprattutto eleva la psicologia e l'uso della mente ad arma
più letale tra tutte, capace di influenzare il comportamento
altrui... Il bluff del resto, se ben orchestrato, ha sempre pagato
molto bene e questo i veri giocatori lo sanno. Siamo assai lontani
dalle logiche di Conan.
Altro
testo postumo è Showdown
at Hell's Canyon (“Sfida
la Canyon Infernale”), edito nel 1973 su The
Vultures. Tipica
caccia al tesoro sepolto (nientemeno che un milione di dollari
destinati, in origine, a Pancho Villa per finanziare la rivoluzione
messicana) e indicato in una mappa, con un soggetto morente che
fornisce gli indizi utili per ricostruire il tutto, proprio prima di
spirare. Cosa vi ricorda? Esatto, qualcosa che Sergio Leone metterà
in scena ne Il
Buono, il Brutto e Il Cattivo (si
pensi non tanto all'acqua, ma alle ultime parole di Bill Carson), con
l'antagonista di turno che fa in modo che gli altri due cacciatori
individuino il punto in cui il tesoro è sepolto per poi presentarsi
e sottrarre l'intero bottino. Ritornano le pareti rocciose dei
canyon, il colpo di fulmine che porta l'eroe a innamorarsi della
ragazza che trova sul proprio cammino, ma anche il tema del bandito
che ha un delitto da riscattare per riparare al male inferto agli
altri. Belle descrizioni, grande senso del ritmo Dopo indiani e
mandriani, arriva la stilettata a danno dei messicani. "Non
sei più negli Stati Uniti, sei nel vecchio Messico... Qui può
succedere di tutto."
La frase arriva a commento di un assassinio a sangue freddo, con un
colpo sparato nella schiena della vittima sotto gli occhi di tutti e
in modo impunito. Howard traccia così una situazione ambientale,
quella messicana, in cui non vi è neppure l'esigenza di salvare le
forme, con ipocrisie o escamotage atti ad aggirare la legge. Niente
di tutto questo, in Messico il crimine avviene alla luce del sole e
in modo impunito.
PROTAGONISTI
SERIALI
Sono
cinque i personaggi western ritornanti ideati da Robert Ervin Howard,
oltre a un sesto, El Borak (pseudonimo di Francis Xavier Gordon),
utilizzato in storie di altro genere (ambientate in Afghanistan) ma
comunque di provenienza western.
Di questi personaggi, curiosamente, solo due sono apparsi sui pulp
magazine quando
Howard era ancora in vita: il pistolero tutta forza e zero cervello
Breckinridge Elkins e il suo emulo, ma più sveglio e più snello,
Buckner Jeopardy Grimes, uscito in un numero di Cowboy
Stories nel
mese della morte di Howard. Una coppia che anticipa di trent'anni il
duo Bambino e Trinità che farà la fortuna del western comico
italiano all'insegna del sorrisi & cazzotti, a dimostrazione di
quanto possa sembrare originale abbia sempre un antenato storico.
BRECKINRIDGE
ELKINS
Tra
i personaggi più longevi dell'intera produzione di Robert Ervin
Howard, con un numero di gettoni inferiore ai soli Conan Il Barbaro
(ventotto storie) e Steve Costigan (ventisette storie), figura
Breckinridge Elkins. Protagonista di ventitré storie,
oltre di una ventiquattresima ingiustamente ascritta al ciclo Buckner
J. Grimes
e di un romanzo a episodi (A
Gent of Bear Creek),
è il primo personaggio western ritornante che compare nel mondo
editoriale a firma Robert Ervin Howard. Il suo avvento si rivela
piuttosto rivoluzionario nella produzione dello scrittore texano.
Howard volge verso la parodia i super eroi muscolari che gli avevano
permesso di farsi un nome in riviste quali Weird
Tales, Oriental Stories e
Fight
Stories.
Gli eroi cupi
e privi di umorismo e le belle e sensuali femmine che la narrativa
pulp richiedeva lasciano spazio a soggetti impacciati, lenti,
involontariamente comici, uomini che vengono respinti dalle donzelle
di turno e che si battono contro bifolchi, furbetti e parenti
alquanto farseschi. Howard sembra divertirsi nel creare situazioni
comiche non rinunciando tuttavia all'azione e al ritmo. Alcuni
critici sostengono che il ciclo Breckinridge rappresenti una “faccia
della stessa medaglia, l'una che fornisce una fantasia erotica
soddisfacente (e commerciabile), e l'altra che scopre una parte
essenziale di Howard nell'amabile e inespugnabile idiota, i cui
poteri fisici rappresentano la meta verso la quale l'autore aveva
così assiduamente allenato il proprio corpo per raggiungerla.”
È dunque un Howard autoironico, che gioca con sé stesso, quello che
i lettori si apprestano a scoprire.
L'idea
del personaggio nasce a seguito delle storie incentrate su alcuni
miti del folklore e della tradizione orale americana, quali Paul
Bunyan,
John Henry
e Pecos Bill. Proprio dalla serie di racconti legati a Pecos Bill
arrivano molte delle idee che si ritroveranno nel ciclo Breckinridge.
Cowboy texano decisamente sopra le righe, ben al di là delle umane
possibilità e in linea ai contenuti della favola farsesca, Pecos
Bill vantava di esser stato allevato dai coyote e cavalcava un
cavallo selvatico ingovernabile per ogni altro uomo. Abile nel
maneggiare i serpenti, al punto da utilizzarli come lazo o come
frusta d'occasione, era persino in grado di cavalcare i puma. Howard
non si lascerà sfuggire l'occasione di recepire simili
caratteristiche per plasmarle in vista della sua nuova creatura. Il
ciclo Breckinridge diviene così un banco di prova all'insegna della
comicità e della satira grottesca, un contenitore di storie utile a
tastare il polso dei lettori che premieranno l'iniziativa, portando
l'autore a dar vita a una serie di nuovi personaggi, più o meno
cialtroneschi, protagonisti di ulteriori serie western. C'è chi ha
scritto che queste western
stories
costituivano “una
sorta di corazza di autoironia e parodia che lo scrittore si era
forgiato contro il mondo circostante con cui lottava e divergeva.”
Ciò
che è certo è che attraverso queste storie l'autore poteva parlare
di luoghi, usanze e personaggi di cui aveva cognizione diretta, ma
anche di inserire qualche stoccata al mondo moderno che sentiva assai
lontano dal suo modo di concepire l'ideale società umana.
Alla
maniera di molti altri personaggi howardiani,
Breckinridge, per gli amici semplicemente “Breck”, è un ragazzo
dalla mole ciclopica, alto due metri e con una struttura fisica che
porta molti a paragonarlo a un grizzly. Tanto potente quanto rozzo e
non acculturato, è originario di Bear Creek, immaginifica cittadina
montana del Nevada. Si definisce pacifista, ma è sempre coinvolto in
risse altamente distruttive tanto da essere preceduto da una fama
tutt'altro che raccomandabile giunta anche in luoghi da lui non
ancora visitati. Generoso e buono di animo, è penalizzato da un
atteggiamento a dir poco infantile. Incapace di comprendere i propri
limiti, non accetta di vedersi superato in astuzia, cosa che
puntualmente avviene nonostante i suoi sforzi. Manipolato e tradito
di continuo, è forse il personaggio più ritardato dell'intera
produzione di Howard. Eppure riesce sempre a farsi rispettare, a suo
modo, ricorrendo alla devastazione che poi tenta di addebitare ad
altri. I suoi resoconti, tutti in prima persona, iniziano spesso con
la frase “non
è colpa mia se...”
Un
modo di fare che ricorda un po' la conclusione delle esperienze del
suo stesso autore, solito a litigi più o meno burrascosi con i
tantissimi datori di lavoro con cui cercava di collaborare. “Tanti
uomini pensano che un impiegato sia una specie di servo. Io sono di
buon carattere e accomodante, e detesto e mi ritraggo da baruffe di
ogni tipo; ma non è bene che un uomo ingoi tutti” dice
di se Howard, che poi nella vita risulta essere tutt'altro che
accomodante e refrattario alle baruffe. Non a caso l'amico scrittore
Edgar Hoffmann Price, nel leggere un suo racconto western umoristico
pubblicato alla memoria dell'autore, scriverà che Howard e i
protagonisti dei suoi western umoristici erano la stessa persona. Una
somiglianza non solo caratteriale e comportamentale ma anche fisica.
Nevrile, distruttivo, Breckinridge è sorretto da una possanza fisica
che impressiona gli interlocutori, impotenti al suo cospetto. Colpi
di bastone in testa, cazzotti e persino le pallottole non sembrano
frenarlo. Ogni eroe però ha il suo tallone d'Achille e nel caso di
Breckinridge il punto debole è la ridotta intelligenza o, meglio
ancora, l'ingenuità. Convinto di possedere un irresistibile sex
appeal, si propone in quasi tutte le storie a una donzella diversa,
ma ognuna di queste finisce per sfuggirgli, scappando col primo che
capita pur di evitare le richieste di matrimonio del nostro. "Era
già abbastanza dura, ma il fatto di doverti sposare è stata
l'ultima goccia. Sei stato molto gentile con me, ma sarebbe come
sposare un grizzly"
gli lascia scritto una ragazza. I parenti rincarano la dose non
lesinando critiche: “Quando
la natura ti ha dato il corpo di un gigante, ha dimenticato di darti
un cervello da affiancare ai tuoi muscoli”.
Breckinridge fa ben poco per dimostrare il contrario, manovrato in
modo sistematico per la sua difficoltà ad andare oltre le apparenze
o per i suoi continui errori di valutazione. Nonostante questo riesce
sovente a risolvere gli intrighi, più per fortuna che per bravura,
mentre rilassa i nervi sparando sui cappelli di coloro in cui si
imbatte giusto per contenere la sua indole a menare le mani. Combatte
contro i grizzly (scambiandoli per uomini!?), addormenta con pugni in
testa i puma e poi li trascina per la collottola, utilizzandoli come
armi improprie, mentre cavalca l'immancabile Captain Kidd.
Quest'ultimo non è a di meno del suo proprietario. Cavallo
selvaggio, il più veloce dello stato, si fa cavalcare solo dal suo
padrone. Breckinridge l'ha catturato sugli Humboldt ed è riuscito a
domarlo. Di mole statuaria, è l'unico cavallo in grado di sostenere
il peso di Breckinridge. Ha“il
sangue di un pittore nelle vene e l'indole di uno squalo” spiega
il pistolero. Lo vediamo scartare, scalciare e mordere gli altri
cavalli, ma anche recuperare clamorosi distacchi e permettere al
nostro di darsi alla fuga quando è inseguito dai manigoldi. Un vero
demonio a quattro zampe esorcizzabile solo dal suo proprietario.
Vediamo dunque come Howard costruisca la dimensione in cui si muove
il suo personaggio, accompagnato da parenti serpenti ritornanti e da
cliché comportamentali ripetuti, molto prossima alla logica del
fumetto.
Da
un punto di vista strutturale, le storie sono narrate in prima
persona e in dialetto montanaro. È lo stesso Breckinridge a
raccontarci i fatti, partendo il più delle volte con una serie di
giustificazioni finalizzate a smontare le accuse di distruzione di
volta in volta avanzate contro di lui dagli abitanti dei paesini dove
si è trovato a mettere piede. “La
gente che ha cuore la propria pelle dovrebbe stare alla larga da
tornado, tori selvaggi, torrenti straripati e da un Elkins
insultato!”
tuona. Il taglio delle storie è parodistico, sebbene si spari, ci si
ferisca e non manchi l'azione. Trent'anni prima della deriva comica
del western all'italiana, con l'avvento dei cosiddetti fagioli
western, vediamo già qui pistoleri costretti alla fuga in mutande,
altri che saltano in aria perché colpiti da fucilate nei glutei con
colpi che invece di squarciare la carne sortiscono l'effetto tipico
dei proiettili di sale; inoltre si assiste sovente a rocambolesche
missioni in cui Breckinridge cerca di aiutare amici o parenti finendo
per combinare una catena di pasticci degni degli sviluppi di una
commedia degli equivoci. Sono infatti gli equivoci in cui cade
Breckinridge la costante dell'intera produzione.
L'unicità
del personaggio viene altresì testimoniata dal tentativo di Howard
di tramutare le sue storie in un romanzo a episodi. Sul finire del
1935, lo scrittore texano, forte del successo mietuto dai racconti,
pensa di pubblicare il suo primo libro assoluto. Aveva già tentato
in precedenza di dare alle stampe raccolte di racconti o di poesie,
senza mai trovare i giusti riscontri. Per realizzare il nuovo
progetto, raccoglie i primi nove racconti usciti su Action
Stories dal
marzo del 1934 all'agosto del 1935,
li riscrive con lievi modifiche e li combina con quattro storie
inedite (tre delle quali mai apparse su Action
Stories)
scritte appositamente per l'operazione con la funzione di fare da
collante, così da dar vita a un romanzo a episodi legati da un trait
d'union.
Il “romanzo” viene intitolato A
Gent from Bear Creek e
presenta la novità dell'introduzione di un nuovo personaggio: la
rude Glory McGraw, una montanara tutt'altro che seducente e
romantica. È lei la vera e sola fidanzata di Breckinridge, l'unica
donna che può davvero amarlo e comprenderlo. "Non
c'è una ragazza a Bear Creek, nemmeno le mie sorelle, che sappia
brandire un'ascia come lei, o friggere una bistecca altrettanto
saporita, o preparare semolini altrettanto buoni, e non c'è nessuno,
uomo o donna, che possa superarla, a meno che non sia io"
dice entusiasta di lei Breckinridge, che poi però finisce per
perdere la testa per le ragazze della città che puntualmente lo
respingono. La storia d'amore tra i due procede a corrente alternata
e ricorda un po', per rendere l'idea, il canovaccio de Il
Ragazzo di Campagna (1984),
il film comico anni ottanta con Renato Pozzetto protagonista. Il
“nostro” cerca di concedersi svariate scappatelle, perché reputa
le ragazze della città superiori, salvo tornare sempre da Glory, tra
le montagne. Lei lo accoglie a suo modo, rompendogli in testa “pietre
grandi come un'anguria” con Breckinringe che le assicura di non
aver amato nessun'altra ragazza al di fuori di lei: “Non
ho mai visto una ragazza che possa arrivare a cento miglia da te
nell'aspetto e nel coraggio...” Alla
fine Glory accetterà la proposta di matrimonio dell'uomo, destinato
a esser dominato dalla stessa come già successo a svariati
personaggi della serie.
Il
libro va in porto, ma Howard non riesce a piazzarlo agli editori
americani. Solo nel 1936 chiude un contratto con un piccolo editore
inglese: Herbert Jenkins. L'accordo prevede la pubblicazione di A
Gent from Bear Creek e
di un romanzo weird che non vedrà mai la luce.
Nonostante la morte dell'autore, il romanzo viene pubblicato in
Inghilterra, dove c'è una discreta domanda di racconti western.
Esce in due edizioni. Nel 1937 compare sul mercato al prezzo di sette
scellini e sei pence in volume rigido con una copertina a colori, in
cui è raffigurato un cowboy in sella a un cavallo pezzato
imbizzarrito. L'uomo tiene una pistola in pugno rivolta verso il
cielo. In quarta di copertina due cowboy in un duello a fuoco
impreziosiscono l'accattivante veste grafica. Inoltre un'attraente
bionda, con cappello e foulard verde, adorna il dorso del volume.
Sulla copertina, gli addetti al marketing, paragonano Howard
all'”umorismo
inconscio” di
Bret Harte (1836-1902).
Nel 1938 esce una misteriosa seconda versione economica, al prezzo di
due scellini e sei pence, che sembra non esser stata vista da nessuno
degli studiosi contemporanei dell'autore.
