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giovedì 9 agosto 2018

Recensione Narrativa: I TRE IMPOSTORI di Arthur Machen.



Autore: Arthur Machen.
Titolo Originale: The Three Impostors.
Anno: 1895.
Genere: Romanzo giallo/horror circolare.
Editore: Fanucci, 2004.
Pagine: 192.
Prezzo: 7,50 euro.

A cura di Matteo Mancini.
The Three Impostors ovvero il capolavoro circolare di Machen, come ebbe modo di definirlo lo storico di religioni e conoscitore di dottrine esoteriche Elemiere Zolla, o il “Decamerone del mistero” come è stato definito da altri studiosi del fantastico.
E' il genere di libro, come giustamente ha sottolineato il critico David Trotter, che obbliga il lettore a una seconda lettura; sia per il suo presentarsi quale romanzo circolare, con una serie di racconti interconnessi tra loro, sia, a mio modo di vedere, per il forte impatto allusivo che trasforma la circolarità del romanzo in un vero e proprio puzzle che richiede la scomposizione dei vari racconti e la ricomposizione in vista dell'unicum generale. Comunque un Machen piuttosto complesso, che parla di letteratura, stile nella letteratura e nella vita, Londra, materialismo e spiritualismo in un modo tale che può esser proprio solo di un tipo di letteratura: l'esoterica. 

Il progetto inizia a prendere forma nel 1890. Machen ha appena ventisette anni, quando stende le prime storie in vista del termine che si concretizza cinque anni dopo. Romanzo curioso, verrebbe da dire sperimentale, costruito seguendo l'insegnamento lasciato da Robert Louis Stevenson con Le Nuove Mille e una Notte (1882) e soprattutto con la struttura de Il Dinamitardo (1885). L'autore gallese, come il collega scozzese, realizza cioè un volume caratterizzato da una serie di racconti apparentemente scollegati tra loro che, a poco a poco che la narrazione procede, sconfesseranno la loro estraneità per convergere su un trait d'union centrale che funge da collante dell'intera vicenda. Ne esce un'opera complessa, a tratti filosofica e a tratti satirica, in cui Machen, come si potrebbe fare in un gran calderone, butta dentro tutto ciò che lo riguarda e lo interessa. Così imperversano gli aspetti autobiografici, la passione per l'esoterismo e le tradizioni popolari dell'amato Galles fino al vezzo di vagabondare per le vie londinesi dissertando su aspetti filosofici e sociologici (Machen scriverà un volume sull'Arte del Vagabondare). In breve, c'è dentro tutto l'Arthur Machen che sarebbe, da lì a poco, maturato nella visione spirituale e ascetica qua non ancora ben evidenziata.

Possiamo dunque definire I Tre Impostori un'opera metaletteraria, sia per gli spudorati richiami alla produzione “stevensoniana” sia per avere al suo interno dei personaggi che raccontano storie che acquisiscono il rango di racconti nel racconto, così forti da assumere valenza autonoma da debordare dal volume di riferimento per confluire in antologie e raccolte varie, tanto da superare in valore e importanza quella dell'opera più complessa da cui sono tratte. Costituiscono importante esempio i racconti La Polvere Bianca e La Storia del Sigillo Nero definiti “il contributo più sconvolgente di Machen alla narrativa dell'orrore”. Non a caso detteranno, in modo decisivo, le coordinate della produzione di un certo Howard Philips Lovecraft allo stesso modo de Gli Dei di Pegana di Lord Dunsany e degli elaborati allucinati di Edgar Allan Poe.

