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sabato 6 ottobre 2012

Recensione narrativa: OLTRE LA SOGLIA (Arthur Machen)




Autore: Arthur Machen.
Editore: Tranchida Editori Inchiostro.
Anno: 1993
Pagine: 110.
Prezzo: 10.000 lire.

Commento Matteo Mancini.
Interessante tentativo, per lo meno per l'impegno, della Tranchida Editori Inchiostro. La casa editrice di Milano, dopo alcune pubblicazioni della Fanucci, decide di presentare nel 1993 ai lettori italiani un lotto di racconti, per lo più inediti (in Italia), dell'autore Arthur Machen, celebre per storie fantastico/esoteriche del calibro de Il Gran Dio Pan, Gli Arcieri e Il Popolo Bianco.
Le pagine a disposizione sono poche (110 pag.), complice il formato tascabile del libro, tuttavia sono sufficienti a raccogliere ben nove testi dello scrittore gallese dei quali solo due già apparsi in Italia.

Siamo dunque alle prese con un volume che non può mancare nella biblioteca degli studiosi dell'opera di Machen, anche se, a mio avviso, può essere tralasciato dagli altri. Difatti, dei nove racconti proposti solo tre possono considerarsi ai livelli di un racconto medio di Machen, il resto oscilla tra un mero esercizio stilistico e un tentativo di dar vita a una produzione drammatica piuttosto che orrorifica.

Rispetto ai capolavori dell'autore, si nota altresì la quasi totale assenza di riflessioni filosofiche-metafisiche a causa di testi per lo più troppo brevi per sviluppare certi concetti. Viene perciò dato spazio a elaborati della lunghezza di cinque-sei pagine, con il solo L'Albero della Vita a derogare al trend in virtù delle sue ventotto pagine.
Ecco che esce fuori un'antologia un po' deludente, non solo per una qualità lontana dagli standard dell'autore, bensì per la presenza di troppi testi aventi il ruolo di mero esercizio di stile ovvero di scimmiottamenti ad autori interessati ai disturbi mentali dell'uomo anziché di tematiche fantastiche.

Dei nove, ritengo di segnalare tre racconti che, a mio avviso, spiccano nettamente sugli altri. Si tratta di un trio di storie nate sulla scia dell'enorme successo ottenuto da un racconto come Gli Arcieri. Machen, per cercare di bissare il successo (non ci riuscirà quanto meno in termini di riscontro economico), insiste nel raccontare storie di soldati inglesi, impegnati contro quelli tedeschi, protetti dal provvidenziale intervento trascendentale.
Il migliore - peraltro inserito anche nell'antologia della Fanucci, datata 1987, Le Creature della Terra - è I Bambini Felici (The Happy Children). Si tratta di una ghost story caratterizzata da un'atmosfera sinistra che, simile a nebbia, scende a pervaderla in un crescendo di orrore di lovecraftiana memoria.
Protagonista è un giornalista, di passaggio in una cittadina balenare, incaricato di stendere un articolo sui tedeschi. L'uomo, di ritorno dal luogo indicato dall'editore e alloggiato in un albergo di un paese prospiciente sull'Atlantico, durante una passeggiata notturna si imbatte in una processione di bambini vestiti di bianco. Nonostante l'oscurità, si accorge che i piccoli hanno delle strane ferite sul corpo e alcuni di loro hanno delle alghe tra i capelli. Scoprirà, alcuni giorni dopo, di aver scorto i fantasmi dei bimbi deceduti a causa della guerra ed emersi direttamente dall'oceano per recarsi a ricevere la messa annuale in omaggio dei Santissimi innocenti sterminati a suo tempo da Erode.
Dunque un testo intriso da una forte componente religiosa e patriottica, tipica delle storie scritte da Machen nel periodo della prima guerra mondiale, esaltata da suggestive descrizioni del paesaggio che creano un aura magica dal sapore antico.

Di buon livello e molto vicini alle tematiche de Gli Arcieri sono Il Tamburo di Drake (Drake's Drum) e soprattutto Il Rifugio dei Soldati (The Soldier's Rest). Entrambe le storie sono ambientate nella prima guerra mondiale e vedono in scena soldati inglesi. Nel primo racconto i soldati britannici, come nel più famoso racconto di Machen, piegano le resistenze della flotta teutonica grazie a un intervento per un certo senso divino. Questa volta non sono gli angeli a scendere nella nostra dimensione, ma un tambureggiare che lascia basiti sia i tedeschi che gli inglesi, con i primi che pensano si tratti di un suono di guerra che si diffonde dalle navi nemiche, mentre i secondi restano perplessi e sempre più convinti di essere stati assistiti dal famoso capitano Francis Drake sceso da chissà quale dimensione ultraterrena per proteggerli. Di grosso livello l'introduzione che Machen fa al racconto, come nei suoi elaborati più ispirati. In essa parla dei sogni come via per intuire sprazzi di realtà celati sotto la caducità del quotidiano, ma anche del suo scetticismo in ordine alla possibilità di un contatto tra i vivi e i morti. I due aspetti possono essere sintetizzati da questi due passaggi: “nei sogni, nella veglia e nei sogni a occhi aperti, la maggior parte di noi, suppongo, penetra in un altro mondo, il mondo oltre la cortina nera, ma non ne conserviamo il ricordo; il segreto sembra debba rimanere inviolato”. “Se noi, ancora nella carne, non possiamo dare un senso compiuto alle nostre visioni, difficilmente sembra probabile che quelli che hanno oltrepassato i bastioni fiammeggianti del mondo siano in grado di chiacchierare con noi così facilmente e cordialmente del loro regno.”

