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mercoledì 29 giugno 2011

Recensione antologia "In questo libro c'è il diavolo" di Luca Ducceschi


Autore: Luca Ducceschi

Anno di uscita: 2010

Casa editrice: Montag

Pagine: 184


Commento di Matteo Mancini

Dopo due romanzi dalle forti contaminazioni erotiche, “Ci piacevano i Gansendrosis” (Edizioni Montag) e “Gioco di voci” (Ed. Creativa), Luca Ducceschi da alle stampe un libro che forse sintetizza al meglio le sue passioni narrative. Dichiarato sostenitore del mondo horror, infatti, Ducceschi raccoglie ne “In questo libro c'è il diavolo” il meglio della sua produzione fantastica. Leggere alcuni racconti, per il sottoscritto, è stato un piacere doppio, perché da collega e soprattutto da avversario di Luca in molti concorsi (specie in quelli della Ferrara Edizioni – Area 31) avevo già visionato molti dei testi, in occasione di queste gare o, nel caso di “Gioventù Kannibale”, in vista dell'uscita dell'antologia collettiva “Polpa e Colpa” curata dallo stesso Ducceschi e a cui io partecipai all'editing e in veste di autore. Ducceschi però non si limita a raccogliere una serie di racconti già editi, ma opera un restyling che migliora gli elaborati sia sotto il profilo dello stile sia del ritmo.

A parte “Due inferni di ghiaccio e una stella di luce bianca” (un fantasy, con atmosfere da Sword & Sorcery, ambientato in un mondo alieno dove gli eventi determinano ripercussioni sulla Terra), i testi hanno in comune la particolarità di introdurre un elemento fantastico nella società di tutti i giorni.Le similitudini però non si limitano a questo. L'attitudine di Ducceschi per la narrativa erotica (di quella spinta e violenta) emerge costantemente in quasi tutti gli elaborati. Discorso analogo riguarda i contesti squallidi in cui si svolgono i fatti e in cui vomito, cacca e piscio sono ricorrenti (in questo forse Ducceschi dovrebbe migliorare, per rendere più variegate le caratterizzazioni sia dei personaggi che delle scenografie). Altresì costanti sono gli spiccati impulsi sessuali che dominano i personaggi (non si contano i rapporti sessuali, seppur di diversa natura, dallo stupro a quello libidinoso passando dal sesso orale a quello di ben altra natura, che Ducceschi porta in scena). Lo stile, dalla tendenza allo sboccato e omaggiante alla narrativa pulp, rivela uno scrittore capace di coinvolgere lo spettatore con trame quasi sempre affascinanti e dal ritmo sostenuto, ma sempre al limite di quell'indice di gradimento che potrebbe portare i palati più puritani a storcere la bocca.

Tra i nove racconti proposti si distinguono soprattutto “Il tatuatore”, “Gioventù kannibale” e “Binario morto” anche se è pur vero che le differenze qualitative tra i testi non sono nette. Personalmente ho trovato un po' banale il solo “Bambinate” (un racconto in chiave ironica e grandguignolesca che si concentra sulle follie di uno scrittore ossessionato da un blocco creativo e perseguitato dal personaggio del suo racconto, appunto un bambino che chiede vendetta).

Ne “Il tatuatore”, l'elaborato più onirico dell'intera antologia, il lettore accompagna un'adolescente ribelle alla ricerca del suo primo tatuaggio. La giovane percorre le vie piovose della sua città, fino a imbattersi in un circo romeno che non aveva mai notato. Ingenuamente (questo è l'unico neo del racconto, un neo tipico dei film slasher americani dove i personaggi fanno quello che nessun altro farebbe), la protagonista si inoltra all'interno del circo che appare tetro e deserto. A un certo punto l'attenzione della ragazzina viene rapita da una roulotte su cui campeggia un'insegna che le fa capire di aver trovato ciò che andava cercando: un tatuatore. Ovviamente la poveretta decide di entrare... Al di là dell'ingenuità di fondo si tratta di un ottimo racconto, capace nel 2009 di aggiudicarsi il primo (o secondo, non ricordo bene) posto nel concorso della Ferrara Edizioni dedicato ai vampiri. Ricordo che fin dalla prima lettura mi fece una certa impressione per l'originalità nel trattare un tema abusato (quello dei vampiri) e per un certo gusto per l'erotismo perverso. Ottima la descrizione del tatuaggio che la ragazza si fa fare sul petto, così come l'atmosfera allucinata che pervade la vicenda e che induce il lettore a non staccarsi dalla pagina.Sotto quest'ultimo profilo Ducceschi offre il suo meglio col serratissimo “Binario morto”.