Al centro dell'intreccio troviamo due giovani signorotti benestanti che passano il tempo a dissertare in tabaccheria, nei salotti o per le vie di Londra. Si tratta di due individui complementari che ricordano, per caratterizzazione, la coppia Fox Mulder e Dana Scully del fortunato serial X-Files, differenziandosi da questi per non essere dei veri e propri indagatori nel senso giuridico del termine. Da una parte abbiamo il sognante Dyson, scrittore talentuoso che cerca vanamente l'idea per consegnare alla storia il suo capolavoro artistico, dall'altra il pragmatico Phillips, sostenitore dello stile (da anteporre alla sostanza) e della scienza (biologo e paleontologo mancato) nonché detrattore del meraviglioso nella letteratura. “Nessuno ha diritto di servirsi in letteratura del meraviglioso, delle coincidenze strane, perché il meraviglioso e l'improbabile non si verificano e le vite degli uomini non sono tracciate dalle coincidenze strane” così dice all'amico Dyson, aggiungendo che in letteratura “il tema ha poca importanza, poiché l'abilità più grande consiste nel prendere un tema apparentemente banale e tramutarlo, grazie all'alchimia dello stile, nel puro oro dell'arte.
Machen si diverte a giocare, in chiave satirica, con questi improbabili e originali “anti-indagatori” che, più che scoprire qualcosa, si troveranno in veste di meri e impotenti osservatori delle “mille coincidenze che ogni giorno sono in atto per le vie di Londra”. David Trotter, nella sua colta prefazione (che in realtà suonerebbe meglio come postfazione), definisce Dyson un erede dei flaneur del primo ottocento parigino ovvero gli eleganti passeggiatori che si raccoglievano nelle gallerie di Parigi con l'unica occupazione di osservare la folla urbana e documentare l'apparizione della modernità nelle strade della città. "La vita è peggiorata, siamo in piena decadenza. Riconosco un generale apparenza di squallore; ci vuole molta filosofia per estrarre il meraviglioso e il bello, eppure abbiamo alcuni vantaggi. Davanti a noi si spiega il più grande spettacolo che il mondo abbia mai veduto: il mistero delle strade innumerevoli, le strane avventure che debbono nascere infallibilmente da una pressione d'interessi così complessi..." Ecco che Dyson, regalando queste impressioni agli interlocutori di volta in volta diversi, ha la sensazione nell'incamminarsi per le vie di Londra di essere “seriamente a lavoro”, facendo estrema attenzione all'osservazione dell'umanità, del traffico e delle vetrine. E sarà proprio questo vezzo che lo porterà, suo malgrado, a lambire il mistero legato al rinvenimento di una moneta di estremo valore, un reperto da collezione gettato in un vicolo londinese da un uomo in fuga seguito da un secondo intento a brandire un coltello al vento. La soluzione del caso in cui i due improbabili indagatori verranno catapultati sarà costantemente sotto il loro naso, eppure non riusciranno a coglierla, se non nel truce e cattivissimo finale che ribalterà i ruoli che gli stessi si erano prefigurati. Machen, peraltro, gioca a fare il beffardo e porrà i due in costante appoggio ai manigoldi, camuffati da persone bisognose o frodate, incaricati di compiere il crimine che è stato loro commissionato da un probabile Gran Maestro di un'organizzazione segreta a sfondo iniziatico ed esoterico. 
Così vedremo Dyson beffeggiato continuamente dai personaggi che si troverà a incontrare per Londra, proprio lui che aveva dichiarato di “andare come un cavaliere errante in cerca dell'avventura”, e che gli chiederanno, ognuno con giustificazione menzognera diversa, se ha visto un giovane uomo con favoriti e occhiali neri, accusato, di volta in volta, dei più assurdi misfatti (assassino ricercato per delitti intercontinentali, ladro di gemme preziose, fratello accompagnato da un essere mostruoso). Sorte ben peggiore toccherà a Phillips che dovrà sacrificare la propria incrollabile fede pragmatica e materialista sull'altare di quel meraviglioso e improbabile che, contrariamente dalle sue opinioni, imperverserà nella intera vicenda in cui si troverà trascinato dall'amico Dyson. “Nessuno può indurmi a rinnegare le mie convinzioni. Non crederò mai, e non fingerò mai di credere, che due e due facciano cinque, e non ammetterò mai che esistano triangoli con due lati” questo il suo sfogo al cospetto di una ragazza che, prontamente, gli racconterà una storia folle che sconfesserà la scienza (il protagonista della vicenda è un etnologo proprio come Phillips), ribaltando la teoria darwiniana, e con essa ogni principio di ragione.