Il Rifugio dei Soldati invece assume un ruolo propagandistico che fa leva sul patriottismo e più in particolare sui valori che devono orientare la condotta di un vero soldato ovvero l'altruismo, la fedeltà e il sacrificio verso la propria bandiera. Machen trasmette il messaggio mettendo in scena un soldato ferito alla testa durante uno scontro a fuoco con i tedeschi e raccolto da uno sconosciuto pastore vestito di nero. Il soldato racconta al suo salvatore i fatti che lo hanno portato a essere colpito dal fuoco nemico. Svela così di essersi immolato, gettandosi allo scoperto, per congiurare che i compagni cadessero vittime di un'imboscata orchestrata dai tedeschi. A termine della storia, l'uomo scoprirà di non trovarsi al cospetto di un pastore, bensì di San Michele in persona e di esser stato annesso al suo schieramento per il coraggio e l'alto valore dimostrato sul campo di battaglia.

Se questi sono i tre racconti che rendono quanto meno interessante l'antologia per gli studiosi di Machen, il resto delle storie enstusiasmano poche anime sensibili. Esse possono essere divise in due gruppi: da una parte gli esercizi di stile utili come bozze embrionali da cui attingere storie più complesse; dall'altra racconti di stampo drammatico piuttosto alieni rispetto alla produzione macheniana.
Sotto quest'ultimo profilo abbiamo un omaggio a Edgar Allan Poe (il riferimento va a Il Cuore Rivelatore) con La Stanza Accogliente (racconto già apparso in alcune antologie gialle) in cui un assassino finisce per farsi arrestare in quanto afflitto dall'ansia di essere arrestato, e L'Albero della Vita (The Tree of Life), storia lentissima sullo stile degli autori britannici scuola '800 che narra i fatti di un nobile, figlio illegittimo, che crede di essere un genio dell'agricoltura e di avere al servizio una serie di agricoltori e contabili, ma che in realtà è un malato di mente (oltre che affetto da gravi problemi deambulatori) assistito da medici e infermieri (che egli crede sua manovalanza) e chiuso, a sua insaputa, in un castello trasformato in manicomio. Questo secondo racconto, il migliore dopo la terna sopramenzionata, ha il merito di crescere di interesse alla distanza con un'ultima parte ricca di colpi di scena in grado di trasmettere un senso di amarezza al lettore.

Chiude il gruppo un terzo racconto sulla pazzia, Oltre la Soglia (Opening the Door), questa volta il tema verte sull'Alzheimer. Abbiamo un reverendo studioso di testi sacri preda di un esaurimento nervoso che lo porta a perdere la cognizione del tempo e dello spazio. L'improvvisa scomparsa da casa del poveretto e il suo successivo ritorno, quando ormai tutti lo davano per disperso, porta un giornalista a indagare sul fatto. Machen tesse una trama dall'inizio accattivante in cui si pensa che vi sia un qualcosa di paranormale ad aleggiare sui fatti misteriosi che colpiscono il reverendo, la sensazione però finisce col restare tale e la storia prosegue stancamente verso la fine che propone un caso che oggi sembra esser ritornato di moda (quello dell'improvvisa scomparsa nel nulla degli anziani).

Da annoverarsi tra i meri esercizi stile, invece, i brevissimi I Turaniani (The Turanians), La Cerimonia (The Ceremony) e il poetico Il Roseto (The Rose Garden) che ripropongono quell'interesse di Machen per le storie ambientate nel bosco (tipico di alcuni suoi cult horror), tra sculture (nella fattispecie un pilastro di pietra dalla forma piramidale) sepolte dalla vegetazione e popoli (nella fattispecie zingari) che vivono nella foresta e che, nonostante le raccomandazioni degli adulti, attirano la curiosità degli adolescenti.

Nel complesso un'antologia in cui serpeggia un po' di delusione. Credo possa definirsi un progetto destinato agli studiosi di una certa narrativa, che personalmente indico come evitabile per tutti gli altri stante la secondarietà, rispetto alla produzione di prima fascia dell'autore, delle opere ivi inserite. Voto: 5.5

mercoledì 26 settembre 2012

Recensione Narrativa: TUTTO QUEL NERO (Cristiana Astori)




Autore: Cristiana Astori.
Anno di uscita: 2011.
Genere: Thriller.
Editore: Giallo Mondadori
Pagine: 306.


Commento Matteo Mancini

E' un romanzo "cinematografico", se mi passate il termine, quello che la giovane Cristiana Astori propone al pubblico del Giallo Mondadori dopo esser già apparsa su due antologie (Eros & Thanatos e Anime Nere Reloaded) della collana formate da vari giallisti della nostra penisola.

La prova della scrittrice piemontese è convincente, azzarderei esaltante per gli appassionati - come il sottoscritto - della cinematografia di genere degli anni '70 e non solo.
Il plot non è dei più originali, ma è ben sviluppato e da vita a un soggetto assai diverso dai canonici gialli. Ne viene fuori un thriller con forti contaminazioni horror grazie all'introduzione di possessioni (non diaboliche, anticipo), fantasmi e deliri onirici che oscillano tra la realtà e la pazzia. La Astori non si scorda neppure di impreziosire le sue pagine con qualche pennellata di erotismo, comunque ben dosato e mai volgare.

