Autore: Bram Stoker.
Titolo Originale: The Jewel of the Seven Stars.
Anno: 1903.
Genere: Esoterico.
Editore: Uscito in quattro edizioni (1991-98)
Pagine: 320.
Prezzo: fuori commercio.
A cura di Matteo Mancini.
Quella che stendiamo qua è una recensione superficiale, essendo il sottoscritto chiamato a procedere nello sviluppo e nell'analisi del testo per il numero cinque della rivista Zotique della Dagon Press di Pietro Guarriello, per la quale realizzerò un ampio dossier legato a Bram Stoker e alla sua produzione.
The Jewel of the Seven Stars è l'opera più esoterica e occulta realizzata dall'autore reso celebre dal successo di Dracula. La pubblica nel suo momento migliore, per quanto concerne la verve fantastica, probabilmente agevolato dall'adesione all'ordine esoterico della Golden Dawn (società segreta in cui la cultura egizia era fulcro di studio). Il volume esce, nella sua prima edizione, sei anni dopo il Dracula. E' un testo in cui Bram Stoker investe molto. Lo fa in termini di tempo, al punto da modificare negli ultimi giorni della propria vita il finale, con una smielata happy end, a nostro modo di vedere, di caratura assai inferiore rispetto al primo finale adottato. Ma soprattutto lo fa nel ricreare il coacervo culturale legato alle tumulazioni dell'antico Egitto, con particolare cura per i simbolismi, le trappole volte a dissuadere i tombaroli e per l'attenzione dell'epoca ai rapporti con le costellazioni e i rituali esoterici funzionali a garantire la rinascita. Ne viene fuori un'opera complessa, dotata di molti profili di analisi. Oltre all'innegabile apporto esoterico, The Jewel of the Seven Stars si inserisce in quel solco tracciato dal gran maestro Robert Louis Stevenson, si pensi a The Strange Case of Dr.Jekyll & Mr.Hyde (1886), e poi ripreso dal più moderno Herbert G. Wells (altro adepto Golden Dawn), che vede nel darwinismo un male anziché un bene, così come il progresso sociale viene visto quale regresso rispetto all'antica saggezza in cui la magia era l'ars regia e l'astrologia una scienza. Stoker, di fatti, partendo dalla grandezza della millenaria cultura egizia , di cui suggerisce qualità addirittura fantascientifiche andate perdute, muove un'aspra critica al progresso scientifico e soprattutto allo smarrimento culturale della società inglese, ormai uscente dal periodo vittoriano e a caccia di una nuova identità. Un'analisi aspra e cruda che non salva neppure le convinzioni religiose e il monoteismo legato al dogma della presenza di un unico Dio. I protagonisti di Stoker sono ricercatori di verità, sono critici e cercano, per tale via, di fungere da sprono sociale e soprattutto da profeti di un mondo sommerso che qualcuno si ostina a non voler riconoscere.
Rispetto al Dracula, il romanzo scorre meglio, ha un brillante inizio che ricorda molto lo stile di Arthur Conan Doyle, di cui Stoker era grande amico nonché socio, tanto da aver firmato a quattro mani con lui alcuni volumi (si veda The Water's Mou del 1895). Non ci sono preamboli, si parte subito in quarta con una scena che sembrerebbe quella propria di un giallo. Un collezionista di reliquie dell'antico Egitto viene trovato dalla figlia riverso a terra in una pozza di sangue. E' solamente ferito, ma presenta un incomprensibile stato di catalessi che lo sottrarrà dalla coscienza per quattro giorni. Sul posto giungono avvocati, poliziotti, medici e maggiordomi, ognuno con la sua tesi e il suo carico di sospetti, pronto a venire a capo di un mistero che, a un certo punto, con la scomparsa di un lotto di lampade datate 5.000 anni, anticipa persino il sottofilone delle camere chiuse di cui Gaston Leroux (si pensi a Il Mistero della Camera Gialla, 1907) e John Dickson Carr diverranno abili maestri (ovviamente anticipati da sua maestà Edgar Allan Poe). Tra l'altro Stoker, grazie al ricorso di una mano, dotata di sette dita, capace di muoversi libera dal corpo fungerà da ispirazione anche a quel William Fryer Harvey di recente rispolerato dalle edizioni Hypnos di Milano (si veda The Beast With Five Fingers, 1928). Il giallo però, a poco a poco, lascia campo a un fantastico in cui la magia, lo spiritismo e soprattutto la spiritualità e l'idea del corpo astrale andranno sempre più a prendere piede, con una mummia di un'antica regina (più verosimilmente una stega) pronta a liberare lo spirito che trattiene al fine di risorgere, secondo i protagonisti dell'esperimento che si andrà a organizzare, per rivelare i misteri dell'aldilà e, al contempo, dell'antica cultura egizia. Assolutamente da non perdere il primo finale, quello originale, che presenta un pathos, un tatto (apoteosi del romanticismo e dell'eleganza stokeriana) e un'atmosfera psichedelica degna dei migliori autori di fantastico.
