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martedì 12 febbraio 2019

Recensione Narrativa: SATANA E' DONNA di Gualberto Titta (aka Paul Carter)



Autore: Gualberto Titta (meglio conosciuto come Paul Carter).
Genere: Horror.
Anno: 1962.
Edizione: Antonino Cantarella, collana I Racconti di Dracula, N. 30.
Pagine: 100.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Secondo romanzo dato alle stampe per la collana I Racconti di Dracula da Gualberto Titta, che si firma Paul Carter. Abbiamo già analizzato il profilo dell'autore anni fa, in occasione del suo debutto sulla collana di Antonino Cantarella, avvenuto nel 1960 con Le Belle e i Mostri (http://giurista81.blogspot.com/2014/06/recensione-narrativa-le-belle-e-i.html). Titta pubblicherà altri undici romanzi per questa collana, dedicandosi poi a tutt'altro genere.
Satana è Donna è un romanzo che prende le mosse in modo classico, inserendosi in quel sottofilone del genere gotico proprio della seconda metà dell'ottocento, per poi fungere da racconto "anti-fantastico". La trama vede un trentenne, trasferitosi in Inghilterra, fare ritorno nelle Highlands scozzesi per prendere possesso di un possedimento ereditato dallo zio prematuramente defunto e privo di eredi diretti.
Gualberto Titta, un autentico globe trotter che ambientava ogni storia in uno stato diverso da lui stesso frequentato, è molto bravo a ricostruire le ambientazioni e l'atmosfera senza far rimpiangere penne più conosciute. Il romanzo ha un ottimo abbrivio e diventa molto ammiccante sul versante erotico ("Poi, alle sue spalle, chiara, netta, definita in un baluginante alone lattiginoso, una donna. Una bionda, giovane donna, vestita solo delle proprie chiome dorate; a cavallo. Che fosse giovane era evidente dalla sodezza delle forme, dalla slanciata vigoria delle membra, ma non si poteva averne la certezza, perché sotto la fluida onda luminosa dei capelli, orrendo e ripugnante, non c'era che un teschio!"). L'autore riesce con grande piglio a costruire un substrato fatto di leggende, riti satanici, spiriti in cerca di vendetta che ritornano dall'aldilà per compiere la loro missione. Una cornice tuttavia che altro non è che un coacervo di credenze che qualcuno pensa bene di artefare per volgerle a proprio favore. Purtroppo la parte finale non è all'altezza delle aspettative. La componente superstiziosa, fatte di racconti di fantasmi, maledizioni e abazie sconsacrate votate al maligno, finisce per giocare un ruolo fondamentale in una storia che diviene tutto tranne che esoterica. In altre parole, Titta costruisce una parvenza che lascia pensare al fantastico ma poi, come in diversi racconti inseriti nella raccolta Carnacki di William H. Hodgson, si scopre che è in corso una macchinazione per far impazzire l'erede e indurlo al suicidio così da poterne incamerare i beni. I fantasmi non sono altro che immagini diffuse da un proiettore. Le allucinazioni di cui cade vittima il protagonista altro non sono che la conseguenza di alcuni allucinogeni disciolti nel vino. Titta forza un po' la mano e non è sempre credibile. Nell'incontro, durante una tormenta di neve, tra il protagonista e il fantasma della cugina defunta (che è invece l'ex amante dello zio defunto che si finge l'altra), da cui si sente tremendamente attratto fisicamente, le ingenuità non si contano. Si parte dal fatto che il protagonista finisce nel luogo (l'abazia abbandonata) per mero caso, a quello che vuole la femme fatale recarsi in tale luogo nonostante le evidenti difficoltà per spostarsi e l'assoluta incertezza su dove si recherà il protagonista. Il lettore viene portato, con ogni mezzo, a pensare di essere al cospetto del paranormale, anche per effetto di una serie di interessanti disquisizioni sull'anima e il cervello quale organo prediletto come sede delle emozioni, per poi scoprire una maccinazione terrena.
Niente di nuovo al fronte, dunque, seppur ben narrato. Spicca l'ilarità dell'autore, già ampiamente intuita nel precedente romanzo. Titta inserisce alcuni personaggi che sono delle vere e proprie macchiette, sia per impaccio fisico sia per le battute che proferiscono. Ecco subito alcuni esempi: "Ho raccomandato a quelli di More Castle di lasciargli piena libertà, controllata s'intende" dice un personaggio con l'altro che rimarca: "Una specie di regime sovietico... Ognuno è libero di fare quello che piace a chi comanda." Oppure l'espressione "sei vanitoso come il gallo, che crede che il sole si levi per sentirlo cantare."
Lo stile narrativo è fresco, privo di fronzoli, e cadenza un bel ritmo. A livello di contenuto è inferiore a Le Belle e i Mostri e non gode di grande originalità. Peccato per il finale che sembra più indicato per un giallo che per un romanzo del terrore.
Sergio Bissoli, a nostro avviso con ampio credito, lo reputa un capolavoro.

GUALBERTO TITTA

"Ma le passioni e i sentimenti sono forse del corpo oppure dell'anima? Sono dell'anima, giovanotto! Il corpo le serve soltanto! Il corpo è uno schiavo!"

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