Sebbene diminuisca l'originalità del soggetto, che pare esser stato estrapolato da un episodio della serie “Ai confini della realtà”, l'autore confeziona una storia dal ritmo indiavolato che raramente capita di imbattersi nell'ambiente underground. La vicenda ruota attorno a un treno fantasma su cui si trovano inconsapevolmente passeggeri una poliziotta, un delinquente e un informatore della polizia che si inseguono l'un l'altro per vendicarsi di torti subiti. Ciò che i tre non sanno è che su quel treno qualcun altro è sulle loro tracce. Questo è il racconto più appassionate e meglio caratterizzato del lotto, grazie alla cura che Ducceschi impiega nel ricostruire un certo periodo storico, pescando in canzoni d'epoca, vestiari retrò ed eventi verificatesi negli anni di riferimento. Peccato, a mio avviso ovviamente, per la sfumatura pulp a tratti gratuita (penso a esempio al disegno osceno sul vetro) che qua sarebbe stato meglio omettere visto le atmosfere classicheggianti che Ducceschi era riuscito a mettere in piedi.

Con “Gioventù kannibale” invece Ducceschi abbandona gli archetipi del genere e i testi di mero intrattenimento, per intessere un qualcosa di personale. Si tratta di un racconto violentissimo che punta i riflettori su alcuni fatti di cronaca nera (scomparse di bambini, internet come strumento per divulgare e condividere depravazioni, ma soprattutto i fatti del G8 di Genova e i misteri su alcuni rapimenti) col fine di tracciare una visione coraggiosa e irriverente della realtà. Il testo è un noir splatter in cui l'anima pulp è fin troppo evidente. Non ci sono personaggi positivi, il sangue scorre a fiumi e i colpi nello stomaco del lettore son ricorrenti e pesanti come macigni. Si parla di cannibalismo, snuff movie con momenti di una violenza disturbante sia a livello di immagini (vedere dei bambini assassini e depravati, rapiti e imbottiti di ormoni per renderli aggressivi e voraci è una cosa a dir poco crudele) che a livello psicologico (un ragazzo viene addirittura costretto a praticare del sesso orale su un altro uomo; una madre colpisce con una sprangata in testa la figlia degenera). Il finale è di un nero che più non si potrebbe, con un paese nelle mani di un gruppo di militanti di estrema destra (si riuniscono in un locale il cui nome omaggia il regista Sergio Martino) agli ordini di un deputato chiamato come il regista del B-movie “Cannibal holocaust”. Dietro all'apparenza dei fatti narrati, Ducceschi dà l'idea di nascondere dei messaggi criptici da sciogliere per decriptare ulteriormente il testo, a partire dal significato celato dietro ai bambini cannibali, aspetto che rende ancor più interessante il racconto.