Come se non bastasse, il successo viene frenato dallo scoppio della
seconda guerra mondiale e dall'ordine del governo inglese di
requisire tutti i volumi in commercio per destinarli al macero così
da soddisfare
il fabbisogno di carta. Una decisione questa che trasforma il volume
in un incredibile cimelio da collezione degno delle ricerche del
Lucas/Dean Corso de Il
Club Dumas di
Arturo Perez Reverte poi trasposto al cinema col titolo La
Nona Porta. Già
di suo scarsamente distribuite, le copie della prima edizione
finiscono infatti con l'andare pressoché estinte. A oggi si parla di
un numero di copie variabili, a seconda delle fonti, dalle sei alle
diciotto,
due delle quali conservate in biblioteche inglesi, una (in origine
appartenuta al padre di Howard e inviata in omaggio dall'editore
inglese) custodita in Texas presso la biblioteca del Ranger Junior
College di Ranger, un'altra passata di mano in mano a suon di
migliaia di dollari a ogni passaggio. Si tratta di copie sprovviste
di sovraccoperta, a differenza invece del volume attualmente in
possesso di Patrice Louinet (pagato, nel giugno del 2017, 18.000
dollari), in precedenza di proprietà dello studioso Glenn Lord
(1931-2011) di Pasadena (Texas) che l'aveva acquistato negli anni '70
per 4.000 dollari dagli eredi dello scrittore ed editore August
Derleth (1909-1971); una copia che presenta una scritta olografa
dell'ex possessore a inizio libro. Pazzesca poi la notizia secondo la
quale una copia, apparsa dal nulla, sarebbe stata ceduta il 15 luglio
del 2006 su AbeBooks da un poco accorto venditore che, non essendo a
conoscenza del valore del libro, se ne sarebbe disfatto a modico
prezzo in favore di un acquirente in vena di affari, tanto da
rivenderla pochi giorni dopo su ebay per 8.500 dollari. La copia è
poi finita nella collezione privata di Edward Gobbett. Quattro anni
prima un'altra copia, sempre su ebay, è stata piazzata a 2.465
dollari da un libraio inglese a un collezionista privato. Un'altra
copia, contro il pagamento di 3.700 dollari, è finita nel 2002 al
REH Museum di Cross Plains dopo esser stata salvata dalla distruzione
in Sud Africa dal libraio Ian Snelling di Forest Town. Sembra che il
volume sia stato ritrovato all'interno di un cestino degli scarti
poco ore prima di esser destinato al macero.
Dunque
un volume divenuto col tempo una rarità tale da aver trasformato il
debutto letterario di Howard nell'opera di maggior pregio economico
di tutta la sua produzione.
Il personaggio però, come abbiamo anticipato, appare qualche anno
prima, nel marzo del 1934, col racconto Mountain
Man,
un titolo che rimanda a Bud Spencer.
A dargli ospitalità è la rivista Action
Stories,
periodico multidisciplinare presso il quale Howard era già
conosciuto a partire dal gennaio del 1931 per precedenti
pubblicazioni (cinque) della serie Steven Costigan. Su Action
Stories il
personaggio trova patria pressoché esaustiva, con una sola eccezione
su Star
Western,
beneficiando di uscite piuttosto regolari. Nel 1934 vi compaiono
cinque racconti, sei nel 1935 e sette nel 1936, con un ottavo in
uscita nel gennaio del 1937, prima di un lungo silenzio.
Howard riesce a vederne pubblicati addirittura quattordici, tutti su
Action
Stories,
a dimostrazione del successo ottenuto nel pubblico, tanto da essere
la terza serie più longeva durante la vita dell'autore. I compensi
si aggirano sui sessanta dollari a testo, per una una lunghezza media
a racconto di 35.000 battute. Le entrate economiche però, come
spesso avviene, non vanno di pari passo con la qualità dei racconti.
La copiosità delle uscite e la spinta a scrivere per racimolare
fondi si riflettono in modo evidente sui testi che, a mano a mano che
la serie prosegue, tendono a diventare ripetitivi con sviluppi di
storia ricalcati sui precedenti episodi.
Il
registro della serie è fin subito delineato nel racconto Mountain
Man.
Breckinridge viene portato in scena come se fosse un ragazzone
ritardato non ancora maggiorenne e alle prime esperienze di vita. Il
padre lo spedisce in città per andare a recuperare una lettera
giunta dal Mississippi. Mai allontanatosi oltre trenta miglia, il
giovane parte in sella a un mulo, scendendo la montagna in direzione
della valle. Il padre gli impartisce ogni sorta di consiglio, in
particolare lo invita a non opporre resistenze al cospetto di uomini
che hanno una stella d'argento appuntata sul petto. Derubato nel
corso del viaggio di tutti i vestiti, Breckinridge ricambia il favore
depredando un solitario e strano individuo appiedato, vestito con
abiti cittadini. Il cambio di vestiti porta alcuni scommettitori
della città, presso cui è diretto Elkins, a scambiarlo per il
famoso pugile fatto venire da lontano per battere il campione della
città confinante. È l'inizio di una serie di incomprensioni che
innescano una storia rocambolesca e paradossale che porta
Breckinridge a vagare con pantaloncini che gli cadono di continuo
sulle ginocchia, mentre si confronta con pistoleri rimasti in
mutandoni e con un pugile in un incontro di box che si trasforma
presto in un confronto di lotta libera, con tanto di morsi alle
orecchie di tysoniana
memoria. Alla fine, tra mille peripezie, Breckinridge riuscirà a
giungere alla stazione postale, approfittando di una rissa generale
scoppiata per via dell'arrivo del vero pugile che si è portato
dietro un gruppo di uomini. Giunto all'ufficio, dopo aver sventato
una rapina ai danni delle casse postali, Breckinridge scopre che la
lettera che il padre avrebbe dovuto ritirare era indirizzata a
un'altra persona... la distruzione delle poste sarà l'inevitabile
risultato finale. “La
prossima volta che papà riceverà una lettera all'ufficio postale,
se la verrà a prendere da solo, perché è evidente che la civiltà
non è un posto per un ragazzo che non abbia raggiunto la piena
crescita e forza.”
Sulla
stessa falsa riga, ma meno comico e con scene più cruente è Scalp
Hunter.
Breckinridge, sempre confusionario e avventato, appare più maturo e
più sveglio, in sella all'inseparabile Captain Kidd. Nell'occasione
giunge a Grizzly Claw per cercare di scoprire cosa sia successo al
vecchio zio che, come spesso succede con Howard, si chiama Jeppard
Grimes (nome che ricorda l'altro celebre personaggio ironico del
texano). A un bivio, infatti, un conoscente fa cenno a Breckinridge
che a Grizzly Town qualcuno ha fatto qualcosa di terribile allo zio
ma che, a causa di un colpo in testa, non riesce a ricordare cosa gli
sia stato detto in merito. Breckinridge parte alla volta della città
dove, una volta giunto, si mette subito in mostra in negativo,
coinvolto in una serie di fatti rocamboleschi che lo portano a esser
additato per un falsario, un azzoppatore di muli, un bruciatore di
case e un killer. Grizzly Claw è una città strana, popolata da
simulatori, pretenziosi, persone che ingigantiscono i fatti e
sceriffi paurosi. La prima parte del racconto è decisamente comica,
finché Elkins non sente parlare alcuni individui dello scalpo di
Jeppard Grimes. Convinto che lo zio sia stato scalpato, Breckinridge
carica, alla maniera di una bestia feroce apparsa dal nulla, quelli
che crede essere gli assassini del parente. Sfonda porte e pareti di
legno alla maniera di Lou Ferrigno ne L'Incredibile
Hulk.
Ancora una volta, troviamo pistoleri che perdono capi di indumento,
scappano a piedi scalzi, con camicie e pantaloni ridotti a brandelli,
prendono colpi di pistola nei glutei. Deciso a fare giustizia,
Breckinridge segue i fuggitivi nel rifugio degli stessi. Smantella
per tale via la banda di falsari che spacciavano soldi falsi a
Grizzly Claw, pur rischiando di esser arrestato dallo sceriffo che
gli vorrebbe imputare lo stesso delitto oltre che assassinio e
maltrattamento di animali. Se ne ritorna così a casa, triste per non
esser riuscito a farsi giustizia da solo e non aver avuto la
possibilità di sfidare a duello gli scalpatori dello zio. Questi
ultimi, pur di esser sottratti dalle grinfie del gigante, hanno
implorato lo sceriffo di esser arrestati e per questo hanno
confessato i loro reati. Sul viaggio di ritorno però si confeziona
la beffa. Breckinridge ritrova l'amico che gli aveva parlato della
tragedia dello zio. L'uomo lo ferma e gli dice di ricordarsi cosa
fosse successo. Breckinridge fa cenno allo scalpo e l'amico annuisce,
dicendo che suo cugino gli aveva detto di dirgli di stare attento ad
alcuni truffatori di Grizzly Claw che avevano preso lo scalpo di
Jeppard rivogandogli moneta falsa...!!! Ancora una volta,
Breckinridge si è trovato coinvolto in risse, sparatorie,
distruzioni varie e minacce di arresto senza che vi fosse ragione
alcuna. Lo scalpo di cui si parla infatti non riguarda il cuoio
capelluto dello zio Jeppard bensì quello di un suo vecchio scalpo
venduto ai truffatori. Breckinridge, conscio di esser stato vittima
di un malinteso, non la prende bene. Si lancia dietro all'amico con
fare omicida, inseguendolo per cinque miglia giù dalla montagna,
assicurando di non aver intenzione di ucciderlo ma di incaprettarlo
con un bel nodo al collo per aiutarlo a ricordare meglio. “Questa
gente che va in giro a raccontare che ho buttato il sindaco di
Grizzly Claw giù per una scalinata con un fornello da cucina non ha
ancora aggiunto che il sindaco stava cercando di farmi fuori con un
fucile a canne mozze. Se fossi una testa calda come alcuni che
conosco, potrei inoltre perdere facilmente le staffe per quanto ho
sentito dire circa il fatto che avrei premeditato quanto è successo
a Grizzly Claw, ma essendo timido e riservato per natura, mantengo
la mia dignità e mi limito a dire che questi pettegoli sono dei
bugiardi ad avermi incolpato, e che, se li acciuffo, li prenderò a
calci nelle orecchie!”
Meno
riuscito ma comunque di qualità è A
Gent of Bear Creek,
sempre costruito su
un
equivoco che induce Breckinridge ad azionarsi per scongiurare una
faida in famiglia. Al centro della contesa vi è un malloppo di
pepite scoperto per caso e in tempi diversi da più ritrovatori,
tutti parenti del nostro (due cugini e uno zio), in un anfratto della
montagna. Il bottino è scomparso nel nulla con ogni ritrovatore che
accusa gli altri di averlo trafugato. Breckinridge fatica a
convincere i parenti a non farsi giustizia da soli, riuscendo a
ottenere una tregua di ventiquattro ore così da poter recuperare il
malloppo. Il nostro si dice infatti convinto che autore del furto sia
stato uno straniero di passaggio. Così, sulle tracce dello
sconosciuto, Breckinridge si reca nella cittadina di Wampum, dove
salva un bandito dalla forca liberandolo dal cappio che lo sta
strozzando. Il gesto non viene affatto tollerato dallo sceriffo che,
sopraggiunto in città, fa incarcerare Breckinridge, nonostante il
pistolero gli riferisca di esser giunto in paese per recuperare da un
forestiero il bottino che lo stesso ha illegittimamente trafugato.
C'è un particolare però: nessuno è colui che dice di essere. Lo
sceriffo infatti è un bandito, colui che è stato salvato
dall'impiccagione è il vero sceriffo, mentre l'individuo ricercato
da Elkins altro non è che un uomo di fiducia del falso sceriffo.
Questo, pena regolamento dei conti, prende al volo l'occasione per
impartire al suo uomo l'ordine di consegnargli il denaro trafugato.
Quest'ultimo però non sa niente del bottino, ma impaurito
dall'ordine si attiva per racimolare la somma indicata.
Intanto
Breckinridge, salvato dalla banda dello sceriffo destituito, evade
dal carcere e recupera la somma trafugata dallo straniero, facendo
fuori la banda di malviventi. Il tutto viene compiuto oltre le
ventiquattro ore pattuite. Per fortuna di Elkins però il bottino di
cui i parenti lamentavano la scomparsa non è stato sottratto da
alcun ladro, ma dal bimbo dello zio di Elkins, che ha utilizzato le
pepite come proiettili per il suo fucile da gioco...!!! Tra
un'imprecazione e l'altra, il nostro dona quanto recuperato alla
ragazzina che lo ha liberato dalla prigionia.
Esilarante
è The
Road to Bear Creek,
uscito nel dicembre del 1934, dove Breckinridge riceve l'incarico dal
padre di convincere e scortare lo zio in paese dopo un'assenza di
numerosi anni. L'uomo ha infatti un temperamento focoso e un passato
in cui si è scontrato col padre di Breckinridge. Certo di trovarlo
quale passeggero di una diligenza, il “nostro” si reca nella
cittadina di War Paint dove è previsto l'arrivo dello sconosciuto
zio, un tempo facilmente riconoscibile per i baffoni rossi. Celato e
ben attento a non indurre sospetti nello sceriffo, Breckinridge nota
scendere dalla diligenza tre uomini, uno dei quali con due baffi
rossi. Certo di aver riconosciuto lo zio, Breckinridge lo invita a
seguirlo, trovandosi sotto il fuoco dei due loschi figuri che l'uomo
si porta dietro. Ha inizio un vero e proprio rapimento, con un lungo
inseguimento condotto sia dagli uomini radunati dallo sceriffo, certi
di avere a che fare con un manigoldo autore di sequestro di persona,
sia da quelli facenti capo al più pericoloso bandito della zona, che
vogliono invece mettere le mani sul rapito perché lo credono in
possesso di una grossa somma di denaro. Tra peripezie continue,
scazzottate e sparatorie, Breckinridge riuscirà a condurre l'uomo a
Bear Creek, con questo che, per nulla convinto dei proclami di
salvezza gridati dal giovane, lo implorerà in tutti i modi di
lasciarlo andare fino a indicare un luogo in cui avrebbe nascosto un
ingente bottino. "Sono
un uomo distrutto! Prendi il mio segreto e lasciami tornare dalla
banda. Tutto quello che voglio ora è una buona e sicura prigione."
Ferito,
più volte disarcionato di sella, colpito al capo e con i vestiti
ridotti a brandelli, il presunto zio viene condotto al cospetto del
padre di Breckinridge.
Non dimenticate però che siamo in un ciclo comico, dove le
incomprensioni sono di casa. “I
baffi rossi, col tempo, diventano grigi” commenta
una voce, alle spalle di Breckinridge e dell'uomo con i baffi rossi,
mentre i due sono al cospetto del padre di famiglia. È il vero zio
Esau Grimes a parlare, l'uomo a cui Breckinridge ha sparato a inizio
racconto gridando: "Così
impari a interferire negli affari di famiglia!"
Curato da una ferita di striscio alla testa, Esau è giunto per conto
proprio a destinazione, in sella al suo cavallo (perché le diligenze
sono roba per donne e bambini), sfruttando le tracce lasciate dal
nipote inseguito da tutti i banditi di zona e dagli uomini di legge,
perché l'uomo rapito altro non è che un rapinatore di banche
artefice di un grosso colpo. Errori di persona e incomprensioni sono
ancora una volta la linfa di un racconto altamente ironico.
"Cosa
farete con me?"
chiede il bandito. Il padre di Breckinridge, cercando di
tranquillizzarlo, assicura che sarà curato e poi ricondotto dal
figlio a War Paint, città da cui è stato tratto. Invece di esser
sollevato, l'uomo, non appena sente di dover finire di nuovo nelle
mani di Breckinridge, ha una reazione imprevista. “Ehi,
che cos'ha?"
chiede il padre del giovane pistolero, ma lo sconosciuto è svenuto
al pensiero di dover intraprendere una nuova odissea...
I
racconti della stagione successiva, il 1935, iniziano a ruotare su
una serie di ragionamenti relativi alla figura femminile, dipingendo
la donna quale “una
trappola e un'illusione.” In
The
Haunted Mountain,
uscito nel febbraio del 1935,
la
donna è rappresentata quale trappola. Tutti i soggetti protagonisti,
infatti, sfuggono da donne virago, preferendo l'isolamento in miniere
reputate stregate dai messicani e la compagnia di grizzly. Nonostante
i tentativi di evasione però non riusciranno a liberarsi dalla
caparbietà delle loro compagne. Breckinridge
protesta nei confronti della disillusione dei più anziani compagni
di avventura: “Cosa
in questo mondo schifoso e tormentato può essere paragonato alla
dolcezza delle donne?” dice
col suo consueto fare romantico.
L'irruzione
grezza e brutale della moglie dello zio, partito alla ricerca di una
miniera inesistente e braccato da due “idioti” in cerca dell'uomo
delle caverne, farà ricredere il “nostro.”
In
War
on Bear Creek,
di due mesi successivo,
assistiamo
all'innamoramento di Breckinridge, che si reca addirittura dalla
ragazza che gli ha rapito il cuore per prendere lezioni di “inglese”.
Convinto di essere irresistibile, peculiarità che accompagnerà
l'intero ciclo, annuncia alla giovane che sarà sua moglie, lasciando
la stessa stupefatta.“Non
tutte le ragazze hanno la possibilità di sposarsi con Breckinridge
Elkins, quindi non la biasimavo per essere eccitata” commenta
al ricordo il “nostro”, impegnato a condurre in giro per i boschi
un imbranato cacciatore inglese che spara in continuazione verso
bersagli che crede essere animali e invece sono i parenti di
Breckinridge.