Tutto ruota attorno a un cortometraggio, Un Dià en Lisboa, girato in Portogallo da un piccolo regista e che ha come protagonista l'attrice culto Soledad Miranda, celebre per le sue apparizioni negli horror erotici del regista Jesus Franco. Si tratta di un lavoro dal sapore profetico visto che la Miranda perderà la vita alcuni anni dopo proprio sulla stessa strada in cui viene girato il corto, inoltre tutti coloro che hanno preso parte a esso così come alla pellicola Un Giorno a Lisbona (realizzata con l'introduzione del corto all'interno di un film di maggior respiro con una controfigura della Miranda come protagonista) sono morti o scomparsi.
L'opera è così considerata maledetta e scatena l'interesse dei c.d. cacciatori di pellicole. Individui poco raccomandabili che ricordano il Dean Corso de La Nona Porta - per fare una citazione cinematografica - con la differenza che cacciano pellicole perdute piuttosto che libri.
In questo contesto una giovane ragazza, dal passato oscuro, viene convinta da un misterioso cliente e da una faraonica offerta economica a cercare la pellicola, anche perché è stata da poco lincenziata dal lavoro di cameriera.

L'Astori, tra Torino e Estoril (città in cui viene ambientata la vicenda), sviluppa lentamente il soggetto, mischiando la narrazione con frammenti di film e ricordi o aneddoti di personaggi realmente esistiti alcuni dei quali trascinati nelle vicende del romanzo come delle guest star chiamate a un prestigioso cammeo. Così leggiamo delle ossessioni di Jess Franco per l'attrice feticcio perduta, della prudenza del critico spagnolo Carlos Aguilar, dell'affascinante Cristopher Lee, del regista naif Cavallone e ancora del folle mago Aleister Crowley, del poeta portoghese Pessoa e altri ancora fino ad arrivare a lei, la vera e unica protagonista della vicenda: SOLEDAD MIRANDA.

La forza del romanzo, oltre che nello stile sobrio e assai scorrevole, risiede proprio negli elementi cinematografici. L'Astori si diverte a citare (non copiare, si badi bene) sequenze di film dichiarandolo deliberatamente e a dispensare omaggi a destra e a manca. I riferimenti più marcati vanno al film La Nona Porta di Roman Polanski (peraltro citato direttamente, con alcune curiosità su alcuni attori)da cui viene mutuata l'idea del detective a caccia di opere rare e, soprattutto, al film Angel Heart da cui viene ripresa l'idea dell'indagatore ingaggiato da un cliente diabolico che decide di rivolgersi a lui con l'intento, non dichiarato, di fargli emergere un fatto traumatico legato al passato e rimosso dal professionista.

Così il lettore viene travolto dalle ossessioni e dalle visioni della protagonista, una giovane che somiglia alla Miranda al punto da finire con il veder sovrapposta la propria personalità e il proprio corpo a quelle dell'attrice spagnola fino a vivere avventure e scene che avevano visto per protagonista proprio quest'ultima (non si contano i riferimenti, il più evidente va al balletto di Vampyros Lesbos). Ma può anche deliziarsi con le ricerche dei coprotagonisti, dei ragazzi ben caratterizzati (bellissimo il profilo del cinico cacciatore di pellicole, che sfoccia un occhio di vetro motivando l'handicap ogni volta con una storia diversa e che è all'estenuante ricerca di un inedito del regista Cavallone per il quale è disposto a compiere furti e aggressioni girando con stivali e colt tanto da finire per essere chiamato col nome di Ringo in memoria dei western di Tessari), o con le atmosfere torbide del locale Blue Velvet dove si aggirano maghi e ninfomani tentatrici.

Se le prime due parti del romanzo sono quasi d'atmosfera e destinate, per gli aneddoti e gli omaggi, agli appassionati dei B-Movie piuttosto che agli appassionati del giallo classico o dell'azione, la terza parte assume una decisa accelerazione. Sono proprio in quest'ultima porzione che si concentrano i vari assassinii. A quest'ultimo riguardo è interessante notare come le vittime siano assuefatte dai loro stessi vizi e passioni, preferendo la morte piuttosto che darsi alla fuga, quasi come se restassero incantati dai loro stessi sogni. Così un ragazzo rimane ipnotizzato dal volto di una seducente comparssa che appare inquadrata in primo piano solo nella versione originale di un erotico di cui resta solo una copia e di cui il giovane è entrato in possesso; un produttore pazzo, invece di darsi alla fuga, resta ad ammirare il rogo che avvolge una donna mezza nuda legata a una trave imprecando per non avere con sè una telecamera, un pilota di rally va incontro alla morte per cercare l'incidente a effetto, un regista si spara alla testa per non deludere il suo pubblico, la protagonista del romanzo decide di emulare la fine della Miranda perché si convince di essere lei stessa la Miranda e via dicendo.
Il finale poi è decisamente imprevedibile con un epilogo che ricorda un po' alcune sequenze di A Prova di Morte di Quentin Tarantino e le storie sugli snuff movie. Tra le altre citazioni cinematografiche ricordo inoltre Incubo Mortale di John Carpenter, Il Conte Dracula e Il Diavolo di Akasawa di Jess Franco nonché il corto maledetto (che esiste davvero) En Dià a Lisboa.