Ecco allora che emerge un mystery, che ruota su un accadimento degno di un romanzo giallo (una vera e propria caccia all'uomo), pur dipanandosi con aneddoti e storie (che poco hanno a che fare con quella centrale) da puro orrore cosmico, snodato tra i vicoli di una Londra labirintica che si apre alla campagna circostante tra strade semi deserte e stabili di nuova costruzione che altro non sono che la testimonianza diretta di un'urbanizzazione sempre più estesa verso la periferia campestre. Un contesto in cui le coincidenze sono all'ordine del giorno e in cui tutto sembra esser gestito da un regista occulto che pianifica ogni azione alla stregua di chi conosce il futuro e lo giostra a proprio a favore. ”Mi convinsi che l'intera faccenda era uno scherzo gigantesco, una costruzione follemente improbabile... Con quali mezzi Lipsus poteva aver conosciuto il giorno esatto e il treno che Headley avrebbe preso? E come indurlo a salire su una particolare carrozza tra le tante che aspettavano? Pensavo che fosse un romanzo milesio” confesserà l'individuo braccato per tutto il corso del romanzo, dovendo tuttavia riconoscere, poco dopo, che quanto gli era stato prospettato e lui aveva giudicato come “improbabile” si era verificato puntualmente proprio come se esistesse un copione ben determinato. “Chi può presumere di predire gli eventi, quando la vita stessa indossa i panni della coincidenza e mette in scena un dramma?” si domanderà poco dopo Dyson. La risposta a questi quesiti verrà sciolta in modo assai inquietante dal deus ex machina che muove i fili dell'intera storia: il dottor Lipsius, un assiduo frequentatore della sala di letture del British Museum nonché capo di quella che si potrebbe definire una setta satanica orientata alle orge di gruppo e soprattutto sostenitrice di un edonismo da contrapporre ai voleri immutabili dell'Eterno. Il motto di Lipsius è: “la grandezza di tutte le scienze, la casa di ogni conoscenza, è la scienza e l'arte del piacere”. Proprio su quest'ultimo aspetto sono importanti le analogie che possono trovarsi nel racconto La Storia della Polvere Bianca, raccontata nel corso del romanzo, da cui reperiamo la caratterizzazione del soggetto protagonista (uno studente di giurisprudenza che conduce una vita da eremita), il cambiamento radicale di vita dello stesso dopo aver assunto per una serie di volte una bevanda diluita con una polvere utilizzata per preparare il Vino del Sabba, la trasformazione da eremita a dissoluto preda del vizio e dei piaceri erotici, fino alla parabola finale che porta l'uomo dal divertimento sfrenato a precipitare nell'orrore più assoluto tanto da isolarsi dentro una stanza. Caratteristiche, queste ultime, che segnano la via anche al protagonista del romanzo. Un adepto che, affascinato e sedotto dalla cultura del dottor Lipsius, commetterà l'errore di volersi sganciare dall'organizzazione e prima ancora di voler conoscere i misteri e i segreti con i quali la stessa cura i propri affari. “Mi sembra un gioco di indovinelli” sbufferà per manifestare il proprio scetticismo in ordine ai programmi giostrati da Lipsius. Quest'ultimo lo ammonirà in modo sibilino, lasciando immaginare l'esistenza di una rete (“Lipsius aveva agenti dappertutto”) così estesa da controllare tutto: “qui non giochiamo agli indovinelli. Lei si annoierebbe se le parlassi di tutti questi piccoli particolari... Non pensa che sia più divertente sedere in prima fila e rimanere sbalordito, piuttosto che stare dietro le quinte a vedere i meccanismi?
E così tutto procederà secondo i piani. L'adepto ribelle verrà rintracciato dai tre impostori che danno il titolo al romanzo, ovvero tre soggetti che vagheranno per Londra sotto mentite spoglie per assumere informazioni e rintracciare il loro ricercato, e subirà una fine tremenda, tra torture e mutilazioni tali che tramuteranno il suo cadavere in “una vergognosa rovina della figura umana”. Dyson e Philipps arriveranno, pian piano, a capo della soluzione, più per caso che per meriti, ma quando collegheranno tutti i fili sarà troppo tardi. David Trotter gli accuserà di esser loro stessi colpevoli della morte del povero adepto. “Se non avessero voluto credere alle storie che hanno sentito raccontare, se non fossero diventati tanto dipendenti dallo stile, avrebbero visto il giovane con gli occhiali per quello che era veramente: l'offeso.” Da qui la conclusione finale per la quale I Tre Impostori altro non sarebbe che “un elegante romanzo sui piaceri dello stile che alla fine viene corrotto proprio dallo stile.”