Tra le altre storie sono meritevoli di citazione due omaggi a Lovecraft. Il primo, e più evidente, è “Sotto Parigi” ovvero una sorta di commistione tra le visioni del solitario di Providence e le leggende che stanno alla base della sceneggiatura del film “Catacombs” (citato direttamente da Ducceschi). Il testo vanta ottime descrizioni scenografiche (nei sotterranei, tra vicoli stretti e bui) e procede alternando pagine di diario di una persona scomparsa e le ricerche, anche a mezzo detective privato, dei familiari. Peccato per il finale un po' troppo sbrigativo e per dei personaggi che diventano degli assassini sanguinari in modo incomprensibile e avventato. Qualitativamente superiore e con ottimi spunti barkeriani (penso al racconto “Macelleria di mezzanotte”) “Dopo l'inferno di Dante”. Protagonista è una professoressa delle superiori vittima di bizzarre allucinazioni che sembrano connesse a una gita scolastica fatta presso un sito religioso. La donna si ritrova a vagare, per una Milano presidiata dai militari in tenuta antisommossa, torturata dalla visione di mostri. Lo snodo della vicenda si ha quando la professoressa incontra un barbone in un vagone della metro. Qui il vecchio, in una scena che richiama alla mente “La maschera di Innsmouth” di Lovecraft, le rivela la ragione delle visioni. Finalone a sorpresa nerissimo in stile Ambrose Bierce. Un testo dunque che gioca molto sull'elemento delle realtà parallele e dei mostri confinati in un'altra dimensione che irrompono d'improvviso tra noi a causa di un evento scatenante.

I restanti due racconti sono, forse insieme a “Bambinate”, i meno brillanti. Comune a entrambi è l'ambientazione (case di cura) e il ruolo da emarginati dei loro protagonisti. Il primo di essi è “La vecchia della numero 16”, testo che apre l'antologia. Ci troviamo in un ospizio in cui viene ricoverata una misteriosa paziente di colore. L'arrivo della donna scatena una serie di decessi apparentemente attribuibili a incidenti o a morti naturali. In realtà però sotto a tutto c'è una vendetta orchestrata dalla nuova paziente, una donna dotata di poteri magici con alle spalle un passato di violenze. Con le sue circa 50 pagine, si tratta dell'elaborato più lungo del lotto. Ben scritto, con un erotismo piuttosto esplicito, il racconto procede tra flashback (messi in scena per mezzo di alcuni racconti narrati da un vecchio paziente dell'ospizio), scappatelle amorose tra il protagonista e un'infermiera ecuadoregna e fatti bizzarri consumati all'interno della struttura. Forse il racconto sarebbe risultato più esplosivo se fosse stato maggiormente concentrato, ma tant'è. Ducceschi si limita a raccontare una storia che miscela stregoneria (anche se non in modo approfondito e con pochi richiami esoterici) con citazioni implicite a “L'Esorcista” (vomito verde, teste che ruotano di 360 gradi) e film sugli zombi (la parte finale sembra un omaggio a “L'Alidilà” di Fulci, con tutti i pazienti che vagano per le corsie della struttura con gli occhi divenuti completamenti bianchi).

Più incalzante “C'era un occhio nel frullatore” che ribalta in chiave diabolica la figura dell'angelo custode, da considerarsi più come un diavolo che crea problemi piuttosto che un'entità tesa a salvare il suo protetto. Protagonista è una portatrice di handicap ricoverata in un istituto. La donna ha sviluppato un potere tale da consentirle di contenere le malefatte del suo angelo custode, finché un giorno un ex suora tenta di liberarla dal peso, senza però ponderare bene la situazione. Il demone riuscirà così a liberarsi e farà mattanza all'interno del ricovero fino all'intervento di un cane posseduto da un'entità benigna che aggredirà lo spirito malvagio con grande dispiego di sangue vecchio di oltre 50 anni. Di rilievo l'epilogo in cui si assiste – non so quanto volontariamente - a una riproposizione del capolavoro di Bierce “La cosa maledetta” con il cane alle prese con un nemico invisibile. A fungere da contorno libri sul nazismo magico e personaggi storici che paiono rivivere sotto forma di entità ectoplasmatiche.

In definitiva un'antologia interessante densa di storie pessimiste e diaboliche (da qui il titolo “In questo libro c'è il diavolo”) che si legge senza fatica. Ottima la confezione e la rilegatura, pochi i refusi. Da leggere anche sotto l'ombrellone. Voto: 7

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