Dunque un romanzo che farà la gioia degli appassionati di Jess Franco e della Miranda, ma anche dei cinefili di genere. A conclusioni diverse, forse, potrebbero invece giungere gli affezionati del giallo classico vista una prima parte piuttosto lenta nello svolgersi dei fatti (tali lettori, peraltro, non possono cogliere e godersi tutte le strizzate d'occhio dell'Astori). Per quel che mi riguarda lo segnalo tra i migliori lavori della scrittrice. Voto: 7.5


Qua potete assistere alla presentazione del volume, con aneddoti e curiosità. http://www.youtube.com/watch?v=jmR0k-SOuNQ

domenica 19 agosto 2012

Nuova recensione (autrice Mariangela Sansone) per SPAGHETTI WESTERN VOL.1 di Matteo Mancini



Riporto di seguito la seconda recensione ricevuta dal mio saggio SPAGHETTI WESTERN VOL.1, a scriverla è MARIANGELA SANSONE (http://www.sentieriselvaggi.it/articolo.asp?sez=15&art=47742).

Matteo Mancini disegna le solide architetture di un genere affascinante e polveroso, scandagliandone le origini e ripercorrendone le evoluzioni. “Spaghetti Western, l’alba e il primo splendore” è il primo di tre volumi, edito dalle Edizioni il Foglio; è un testo accattivante che affronta il decennio che va dai primi anni '60 sino ad arrivare a ridosso dei '70, offrendo una disamina accurata ed approfondita del filone. Un’opera che non mancherà di farsi notare anche da chi si accosta per la prima volta alle lande arse dal sole dell’immortale Western di casa nostra.

In pochi si sono spinti così lontano per le lande polverose di un genere che ha reso il cinema italiano noto a livello internazionale; in pochi hanno cavalcato attraverso questo cinema con un’analisi così minuziosa, alla riscoperta delle sue retrovie, tentando una definitiva pacificazione tra l’osannato cinema d’autore ed i prodotti confinati nella serie B; in pochi hanno scavato fino alle profondità delle viscere di un genere, a volte odiato ed a volte amato, ma spesso poco conosciuto come il Western, in particolare nella sua declinazione nostrana. “Spaghetti Western. L’alba e il primo splendore del genere (anni 1963-1966)”, di Matteo Mancini, è il primo di tre volumi dedicati al Western italiano, edito dalle Edizioni Il Foglio, la cui collana cinematografica è ormai una splendida e consolidata realtà editoriale che ha dato recentemente alla luce eccellenti prodotti come “Il cinema di Don Siegel” di Fabio Zanello, responsabile della collana, e “Polar 2.0 Il poliziesco francese del nuovo millennio” di Mariolina Diana e Michele Raga, chicche golose per appassionati cinefili, e continua a dedicare ammirevole attenzione a risvolti ancora troppo nascosti, ma fondamentali, della storia del cinema.



L’Autore, cultore del cinema di genere, nonostante la sua giovane età, ha già alle spalle diverse pubblicazioni con la casa editrice Il Foglio, tra cui le antologie horror “Sulle rive del crepuscolo” e “L’occhio sul crepuscolo”; nel 2012 sarà sceneggiatore ed aiuto regista di un thriller dalle atmosfere anni '70 e con forti tinte erotiche, con la regia di Francesco Bernardini. Matteo Mancini, nel suo testo dedicato agli “Spaghetti Western”, conduce per mano il lettore nella terra arsa dal sole di un eterno mezzogiorno di fuoco, una landa desolata in cui si incrociano i proiettili e gli spari riecheggiano nella notte, una frontiera lontana, dimenticata da Dio ed infestata da uomini feroci. Il libro tratteggia una complessa e ricca geografia di storie, titoli ed aneddoti; si tratta di un’opera che ripudia la linearità classica dei percorsi monografici, presentandosi come un prisma caleidoscopico che si ispira alle strutture comunicative della Rete, e come un blog o un diario virtuale affianca commenti di bloggers cinefili e di critici di settore all’interno di perimetri ideali e sfumati, offrendo punti di vista diversi e contrapposti sulla fenomenologia di un genere multisfaccettato, poliedrico e mutevole.



Il boom dei film di Sergio Leone fece sì che il Western di tutto il mondo fosse condizionato dall’estetica italiana, una formula a base di sangue, polvere e spari, infiniti spari che riecheggiavano ossessivamente anche nelle colonne sonore che accompagnavano le pellicole. Sarebbe però blasfemo pensare che la storia di questo cinema sia lineare, omogenea e che parta e finisca con Sergio Leone. In questo mondo si sono calati tanti grandi autori del cinema italiano, Dario Argento, Mario Bava, Lucio Fulci, Tinto Brass, Pier Paolo Pasolini e Pietro Germi; come la pelle di un serpente, le opere di questo filone mutano, i suoi toni passano dalla tragedia classica alla commedia dell’arte, fino all’atellana, sorvolando e sfiorando l’arte Pop, il Surrealismo ed il Verismo e vi affluiscono e confondono tutte le tendenze narrative coeve, dal gotico al giallo, dal thriller al gore più forte che caratterizzò alcune pellicole. “Il western italiano è altro - dice l’autore - è l’imprescindibile punto di partenza per il thriller e soprattutto per il poliziesco all’italiana”. In questo suo primo volume, Matteo Mancini affronta un viaggio lungo il decennio che ha accompagnato l’epifania di ben 400 titoli; un decennio di transizione e trasformazione, frenetica e repentina, che aveva in sé già i prodromi della rivoluzione degli anni di piombo; una lenta deriva della moralità, una generale assenza di valori manifesti ed il dominio incontrastato del fato che legittima l’affermazione della violenza come unico strumento di soluzione dei conflitti.