Copertina inglese
che ritrae un'immagine da
LA STORIA DELLA POLVERE BIANCA.

Prima di chiudere occorre aprire una parentesi su alcuni dei racconti, da alcuni visti come menzogneri ai fini della storia centrale, narrati a Dyson o a Phillips dai tre impostori (da leggersi quali i tre cacciatori sguinzagliati dal dottor Lipsius per recuperare la moneta d'oro sottratta dal ragazzo con gli occhiali e indurre lo stesso al silenzio). Sebbene siano stati giudicati da svariati critici quali racconti funzionali a caratterizzare i tre impostori o a dar natura metaletteraria al romanzo, a mio avviso contengono degli elementi che si ritrovano nella storia centrale. Una sorta di alludere a indizi e particolarità celate in un contesto fantastico con il fine di consentire al lettore di estrapolarle per completare il puzzle che sottende alla storia centrale.

Il più celebre di questi racconti è indubbiamente La Storia del Sigillo Nero (1895), racconto che influenzerà, per stile e tematica, la penna di Howard Philips Lovecraft, basti leggere il suo Orrore a Dunwich. Una vera e propria gemma, specie se si guarda l'anno di uscita, che detterà la via della “nuova” narrativa dell'orrore ormai evoluta dal gotico da cui aveva preso le mosse. Entra in gioco la scienza o, meglio ancora, il superamento della stessa in una sorta di inversione dell'evoluzionismo darwiniano (“non scriverò mai le frasi che dicono come l'uomo può esser ridotto al fango da cui è uscito, e costretto a indossare la carne del rettile e del serpente”). Protagonista è uno scienziato, un etnologo per la precisione, che si convince, sulla base di una serie di resoconti di assassinii e bizzarre scomparse nonché di reperti siglati con lettere antiche, che sotto le alture delle colline gallesi trovi dimora un'antica razza preumana. Partito insieme ai figli e a una baby sitter, lo scienziato vedrà confermate le proprie tesi. Non contento cercherà di trasformarsi da uomo di studio a uomo di azione. Ingaggerà un giovane ragazzo, nato in circostanze misteriose e vittima di attacchi epilettici e scoprirà, nel corso di uno di questi attacchi, la sua vera natura. Il piccolo popolo è una razza compatibile all'accoppiamento con l'uomo ed è capace di dar vita a una progenie ibrida, apparentemente idiota e con caratteristiche rettiliformi celate sotto l'involucro umanoide (idea che sarà ripresa, tra gli altri, da Thomas Ligotti e poi da Laird Barron) capace di esprimersi in un idioma poco diverso dal suono inarticolato delle bestie, eppure titolare di poteri percepiti come miracolosi dalla razza umana. Vediamo dunque emergere, tra gli altri, i temi del camuffamento e dei poteri percepiti come miracolosi, aspetti che saranno in auge nella storia che funge da trait d'union nel romanzo. Machen attribuisce a questi esseri l'origine delle fiabe e delle leggende legate al piccolo popolo (i vari folletti ed elfi, purificati dalla tradizione rispetto alla loro vera essenza) ovvero a un folklore funzionale a esorcizzare la portata maligna che sta alla base di questi esseri. “Giunsi alla conclusone che le fate e i diavoli erano di un'unica razza e di un'unica origine... una razza isolata dalla grande marcia dell'evoluzione che aveva conservato come reliquie certi poteri per noi del tutto miracolosi.” Intenzionato a scoprire ancora di più e a entrare in contatto con queste creature, il dottore finirà con lo scomparire nel nulla, pagando con la pelle la propria sete di conoscenza (come succederà alla vittima dei tre impostori).