Giudicato uno scemo ritardato dal “nostro”, l'inglese fa
innamorare la giovane maestra e fugge con questa, mentre Breckinridge
viene coinvolto in una rissa di famiglia per proteggere il forestiero
che, a sua insaputa, si è dato alla fuga. La delusione finale viene
amplificata dal tentativo di salvataggio del “nostro” che si
lancia, tra le fiamme, nella casetta di legno della maestrina e
trascina fuori un corpo scalciante. Certo di aver salvato
l'innamorata, si ritroverà tra le braccia il peloso e baffuto zio
penetrato là dentro per mettere le mani sull'inglese. Quando si suol
dire: cornuto e mazziato.
Di
qui in avanti, dopo sette uscite, il ciclo Breckinridge si rende
compassato e ripetitivo. Howard mantiene la struttura e i toni, ma
lesina in fantasia. Pur cambiando gli intrecci, i plot
diventano simili tra loro e solo di rado riescono a innovare il
ciclo. In The
Feud Buster,
del giugno del 1935,
la
ricerca di un fidanzato che si è vantato di aver lasciato la sorella
di Breckinridge Elkins si trasforma in una caccia all'uomo che porta
il nostro, pur di mettere mano sullo svergognato e costringerlo a
riparare in matrimonio, a debellare una banda di manigoldi
contrapposta a un'altra, salvo poi scoprire che è l'uomo è esser
stato lasciato dalla donna.
Ripetitivo
è Cupid
from Bear Creek,
dell'agosto del 1935,
dove
Breckinridge viene assoldato da un conoscente per trasportare un
carico di pepite per il west, con l'invito di rintracciare un
reverendo. Il “nostro” accetta con entusiasmo, perché chi lo ha
incaricato è un rivale in amore che gli ha garantito di aver
programmato di sposarsi con un'altra ragazza a condizione di condurre
in città il reverendo. Ciò che il “nostro” non sa è di esser
stato giocato dal rivale, che ha programmato di sposare proprio la
ragazza contesa, trovando un modo per far allontanare l'avversario,
mentre questo, avvicinato da un tizio che si spaccia per il citato
reverendo, dovrà vedersela col più pericoloso bandito di zona
(allettato dalle pepite). Ribaltamenti dei ruoli, col bandito che
finisce per implorare Breckinridge di liberarlo, pur di sottrarsi
dalle involontarie torture dello stesso che lo vorrebbe portare in
città per celebrare il matrimonio dell'amico. Ripetitivo anche The
Riot at Cougar Paw, dell'ottobre
1935,
in
cui Breckinridge diviene vittima di uno scherzo del fratello che lo
manda in un paese confinante per farsi dare quanto un tale gli ha
promesso. Il “nostro” si troverà così alle prese con un
soggetto manesco intenzionato a vendicarsi di un precedente pestaggio
subito dal fratello del “nostro”. Classica distruzione di saloon,
risse e arresto di Breckinridge per gli atti compiuti, con successiva
liberazione a condizione che lo stesso cacci dal paese un nuovo
gigante dalla mano calda: il cugino Bearfield Buckner...
Banale
The
Apache Mountain War dove
il tentativo di dissuadere uno zio ubriacone dall'alcool ottiene
effetti diametralmente opposti. Breckinridge ricorre a un mulo
zebrato per convincere il parente degli effetti distorsivi delle
sostanze ingerite, se non fosse che l'uomo, di ritorno dal saloon per
una volta sobrio, alla vista dell'animale, si convince di esser
affetto da allucinazioni dovute all'acqua ingerita nella giornata,
giurando pertanto di non bere più una simile schifezza...
La
serie gode di una ripresa di qualità nel 1936, ultimo semestre di
attività di Howard. Nel febbraio di quell'anno esce Pilgrims
to the Pecos,
racconto che testimonia la vicinanza del ciclo a Lo
Chiamavano Trinità,
e non certo per la famosa battuta proferita dal padre di Trinità -
nel vedere l'acqua sporca della tinozza da cui fuoriesce il figlio –
in Continuavano
a Chiamarlo Trinità:
“non
vedevo tanta sporcizia dallo straripamento del Pecos...”
Protagonisti, infatti, sono due cugini maneschi, in rapporto tra loro
di odio e amore, che si trovano, ognuno per conto proprio, a dover
proteggere due gruppi di coloni refrattari alla violenza che si sono
stabiliti in una valle che fa gola, per i pascoli, a una banda di
messicani razziatori di cavalli. Breckinridge, incaricato dal padre
di condurre fuori Bear Creek un manipolo di indesiderati, incontra di
nuovo il cugino Bearfield Buckner, già suo rivale in The
Riot at Cougar Paw,
e sono scintille. I due, in competizione tra loro per permettere ai
rispettivi gruppi rappresentati di aver tutta la vallata, si sfidano
a colpi di pugni, di carte e infine a chi uccide più messicani della
banda del pericoloso Zamora, che non ha niente da fare che cercare di
mettere in fuga “le cornacchie” da una terra particolarmente
adatta al pascolo dei cavalli. I coloni, impauriti e inabili alle
armi, vorrebbero darsela a gambe, ma sono i nostri due esperti di
“sorrisi
& cazzotti” a
opporsi ai cattivoni. Se già tutto questo ricorda il film diretto da
Barboni, non è da meno l'epilogo all'insegna dell'amore sociale, con
i due gruppi di coloni che decidono di spartirsi la vallata, ponendo
fine alla competizione tra i due cugini.
“Siamo sommersi da un casino di pacifismo. La razza sta
degenerando” afferma
Breckinridge, disgustato dall'arrendevolezza degli uomini. “Questa
atmosfera di amore fraterno è quanto di più possa sopportare!”
Da
puro westerner
Howard piazza un altro racconto meritevole di segnalazione, un'opera
in cui prende le distanze dalla nascente società del nuovo
millennio. In Pistol
Politics, dell'aprile
del 1936, il tentativo di importare la civiltà si trasforma in
risse, uccisioni e incremento di reati, ben oltre quanto prima
registrato, per effetto dei tentativi dei due candidati a sindaco di
racimolare nuovi elettori. Breckinridge, coinvolto nella campagna
elettorale col compito di condurre in città un uomo colto per
organizzare spettacoli utili a ottenere consenso, si trova a dover
riconoscere che “tutta
la legge di cui un uomo ha bisogno è una pistola infilata nei
pantaloni.
E l'unica cosa di cui ha bisogno è sapere da quale estremità della
pistola esce la pallottola." Divertente
l'atteggiamento del candidato sindaco che Breckinridge dovrebbe
aiutare ad aumentare i voti; a a ogni morte, impreca: “quello
era un mio elettore!”
L'impulso
innovativo tende a esaurirsi qua. Nel giugno del 1936, mese della
morte dell'autore, si torna ai tradizionali cliché con Evil
Deeds at Red Cougar.
Il “nostro” viene indotto a credere che una giovane donzella
braccata da un manipolo di uomini sia una verginella prossima a
cadere nelle grinfie di un gruppo di stupratori. Howard costruisce la
storia sui preconcetti e ribalta quanto sarebbe logico pensare per
tutto il corso del racconto. La giovane, dagli occhi dolci e dai modi
fini, rapisce il cuore alquanto volubile del nostro che pianifica un
agguato per mettere fuori combattimento gli inseguitori. Invitato
dalla giovane a entrare a Red Cougar, finisce per scontrarsi con una
banda di bulli che gravita attorno al saloon e che manifestano il
loro odio verso gli stranieri. La potenza di Breckinridge non passa
inosservata agli occhi del barista che gli confida di esser stato
vittima di un furto di un carico di pepite d'oro per mano di un
manigoldo che si nasconde sulle montagne. Breckinridge, sempre molto
generoso nel concedere il suo aiuto, garantisce all'uomo di
recuperare quanto gli è stato tolto. Prima però di lanciarsi sulle
montagne passa dalla giovane a cui ha salvato la vita, immaginando
già di sposarla. Questa lo accoglie e lo induce a parlare.
Breckinridge le dice tutto e non sospetta della buona fede della
giovane, neppure quando questa esce per poi rientrare dicendogli di
andare sulle montagne insieme a un suo cugino.
L'uomo, un
componente della banda del boss di Red Cougar, riesce a farsi dire
dove è nascosto il detentore delle pepite e una volta ottenuta
l'informazione colpisce alla testa col calcio del fucile
Breckinridge. Il fucile però si spezza in due, senza che il
pistolero subisca effetti. L'ingenuità di Breckinridge è tale da
fargli pensare che il giovane compagno di avventura sia vittima di
una patologia psichica. Neppure quando questo cercherà di rivelargli
come stanno le cose Breckinridge riuscirà a connettere. Intanto, il
detentore di pepite viene ritrovato esanime, malmenato e derubato.
Breckinridge riesce a fargli dire chi sia stato a ridurlo in quel
modo e scopre che le pepite sono ora in mano del boss di Red Cougar.
Parte così alla ricerca di quest'ultimo e, dopo scazzottata e
sparatoria, riesce a recuperare il bottino. Contento per aver assolto
al compito che gli era stato dato dal barista, Breckinridge viene
avvicinato da un gruppo di soggetti che sfoggiano stelle sul petto:
si tratta dei medesimi individui vittime dell'agguato iniziale.
Questi, sulle tracce di Breckinridge fin dall'inizio, prendono a
elogiarlo per aver sgominato la banda del boss di Red Cougar,
plaudendone l'intelligenza. Sono infatti convinti che Breckinridge
abbia adottato una strategia ben definita fingendosi idiota al punto
da manipolare la fidanzata del boss di Red Cougar e il barista della
città. La realtà è ben diversa: Breckinridge è stato giocato sia
dalla giovane che dal barista, uno smidollato incapace di compiere
rapine se non per interposta persona. Il detentore di pepite infatti
era un cercatore d'oro costretto a nascondersi sulle montagne per
sfuggire ai banditi di zona. Pur essendo stato preso di giro da
tutti, Breckinridge riesce a portare a termine con esito positivo la
missione.
In
High
Horse Rampage,
uscito nell'agosto del 1936,
si
rinnova il confronto tra Breckinridge e suo cugino Bearfield,
innescato da un rivale d'amore del secondo che convince il “nostro”
della sopraggiunta pazzia del parente. “Soffre
di allucinazioni. È convinto di dover sposare una tale Ann Wilkins
che neppure esiste” viene
detto. Di nuovo giocato dagli sconosciuti e aiutato da un sedicente
professore inventore di un siero utile a curare i matti, Breckinridge
imprigiona il cugino pianificando di ricondurlo a casa. A nulla
servono le frasi dello stesso che sostiene di doversi spostare il
giorno successivo. Breckinridge prende ogni frase del cugino alla
stregua di un vaneggiamento fin quando scoprirà che colui che gli ha
dato l'informazione iniziale è scappato con una tale Ann Wilkins
dopo che il promesso sposto, un tale Bearfield, non si è presentato
sull'altare. Resosi conto di aver mandato all'aria il matrimonio del
cugino, Breckinridge scappa braccato dall'altro...
Similari
sono No
Cowherders Wanted e
The
Conquerin' Hero of the Humbolts,
pubblicati nell'annata, dove il “nostro” si innamora di donzelle
che in apparenza sembrano starci ma, in entrambi casi, finiranno per
unirsi ad amici che Breckinridge ha involontariamente aiutato a
conseguire proprio questo risultato. Nel primo caso, il “nostro”
viene chiamato in paese da un amico allo scopo di versare la cauzione
di dieci dollari necessaria a farlo uscire dal carcere. Il carcerato
lamenta una cucina a base di fagioli avariati e preme su Breckinridge
affinché questo effettui il pagamento. Il gigante però tergiversa,
perché è preso dalla volontà di conquistare una ragazza del posto
che sembra esser sensibile alle sue lusinghe. Così lo vediamo
spendere i soldi dell'amico per comprarsi una camicia e tentare, col
resto, di vincere a poker. Rimasto coinvolto in una rissa,
Breckinridge scopre di aver malmenato lo zio della sua futura sposa e
viene pertanto invitato dalla stessa a inseguirlo nel vicino paese
per potersi scusare. Così parte come un missile, non prima di aver
invitato la giovane a portare del cibo all'amico in cella. Quando il
“nostro” ritornerà dal viaggio scoprirà che la sua futura
moglie ha pagato la cauzione dell'amico, con un prestito ottenuto per
comprarsi un vestito per far colpo su Breckinridge, ed è fuggita con
lo stesso non prima di averlo sposato. Della serie: chi la fa
l'aspetti.
In
The
Conquerin' Hero of the Humbolts, Breckinridge,
su invito di un amico, smantella una banda di razziatori di bestiame
e di pelli, aiutando l'inetto sceriffo a essere rieletto.
Breckinridge non sa che così facendo permetterà allo sceriffo di
sposare la poca convinta fidanzata. La giovane infatti si è
impegnata con l'uomo solo a condizione che questo arresti la banda
che semina morte e disperazione in paese, spendendo una parola, in
caso contrario, proprio con Breckinridge, come al solito perdutamente
innamorato e non a conoscenza di chi sia il fidanzato della giovane.
Folle
ma sulla stessa linea è Sharp's
Gun Serenade,
uscito nel gennaio del 1937,
dove
Breckinridge salva dal suicidio un ragazzo che è stato abbandonato
dalla fidanzata e poi organizza una spedizione per strappare a una
cittadina confinante la nuova maestra incaricata di portare cultura
in paese. Innamorato a prima vista, Breckinridge incarica l'aspirante
suicida, fin lì legato e recalcitrante, a condurre la giovane a Bear
Creek, preparandosi a respingere i pistoleri del paese confinante. Al
ritorno in paese però il “nostro” troverà un biglietto ad
attenderlo: l'aspirante suicida e la giovane maestra sono fuggiti,
dichiarandosi amore eterno. Il racconto viene ispirato dalla visione
del film tratto dal romanzo The
Virginian (1902)
di Owen Wister (1860-1938), uno degli scrittori reputati fondatori
della narrativa western.
Howard, scherzandoci sopra in una lettera inviata all'amico Harold
Preece, scrive: “Ho
visto The Virginian
non molto tempo fa e mi è abbastanza piaciuto, a differenza di
Breck, il viriginiano non si è solo innamorato della maestra ma l'ha
anche sposata!”
Al
di là dell'ispirazione dichiarata, non può non constatarsi la
similitudine con quanto successo nella vita dello stesso autore.
Innamorato di Novalyne Price Ellis (1908-1999), giovane insegnante di
lingua inglese giunta per farsi le ossa nella scuola locale di Cross
Plains, Howard vive il dramma dell'abbandono. Aspirante scrittrice,
nel 1933, la donna viene consigliata a rivolgersi allo scrittore,
perché in cerca di qualcuno che le dia qualche dritta per come
pubblicare. I due hanno frequenti colloqui da cui nasce una relazione
sentimentale che va avanti tra alti e bassi. Proprio come il suo
Breckinridge Elkins, Howard vede andar via la maestra, l'unica che
forse avrebbe potuto salvarlo dall'infausto destino che cercava di
esorcizzare con i suoi western, traslandosi nei panni dell'eroe di
turno. Il rapporto, osteggiato anche dalla madre dell'autore, va
definitivamente in archivio nel 1935, quando la ragazza parte per
l'università della Louisiana.
Sposerà qualche anno dopo, ironia del caso visto che abbiamo parlato
di Jason Robards, il sottotenente John Douglas Robarts. I due
convoleranno a nozze nel 1942, ma se Howard non era l'uomo che faceva
per lei, anche Robarts non si dimostrerà tale. I due si separeranno
nel 1946. A differenza di Howard, troverà comunque la felicità
contraendo un secondo e duraturo matrimonio.
Trent'anni
di silenzio, intanto, distanziano l'uscita di Sharp's
Gun Serenade
dall'iniziativa del The
Summit County Journal che
dal giugno del 1967, con l'uscita di Striped
Shirts and Busted Hearts (estrapolato
dal romanzo A
Gent from Bear Creek),
al marzo del 1972 pubblica a puntate l'intera serie impreziosita dai
quattro racconti concepiti per il romanzo e da allora mai più
pubblicati al di fuori del volume, ristampato nel 1965 da Donald M.
Grant.
Nonostante
l'importanza del personaggio e il valore di alcuni racconti, le
storie non vengono tradotte in Italia dove giungono solo nell'aprile
del 2021 per mezzo di una pubblicazione indipendente facente capo a
Claudio Foti. Il volume, intitolato Un
Gentleman di Bear Creek,
si propone di presentare al pubblico la versione italiana del romanzo
a episodi A
Gent from Bear Creek.