L’Autore parte scandagliando il background filmico, scavando tra le origini del genere, offrendo una disamina approfondita che raggiunge elementi di connessione apparentemente lontani, come il Wild West Show di William Cody, in arte Buffalo Bill, in cui “non era ancora maturata quella malinconia tipica delle cose perdute”, i proto-western ed i fumetti ispirati alle storie di cowboys e pistoleri, come Capitan Miki, Il Piccolo Ranger, Zagor, gli Zorro movies, i Sauerkraut Western ed i Chorizo Western. Un viaggio a ritroso con un occhio rivolto alla storia ed all’evoluzione sociale che facevano da sfondo, senza mai tralasciare aneddoti gustosi. Dal secondo capitolo in poi viene affrontata, quasi anno per anno, la produzione cinematografica del Western, attraverso delle ricche schede corredate di commenti, citazioni, curiosità su attori e registi e golosità a iosa per i cinefili. Si analizzano così la stratificazione e l’evoluzione delle architetture del Western, dai pre-leoniani fino ai western politici e bizzarri firmati dai grandi autori, che iniziano a circolare nel 1966, quando il Western “acquisiva una valenza metaforica, essendo un vero e proprio strumento e contenitore in cui inserire problematiche contemporanee”. Procedendo in maniera agile e dinamica, l’Autore si avvale di un linguaggio moderno, fluido ed accattivante che trae ispirazione dai rivoli cinefili della rete; dalla sua opera trapela una forte ed autentica passione, un magma sovversivo ed affascinante che travolge il lettore appassionato del genere ma anche chi si avvicina per la prima volta al Western, anche grazie alla sua accattivante veste grafica.

lunedì 13 agosto 2012

Recensione narrativa: ANIME NERE (AA.VV. - a cura di Alan D. Altieri)


Autore: AA.VV.
Editore: Mondadori
Genere: Noir
Pagine: 310

Commento Matteo Mancini
Antologia uscita in libreria nel 2007 e in edicola nel 2008 per la collana Supergiallo Mondadori, bissata nel giro di qualche mese da un secondo volume intitolato Anime Nere Reloaded destinato a essere composto da racconti neri di altri (circa una ventina) scrittori italiani contemporanei.

A curare il progetto troviamo una volpe della nostra produzione narrativa (e non solo) con un passato da collaboratore di Dino De Laurentis in cult movie cinematografici come Atto di Forza, Velluto Blu, Conan il Distruttore. Sto parlando di Alan D. Altieri che, per l'occasione, sceglie diciotto autori italiani, più o meno noti, per realizzare un'antologia che getti luce sul lato oscuro dell'animo umano. Ne esce fuori un progetto non facilmente catalogabile in un genere precostituito sebbene la Mondadori abbia deciso di inserirlo nella collana Supergiallo. Infatti, di racconti gialli o noir (nell'accezione francese del termine), se ne trovano davvero pochi. Allora, come definire Anime Nere? Dal mio punto di vista si tratta di un'antologia che, nel suo complesso, si avvicina più all'horror, ma non quello esoterico o di stampo fantastico, bensì a un orrore metropolitano che mischia fatti di cronaca nera alla fantasia infarcendo il tutto con una forte dose di sangue e una sensazione di angoscia pressoché continua per tutto il corso dell'opera.

Il livello dei racconti, piuttosto omogeneo, non raggiunge quasi mai vette autoriali. Si tratta per lo più di testi di pronta soluzione che non richiedono particolari sforzi interpretativi, ma che comunque riescono a intrattenere a dovere seppur a rischio di non imprimersi a lungo nella testa del lettore.
Tra i diciotto autori selezionati troviamo degli assi del calibro di Valerio Evangelisti, Loriano Macchiavelli, Ben Pastor, Danilo Arona e Gianfranco Nerozzi non sempre però capaci di confermare le attese degli appassionati, anzi direi in generale un po' in ombra.
Quasi tutti i testi hanno un'ambientazione contemporanea ma ci sono delle curiose e gradite eccezioni.