Meno originale di quanto appaia all'inizio, quanto meno in alcune sue parti, è La Storia della Polvere Bianca (1895). Ancora una volta assistiamo all'involuzione dell'uomo in una creatura bestiale, dai tratti animaleschi. Questa volta a essere determinante è una polvere che viene somministrata, per errore, a un ragazzo che ha fatto dello studio la sua unica ragione di vita. La cura si rivela inizialmente azzeccata, tanto che il giovane decide di accantonare lo studio per trascorrere notti all'insegna del divertimento e della disinibizione. Machen, da maestro quale è, allude all'adesione alla lussuria più sfrenata in un erotismo velato che non mostra mai volgarità, eppure suggerisce tutto. Preoccupata per la trasformazione comportamentale del fratello, la sorella dello stesso contatta il medico che gli ha somministrato la cura, in modo da fare chiarezza. I due contattano il farmacista che ha preparato l'intruglio e scoprono che la sostanza che è stata somministrata per giorni al ragazzo è la polvere con cui veniva preparato il vino del Sabba. “Colui che aveva bevuto si trovava accanto una compagna dal fascino ultraterreno, che lo chiamava in disparte a godere di gioie più squisite, più penetranti dell'ebbrezza di qualunque sogno, a consumare le nozze del Sabba... la dimora della vita si scindeva e la trinità umana si dissolveva; e il verme che non muore mai, che dorme in ognuno di noi, veniva reso tangibile, esteriore, vestito di carne.”
La scoperta va di pari passo con una metamorfosi nel ragazzo non più solo comportamentale ma anche fisica che lo porterà alla disgregazione e rimodulazione sopraccennata. La sorella scopre infatti una strana macchia su una mano del giovane che, prontamente, provvede a fasciarla così da celarne la vista. Chiamato ancora una volta a intervenire il medico, quest'ultimo analizza il corpo del ragazzo riscontrando l'inizio di una trasformazione in bestia. Machen, da qui in avanti, sviluppa il soggetto guardando ancora al fido Stevenson con soluzioni che chiamano alla mente l'epilogo de Lo Strano Caso del Dottor Jekyll e Mister Hyde. La sorella, che non vede da giorni il fratello che si è rintanato in camera, nota dalla strada una sorta di bestia chiudere dall'interno la persiana della finestra in cui dorme il fratello. Convinta che lo stesso abbia in camera un mostro, scoprirà, sfondando la porta insieme al medico, quale sia la triste realtà, in una conclusione che, forse, influenzerà il maestro Franz Kafka per il suo famoso capolavoro La Metamorfosi (1913). 
Racconto notevole, soprattutto per la sua prima parte, dove ancora una volta si assiste alla sconfitta della scienza e del pragmatismo a vantaggio del mondo occulto e ancestrale. “Abbiamo riso di cuore delle anime occulte del nostro tempo, camuffate sotto vari nomi... da qualche tempo però autentici scienziati hanno proposto ipotesi trascendenti... Ora so che le mura dei sensi che sembravano dominare il cielo e aver fondamenta così profonde da isolarci per sempre non sono le barriere eternamente invalicabili che pensavamo, bensì veli che si dissolvono davanti a chi cerca.”
Come ne La Storia del Sigillo Nero compaiono elementi propri del racconto che funge da collante nel romanzo. Questa volta, lo abbiamo già indicato sopra, abbiamo la caratterizzazione del giovane studioso che da eremita diviene corrotto dopo aver assunto un vino ed essersi lasciato trasportare nella frenesia dei piaceri sessuali, oltre che alla sua triste fine dopo un periodo di felicità sfrenata. Pensate davvero che tutto questo sia una coincidenza? 