BUCKNER
JEOPARDY GRIMES
Personaggio
nato da una costola del Breckinridge Elkins per incrementare gli
incassi attraverso la vendita di nuovi personaggi a ulteriori
magazine western. Howard lo concepisce per Cowboy
Stories quale
suo ultimo personaggio, mantenendo la narrazione in prima persona e
la verve ironica che gli aveva garantito il successo della precedente
serie, ma diminuendo la portata grottesca. Cerca inoltre di plasmare
una struttura ciclica destinata a essere sviluppata nel prosieguo
delle storie. Se Breckinridge viene ogni qualvolta inviato a recarsi
in un paese vicino a quello in cui vive per compiere una missione o
comunque un incarico, Buckner è un personaggio itinerante, uno
zingaro che viaggia dal Texas in direzione di una meta ben precisa:
la California. Le sue avventure sono incidentali, casuali, dovute al
suo passaggio in paesi in cui la legge fatica a radicarsi. Assai più
vicino alla figura tradizionale del pistolero, non cade vittima di
raggiri né diviene oggetto di manipolazioni. Più intelligente e
fascinoso del rozzo Breckinridge, ne costituisce una sorta di
integrazione. Diverso nel fisico, ha una corporatura esile e un volto
onesto che esprime fiducia e simpatia nell'interlocutore. Sgraziato
nelle movenze, cammina con un'andatura a papera favorita dalla
particolare curvatura delle gambe. Non ha un cavallo proprio, ma si
muove in sella a quello del fratello.
Le
sue abilità sono tutte riposte nell'uso delle due calibro 45 che
porta nel cinturone. Veloce a estrarre, ma anche a leggere le
situazioni, riesce sempre a mettersi al servizio del più debole
senza nulla pretendere in cambio. Scapestrato
nel carattere e predisposto alle risse, un po' alla Trinità
di
Terence Hill, paga le sue inclinazioni venendo cacciato di casa dal
padre nell'episodio lancio della serie, Knife-River
Prodigal (“Il
Prodigo di Knife-River”),
uscito postumo su Cowboy
Stories curiosamente
come secondo episodio della serie.
Lo
scrittore Edgar Hoffmann Price, che sul personaggio costruirà
l'epigono Simon Bolivar Grimes protagonista di una successiva serie
western per le riviste Spicy
Western Stories, Speed Western Stories e
Fighting
Western,
riconosce nel personaggio un tentativo di Howard di parodiare se
stesso. “I
suoi personaggi sono veri, parlano il linguaggio del popolo. Il
dottor Howard e suo figlio spesso infarcivano la loro conversazione
con battute e frasi poi riportate nei western di Robert.”
È
proprio con un dialogo tra padre e figlio che si apre la serie. Il
“vecchio” ordina a Buckner di raggiungere la California,
ammonendolo a non fare ritorno prima di quarant'anni. Non c'è un
motivo particolare che giustifichi la destinazione (“perché
è il posto più lontano che venga in mente”),
se non quello di togliersi dai piedi l'incomodo figlio.
Fanciullesco
e inesperto, tanto da essere convinto che l'oro si trovi all'interno
delle rocce, viene avvistato
nel Nuovo Messico da una banda di fuorilegge mentre prende a
picconate le rocce. Scambiato per un bamboccio (proprio come avverrà
con Trinità),
viene convinto ad aggregarsi al gruppo giusto per fungere da svago
comico utile ad allietare il viaggio. Il ruolo dello scemo del
villaggio si dimostra non andargli a pennello. Appena giunti nella
cittadina di Smokeville, un piccolo agglomerato che ripudia la
violenza ma non ha la forza per far rispettare le leggi, passa
nell'arco di una giornata da vagabondo a sceriffo dei sogni. Qui la
banda a cui si è aggregato è temuta e tollerata, nonostante i
continui atti di bullismo e le accuse di furto che ricadono sui
componenti. Indisposti dai cartelli che invitano a non usare armi e a
non entrare nei saloon in sella ai cavalli, gli uomini della banda
ridicolizzano lo sceriffo e, per farsi qualche risata, gli
sottraggono la stella dal petto affidandola proprio a Buckner.
Nominato sceriffo in modo tutt'altro che procedurale, il “nostro”
sveste in panni dello zimbello e prende a comportarsi da vero uomo di
stato. Mette fuori combattimento un membro della banda, reo di aver
importunato una donzella, arresta il capobanda e gli sottrae 500
dollari che destina a un ex cuoco che gli ha in precedenza raccontato
di aver subito il furto di una mandria di vacche per 500 dollari
proprio per mano dell'uomo imprigionato da Buckner. Tutt'altro che
impaurito dai manigoldi, a differenza di tutti gli altri uomini della
cittadina, Buckner resta in paese anche quando il capobanda evade
dalla prigione. Tutto da solo, il “nostro” sgomina l'intero
gruppo criminale, uccidendo tutti i componenti e rifilando quindici
coltellate al capobanda in un corpo a corpo grandguignol. Il paese
esplode in un'ovazione con tanto di richiesta ufficiale per
confermarlo sceriffo. Buckner però ha una missione da compiere:
raggiungere la California, anche se non sa il perchè...
Nel
successivo A
Man-Eating Jeopard (“Il
Jeopardo Mangiauomini”),
uscito nel giugno del 1936 e ripubblicato sul giornale di Cross
Plains il 19 giugno 1936 per celebrare la notizia della morte
dell'autore, Buckner prosegue il suo viaggio verso l'ambita meta.
Giunto in Arizona si trova di nuovo protagonista della liberazione di
un paese flagellato dalla faida tra bande rivali. A differenza del
personaggio di Clint Eastwood in Per
un Pugno di Dollari,
“il nostro” sceglie la banda più onesta e offre il suo
contributo senza vantaggi personali. Purtroppo per lui, insieme a
buona parte del gruppo, cade in un'imboscata gestita da un
personaggio in combutta con la banda rivale. Bravo ad anticiparne le
mosse, Buckner fa ritorno in paese in tempo per salvare il capobanda
e sottrarlo dalle mani del rivale. Sparatorie e scazzottate non
mancano proprio, lasciando l'elemento ironico della vicenda legato
all'escamotage che funge da ago della bilancia: un disegno di un
animale scarabocchiato su un foglietto. Convinto di aver disegnato un
leopardo, così da suggerire la propria presenza al di fuori della
baracca in cui è prigioniero chi l'ha ingaggiato, si trova a vedere
esaudito il proprio intento per una via tutt'altro che programmata.
Il disegno finisce infatti nelle mani del boss rivale che vedendo
raffigurato un animale pensa di esser stato vittima di uno scherzo
ordito dai suoi uomini per deriderlo. Accecato dalla rabbia, il
bandito non riconosce la raffigurazione di un leopardo, ma di una
puzzola, l'animale che anni prima gli era stato legato al collo
quando era stato cacciato dal Nevada. Deciso a vendicarsi, prende a
sparare sui propri uomini, perché non tollera essere accostato a
quell'animale, innescando involontariamente l'irruzione di Buckner e
la liberazione del prigioniero. Acclamato da eroe, Buckner rifiuta
ogni progetto di collaborazione futura perché deve raggiungere la
California e perché non può certo soffermarsi in un paese in cui
non
si apprezza l'arte (è ferito nell'orgoglio perché il suo leopardo è
stato scambiato per una puzzola!?).
Qua
finisce la miniserie Buckner J. Grimes, un dittico di racconti
all'insegna dell'ironia, dove però non mancano il sangue, un copioso
numero di morti ammazzati e addirittura scontri all'arma bianca.
Ancora in corso di formazione, il personaggio esaurisce le sue
avventure con una storia definita da molti tra le più riuscite
dell'autore. Qualche anno dopo, per dovere di completezza, nel
1944 su Masked
Rider Western, sotto
la firma Patrick Ervin (pseudonimo riconducibile allo scrittore
texano),
esce
per volere dell'agente di Howard un terzo racconto intitolato Texas
John Alden.
Di difficile attribuzione e con una struttura più in linea alla
serie Breckinridge, si tratta di un testo che ha subito il cambio di
titolo in A
Ring-Tailed Tornado (“Il
Tornado Furioso”)
e
la sostituzione del nome Grimes e in quello di Breckinridge dopo
essere stato incluso in un'antologia a tiratura limitata (812 copie),
The
Pride of Bear Creek (1966)
a cura di Donald M. Grant, comprendente sei racconti della serie
Breckinridge Elkins non inclusi nel precedente romanzo a episodi A
Gent from Bear Creek (1937).
Da un punto di vista strutturale e contenutistico è un racconto da
ascrivere alla serie Breckinridge. Il racconto infatti differisce
del tutto dalle storie della saga Grimes rispondendo invece in pieno
ai cliché della serie Breckinridge, a partire dal tentativo iniziale
del protagonista di trovare giustificazioni necessarie a motivare le
distruzioni che lo stesso si appresta a raccontare. Vi è inoltre la
presenza di personaggi del ciclo del pistolero di Bear Creek, come il
cavallo Capitan Kidd. Secondo alcuni critici
Otis Kline avrebbe riscritto il racconto, cambiando il nome del
personaggio protagonista da Grimes in Breckinridge. Oltre a quanto
già detto, questa ricostruzione è sconfessata anche da altri
aspetti. Il protagonista è infatti in ballottaggio con altri due
ragazzi per conquistare il cuore di una ragazza. Certo di esser
preferito ai rivali, lo vediamo minacciarli salvo poi accettare una
missione che gli viene proposta da uno degli stessi. Uno dei rivali
in amore, scoppiando in lacrime, gli rivela infatti di amare
perdutamente un'altra ragazza, una cantante di un vicino villaggio da
cui è stato espulso, ma di non poter andare a trovarla per
dichiararle il proprio nome. Ecco che sarà dato incarico a
Breckinridge/Grimes di recarsi nel paese da ambasciatore. Il ragazzo
gli specifica di rivolgersi a un tale che potrà condurlo dalla
ragazza. Il “nostro” non sa di esser stato giocato. L'uomo a cui
è stato indirizzato, infatti, è il gelosissimo ragazzo della
giovane, che non perderà tempo per scatenare la propria gelosia.
Come spesso succede nelle storie di Breckinridge, il protagonista
distrugge tutto, finisce in carcere da dove riesce a evadere e a
garantire la fuga della giovane che, in tutta risposta, gli ruba la
carrozza dopo avergli raccontato di non aver nulla a che fare con
l'amico. Al ritorno dalla missione, Breckinridge/Grimes scoprirà la
verità: la missione era un escamotage per farlo allontanare dalla
città, tanto che la sua promessa sposa è fuggita con il terzo
spasimante. Classico e ripetitivo racconto ascrivibile, in modo
evidente, alla serie Breckinridge per il suo essere in linea a una
tipologia di storie già incontrate con Cupid
from Bear Creek e
The
Riot at Cougar Paw.
PIKE
BEARFIELD e GRIZZLY ELKINS
Si
tratta di due epigoni di Breckinridge Elkins a loro modo costruiti
sulle gesta e la struttura del più famoso antenato, ma con toni
diversi. Pike Bearfield viene ideato da Robert Ervin Howard su
richiesta esplicita di John Francis Byrne (1902-1972), editore di
Action
Stories
passato nel 1936 ad Argosy
in qualità di redattore. È infatti Byrne, conscio del successo
ottenuto dal ciclo Breckinridge, a chiedere a Howard di creare una
serie simile per la rivista.
L'invito è particolarmente ghiotto per lo scrittore texano che, a
parte una storia pubblicata nel luglio del 1929, non era mai riuscito
a vendere niente all'importante settimanale, primo pulp
magazine
americano (fondato nel 1882) interessato a storie pulp
di ogni genere, ivi compresa la fantascienza e il softcore.
Dunque una prospettiva molto allettante, in vista di una lucrosa e
longeva collaborazione, che viene subito colta al volo da Howard. Lo
scrittore costruisce sul Breckinridge Elkins lo speculare Pike
Bearfield e vende all'amico editore tre storie del personaggio, oltre
altri due western non umoristici, tra cui il weird
western The Dead Remember (“I
Morti Ricordano”). Howard sforna così un nuovo gigante, di altezza
prossima ai due metri, più intelligente di Breckinridge ma più
pasticcione di Buckner J. Grimes.
I
racconti escono nell'ottobre del 1936, a quattro mesi dalla morte
dell'autore. A
Gent From the Pecos avvia
la serie il 3 ottobre del 1936, seguito da Gents
on the Lynch (17
ottobre) e The
Riot at Bucksnort (31
ottobre).
Altri
due racconti, While
Smoke Rolled
e The
Diablos Trail, escono
anni dopo, rispettivamente nel 1956 su Double
Western Action e
nell'antologia Bran
Mak Morn: A Play and Others
stampata in tiratura limitata (400 copie) da Robert M. Price.
La caratteristica
della serie è quella di essere costituita da racconti infarciti di
stralci scritti in forma epistolare o di telegramma. Pur essendo
intrisa di umorismo, è una serie che non gode di grande notorietà,
tanto che risulta essere completamente inedita in italiano e
scarsamente tradotta al di là dei confini americani.
A
differenza del Pike Bearfield, il dittico Grizzly Elkins richiama
solo nel nome e nella corporatura il più fortunato epigono, volgendo
poi le storie su un piano più serioso. Cacciatore di bufali e dalla
mole ciclopica, abile nelle scazzottate, predilige l'uso di un fucile
Sharps a colpo singolo e di grosso calibro in alternativa
all'inseparabile bowie. Grizzly Elkins è protagonista di due
racconti, nel secondo dei quali con un ruolo più marginale,
riesumati dall'oblio negli anni settanta e tradotti anche in
Repubblica Ceca (nel 2009)
e Italia. Law
Shooters of Cowtown
è il primo ad apparire nel 1974 sul periodico Cross Plains per
essere incluso quattro anni dopo, unitamente al secondo racconto del
ciclo (Gunman's
Debt),
nell'antologia The
Last Ride
insieme ad altri cinque western di Howard. La casa editrice Elara,
nell'aprile del 2019 a cura di Armando Corridore e Ugo Malaguti, ha
tradotto per la prima volta in italiano i due racconti, intitolandoli
“Due Balordi a Cowtown” e “Il Debito del Pistolero” e
inserendoli nell'antologia western Storie
della Frontiera.
SONORA
KID
Steve
Allison, meglio noto col soprannome Sonora Kid, dallo stato di
provenienza (Messico nord occidentale, ai confini con l'Arizona), è
il penultimo personaggio seriale a firma Robert Ervin Howard in
ambito western. La sua notorietà è assai circoscritta, pur essendo
un elemento in linea con l'idea del pistolero di matrice
cinematografica. Assai tardiva la sua comparsa, peraltro per un
totale di storie che lo pongono al centro del ciclo più corposo dopo
la saga Breckinridge. Pressoché sconosciuto per oltre cinquant'anni,
compare per la prima volta nella primavera del 1965, a quasi
trent'anni dalla morte dell'autore, ripescato da Glenn Lord per il
Volume 1, Numero 6, del periodico The
Howard Collector.
Risulterà
in seguito personaggio di sette ulteriori racconti, oltre sei
frammenti di storie non completate e sprovviste di titolo. A questi
sono da aggiungersi quattro ulteriori racconti, appartenenti al ciclo
El Borak, che vedono il pistolero di Sonora partecipare in terra
straniera alle avventure dell'amico texano. Si tratta dei racconti
The
Land of Mystery, North of Khyber, A Power Among the Islands e
The
Shunned Castle
curiosamente proposti per la prima volta sul mercato in Francia dalla
NeO all'interno dell'antologia El
Borak l'Éternel (1984)
e solo tre anni dopo ristampati negli Stati Uniti dalla Cryptic
Publications in un'antologia di cinque racconti
intitolata North
of Khyber
(dicembre
1987), a cura Robert M. Price.
L'anima western di quest'ultimo volume è dimostrata dalla copertina.
Si vedono infatti due cowboy, entrambi con due pistole in mano in
versione smoking
guns,
con la scritta aggiuntiva The
El Borak – Sonora Kid Team - Ups
a non lasciare adito a dubbi circa il contenuto.
Quando
il volume francese esce, inoltre, Sonora Kid è conosciuto solo per
due precedenti storie: The
Devil's Joker e
Knife,
Gun and Noose. Tutte
le altre usciranno successivamente al volume della NeO.
A
differenza dei precedenti cicli, i racconti di Sonora Kid sono
ascrivibili al western classico. Leggermente più alto della media, è
un pistolero che, da degno antenato della tradizione cinematografica
che tutti noi conosciamo, vive ai limiti della legge. Furbo, abile a
leggere in anteprima le situazioni e a ricorrere a ogni sorta di
trucco per togliersi dagli impicci, si trova a dover fronteggiare
cacciatori di bufali truffaldini e veri e propri banditi, ma anche
sceriffi pronti a incastrarlo. È il classico soggetto da non
sottovalutare mai, neppure quando lo si tiene sotto tiro.
L'esperienza lo ha portato a tenere sotto la camicia una derringer a
due colpi, ma anche a maneggiare con grande abilità i coltelli.
Cresciuto in un paese di frontiera, infestato dai messicani, ha
saputo cogliere gli usi locali facendone dei punti di forza.
Atletico,
snello e forte, dalla pelle bruciata dal sole e dal vento, se ne va
in giro sfoggiando due colt dai calci d'avorio, mentre sposta le
mandrie da una cittadina all'altra senza ricorrere a treni o altri
mezzi di trasporto. “Grande
o piccolo, davanti a una .45 sono tutti uguali” ripete.