Claudia Salvatori con Carne e Pietra ci riporta addirittura al periodo della preistoria. Per la precisione in una tribù primitiva in cui le donne sono impegnate solo per intrattenere sessualmente i maschi e, di conseguenza, per partorire e allevare figli. Una di loro, Mama, decide di darsi all'arte: vuole costruire sculture capaci di insinuarsi per sempre nelle menti dei compagni della tribù. Questo suo spirito progressista la porta a essere, dapprima, vista con sospetto, poi derisa in quanto incapace di creare opere di un certo rilievo. La donna però non si da per vinta, capisce che la pietra è un materiale inadatto per esser modellato e così ricorre alla carne. Accusata di aver sottratto del cibo per utilizzarlo per fini futili e deteriorabili, viene malmenata dalle altre donne preoccupate anche per la sua eccessiva intraprendenza che rischia di metterle in secondo piano agli occhi degli uomini. L'arrivo di un pedofilo assassino però permette alla donna di avere nuova materia prima, ovvero della carne, senza necessità di chiederla o rubarla ad altri. Per ottenere la collaborazione dello sconosciuto la donna gli cederà due dei suoi figli senza sapere il loro destino. La sinistra collaborazione (quasi una sorta di patto col demonio) la porterà a realizzare un vero e proprio capolavoro narcisistico: una riproduzione in carne di sé stessa che tutti scambiano per la stessa autrice.
La Salvatori condisce il tutto con un cinismo al mille per mille, in un testo in cui l'unica a pagare sarà la protagonista; una donna determinata a vivere il proprio sogno e a metterlo in pratica contro tutto e tutti, a carissimo prezzo. Senz'altro un elaborato originale, magari non proprio coinvolgente e ritmato ma di sostanza e con un messaggio di fondo che potremmo senz'altro definire contemporaneo. Protagoniste negative sono l'invidia e le critiche non costruttive finalizzate a frenare i capaci per non mettere in brutta luce i mediocri. Si tratta di tematiche che la Salvatori, giustamente, immagina già presenti a flagellare l'umanità fin dalle origini. Come ogni eroe che si rispetti però anche il mito di Mama sopravviverà alla morte e colei che voleva rendere immortali le sue opere sarà invece capace di scolpire sé stessa nella mente dei posteri. Dal mio punto di vista, sotto il profilo contenutistico, Carne e Pietra è il miglior racconto dell'antologia.

Molto brillante e questa volta anche coinvolgente è Arduino e i Pellegrini nato dalla penna della veterana Ben Pastor che qua cede meno al richiamo per lei irresistibile della ricostruzione storica dell'ambiente in cui si svolgono i fatti per dare più corda alla soluzione dell'enigma che i due protagonisti della vicenda tentano di sciogliere.
Siamo nel periodo delle crociate tra cristiani e musulmani e ci troviamo alle prese con l'omicidio di tre pellegrini uccisi nel 1254 sulla via di Antiochia. L'arcivescovo Arduino, celebre per le sue capacità investigative, incalzato dal nipote, il cavaliere Roger d'Alteville, decide di indagare. A motivare il coinvolgimento del religioso è il crescente numero di omicidi perpetrati dai predoni islamici a danno dei viandanti. A stupire e irritare tutti è però l'efferatezza con cui è stato perpetrato il gesto criminoso. Il carnefice ha difatti sfondato i crani degli uomini rendendo indecifrabili i loro lineamenti senza premurarsi di rubare l'ingente bottino che gli uomini portavano con sé. Il movente dell'assassinio resta così indecifrabile e tutto lascia presagire l'intervento di una qualche entità mostruosa o di un assassino bestiale, ma la soluzione sarà ben più semplice.
Buon giallo storico che, seppur ambientato in un'altra epoca e con una struttura diversa, richiama alla memoria il famoso racconto di Poe I Delitti di Rue Morgue. La Pastor gioca sulle medagliette delle varie città visitate, nel loro peregrinaggio, dalle tre vittime per ricostruire le identità delle stesse. Alla fine si giunge a un clamoroso ribaltamento sulla natura delle vittime che in realtà non sono dei veri pellegrini ma dei briganti, altrettanto, agendo sulla natura dell'assassino, viene fatto per quel che concerne l'autore del delitto: un bruto che va in giro con una feroce mula e che, per una volta, era finito vittima dei tre malfattori e salvato dall'ira della mula. È stata infatti quest'ultima a menomare le vittime a colpi di zoccolo. Dunque un buon testo che, in qua e in là, non perde occasione per scoccare qualche frecciatina alla morale cattolica (pellegrini che vanno con le prostitute, peraltro in un passaggio scenograficamente mozzafiato in cui viene messo in scena un gruppo di meretrici campeggiate in mezzo al deserto all'ombra di una gigantesca statua) e che, soprattutto per merito dell'ambientazione inusuale (siamo in medio oriente) e un grande cura nei dialoghi si rivela tra i più intriganti dell'intero volume.

Chiude il lotto di racconti storici I Fratelli della Costa di Valerio Evangelisti, autore per il quale stravedo ma qui meno brillante rispetto ai suoi romanzi per quel che concerne il messaggio che si evince dal testo.
Protagonista non troviamo il celebre inquisitore Eymerich, ma un gruppo di pirati caraibici votati contro la Spagna e l'inquisizione. I manigoldi assaltano una città giudicata inattaccabile e ne assumono il controllo distruggendo, rubando, scarnificando e violentando carnalmente ma anche con pugnali e aste suore e donne indigene. A guidarli c'è un pazzo che cerca la sorella confinata nella cittadina dall'inquisizione e rinchiusa in un convento locale. L'ira e la bestialità degli uomini ricadrà sul loro leader che ritroverà la sorella, ma la condannerà involontariamente alla più feroce tortura che mai avrebbe potuto subire se fosse rimasta nelle mani degli inquisitori. La poveretta infatti, scambiata per suora dai pirati, è stata dapprima stuprata e in seguito rinchiusa con le altre religiose in un convento infestato da lebbrosi. A nulla servirà il tentativo dell'uomo di salvarla, i sintomi della malattia saranno ormai galoppanti e intaccheranno lo stesso uomo.
Testo scritto divinamente, con attenzione storica e gusto per l'orrido. Evangelisti calca la mano nelle scene violente, descrivendo amputazioni, violenze, scarnificazioni e un finale in cui irrompono prepotenti gli effetti decadenti e orientati alla putrefazione propri della lebbra. Il punto di forza del racconto è sicuramente l'impatto evocativo suscitato dalla penna di un Evangelisti in vena apocalittica, manca tuttavia un po' di background contenutistico per una storia che sembra quasi ricalcare il vecchio proverbio “chi di spada ferisce di spada perisce”. Più che sufficiente.