Non sono all'altezza dei due capolavori del terrore sopracitati gli altri tre racconti che completano, sotto forma di racconto nel racconto, l'opera. Ne La Storia della Valle Oscura (1895) Machen si concede una digressione nel far west americano, miscelando le esperienze personali proprie (sopratutto quelle legate alla fuga dalla campagna per cercare fortuna in città) a quelle di Stevenson (che emigrò davvero negli Stati Uniti) plasmando un racconto che sembrerebbe più consono alla penna di un Ambrose Bierce (sopratutto per i processi sommari e la presenza di cowboy rozzi e rudi). Si respira comunque un che di occulto, velatamente accennato, che sembra richiamare quanto poi si leggerà ne La Storia del Sigillo Nero (sia per la location montuosa, sia per la serie di morti e scomparse) e anche nella storia che sta alla base de I Tre Impostori. Abbiamo infatti un losco individuo, che si presenta come distinto e dotto, che guida un'associazione di assassini che sottraggono oro in cambio della “realizzazione di un desiderio” in una sorta di rito che suggerisce un sottofondo esoterico che però non viene esplicitato.

Più semplice la Storia della Vergine di Norimberga (1890) che vede un collezionista di strumenti di morte e di tortura (come poi sarà il Dottor Lipsius) cadere vittima dell'ultimo acquisto (una donna nuda issata su un piedistallo di legno che protende le mani suggerendo un abbraccio mortale, si potrebbe pensare, in chiave metaforica, alla compagna nell'accoppiamento sabbatico) nell'intento di mostrarne il funzionamento a un amico. Machen ha il merito di anticipare il quasi omonimo racconto, seppur assai più articolato e qualitativo, pubblicato tre anni dopo da Bram Stoker col titolo originale di The Squaw

Perde i riferimenti macabri e orrorifici la storia raccontata all'interno del capitolo “L'Incontro nel Bar Privato” in cui uno dei tre impostori, spacciandosi quale agente che tratta oggetti preziosi di ogni genere (come il Dottor Lipsius), narra, assai sarcasticamente, come sia riuscito a fare acquistare per suo conto un gioiello di estremo valore in Italia Meridionale, vedendoselo poi sottrarre dalla persona incaricata datasi alla fuga poco dopo aver completato la missione di cui era stata investita (proprio come succederà al Dottor Lipsius con il Tiberio d'Oro, rilevandolo dapprima da un mediatore per poi vederselo sottrarre da un proprio incaricato).  A differenza dei racconti sopracitati, nella lettura, emerge come questo racconto sia menzognero al cento per cento, indicando il narratore quale autore del furto il giovane con gli occhiali e i favoriti che tutti cercano a Londra e che, come si scoprirà, non è collegato a questo fatto bensì a uno similare.

Vedete dunque come questi racconti, inseriti all'interno della traccia centrale che fa de I Tre Impostori un vero e proprio romanzo, abbiano in se una matrice criptica che ben potrebbe esser sviluppata, in chiave interpretativa, per apprendere in misura maggiore il ruolo e la vera veste del Dottor Lipsius e della setta ad accesso iniziatico dallo stesso presieduta. Del resto, come afferma il Dottor Lipsius: “Ho sentito dai giovani affermare che in letteratura lo stile è tutto, e le assicuro che la stessa massima vale anche nella nostra professione.”

Opera cardinale da possedere in biblioteca per ogni amante del fantastico, pur essendo formalmente ascrivibile al mystery, grazie anche alla presenza di due racconti, non strettamente correlati al romanzo, che si segnalano tra i preferiti di Howard P. Lovecraft oltre che di vitale importanza per l'evoluzione della c.d. narrativa del terrore.  Se riuscite a trovarla vi consiglio l'acquisto dell'edizione della Fanucci edita nel 1977 o di quella uscita nel 1991 che inglobano, oltre alle storie proprie de I Tre Impostori, tutti gli ulteriori racconti che comprendono il duo Dyson-Philipps ovvero La Luce Interiore, La Piramide di Fuoco e La Mano Rossa.

L'Autore ARTHUR MACHEN

"Dovrebbe lasciar scorrere l'inchiostro molto più liberamente. E soprattutto deve credere con fermezza, quando si mette a sedere per scrivere, che lei è un artista, e che ciò su cui sta per lavorare è un capolavoro."

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