Conosciuto per i tanti duelli che lo hanno visto vittorioso senza mai
incappare in condanne penali, si mantiene grazie ai proventi a lui
riconosciuti dal ruolo di capo mandria. È pertanto un commerciante
di bestiame che lambisce il confine tra eroe e bandito, sospeso tra
la veste di uomo di legge e il suo esatto contrario, poiché “nessun
pistolero può restarsene semplicemente un cowboy.“ Estremamente
corretto, agisce guidato da un'etica che non ammette deroghe neppure
se contrapposto ai nemici. Uccide quando è costretto dalla necessità
di difendere sé stesso o chi si trova in condizione di debolezza. La
sua correttezza non ne fa però uno sprovveduto. Rapido nel leggere
le situazioni, prevede le azioni dei rivali e adotta soluzioni che
gli consentono di mandare a monte i piani orditi per incastrarlo.
Così non tergiversa nello sparare alle luci del saloon per
dileguarsi prima di cadere vittima di un agguato.
Le
storie che lo riguardano sono molto brevi, talvolta fulminee,
caratterizzate da un ritmo vorticoso, con intrecci che sconfinano nel
giallo. Dopo due pubblicazioni estemporanee, che avevano visto uscire
Knife,
Bullet and Noose (“Lama,
Pallottola o Capestro”) nel 1965 e The
Devil's Joker (“Lo
Scherzo del Diavolo”) dieci anni dopo, l'intero
ciclo viene completato nel 1988 da Robert M. Price che pubblica
l'antologia The
Sonora Kid.
Il volume raccoglie i sei racconti ancora inediti
e sei frammenti di storie incompiute sprovviste di titolo, senza
includere i due racconti già usciti. Il volume viene quasi del tutto
incluso nel 1999 in una versione in lingua russa intitolata Kogot
Drakona nonché
riproposto integralmente nell'antologia The
Early Adventures of El Borak
(2010).
Nel
primo episodio, Knife,
Bullet and Noose, curiosamente,
Sonora Kid viene assistito da un tale che si chiama Elkins e che
cerca di informarlo di un piano concepito per eliminarlo per
sottrargli i soldi a lui dovuti per l'attività lavorativa prestata.
Sonora Kid si trova infatti al centro di una disputa con alcuni
cacciatori di bisonti che gli imputano l'ingiusto assassinio di un
loro amico. Dietro all'accusa vi è tuttavia una montatura, ordita
dal bullo di paese, per non pagare quanto promesso al pistolero.
Il
testo
è semplice, ma onesto e dal grande ritmo. Howard lascia trapelare
una certa impostazione conservatrice vedendo nel progresso un cancro
che distrugge i vecchi e sani valori. "Le
città dei mercati di bestiame si erano riempite di giocatori
d'azzardo, imbroglioni, pistoleri, tutta la genia di parassiti che
segue passo passo ogni boom economico... Un ingenuo cowboy trovava
meno pericolo tra le insidie della pista che non fra gli intrighi
della città in espansione."
E sono infatti gli intrighi, dal retrogusto mafioso, a muovere la
città e i burattini che la comandano dall'alto delle loro posizioni
di vertice. Eloquente la posizione filosofica e sociologica
dell'autore che vede nella città un luogo in cui pullula, prolifica
e fa affari la feccia sociale. "Tutti
i cacciatori erano a loro volta uomini di grossa statura, in gran
parte coperti di pelli e con mocassini indiani.... Dal momento che la
loro esistenza era primitiva, erano duri e feroci non meno degli
indiani, ma molte volte più pericolosi. Ispidi, burberi, fieri, con
gli occhi a lampeggiare alla luce delle lampade e le mani a oscillare
davanti al manico dei grandi coltelli che portavano alla cinta."
Traspare
la presa di distanza dell'autore da certe categorie di soggetti,
visti come tribali, privi di capacità di ragionamento e tanto
bestiali da preferire il coltello
(arma da corpo a corpo che offre la convinzione di dominio fisico
sull'avversario e dunque una sensazione di virilità) alla più
fredda pistola, un oggetto che rende la morte meno apprezzabile per
il suo colpire a distanza.
Più
atipico è The
Devil's Joker (“Lo
Scherzo del Diavolo”), apparso dieci anni dopo sul periodico Cross
Plains,
in cui tutto prende piede da uno scherzo che innesca una serie di
errori di valutazione. Terrorizzato dai serpenti, Sonora Kid spara
d'impeto all'uomo che gli ha lanciato contro un rettile. Certo di
averlo ucciso e convinto di esser braccato dallo sceriffo, Sonora Kid
si da alla fuga programmando un'esistenza dedita al crimine. La fama
di abile pistolero e il fatto di esser ricercato dalla legge non
tardano a renderlo appetibile alle bande in cerca di nuove reclute.
"Erano
uomini indomiti, non riconducibili sotto le leggi che governano la
massa del genere umano. Vivevano in modo violento, duro, spietato,
prendendosi tutto quanto volevano e quando morivano lo facevano in
battaglia, con le pistole fumanti, sicuri che non avrebbero mai
ottenuto, né concesso tregua."
La differenza
tra male e bene in questo racconto si assottiglia. Howard sembra non
fare riferimento alla retta via come discrimine tra uomini di valore
e manigoldi. Il buono non è colui che rispetta le leggi, ma colui
che risponde a una data etica. Ecco che l'eroe è piuttosto un
antieroe guidato da una sportività e una correttezza di fondo,
poiché il ritrovarsi a vivere da bandito ben potrebbe essere un mero
accadimento non dovuto a una libera scelta.
Raggiunto
dallo sceriffo, Sonora Kid riesce a mettere fuori combattimento il
rivale ma, avendolo ferito alla testa, non se la sente di
giustiziarlo a sangue freddo. La decisione genera il malcontento dei
banditi con cui il pistolero è in combutta. Deciso a proteggere lo
sceriffo, Sonora Kid si oppone ai nemici in un confronto tarantiniano
(si eliminano tutti sparandosi contro in simultanea come ne Le
Iene).
La scelta si rivelerà azzeccata poiché, in un finale a effetto, lo
sceriffo, ripresosi dalla ferita, rivelerà al nostro di essergli
andato dietro per dirgli che l'uomo a cui ha sparato non è morto; il
proiettile ha colpito il tamburo della pistola che l'individuo teneva
infilata nei pantaloni. Sonora Kid, pertanto, deve ritenersi libero
da ogni accusa...
WEIRD
WESTERN
&
SOUTHERN
GOTHIC
Le
capacità poliedriche di Robert Ervin Howard, così come le letture
di un autore quale Ambrose Bierce (1842-1914),
non potevano non indurre lo scrittore texano a operare dei tentativi
di contaminazione tra il western e il fantastico. Vengono infatti
comunemente fatti risalire ai lavori di Bierce, sul finire
dell'ottocento, i primi tentativi di commistione tra il western e la
cosiddetta narrativa soprannaturale, opere che avrebbero segnato la
via per quel sottogenere che avrebbe poi preso il nome weird
western
e che avrebbe fatto la fortuna dei fumetti bonelliani,
quali Tex
e Zagor,
e
soprattutto di scrittori contemporanei del calibro di Richard
Matheson (Shadow
on the Sun),
Stephen King (la saga formata da otto romanzi Dark
Tower),
Joe Lansdale (Dead
in the West, Magic Wagon),
Tim Curran (Skin
Medecine)
fino ai “nostri” Valerio Evangelisti (trilogia del pistolero
Pantera, rappresentata da Metallo
Urlante, Black Flag e
Antracite)
e Luca Barbieri (antologia Five
Fingers).
È in tale contesto che prendono a muoversi alcuni tra i più
riusciti western/horror di Howard, dei veri e propri antesignani che
faranno scuola. Il texano viene stimolato da una serie di lettere
scambiate con Howard P. Lovecraft, tra l'inverno del 1930 e la
primavera del 1931, dove l'entusiasmo del giovane scrittore è tale
da intrattenere il collega con racconti lunghi dove gli scontri a
fuoco, le faide, gli assalti indiani, le guerre per accaparrarsi i
terreni, ma anche la siccità, i serpenti a sonagli e gli uomini di
colore la fanno da padroni. Colpito dalla verve e dall'intensità
macabra delle storie, Lovecraft non perde tempo a operare azione di
convincimento sull'amico: “Prova
a raccontare questi racconti macabri su carta stampata. Dovrai
scrivere la storia del “Southwest”. La tua profonda conoscenza
dell'argomento e la tua capacità geniale di saperlo mettere in scena
sono tali che nessun altro potrebbe farlo meglio.”
Howard raccoglie il suggerimento e pubblica, in vita, quattro weird
western su
Weird
Tales e
ne vende un quinto, che esce due mesi dopo la morte, ad Argosy.
Un sesto racconto (Pigeons
from Hell)
sarà pubblicato su Weird
Tales nel
maggio del 1938, trovando apprezzamenti tanto importanti da indurre
Stephen King a definirlo “una
delle migliori storie horror del novecento che, adattata per la tv,
rimane la preferita di molti che seguirono Thriller.”
Ulteriori
testi usciranno nel corso degli anni in riviste periodiche riuscendo
solo di rado a raggiungere le qualità dei precedenti racconti.
Il
primo tentativo di Howard, seppur particolarmente intenso e cupo, non
riceve immediato consenso dai redattori delle riviste dedite al
fantastico e neppure dai primissimi lettori. The
Horror from the Mound (“L'Orrore
del Tumolo”) viene presentato nel luglio del 1931 a Strange
Tales senza
essere accettato. Il “nostro” però non deve attendere molto per
vedere accolti i suoi sforzi. Ad agosto indirizza con successo il
racconto alla rivista su cui, a partire dal luglio del 1925, aveva
iniziato a costruire il suo mito. Per la pubblicazione si devono
attendere ulteriori nove mesi. Allo scoccare del mese di maggio del
1932, quale suo ventiquattresimo racconto uscito sul periodico, su
weird
tales è
il turno di The
Horror from the Mound.
Si tratta di un racconto che fa subito discutere gli appassionati
integralisti. Snobbato e criticato per il suo voler riscrivere la
figura del vampiro, acquisirà importanza al passare degli anni, al
punto da esser reputato uno dei migliori esempi del genere. L'orrore
vittoriano irrompe nel west senza che venga dato troppo spazio a
pistoleri, saloon e sceriffi. “Le
oscure leggende erano vere: le armi umane non avevano efficacia”.
Howard prende le mosse dalla difficoltà cui va incontro un contadino
del Texas chiamato a fare i conti con il clima avverso. L'autore, non
ancora un westerner
e
con alle spalle due brevissimi racconti giovanili oltre il classico
Drums
of the Sunset,
sembra a maggior agio con la componente horror. Così si limita a
utilizzare il contesto ambientale della frontiera messicana per
importarci un horror che cita vagamente Dracula
(1897)
di Bram Stoker e lo contamina con scontri muscolari e polvere da
sparo. La scelta viene influenzata in modo determinante dall'uscita
nel febbraio del 1931 del film diretto da Tod Browning, Dracula,
con Bela Lugosi nei panni del conte. Howard rimane entusiasta dalla
visione della pellicola e, memore del romanzo di Stoker, introduce il
suo Don Santiago de Valdez, un nobiluomo che aveva abitato fra i
monti della Castiglia fin dai tempi dei Mori nutrendosi del sangue
degli uomini. Dall'opera dell'irlandese giunge l'idea del nobile
vampiro, ma anche quella del suo entrare in scena nel “Nuovo Mondo”
a seguito di un viaggio in una nave su cui, a poco a poco, muoiono
tutti gli occupanti (ufficialmente per peste, come nel Nosferatu
di
Murnau). In realtà è stato Valdez a ucciderli e a gettarli a mare,
così come capiterà ai componenti del manipolo di soldati spagnoli
giunti in suo soccorso alla deriva nel Mar dei Caraibi. A uno a uno,
minacciati da un male che non palesa la sua reale natura e che si
nasconde tra loro sotto mentite spoglie, il gruppo si assottiglia
falcidiato da un mostro che lascia un'unica traccia: dei piccoli fori
sul collo delle vittime. Allo stesso modo di Stoker, il texano
ricorre allo stratagemma metaletterario per narrare i fatti che
fungono da premessa al racconto vero e proprio. Niente diari o
epistole, ma una testimonianza olografa lasciata da un erede dei
militari che si sono imbattuti nel vampiro nel XVI secolo.
Protagonista
della storia è un agricoltore, con l'istinto del cowboy, piegato
dalla stanchezza e dalle difficoltà nel vedere non ripagati gli
sforzi delle proprie fatiche. Prossimo alla resa e alla prese con un
terreno arido, l'uomo nota l'impegno del vicino messicano. In
particolare, viene incuriosito dall'abitudine di quest'ultimo di
allontanarsi ad ampie falcate ogni qualvolta si trovi a passare
vicino a un tumulo indiano. Certo che il messicano vi abbia celato
qualcosa di valore e non convinto dalle dichiarazioni dello stesso
che invita chiunque a tenersi alla larga dal sepolcro, l'agricoltore
prende a scavare sotto il tumolo, nella speranza di trovare un
tesoro. L'avidità, così come il non credere ai demoni e ai
fantasmi, gli costerà cara. Un vampiro sepolto dai conquistadores
spagnoli nel 1545 tornerà a calcare il suolo terrestre. Howard
accenna al campionario fatto di crocifissi e paletti di legno per
uccidere il più tradizionale dei revenant,
ma poi da vita a un racconto piuttosto atipico, non solo per il
contesto scenografico. Pur ambientando la storia oltre il crepuscolo,
si deduce dai fatti che hanno portato al suo imprigionamento che il
vampiro howardiano
non
è limitato durante il giorno. Può muoversi e agire sotto il sole,
inoltre non dorme in bare scoperte né vive appartato, anzi si
infiltra in gruppi di uomini. Come in Stoker però c'è la
possibilità di sorprendere il mostro, approfittando dello stato di
catalessi in cui lo stesso cade poco dopo essersi saziato.
Il
modus operandi del vampiro, elimina uno a uno i componenti del gruppo
di cui fa parte (sette anni prima dell'uscita di Dieci
Piccoli Indiani di
Agatha Christie), non può non ricordare agli afecionados
di horror cinematografici il capolavoro assoluto The
Thing (“La
Cosa”) di John Carpenter. Come nel film di Carpenter, l'orrore, a
suo modo congelato (Howard non giustifica bene la cosa), emerge dal
passato e dalle profondità della terra, dopo involontario intervento
umano, seminando la morte all'interno di un gruppo in cui si è
inserito. “Un
lugubre orrore si era abbattuto sulla carovana solitaria, vagante
nell'immensità desolata. A uno a uno gli uomini morivano, e nessuno
conosceva l'uccisore. La paura e il sospetto divoravano i cuori come
un cancro, e il comandante non sapeva cosa fare. Sapeva soltanto che
tra loro c'era un demonio in forma umana.” Così
scrive Howard, anticipando capolavori assoluti. Originale e in
perfetta linea con la narrativa del texano è la lotta tra il
protagonista e il vampiro. Steve Brill, l'eroe di turno, sconfigge il
demone non attraverso esorcismi o brandendo croci, ma lo alla stregua
di un guerriero impegnato in uno scontro su un campo di battaglia. Lo
aiuterà il fuoco, accidentalmente liberato da una lampada a
petrolio, col vampiro incapace di muoversi dopo aver subito, nel
corso della lotta, la frattura della spina dorsale (aspetto
ricorrente nei weird
western
dell'autore).
Dunque
una sorta di riscrittura della figura del vampiro che viene accolta
da molte perplessità. Un abbonato di Weird
Tales
invia una stizzita lettera all'editore per criticare il lavoro dello
scrittore, trovando il vampiro avulso dalla tradizione letteraria
accettata. “The
Horror of the Mound è l'unico lavoro scadente del numero... Contiene
non meno di quattro evidenti violazioni della tradizione vampiresca
accettata. Howard ci informa che i vampiri possono rimanere in vita
per anni, sottoterra, senza bisogno di alimentarsi e che possono
essere imprigionati nelle loro tombe da una semplice roccia.
Intrattengono inoltre combattimenti di wrestling con le loro
vittime... I miglioramenti sono sempre all'ordine del giorno, ma il
nuovo tipo di vampiro di Howard non può certo ritenersi un
miglioramento!”
C'è
anche chi si definisce piacevolmente sorpreso, seppur con riserve.
Tra questi figura August Derleth che scrive alla redazione
manifestando di apprezzare il racconto, lamentando tuttavia un
epilogo poco in linea al resto della storia, per via del
combattimento corpo a corpo tra il protagonista e il vampiro.