Gli altri quindici racconti, salvo qualche isolata eccezione, possono essere divisi in due grandi gruppi: da una parte i racconti prevalentemente drammatici e disperati incentrati su problematiche familiari da cui scaturiscono omicidi o suicidi, dall'altra testi più votati all'azione che strizzanoun occhio alla spy story.
Più qualitativi, sono proprio questi ultimi testi. Tra essi spiccano gli elaborati di Sandrone Dazieri e Stefano Di Marino.

Dazieri, con il suo Tutto il resto è boia, inquieta e non poco il lettore con un racconto, di kinghiana memoria (a me ha fatto venire a mente L'Arte di Sopravvivere, racconto inserito nell'antologia Scheletri) che si struttura in due parti parallele, una concentrata sulla cruenta realtà e una più fantastica e metaforica legata al mondo onirico. A fare le spese della crudeltà del mondo è un giornalista dedito agli scoop scandalistici in campo strategico/politico finalizzati a far emergere la verità su certi argomenti scottanti.
L'uomo viene rapito da due agenti dei servizi segreti all'interno della propria abitazione. Il leader dei due vuole scoprire quale sia l'informatore del giornalista, perché è certo che solo un agente segreto, evidentemente traditore, potrebbe essere a conoscenza delle informazioni divulgate dal giornalista. Messo sotto tortura, il giornalista non cede di un palmo, subendo qualsiasi tipo di tortura fino alla più infamante preferendo il dolore e la morte al disonore. Finale beffardissimo per entrambe le storie (quella "reale" e quella parallela).
Testo che scorre via veloce e che riesce a disturbare non poco per le tremende torture cui è sottoposto il protagonista. Simpatico il racconto parallelo che vede sugli scudi un naufrago costretto a vincere la noia leggendo una serie di libri, che ha rinvenuto in una scatola, scritti in giapponese. Il poveretto crederà di aver imparato la lingua nipponica, ma lavorerà solo di fantasia decriptando testi che vogliono dire ben altro da ciò che lui stesso è convinto di aver appreso. Un messaggio dunque forte che ruota attorno ai diversi punti di vista e soprattutto sembra voler indicare la necessità di esser depositari di certe basi culturali/conoscitive per poter pensare di comprendere certe realtà in modo appieno e quindi divulgarle senza pericolo per chi le riceve.

Azione pura, come un classico del suo autore, invece per I Lupi Muoiono in Silenzio che Di Marino, abile autore di spy story della collana Segretissimo, offre ai suoi lettori romanzando fatti e personaggi di cronaca nera italiana per intessere una storia adrenalinica fatta di fughe e sparatorie.
Facciamo la conoscenza di un vecchio soldato mercenario ingaggiato da uno pseudo politico per recuperare un compromettente documento informatico finito, in modo casuale, nelle mani di un altro ex mercenario divenuto un vero e proprio cane randagio che spara su chiunque cerchi di fermarlo. A complicare il tutto c'è un'organizzazione che vuol anch'essa mettere le mani sul documento. L'indagine rivelerà svariati colpi di scena e una lunga scia di morti.
Ecco uno dei pochi veri noir densi di azione dell'antologia in cui non si trova neppure l'ombra di un personaggio positivo. Di Marino tratteggia uno dei suoi canovacci preferiti, una storia fatta di reietti eletti a protagonisti indiscussi, belle donne, un bandito in fuga che ha il nome anagrammato di Liboni (vero lupo che seminò il terrore una decina di anni fa in Italia, vagando di città in città a fare vittime), il tutto al servizio di un racconto chiuso da una girandola di colpi di scena che ruotano attorno al denaro caratterizzato quale unica vera forza capace di smuovere le persone. Proprio quest'ultimo aspetto porterà al paradossale riavvicinamento tra protagonista e antagonista che si sentiranno di nuovo vicini, nella loro perversità, per essere gli unici ad aver mantenuto una condotta coerente con i loro valori più o meno negativi. Sufficienti le caratterizzazioni, ritmo alle stelle. Noia scongiurata.