Testo non semplice, tendente a divenire pesante nella parte centrale (tallone di achille dell'autore quando affronta la lunga distanza del romanzo), sebbene Stoker tenti di ravvivarlo con flashback intrisi di azione e morte, ma anche con passi di libri che apriranno la strada alla comprensione di quanto il lettore e lo stesso protagonista (un avvocato, tra l'altro consigliere privato della Regina d'Inghilterra) si troveranno a dover affrontare. A un certo punto, a circa tre-quarti di storia, Stoker piazza un capitolo che sembra estratto da un saggio sull'antico Egitto, con elucubrazioni, supposizioni e interpretazioni opinabili che spezzano il ritmo e non si rivelano molto digeribili al lettore comune.
Non manca il romanticismo, all'insegna dell'infatuazione amorosa da colpo di fulmine, che caratterizza tutti i romanzi dell'autore. Stoker pone sempre al centro dei suoi romanzi la componente sentimentale, con un protagonista, di solito un borghese, che si trova a muoversi in contesti nobiliari o comunque, come qua, legati all'alta finanza.
Il romanzo è uscito in Italia in quattro versioni, a partire dal 1991, che hanno coinvolto Rizzoli, Mondadori e Newton. Il sottoscritto ha letto quest'ultima edizione, quella originale e non interessata dal secondo intervento dell'autore. Dovrebbe esser stato pubblicato anche in versione modificata con un epilogo, mi pare di capire, smielato che rovina molto, a mio modo di vedere, l'atmosfera occulta ed esoterica propria di uno spirito che di benevolo ha ben poco e che tiene fede al nome della valle (La valle della strega) in cui lo splendido corpo che gli forniva veicolo per muoversi in società era stato tumulato.
The Jewel of the Seven Stars è dunque un romanzo notevole a livello di soggetto, che soffre di uno sviluppo a tratti ripetitivo e per altri lezioso, intriso di simbolismi, date, giochi continui sui numeri, riferimenti astrali, posizionamento specifico di oggetti, il tutto in un costante ritualismo che rischia di far perdere per strada i lettori meno accorti. Non è una lettura consigliata ai bambini né ai lettori svogliati o facili alle distrazioni. Dopo Dracula, è il miglior romanzo di Bram Stoker. Nettamente superiore agli altri testi, salvo alcuni racconti giostrati sulla breve distanza. Come direbbe Guido Meda: Stoker c'è!
The Jewel of the Seven Stars è l'opera più esoterica e occulta realizzata dall'autore reso celebre dal successo di Dracula. La pubblica nel suo momento migliore, per quanto concerne la verve fantastica, probabilmente agevolato dall'adesione all'ordine esoterico della Golden Dawn (società segreta in cui la cultura egizia era fulcro di studio). Il volume esce, nella sua prima edizione, sei anni dopo il Dracula. E' un testo in cui Bram Stoker investe molto. Lo fa in termini di tempo, al punto da modificare negli ultimi giorni della propria vita il finale, con una smielata happy end, a nostro modo di vedere, di caratura assai inferiore rispetto al primo finale adottato. Ma soprattutto lo fa nel ricreare il coacervo culturale legato alle tumulazioni dell'antico Egitto, con particolare cura per i simbolismi, le trappole volte a dissuadere i tombaroli e per l'attenzione dell'epoca ai rapporti con le costellazioni e i rituali esoterici funzionali a garantire la rinascita. Ne viene fuori un'opera complessa, dotata di molti profili di analisi. Oltre all'innegabile apporto esoterico, The Jewel of the Seven Stars si inserisce in quel solco tracciato dal gran maestro Robert Louis Stevenson, si pensi a The Strange Case of Dr.Jekyll & Mr.Hyde (1886), e poi ripreso dal più moderno Herbert G. Wells (altro adepto Golden Dawn), che vede nel darwinismo un male anziché un bene, così come il progresso sociale viene visto quale regresso rispetto all'antica saggezza in cui la magia era l'ars regia e l'astrologia una scienza. Stoker, di fatti, partendo dalla grandezza della millenaria cultura egizia , di cui suggerisce qualità addirittura fantascientifiche andate perdute, muove un'aspra critica al progresso scientifico e soprattutto allo smarrimento culturale della società inglese, ormai uscente dal periodo vittoriano e a caccia di una nuova identità. Un'analisi aspra e cruda che non salva neppure le convinzioni religiose e il monoteismo legato al dogma della presenza di un unico Dio. I protagonisti di Stoker sono ricercatori di verità, sono critici e cercano, per tale via, di fungere da sprono sociale e soprattutto da profeti di un mondo sommerso che qualcuno si ostina a non voler riconoscere.