Howard si difende lasciando trapelare, in una lettera a Lovecraft, di
essersi ispirato alla saga di Grettir
il Forte
e,
in modo più specifico, all'episodio in cui il guerriero sconfigge un
draugr
(letteralmente
colui che cammina dopo la morte), spezzandogli la schiena dopo
furiosa lotta, subendo le maledizioni dello stesso che saranno poi la
causa delle sue successive sfortune. Ecco che il non-morto di Howard
non costituisce un nuovo modello, ma una combinazione tra il garbato
aristocratico vampiro di Stoker e la minaccia più fisicamente
imponente del folklore scandinavo.
Il
solitario di Providence plaude il texano (“un
pallido ossario sembra aleggiare in tutto il racconto”)
sostenendo di aver provato nella lettura “un
brivido di quel tipo genuino che non è spesso ottenibile con le
riviste popolari.” Grandi
elogi arrivano anche dallo scrittore Manly Wade Wellman (1903-1986)
che, nella primavera del 1968, pubblica un'ampia recensione (An
Analysis of Howard's Vampire)
su The
Howard Collector n.10,
parlando di “capolavoro
che fa rimpiangere il fatto che il sostantivo genio abbia perso così
tanto significato ai giorni nostri.”
A
ogni modo, quattordici mesi dopo, preceduto da sei racconti, Weird
Tales propone
un altro weird
western:
The
Man on the Ground
(“Uomo a Terra”), un vero e proprio omaggio ad Ambrose Bierce e
ai racconti quali An
Occurrence at Owl Creek Bridge
(“Accadde al Ponte di Owl Creek”). Si tratta di un racconto più
classico, in linea a quanto i lettori avessero già incontrato e
dunque più facilmente apprezzabile. Howard lo concepisce come un
western tradizionale, se non fosse per il finale fantastico che lo
commuta in ghost
story.
Due uomini, legati da un profondo e duraturo odio, vivono l'uno per
la morte dell'altro sfidandosi per ore a colpi di fucile. Entrambi
protetti da una fila di massi, attendono con pazienza sotto la calura
e il sole battente l'errore dell'altro. D'un tratto, uno dei due,
affacciatosi troppo dalla copertura offerta dai massi finisce per
esser ferito in modo lieve. L'urlo di dolore, spinge l'altro a uscire
dal riparo, certo di aver il duello in pugno. Una fitta acuta al
cranio però fa cadere anche quest'ultimo tra le rocce. Il confronto
sembra giunto a un punto decisivo. Scoperto e sotto il tiro
dell'avversario, in un disperato tentativo di reazione, l'uomo, pur
se ferito, si rialza e imbraccia di nuovo il fucile, perché non può
tollerare di esser spedito all'inferno dal rivale storico. Pronto a
sparare, resta alcuni secondi in sospeso, stupefatto da una
constatazione di cui non sa comprenderne la ragione: perché l'altro
si avvicina senza preoccuparsi di lui...? Non vede che sta andando
incontro a morte certa...? Il colpo di fucile echeggerà di nuovo
nella valle isolata, ma non ci saranno vincitori, poiché chi ha
sparato era già morto...
In
una lettera ad August Derleth, Howard spiega all'amico la genesi
dell'idea: “Mi
sono spesso chiesto quale sarebbe stato il risultato di un duello tra
Jack Hayes e John Wesley Hardin, o tra Billy the Kid e Wild Bill
Hickok. Sono incline a credere che ognuno avrebbe ucciso l'altro."
Nel
medesimo anno, precisamente nel dicembre del 1933, Weird
Tales ospita
il terzo weird
western dell'autore:
Old
Garfield's Heart
(“Il Cuore del Vecchio Garfield”). La qualità fa un discreto
balzo in avanti, sia dal punto di vista dei contenuti sia sul
versante tecnico e di gestione del plot.
La storia resta costantemente in sospeso tra magia e western, ma
anche tra presente e passato. I fatti avvengono nel 1920, ma la
narrazione procede a rimbalzo guardando ad accadimenti di cinquanta
anni prima per tornare al presente e da qui di nuovo al passato.
Howard rievoca la propria infanzia quando, affascinato alle ombre
delle piante, ascoltava i racconti narrati dal nonno. Alla stessa
maniera, il protagonista ascolta in veranda un racconto del nonno
risalente al 1874. La storia procede su un doppio binario col quale
passato e presente vengono cuciti in modo da ideare un racconto vero
e proprio a cavallo tra modernità ed epica western. Da una parte
abbiamo il lungo flashback,
narrato
in forma di dialogo, indispensabile a presentare il personaggio del
vecchio Jim Garfield, un pioniere forgiato da numerose battaglie e
peripezie; dall'altra abbiamo il presente, dove il giovane
protagonista si è trovato coinvolto in uno di quegli scontri tipici
della narrativa howardiana contrapposto al bullo di turno.
La
componente western è minimale, giusto il contesto iniziale da cui
prende piede la storia fantastica. Jim Garfield, ferito a morte da
una lancia Comanche durante uno scontro con gli indiani avvenuto
negli anni '70, viene soccorso da un pellerossa desideroso di
ricambiare l'aiuto avuto anni prima. Portato all'ombra delle piante,
lontano da occhi indiscreti, Garfield vince la morte. Dopo poche ore,
con una lunga cicatrice sul petto, fa ritorno sano e vegeto tra gli
amici che lo avevano dato per morto. Anni dopo, l'uomo racconta di
aver subito l'asportazione del cuore e la sostituzione con quello di
un Dio. Per quanto inverosimile, la rivelazione si dimostrerà
tutt'altro che una leggenda metropolitana. Durante una discussione,
ormai negli anni venti, un colpo di fucile colpirà, per errore, la
testa di Garfield. Il vecchio, poco prima, aveva detto a tutti che
solo una pallottola nel cervello avrebbe potuto ucciderlo, spiegando
il mistero della sua esistenza.
“Tutta
la notte Uomo Spettro compì delle magie, richiamando la mia anima
dalla terra degli spiriti. Ricordo un poco quel viaggio. Era scuro e
grigio e io mi libravo in mezzo alla nebbia opaca, e udii i morti
ululare e superarmi nella nebbia. Però Uomo Spettro mi riportò
indietro. Prese ciò che era rimasto del mio cuore mortale e al suo
posto mi mise nel petto il cuore del dio. Però quel cuore è suo, e
quando non ne avrò più bisogno tornerà a riprenderselo. Mi ha
mantenuto vivo e forte per la durata della vita di un uomo.
L'invecchiamento non mi può toccare.”
Howard accenna all'aldilà in un racconto che apre a future vite
ulteriori. Lo spirito sopravvive al corpo ma, per farlo, deve
liberarsi dalla carne marcescente. “Finché
quel cuore batterà nel mio petto, il mio spirito sarà legato al
corpo, anche se la mia testa fosse ridotta come un uovo schiacciato
sotto un piede! Una cosa vivente in un corpo che marcisce!”
Parole profetiche, confermate dall'epilogo innescato dal regolamento
dei conti tra il giovane protagonista e il bullo con cui aveva avuto
un alterco. Muore l'uomo, ma il cuore, assimilabile a una dinamo
dotata di vita autonoma, prosegue finché sull'uscio riapparirà
l'indiano, l'uomo spettro, giunto a riprendersi quanto di sua
proprietà: il cuore del Dio adorato dai Lipan. Chi è l'Uomo
spettro? Howard resta sul vago. Vivo o morto che sia non ha
importanza, perché l'uomo spettro semplicemente è, mentre quel
cuore... quel cuore è “il
punto più vicino all'immortalità che sia possibile per il
deperibile corpo umano, la materializzazione di un segreto cosmico.”
Possiamo definire il racconto un omaggio a The
Facts in the Case of Mr.Valdemar (1845)
di
Edgar Allan Poe, ma messo in scena col tipico stile grandguignol del
texano che regala uno dei racconti più belli e interessanti della
sua intera produzione.
Ascrivibile
al medesimo genere e sempre con struttura su doppio binario è For
the Love of Barbara Allen (“Per
Amora di Barbara Allen”), ispirato dai racconti del nonno. Howard
fa ricorso a tutto il suo romanticismo, per parlare di un amore in
grado di vincere la morte. Un giovane ascolta una storia narrata del
nonno che gli parla di un soldato sudista morto durante la guerra di
secessione, lasciando a casa una fidanzata disperata che non ha più
voluto conoscere e frequentare altri ragazzi. La forza della storia è
tale che il giovane, poco dopo, colpito da un calcio di un cavallo,
cade tramortito a terra rivivendo, in sogno, l'avventura narrata dal
nonno. Il sogno è talmente preciso da permettergli di notare aspetti
precedentemente non conosciuti che si riveleranno reali (in
particolare la foto della ragazza). Il giovane capisce pertanto di
essere l'incarnazione dello spirito dell'uomo deceduto, il fratello
del nonno, e corre sul capezzale della donna ormai anziana e morente.
In camera, riconoscerà la foto vista nel sogno e sarà certo della
sua reale identità quando poserà il suo sguardo negli occhi della
donna. Lo scambio di sguardi tra i due segnerà il momento d'incontro
di due anime separate dal fato e, al contempo, il 'preludio alla
morte dell'anziana signora.
Se
i racconti sopraelencati sotto tutti usciti quando Howard era ancora
in vita, il weird
western più amato dai fan (seppur autocitazionista e derivativo) è
probabilmente The
Valley of the Lost (“La
Valle Perduta”), rimasto confinato per anni tra le opere inedite,
ma anticipato da racconti di altre serie come Worms
of the Earth (“Vermi
della Terra”) pubblicato su Weird
Tales nel
1932 e appartenente al ciclo del re pitto Bran Mak Morn. Il racconto,
il più sovrannaturale tra i western dell'autore, vede la luce col
titolo Secret
of Lost Valley,
al fianco di racconti di Herbert G. Wells, Seabury Quinn, August
Derleth, Oscar Cook e Victor Rousseau, nella primavera del 1967
all'interno del periodico Startling
Mystery Stories. In
Italia giunge appena undici anni dopo col titolo “La Valle del
Verme”, grazie all'Editrice Nord e a Roberta Rambelli che lo
inseriscono, unitamente ai correlati Worms
of the Earth e
The Black Stone (“La
Pietra Nera”), in un'antologia epocale per gli appassionati
dell'autore intitolata Skull
Face
(1978), dove, tra gli altri, vengono proposti per la prima volta al
pubblico italiano anche il western A
Man-Eating Jeopard (“Un
Jeopardo Antropofago”), i southern
gothic
Black
Canaan (“Canaan
Nero)” e
Pigeon from Hell (“I
Colombi dell'Inferno”)
nonché
il già edito in italiano The
Horror from the Mound (“L'Orrore
del Tumulo”).
Colpisce
fin da subito la costruzione del plot.
Howard opera una netta separazione tra il genere western e l'horror.
Si tratta di una soluzione di scrittura che farà scalpore negli anni
novanta del secolo scorso, quando Quentin Tarantino presenterà il
copione di From
Dusk Till Dawn (“Dal
Tramonto all'Alba”), poi diretto da Robert Rodriguez, sostenendo di
voler spiazzare lo spettatore dopo averlo convinto di vedere un
genere di film (nella fattispecie il noir) per poi catapularlo in un
altro (l'horror). Howard dimostra per l'ennesima volta di essere uno
scrittore in anticipo di mezzo secolo sulla concorrenza. Ben prima
della nascita di Tarantino, inizia infatti il racconto in pieno stile
western salvo poi piombare in un horror sovrannaturale di matrice
fantastica. John Reynolds, il protagonista, si nasconde dietro i
massi, nel cuore del deserto, tra i canyon. È fuggito dalla città
in sella a un mustang, inseguito da un quintetto di manigoldi facenti
parte di una famiglia rivale che lo vuole morto. Rimasto con due soli
proiettili nel tamburo della pistola, ben protetto dalle rocce, spara
un colpo in direzione di uno dei cinque. Colpito al cuore, l'uomo
muore sul colpo scatenando la reazione scomposta dei compagni che
prendono a sparare a casaccio verso i massi. I rumori spaventano il
mustang di Reynolds. Imbizzarritosi, il cavallo strappa le redini e
si da alla fuga. Gli zoccoli echeggiano nella vallata giungendo alle
orecchie dei manigoldi, fornendo loro la certezza che il rivale si
stia allontanando. Sarebbe una fuga senza speranza, al punto che i
quattro organizzano in fretta e furia un piano per chiudere
l'avversario poco più avanti, prendendosi anche il tempo di deporre
il cadavere del compagno in una grotta occlusa da un masso, così da
proteggerlo da avvoltoi e lupi e dargli in un secondo tempo degna
sepoltura. Strane leggende indiane però insistono sulla zona, non a
caso chiamata “la
valle degli esseri perduti”.
Si narra infatti di strani accadimenti verificatesi attorno alla
grotta, addirittura di cadaveri che, una volta sotterrati oltre il
portale d'accesso, sarebbero tornati a calcare il mondo dei vivi
seminando morte e distruzione. “I
superstiti avevano raccontato strampalate storie infarcite di
omicidi, fratricidi, follia, vampirismo, massacri e cannibalismo.”
Reynolds,
pur conoscendo la leggenda, dopo aver atteso la partenza dei rivali,
sposta il masso che occlude la caverna per recuperare dal cinturone
del morto i proiettili necessari per riarmare la pistola. Il corpo
però è scomparso nel nulla. Incredulo, Reynolds poggia una mano
sulla roccia trovandosi, d'un colpo, in un budello buio che scende
nelle profondità della terra. Qui ha inizio la seconda parte del
racconto, che cambia totalmente genere. “Un
semplice passo lo aveva gettato dal normale mondo della realtà
materiale in un regno d'incubo e follia.” L'orrore
irrompe all'ennesima potenza con grande sense
of wonder e
uno stile tipicamente lovecraftiano.
Dopo aver affrontato lo zombie del pistolero ucciso - misteriosamente
ritornato in vita - che Reynolds liquida spezzandogli la schiena in
un combattimento a corpo libero (“L'empio
potere che aveva animato il morto, qualunque fosse, lo aveva
abbandonato quando la spina dorsale, spezzandosi, aveva troncato ogni
collegamento con i centri nervosi e strappato le radici dell'apparato
muscolare”),
il protagonista scopre una realtà occulta popolata da esseri
antidiluviani di natura antropomorfa ma striscianti al suolo. Nei
sotterranei infatti vive un razza aliena rettiliana, più antica
dell'uomo e un tempo protagonista sotto la luce solare in metropoli
gigantesche, costretta a riparare nelle profondità della terra per
via degli scontri avuti con i mongoli antenati degli indiani
d'America. Costretti per millenni nell'ombra, questi esseri avrebbero
mutato la loro natura per adattarsi al nuovo habitat, assumendo
sempre più le caratteristiche dei serpenti ma con capacità mentali
superiori agli uomini. Devoti a un idolo serpentiforme e praticanti
la magia nera, riescono infatti a comunicare telepaticamente col
protagonista e persino a mostrargli la loro storia evolutiva.
Reynolds, impotente, scopre il mistero dei cadaveri ritornanti.
Attraverso uno speciale rito, questo popolo degli abissi riesce a
separare lo spirito dal corpo per penetrare nei cadaveri utilizzando
le membra di questi per fare scempio nella società umana. Ormai
spacciato e prossimo a essere sacrificato, con una trovata geniale,
Reynolds riesce a darsi alla fuga. Prende infatti l'idolo venerato
dai mostri e, in cambio della libertà, promette la restituzione
dello stesso a condizione di non essere aggredito fino all'uscita
dalla caverna. Quanto visto però è così forte da non liberarlo
dall'impulso di suicidarsi, non prima di aver fatto brillare la
grotta. Semplicemente notevole. Howard combina western e horror in un
racconto diviso in modo netto in due anime. L'idea centrale è
ripresa da Worms
of the Earth,
da cui tornano le creature serpentiformi relegate negli anfratti del
sottosuolo, ma anche l'escamotage (il furto di un loro idolo)
attraverso il quale il protagonista tiene sotto scacco il popolo
dell'abisso. Cambia solo il contesto geografico e con esso la
popolazione responsabile della fuga di questi esseri un tempo simili
all'uomo e ora desiderosi di vendicarsi in quanto ancora memori del
loro passato.
Un
lettore di narrativa fantastica potrebbe pensare che Howard sia stato
ispirato dalla
popolazione “aliena” rifugiatasi da millenni sottoterra e in
possesso di un potere soprannaturale che potrebbe spazzare via la
razza umana presente in The
Coming Race (“La
Razza che Verrà”, 1871)
di
Edward Bulwer-Lytton (1803-1873) e che abbia contaminato il tutto con
la tradizione de I
Miti di Cthulhu (a
proposito di grandi antichi),
lasciando
agli insegnamenti di Charles Darwin (1809-1882) sull'evoluzione della
specie il compito di fare il resto. Alcuni studiosi
però intravedono omaggi alla narrativa di Arthur Machen e al
cosiddetto “piccolo popolo”, in particolare al racconto The
Shining Pyramid (“La
Piramide di Fuoco”, 1895) dove lo scrittore gallese parlava di una
popolazione sotterranea che costituiva una minaccia per l'uomo. Il
riferimento a Machen non è fuorviante, anzi. In The
Little People (“Il
Piccolo Popolo”), pubblicato per la prima volta nel 1970, Howard fa
espresso riferimento al racconto The
Shining Pyramid,
citando il titolo nel testo. In questo racconto una giovane
studentessa americana, non convinta dell'esistenza del piccolo popolo
che avrebbe spinto Machen a scrivere il racconto da lei stessa letto,
decide di passare la notte in un primordiale circolo di pietre.