Rispetto al Dracula, il romanzo scorre meglio, ha un brillante inizio che ricorda molto lo stile di Arthur Conan Doyle, di cui Stoker era grande amico nonché socio, tanto da aver firmato a quattro mani con lui alcuni volumi (si veda The Water's Mou del 1895). Non ci sono preamboli, si parte subito in quarta con una scena che sembrerebbe quella propria di un giallo. Un collezionista di reliquie dell'antico Egitto viene trovato dalla figlia riverso a terra in una pozza di sangue. E' solamente ferito, ma presenta un incomprensibile stato di catalessi che lo sottrarrà dalla coscienza per quattro giorni. Sul posto giungono avvocati, poliziotti, medici e maggiordomi, ognuno con la sua tesi e il suo carico di sospetti, pronto a venire a capo di un mistero che, a un certo punto, con la scomparsa di un lotto di lampade datate 5.000 anni, anticipa persino il sottofilone delle camere chiuse di cui Gaston Leroux (si pensi a Il Mistero della Camera Gialla, 1907) e John Dickson Carr diverranno abili maestri (ovviamente anticipati da sua maestà Edgar Allan Poe). Tra l'altro Stoker, grazie al ricorso di una mano, dotata di sette dita, capace di muoversi libera dal corpo fungerà da ispirazione anche a quel William Fryer Harvey di recente rispolerato dalle edizioni Hypnos di Milano (si veda The Beast With Five Fingers, 1928). Il giallo però, a poco a poco, lascia campo a un fantastico in cui la magia, lo spiritismo e soprattutto la spiritualità e l'idea del corpo astrale andranno sempre più a prendere piede, con una mummia di un'antica regina (più verosimilmente una stega) pronta a liberare lo spirito che trattiene al fine di risorgere, secondo i protagonisti dell'esperimento che si andrà a organizzare, per rivelare i misteri dell'aldilà e, al contempo, dell'antica cultura egizia. Assolutamente da non perdere il primo finale, quello originale, che presenta un pathos, un tatto (apoteosi del romanticismo e dell'eleganza stokeriana) e un'atmosfera psichedelica degna dei migliori autori di fantastico.
Testo non semplice, tendente a divenire pesante nella parte centrale (tallone di achille dell'autore quando affronta la lunga distanza del romanzo), sebbene Stoker tenti di ravvivarlo con flashback intrisi di azione e morte, ma anche con passi di libri che apriranno la strada alla comprensione di quanto il lettore e lo stesso protagonista (un avvocato, tra l'altro consigliere privato della Regina d'Inghilterra) si troveranno a dover affrontare. A un certo punto, a circa tre-quarti di storia, Stoker piazza un capitolo che sembra estratto da un saggio sull'antico Egitto, con elucubrazioni, supposizioni e interpretazioni opinabili che spezzano il ritmo e non si rivelano molto digeribili al lettore comune.
Non manca il romanticismo, all'insegna dell'infatuazione amorosa da colpo di fulmine, che caratterizza tutti i romanzi dell'autore. Stoker pone sempre al centro dei suoi romanzi la componente sentimentale, con un protagonista, di solito un borghese, che si trova a muoversi in contesti nobiliari o comunque, come qua, legati all'alta finanza.
Il romanzo è uscito in Italia in quattro versioni, a partire dal 1991, che hanno coinvolto Rizzoli, Mondadori e Newton. Il sottoscritto ha letto quest'ultima edizione, quella originale e non interessata dal secondo intervento dell'autore. Dovrebbe esser stato pubblicato anche in versione modificata con un epilogo, mi pare di capire, smielato che rovina molto, a mio modo di vedere, l'atmosfera occulta ed esoterica propria di uno spirito che di benevolo ha ben poco e che tiene fede al nome della valle (La valle della strega) in cui lo splendido corpo che gli forniva veicolo per muoversi in società era stato tumulato.
The Jewel of the Seven Stars è dunque un romanzo notevole a livello di soggetto, che soffre di uno sviluppo a tratti ripetitivo e per altri lezioso, intriso di simbolismi, date, giochi continui sui numeri, riferimenti astrali, posizionamento specifico di oggetti, il tutto in un costante ritualismo che rischia di far perdere per strada i lettori meno accorti. Non è una lettura consigliata ai bambini né ai lettori svogliati o facili alle distrazioni. Dopo Dracula, è il miglior romanzo di Bram Stoker. Nettamente superiore agli altri testi, salvo alcuni racconti giostrati sulla breve distanza. Come direbbe Guido Meda: Stoker c'è!
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