Accerchiata da una serie di “creature
scimmiesche dagli occhi serpentini”,
viene salvata dal tempestivo intervento del fratello. Ecco che
l'influenza di Machen diviene certa, ma Howard va ben oltre la
semplice citazione. Il suo interesse, infatti, affonda nel mito
antropologico e nella convinzione dell'esistenza di un'antica stirpe
di ceppo lappo-finnico dai tratti mongoloidi costretta dai più
progrediti ariani alla fuga nei sotterranei. Una stirpe destinata
alla degenerazione fisica tanto da dare origine ai miti relativi alle
fate, agli gnomi e al cosiddetto piccolo popolo delle isole
britanniche.
A
ogni modo, al di là delle origini del testo, The
Valley of the Lost presenta
delle caratteristiche peculiari che lo portano ad anticipare di
decenni classici assoluti dei più grandi maestri del brivido.
Impossibile non citare Pet
Sematary (1983)
e The
Tommyknocker (1986)
di Stephen King, dove saranno ripresi, nel primo caso, l'idea degli
uomini (e animali) che una volta sepolti in un terreno maledetto
dagli indiani ritornano dall'aldilà guidati da una forza malvagia e,
nel secondo caso, la presenza di creature aliene sepolte sottoterra
da millenni capaci di muovere telepaticamente gli uomini sulla terra
trasformandoli in meri veicoli in loro balia. Sempre King ricorrerà
all'idea dell'altare eretto in onore di un Dio serpente in
Jerusalem's
Lot (1981).
In The
Last Feast of Harlequin (“L'Ultimo
Banchetto di Arlecchino”, 1989) di Thomas Ligotti si parlerà di
una setta di uomini che si trasformano in esseri serpentiformi
all'apice di un sabba che vede una giovane vittima sacrificale issata
su un altare sotterraneo. Su tematiche similari sarà anche The
Croning
(“La Cerimonia”, 2012) di Laird Barron, autore rappresentante
l'ultima frontiera del cosiddetto modern
weird, a
coronamento di un percorso che dalle origini howardiane
dimostra di essere ancora vivo e vegeto nel secolo in corso. Non è
poi da sottovalutare il principio in base al quale per spegnere la
dinamicità di un “non-morto” occorre distruggere la fonte dei
centri nervosi. Se George A. Romero, con l'indimenticabile Night
of the Living Dead (“La
Notte dei Morti Viventi”, 1968), introdurrà l'idea del colpo di
pistola al cervello, Howard individua nella spina dorsale il centro
da spezzare per spegnere l'azione di un corpo.
La
spinta di commistione tra regionalismo e horror non si esaurisce qua.
Il
weird
western assume
sfumature ben più regionali con un'altra serie di racconti più
maturi che sono stati ricondotti nell'alveo del southern
gothic.
Sottogenere tipicamente americano portato al successo dal premio
nobel William Faulkner (1897-1962) e caratterizzato da un tentativo
di ammodernamento del gotico europeo, da cui si riprendono gli
stilemi, per effetto di elementi soprannaturali legati al folklore
afroamericano legato alle terre degli stati del sud dell'America (in
particolare la Louisiana e Mississippi). Entrano qua in gioco
santoni, donne incantatrici e la magia dell'hoodoo.
Nei southern
gothic del
texano non viene poi meno la tradizione dei cowboy, sebbene il
periodo storico (inizio novecento) e la presenza di elementi moderni
(quali le auto) trasformino i contesti in scenografie più
urbanizzate rispetto a quelle del lontano west. È ancora Weird
Tales a
tenere a battesimo il nuovo esperimento howardiano,
nel giugno del 1936, con la pubblicazione del famoso Black
Canaan
(Canaan
Nero). Howard lavora sul progetto per diversi anni. Propedeutico
alla stesura del racconto è il breve Kelly
The Conjure-Man,
tradotto dalla Elara come “Kelly, Uomo della Magia”
e
in precedenza, nel 2005, dalla CS Coop. Studi Libreria Editrice, come
“Kelly lo Stregone”. Il testo, su suggerimento di Howard P.
Lovecraft, viene steso nel 1933, facendo tesoro delle leggende
narratagli dal nonno paterno. Il Solitario di Providence, infatti, in
una delle tante missive che i due si scambiavano, lo convince a
utilizzare il personaggio. Più che un racconto, però, siamo alle
prese con una caratterizzazione oscura, di valenza magica, funzionale
alla stesura di un eventuale e futuro elaborato, cosa che poi avverrà
con Black
Canaan.
Il texano predispone la struttura del testo alla maniera di un
articolo di folklore locale.
Kelly The Conjure Man, ovvero “Kelly l'incantatore”, è uno
strano individuo vissuto nell'ultimo ventennio dell'ottocento a Holy
Springs, un insediamento scozzese-irlandese di cui Howard era venuto
a conoscenza a seguito dei racconti del nonno residente da quelle
parti. Howard non fa altro che mettere nero su bianco la leggenda del
personaggio, un gigante d'ebano con anelli di rame nelle orecchie e
il potere della magia, spostandone l'ambientazione geografica in
Arkansas, in un contesto boschivo circondato da fiumi e capanne di
legno. Figlio di un sacerdote ju-ju del Congo, the conjure-man arriva
in paese poco dopo la guerra civile americana. Non ci sono dialoghi o
azioni che lo riguardano, ma semplici descrizioni. Di indole
solitaria, ci viene riferito della sua abitudine iniziale di ricevere
i colored
per sottoporli a intrugli magici che avrebbero dovuto aiutarli a
guarire dalla tubercolosi o a liberarli dai malefici. “Bruciava
ossa di serpente in polvere e setacciava la polvere in un'incisione
nel braccio della vittima per mezzo di una lancetta fatta con un
vecchio rasoio. Non è certo che qualcuno sia mai guarito con questi
metodi, anzi, c'è ragione di credere che i risultati fossero
spaventosamente opposti.”
Presto
la fama dell'uomo muta: da liberatore di malefici, diviene un vero e
proprio sacerdote occulto dispensatore di maledizioni. A poco a poco
il villaggio diviene preda di un'isteria collettiva. “Erano
ossessionati dall'orribile convinzione che i loro stomaci fossero
pieni di serpenti vivi, creati dall'incantesimo di qualche mago, e
alla menzione di questo mago senza nome, il sospetto non poteva che
andare a Kelly.”
Il potere del sacerdote è così destinato a sgonfiarsi. Un giorno,
alla fine degli anni '70, così come era venuto, Kelly scompare nel
nulla. Howard resta sul vago. Suggerisce possibili soluzioni, ma
garantisce che nessuno seppe mai fornire notizie al riguardo della
sua scomparsa.
Il
testo viene spedito a The
Texaco Star
che però lo rigetta. Uscirà solo trentuno anni dopo, nel 1964, in
The
Howard Collector 5.
Howard tuttavia non si arrende. A metà 1933 sviluppa il personaggio
e lo utilizza in un racconto ambientato negli anni venti che prende
il titolo di Black
Canaan
(“Canaan
Nero”).
Il racconto viene rigettato da weird
tales.
Per trovare l'adesione della rivista, Howard lo deve revisionare e
riproporre nel novembre del 1934. Il racconto però tarda a uscire.
Solo nel giugno del 1936 Black
Canaan vede
la luce. Il risultato finale non convince il texano. "Ignora
il mio prossimo Black Canaan. È iniziato come un buon racconto",
scrive in una lettera ad August Derleth il 9 maggio 1936, "ambientato
nella vera Canaan, che si trova tra Tulip Creek e il fiume Ouachita
nell'Arkansas sud-occidentale, la patria degli Howard, ma ne ho
tagliato così tanto i contenuti, in risposta alle esigenze
editoriali, che nella sua forma pubblicata non assomiglierà molto
alla stesura iniziale."
Nonostante
la poca convinzione dell'autore, Black
Canaan trova
l'adesione di svariati autori, tra cui Lovecraft. Al centro del
narrato c'è l'esotico orrore che arriva dall'Africa, al ritmo di
tamburo, una minaccia che rischia di minare la società bianca dando
il là a un clima di ribellione e sovversione degli equilibri
precostituiti. Avvertito a New Orleans di un pericolo generico sul
fiume Tularoosa, Kirby Buchner, figlio di un colonnello di origine
irlandese, torna nel natio Canaan, una regione tra il torrente
Tularoosa e il Fiume Nero, per verificare cosa sia successo. Durante
il viaggio, rigorosamente in sella a un cavallo, subisce un agguato,
anticipato dall'incontro con un'incantatrice di colore dai modi e
dagli atteggiamenti estremamente sensuali. Abile nell'utilizzo delle
pistole e nel combattimento all'arma bianca, Buchner riesce a
salvarsi e a fare ingresso in città dove viene informato degli
strani avvenimenti che stanno funestando la quiete del villaggio. Un
tale Saul Stark si è messo in testa di uccidere tutti i bianchi del
Canaan, così da diventare il re della regione. Per farlo ha
soggiogato la popolazione nera attraverso il ricorso ad arti magiche
di origine voodoo, con le quali è persino in grado di ridurre gli
uomini in creature anfibie molto simili agli zombie. I neri, che
Howard chiama col dispregiativo termine niggers
(“negri”),
sono tutti fuggiti dalla città e si sono rintanati nella vicina
palude. Intenzionato a porre fine alla minaccia e rapito da un
sortilegio ordito dalla strega precedentemente incontrata e da cui è
attratto tanto da non riuscire a parlarne ad anima viva, Buchner
parte alla caccia del quartier generale di Stark, nel cuore di una
palude infestata di umanoidi assassini. Tra apparizioni
ectoplasmatiche (denominate “proiezioni psichiche”), riti, canti
propiziatori e il provvidenziale aiuto di un compagno d'avventura,
riuscirà a uccidere il sacerdote e la strega, mandando in fuga gli
impauriti e grezzi africani incapaci di comprendere cosa sia
successo.
Black
Canaan è
un racconto intriso di esoterismo, impreziosito da un bel mix di
grandguignol e tensione. Buchner è un personaggio in parte diverso
rispetto agli altri ideati dall'autore, si pensi a esempio a Steve
Harrison, di cui mutua l'abitudine a lavorare in solitaria e a
lanciarsi d'impulso in braccio al pericolo senza ponderare le
situazioni. Pur se coraggioso e d'azione (“Forse
rischiavo la vita: ma è un rischio che un uomo deve assumersi,
quando accetta la responsabilità del comando”),
è un uomo caratterizzato da una particolare sensibilità esoterica.
Al cospetto di una baracca di un santone voodoo, preferisce non
sfondarne l'uscio per il timore che lo spirito ju-ju
lo ossessioni con la follia e la morte. Accetta dunque il paranormale
e addirittura ne viene rapito, ipnotizzato, al punto da non riuscire
a premere un grilletto al cospetto dell'ammaliante minaccia. “Gli
uomini e gli animali non sono gli unici esseri intelligenti che
popolano questo pianeta. Ci sono cose invisibili, spiriti oscuri
delle paludi e del fango dei fiumi: e i negri li conoscono.”
Le
vaghe reminiscenze western di Black
Canaan tendono
a scomparire col successivo Pigeons
from Hell (“I
Colombi dell'Inferno”). Kirby Buchner, questa volta presentato come
sceriffo, conduce le indagini utili a scriminare un forestiero
testimone oculare di uno strano omicidio. Giunto in paese in
compagnia di un amico a bordo di un autovettura, l'uomo si trova a
correre a perdifiato nella notte inseguito da due occhi diabolici che
sembrano quelli di un lupo. Salvato dall'entrata in scena di Buchner,
apparso in sella a un cavallo imbizzarritosi alla vista dello
sconosciuto, racconta una strana storia. Al centro della vicenda c'è
una villa abbandonata, un tempo di proprietà di una facoltosa
famiglia locale i cui componenti sono scomparsi nel nulla nel corso
degli anni. Rifugiatisi all'interno della villa per poter passare la
notte, i due forestieri sono caduti vittima di uno stato di ipnosi
che ha portato uno di loro a camminare con un'accetta in mano e col
cranio spaccato da un colpo in testa. Il testimone parla di un vero e
proprio cadavere intenzionato ad assassinarlo. Inizialmente incredulo
e convinto di essere alle prese con un assassino, Buchner comprende,
ispezionando il luogo del delitto, la straordinarietà del caso.
“Abbiamo
a che fare con una vicenda che richiede qualcosa di ben diverso dal
razionalismo dei bianchi. I neri sanno molte più cose di noi, su
queste cose.”
Horror
in piena regola, tra la ghost
story
(tema case infestate) e quello che oggi definiremmo uno slasher,
ma con un equilibrato mix di grandguignol, giallo, magia e tensione.
Tornano di nuovo in scena il voodoo
e il suo mito o, più specificatamente, le maledizioni voodoo.
Al posto dei classici zombi, abbiamo una zuvembi,
un mostro frutto della trasformazione di un uomo a cui è stato
somministrato un filtro fatto di “ossa
di serpente macinate, sangue di vampiri, rugiada raccolta sulle ali
di un falco notturno e altre cose innominabili.” Una
zuvembi
perde
ogni caratteristica umana, dalla proprietà di linguaggio ai ricordi
della vita precedente, e diviene una sorta di demone che comanda
l'oscurità, ipnotizza gli uomini e guida i cadaveri finché la carne
degli stessi non si raffredda. Il suo unico obiettivo è massacrare
gli umani. Può essere uccisa, ma se questo non avviene vive in
eterno. Di western non c'è praticamente niente, a parte le pistole
di Buchner. Memorabile la parte finale del testo, con uno scantinato
che offre una visione indimenticabile ai due indagatori. Il mistero
della scomparsa dei proprietari della villa è risolto e, con esso, è
fatta luce sullo strano omicidio di inizio racconto.
Ascrivibile
al medesimo genere è The
Dead Remember (“L'Abito
a Scacchi”), pubblicato il 15 agosto del 1936 su Argosy. Il
racconto ha una struttura sfilacciata frutto di un collage realizzato
da una lettera, quattro deposizioni testimoniali e un referto del
coroner. Tutto ha inizio con l'uccisione, da parte di un mandriano,
di una coppia di colored.
Annebbiato dai fumi dell'alcool e convinto di esser stato truffato al
gioco dei dadi, l'uomo uccide a colpi di pistola i due, peraltro suoi
vecchi amici, per difendersi da una loro aggressione. “Non
vivrai per vantartene; ti maledico in nome del grande serpente, della
palude nera e del gallo bianco. Prima che il giorno nasca nuovamente
tu starai marchiando le mucche del diavolo all'inferno”
sussurra prima di spirare la donna, una mulatta conosciuta per la sua
abitudine di predire il futuro. Da quel giorno, la malasorte inizia a
funestare il mandriano. Strani incidenti, vitelli furiosi e cavalli
impazziti mettono di continuo a rischio la vita dell'uomo, tanto da
indurlo a credere nella sussistenza della minaccia della mulatta.
Certo di andare incontro alla morte nel giro di qualche giorno, il
mandriano rivela al fratello di voler combattere fino all'ultimo.
Troverà la morte in modo rocambolesco. La sua inseparabile pistola,
pulita giorno per giorno con un panno a scacchi bianco e nero, gli
scoppierà in mano per un errore di pulitura, inceppata da un lembo
di camicia ritrovato nella canna, o, forse, esplosa per effetto del
maleficio scagliato pochi minuti prima da una strana mulatta vista
alle porte del saloon. A far pensare al maleficio sarà il lembo
trovato dal coroner, un brandello di camicia a scacchi rosso e verde
proprio come l'indumento indossato dalla strega uccisa dal mandriano.
Altri
quattro racconti minori e poco noti escono tra il 1966 e il 1977 su
periodici e antologie. Tra questi è doveroso menzionare il tesissimo
The
Shadow of the Beast (“L'Ombra
della Bestia”), uscito nel 1977 e tradotto per la prima volta in
italiano nel marzo del 2015 nel volume Urania Horror I
Figli della Notte,
in cui un colored
invaghito di una donna bianca tenta di rapirla e, per farlo, spara un
colpo di pistola a un uomo bianco. L'azione fallisce, ma da avvio a
una caccia all'uomo che si estende all'interno delle paludi dove il
manigoldo trova protezione. Qui il protagonista si imbatte in una
casa abbandonata già teatro di bizzarre morti nel passato. Il
colored,
contravvenendo alle superstizioni e braccato dall'eroe di turno, si
rifugia all'interno della magione, svegliando qualcosa che non era il
caso di importunare. Entrati dentro il rudere, i due soggetti si
troveranno in balia di una forza ultraterrena. Uno strano essere si
muove lì dentro e la sua ombra, come in un film di Murnau, getta
nello sconforto preda e cacciatore, trasformandoli entrambi in
vittime designate. I proiettili non serviranno a nulla, l'unica
speranza sarà gettarsi giù dalle finestre. “Si
dice che un fantasma getta un'ombra al chiaro di luna anche quando di
per sé non è visibile all'occhio umano, ma non è mai vissuto uomo
il cui fantasma potesse proiettare un'ombra simile.” Racconto
semplice, espressionista come il Nosferatu,
ma senza mai mostrare il mostro. Il pericolo è abbozzato,
rappresentato da un'ombra che si riflette sul terreno e sui muri ma
che si distende da un corpo che non da traccia materiale di sé.
IL
WESTERN DI HOWARD
IN
EUROPA E IN ITALIA
I
western di Howard sono stati per tutto il novecento ignorati nel
nostro territorio, sebbene autorevoli critici, su tutti il sempre
lungimirante Gianfranco De Turris, parlassero di essi, già nel
lontano 1974, come ”letterariamente
le sue opere migliori.”
In
verità, si è trattato di un atteggiamento di disinteresse piuttosto
comune a quanto verificato nel resto d'Europa. A parte l'Inghilterra,
che ha fin da subito accolto Howard, si è dovuto aspettare quasi
cinquant'anni per vedere pubblicato un racconto western del texano al
di fuori dei confini nazionali. Ad anticipare tutti, si ricorda, la
pubblicazione del 1937, prima ancora delle case editrici americane,
del romanzo a episodi A
Gent from Bear Creek, preceduto
addirittura dal racconto A
Man-Eating Jeopard,
finito sul pulp
magazine inglese
Western
Adventures.
È
tuttavia la Germania a vantare il primato di aver tradotto in una
lingua non anglofona un western di Robert Ervin Howard, tralasciando
ovviamente i weird
western e
i southern
gothic.
La Wilhelm
Heyne Verlag nel 1982 acquista, per il magazine
tedesco Heyne
Western Magazin,
i diritti per la pubblicazione di due western del texano. Esce così
il numero 2.634 della rivista esclusivamente dedicato all'autore. Le
centoventicinque pagine vengono interamente occupate da una storia
intitolata Im
Schatten der Geier. È
la
traduzione in tedesco di The
Vulture of Whapeton,
il capolavoro western di Howard. Il testo è curato da Rainer
M. Schröder. La rivista omaggia ulteriormente l'autore includendolo
nel numero successivo, il 2.635, al fianco di altri
otto autori americani di western, tra cui il maestro del genere Louis
L'Amour. Howard viene rappresentato da Showdown
at Hell's Canyon,
tramutato nel teutonico Abrechnung
im Hell's Canyon,
che diviene così il secondo racconto western di Howard tradotto in
lingua estera. Nel numero viene anche riportato un estratto, di una
pagina e mezza, della postfazione di Glenn Lord a The
Vulture of Whapeton.
I
due racconti vengono seguiti, quattro anni dopo, dalla pubblicazione
di un altro volume interamente dedicato a Howard. Sempre la Wilhelm
Heyne Verlag, per il numero 2.731 della rivista, presenta Schüsse
am Bear Creek,
riproposizione a cura di Alfred Dunkel di The
Pride of Bear Creek, che
raccoglieva la serie di racconti non utilizzati da Howard
(semplicemente perché non li aveva ancora scritti) per il suo
romanzo a episodi A
Gent from Bear Creek.
Nella versione tedesca, dei sette racconti originariamente inclusi
nel testo da Glenn Lord, vengono tagliati A
Ring-Tailed Tornado e
The Conquerin' Hero of the Humbolds.
L'interesse
della Germania si ferma qua. Subentrano allora, in modo poco
convinto, Francia e Spagna, anche se c'è da riconoscere ai
transalpini il primato di aver pubblicato
per primi, in anticipo sugli americani, la serie di racconti
semi-western che vedono il pistolero Sonora Kid supportare
l'avventuriero texano trapiantato in Afghanistan El Borak. È infatti
il 1984 quando la NeO, grazie alle traduzioni di Francois Truchaud,
pubblica
El
Borak l'Éternel
che include le quattro storie aggiuntive al ciclo Sonora Kid
(personaggio all'epoca apparso in soli due racconti).
Sempre in Francia, così come in Spagna, si
traduce A
Man-Eating Jeopard,
famoso soprattutto per essere il racconto con cui il giornale di
Cross Plains salutò la morte dello scrittore. Il racconto, peraltro
già tradotto anche in Italia nel 1978 (primo vero e proprio western
di Howard ad arrivare nella nostra penisola), viene tradotto come
Rostro
de Calavera (1987)
e Un
Putois Putride
(1990) e inserito in antologie incentrare sulla narrativa
onnicomprensiva di Howard. Nel volume francese viene pubblicato anche
il primo racconto della serie Buckner J. Grimes, Knife-River
Prodigal, che
diviene Le
Fils Prodigue de Knife-River.
Ancora
sotto
la protezione dei diritti d'autore, si interessano ad Howard una
serie di paesi dell'est Europa. La polacca Wydawnictwo Andor pubblica
nel 1994 l'antologia Nie
Kopcie mi Grobu
(“Dig Me No Grave”). All'interno sono presenti dieci racconti
prevalentemente horror, tradotti da Grzegorz Prusinowski, Katarzyna
Pawlak e Paweł
Stasiak. Viene dato molto spazio ai weird
western,
rappresentato da The
Dead Remember, Old Garfield's Heart, The Valley of the Lost, The Man
on the Ground, ma
compare all'interno anche il western classico Drums
of the Sunset (Bębny
w Górach Zachodzącego
Słońca).
Molto
attiva anche la Russia, più specificatamente la casa editrice North
West. È il 1998 quando nelle librerie di Mosca arriva Брат
бури
(Brat
buri).
Si tratta di un volume diviso in tre sezioni, che fa parte di una
collezione di quindici volumi (1997-99) tutti dedicati ad Howard.
Nella prima parte, intitolata Brother
of the Storm,
vengono proposti sette racconti della serie Breckinridge, ossia
quelli inseriti in The
Pride of Bear Creek. Le
altre due parti del libro sono dedicate a un racconto di altro genere
(The
Return of Skull Face)
e alla corrispondenza dell'autore. Un anno dopo, sempre la North West
licenzia Коготь
дракона
(Kogot
Drakona) “Claw
of the Dragon”. Si tratta del primo libro non americano che
presenta l'intero ciclo Sonora
Kid,
con l'eccezione di The
Devil's Joker e
dei racconti in cui il pistolero supporta El Borak. Vengono tradotti
e inseriti all'interno anche i sarcastici Knife-River
Prodigal, primo
racconto del ciclo Buckner J. Grimes, e The
Extermination of Yellow Donory.
Nel
2009, caduti i diritti d'autore, si aggiunge all'elenco la Repubblica
Ceca, patria da sempre interessata al genere western.
L'Albatros Media Plus da alle stampe
Z Divokého Západu
(The Wild West), antologia interamente dedicata al western
howardiano.
La casa editrice ceca è la prima a tradurre in lingua diversa
dall'inglese il mini-ciclo Grizzly
Elkins.
Pavel Medek cura l'edizione e traduce i testi. Tra questi figurano
The
Vulture of Whapeton, The Man on the Ground, The Extermination of
Yellow Donory, The Haunted Mountain (racconto
del ciclo Breckinridge), Law-Shooters
of Cowtown e
Gunman's Debt (ossia
i due racconti del ciclo Grizzly Elkins).
L'Italia,
in tutto questo, sta a guardare, interessata solo agli horror e ai
fantasy dell'autore. Non a caso, prima del 2014, solo i weird
western e
i southern
gothic ricevono
l'interesse delle nostre case editrici. C'è però un eccezione. Nel
calderone finisce infatti, per mero caso, A
Man-Eating Jeopard.
Il motivo è semplice. L'Editrice Nord traduce (per mano di Roberta
Rambelli) nel 1978 in italiano il volume Skull
Face and Others (1946)
della Arkham House dove, al suo interno, sono presenti horror, weird
western e
southern
gothic
oltre A
Man-Eating Jeopard (incomprensibilmente
inserito all'interno per scelta di August Derleth).
Non
si tratta però della prima pubblicazione italiana.
È infatti The
Horror from the Mound
a vantare il primato di essere il primo racconto, in qualche modo
western (la componente horror è prevalente), tradotto nella nostra
lingua. Sono Giampaolo Cossato e Sandro Sandrelli a tradurre il
testo, su commissione della Casa Editrice La Tribuna, che lo
inserisce nell'antologia Chi
di Vampiro Ferisce...
Il racconto, L'Orrore
dalla Collina,
apre
l'antologia che propone specialisti dell'horror quali Edward F.
Benson, Manly W. Wellman, Montague R. James, Howard P. Lovecraft,
Nathaniel Hawthorne e persino Agatha Christie. Il volume esce il 15
novembre 1972, per la collana Galassia.
Nove
anni dopo viene tradotto Old
Garfield's Heart
che la Fanucci convoglia nel numero 10 della collana Il
Meglio di Weird Tales.
A curare la traduzione sono Gianni Pilo, Daniela Galdo e Maria Teresa
Tenore. L'esempio viene seguito tre anni dopo dalla Garden
Editoriale, per la collana Horror
Story,
che impingua l'antologia Horror
Story 4, per
lo più formata da racconti di William H. Hodgson, con The
Man on the Ground, tradotto
da Alda Carrer. Il volume viene anticipato di cinque mesi dall'Urania
che nel Millemondiestate
1990
include For
the Love of Barbara Allen
(tradotto da Lydia Di Marco). Nel 1994 è la volta di The
Dead Remember, pescato
dalla Fanucci Editore per l'antologia Ombre
dal Tempo,
con Gianfranco De Turris che introduce sedici racconti del texano
(nessuno western, a parte le nuove versioni di Old
Garfield's Heart
e di The
Man on the Ground,
alla loro seconda pubblicazione in italiano,
tradotte
da Cristian Carlone).
Il
cerchio si chiude con la pubblicazione di The
Secret of the Last Valley,
Kelly
The Conjure Man e
The
Shadow of the Beast
rispolverati dalla Mondadori, per la collana Urania
Horror, per
due antologie interamente dedicate all'autore apparse nel 2015 e
subito divenute oggetto per collezionisti. E il western classico?
Neanche l'ombra, fino all'iniziativa della piccola casa editrice
fiorentina Fratini Editore. È ormai il 2014, quando escono otto
racconti inediti, tutti western puri, in un'antologia intitolata
Sfida
al Canyon Infernale.
È un volume epocale per l'Italia. Ricordo di averlo acquistato al
Pisa Bookfestival, nel novembre del 2014, quando ancora scrivevo la
mia tetralogia sullo spaghetti western per le Edizioni Il Foglio di
Piombino. Camminavo tra gli innumerevoli stand quando, d'improvviso,
ebbi la sensazione di aver visto qualcosa che non poteva essere: un
volume sul western di Robert Ervin Howard! Avevo in una busta di
plastica, nascosto alla vista dei presenti, il volume Guida
alla Letteratura Horror
(2014) dell'Odoya, acquistato poco prima come mia abitudine a ogni
edizione del festival (compro sempre il mio primo volume dall'Odoya,
peraltro primo stand alla sinistra di una delle due entrate del
festival), curato tra gli altri da Walter Catalano, Michele Tetro,
Roberto Chiavini e Gian Filippo Pizzo. Avete presente un bimbo quando
la mattina di Natale si appresta ad affacciarsi verso l'angolo in cui
è collocato l'albero di Natale? Beh, quello ero io, nell'attimo in
cui il bimbo vede i pacchi regalo. Prendo il libro e dico: non
ci credo, un libro di Howard sul western!
L'editore, o chi per lui, mi guarda e mi fa: “Me
lo hanno fatto un gruppo di ragazzi un po' particolari, un po' strani
per la verità, che di solito fanno horror.”
Io lo guardo, pesco nella busta e faccio: “Guardi
un po'...? Li conosco... li conosco, ho anche bisticciato con uno di
loro che qui, a differenza degli altri tre, non vedo!”
Non posso fare che una cosa: aprire il portafoglio e liberare un bel
ventone (perfetto gioco di parole per acquistare uno che ha a che
fare con i Tornado
del Texas).
Compro il libro e me lo leggo. L'anno successivo cerco di convincere
l'amico, anche lui saggista per Zothique,
Cesare Buttaboni a compare il volume, ma la Fratini Editore non c'è
più. Sparita nel nulla, non più presente al festival. Il volume
diventa introvabile e va fuori catalogo. Davvero un vero peccato, per
la cura, l'importanza e il valore dell'opera. Il testo è tuttavia
fondamentale a scuotere l'ambiente. La Providence Press, che debutta
nel mondo editoriale proprio con una serie di volumi di Howard,
pubblica nel dicembre del 2018 Buckner
J. Grimes. Il Tornado del Texas.
All'interno, Andrea Sottana e Gianfranco Calvitti traducono la
trilogia “Buckner J. Grimes” (con due inediti in italiano su
tre), mentre Giacomo Ortolani si occupa della parte saggistica. Anche
questo volume finisce fuori catalogo. Acquisto per il rotto della
cuffia l'ultima copia disponibile, nel gennaio del 2021, ordinandola
direttamente a Calvitti che, in quarta di copertina, mi regala la
dedica “A
Matteo, con amicizia e... piombo rovente!!!”
Il
materiale western di Howard sembra esser condannato a restare merce
di nicchia per collezionisti. Ma ecco che arrivano altre due nuove
pubblicazioni. La Elara, casa editrice fortemente interessata
all'autore, nell'aprile del 2019 pubblica un volume notevole. Lo apre
un'introduzione di Armando Corridore che, insieme ad Annarita
Guarnieri e Martina Ferraina, cura le traduzioni dei testi raccolti
sotto il titolo Storie
della Frontiera.
All'interno sono presenti lettere, quindici poemi nonché sette
inediti e nove riproposizioni, tutti western. Tra gli inediti abbiamo
West
is West, Golden Hope Christmas, The Judgement of the Desert, The
Ghost of Camp Colorado, il
dittico della serie Grizzly Elkins ( Law
Shooters of Cowtown e
Gunman's Debt)
e The
Strange Case of Josiah Wilbarger. Tre
racconti già usciti su Sfida
al Canyon Infernale
e
sei weird
western
completano
il testo. Per l'eterogeneità dell'offerta si tratta, senza ombra di
dubbio, del volume da cui iniziare per avvicinarsi al western di
Howard. Purtroppo il testo non è facilmente recuperabile, se non
rivolgendosi direttamente all'editore.
Nel
novembre del 2020, dopo aver già pubblicato un volume dedicato al
personaggio, la Providence Press, nella persona di Gianfranco
Calvitti, propone un volume destinato ai collezionisti, in edizione
limitata (80 copie), intitolato El
Borak Volume 2 Deluxe
dove è possibile leggere, per la prima volta in italiano, due delle
quattro avventure che vedono Sonora Kid, in territorio estero,
spalleggiare il pistolero texano. Il libro è attualmente esaurito.
Un'ultima
novità viene offerta da un inatteso volume curato da Claudio Foti. A
giugno 2021, proprio dopo che il sottoscritto ultimava le letture dei
testi in inglese, Foti, in via indipendente, traduce per i lettori
italiani il ciclo tanto nominato, anche in Italia, ma mai
(clamorosamente e vergognosamente) proposto alle nostre latitudini,
il western umoristico per eccellenza nella produzione del texano.
Esce finalmente, tutto inedito in italiano, Un
Gentleman a Bear Creek,
la traduzione del romanzo a episodi A
Gent From Bear Creek.
Questo
è quanto. La speranza è che si completi l'intero materiale. Molti
racconti persistono a restare inediti, a partire dall'intero ciclo
Pike Bearfield (l'emulo di Breckinrdige Elkins che Howard scrisse su
richiesta di Argosy).
Mancano anche i racconti del Breckinridge non inclusi nel romanzo
tradotto da Foti (circa una dozzina), quasi tutto l'adrenalinico
Sonora Kid (sei racconti e sei frammenti di storia, oltre due delle
quattro storie che lo vedono collaborare col pistolero texano
trapiantato in Afghanistan El Borak) e un piccolo pugno di western
secondari. Il grosso però, pur se con quasi ottanta anni di ritardo,
è stato fatto... meglio tardi che mai, come si suol dire. Ai
prossimi appuntamenti e ricordate: non
date mai a nessuno più pallottole di quante gliene servono... Quella
in più, potrebbe esservi fatale!