Cerca di scrivere qualcosa di vicino al soggetto di Di Marino anche Danilo Arona, autore considerato da alcuni tra i maestri dell'horror italiano, mischiando fatti di cronaca a soluzioni narrative fantastiche e questa volta votate all'horror (il riferimento va a quegli slasher movie con giganteschi assassini sanguinari che agiscono in gruppo e che sembrano invincibili perché benedetti dal marchio diabolico) piuttosto che all'azione pura. Il racconto del piemontese, Tufanaltorab (nome della tempesta di sabbia che è solita colpire l'Iraq), ha un inizio strepitoso in cui ci troviamo catapultati in Iraq durante un azione dei guerriglieri locali a danno dei nostri soldati. Purtroppo poi i fatti si spostano in Italia. Il lettore viene messo al cospetto di una strage familiare perpetrata da un commando di islamici penetrati in un'abitazione per trucidare gli occupanti. Da qui le cose cominciano a precipitare anche perché l'autore sembra incerto se dare una piega horror (tira in ballo persino riferimenti satanici, al 666 e cose del genere) o una gialla (assassini e delitti che stravolgono la città di Genova nell'infausta data del 06.06.06) ovvero una da spy story finalizzata a criticare le nostre operazioni militari all'estero in quanto tutt'altro che operazioni di pace. Ne viene fuori un qualcosa di farraginoso ma soprattutto disomogeneo e pieno di buchi narrativi.
A fare la parte da cattivo è un commando composto da miliziani iracheni. Questi, dapprima, si macchiano di una strage familiare senza che vi sia un movente vero e proprio (l'unico scopo sembrerebbe quello di trovare un pretesto per far intervenire un'autoambulanza sul posto e far caricare dalla stessa un terrorista conciato in modo tale da sembrare un componente sfigurato della famiglia colpita)poi, dopo un'altra strage all'ospedale (dove si trova il loro obiettivo), decidono di uccidere in diretta telefonica la donna di un militare italiano impegnato in Iraq. Il militare, infatti, è accusato dagli iracheni di aver ucciso ingiustamente una donna in Iraq credendola una terrorista. Interessante poi il ragionamento di Arona relativo agli strumenti telefonici e come da essi si possano recuperare informazioni personali, per il resto l'epilogo non mi convince per nulla. Degne invece di nota il magistrale inizio in cui vengono descritte le tempeste che colpiscono l'Iraq nonché le sensazioni dei soldati stranieri che si trovano avvolti dalle nebbie di sabbia con un tributo ad Apocalypse Now (sarà meno riuscito quello a Il Silenzio degli Innocenti) nella scena in cui un un furgone iracheno viene mandato a folle velocità contro un accampamento italiano sparando latrati di cane dagli altoparlanti e simulando una tempesta di sabbia con dei potenti ventilatori piazzati sopra al mezzo.
Al di là di questo, ripeto, Arona cade nell'inverosimile. Inizia a citare fatti ben conosciuti a tutti noi (decapitazioni in diretta praticate dai terroristi di Al Quaeda) ambientandoli però in Italia, in modo poco convinto e confuso.
Non è a mio avviso ben calibrato il riferimento al 666 del diavolo, come non lo sono le varie stragi rispetto al fine ultimo del commando (non sono riuscito a capire la relazione tra le vittime della prima strage e i fatti che stanno alla base della vendetta). È altresì poco verosimile e macchinosa la modalità con cui il commando irrompe nell'ospedale in cui lavora la donna del militare. Occasione sprecata.

Non proprio da spy story è l'elaborato di Giovanni Zucca, Histoire d'A., seppur intriso di una forte componente sovversiva. Zucca immagina un serial killer che lancia la moda di uccidere personaggi eticamente scorretti o comunque dediti agli illeciti. Per firmare i delitti e spingere l'umanità al cambiamento, l'uomo lascia un messaggio: “uccidi anche tu uno stronzo”. L'invito sarà raccolto dalla popolazione, ma in modo distorto. Scoppierà il caos più totale.
Dunque un racconto apocalittico con una prima parte lentissima e con capitoli in cui l'autore, facendo parlare alcuni personaggi, parla dei problemi del nostro paese, della corruzione sempre più dilagante, del menefreghismo e dell'incapacità dei più di sognare. Più brillante la seconda parte, così come il messaggio che si trae dal testo: dalla violenza deriva altra violenza perché questa, anche se fondata su una motivazione più o meno condivisibile, finisce per uscire dal controllo delle persone e porta al caos più totale. Tra i racconti più interessanti.

Addirittura più sovversivo, anche se meno curato e con un soggetto deboluccio, è Sosta vietata di Luca Crovi . Ci troviamo in una Milano del futuro schiava del traffico e dell'inquinamento. Anche qua troviamo un serial killer particolare, questa volta impegnato a mietere vittime tra le file di un nuovo gruppo di sanzionatori delle violazioni al codice della strada: gli ausiliari della sosta. L'idea di partenza potrebbe anche essere carina, ma a mio avviso doveva esser sviluppata con un testo grottesco, cosa che invece non avviene. Ne deriva un qualcosa di gratuito e politicamente scorretto che si chiude con un finale ambiguo senza lasciare nulla di interessante e senza intrattenere a dovere.

Una parentesi a parte la merita invece il sinistro Sed efficiente malum che Giulio Leoni presenta ispirandosi in modo marcato al film Schegge di Paura. Come nel film di Hoblit, abbiamo un avvocato penalista, nominato d'ufficio, impegnato nel difendere un giovanotto responsabile, in concorso di persone, di aver torturato e ucciso una bambina di otto anni. Il penalista, in un incontro in una saletta del penitenziario, cerca di convincere l'assistito a scrivere una lettera di scuse alla madre della vittima, ci riuscirà ma solo perché l'imputato deciderà di stupirlo togliendosi dalla faccia l'espressione da sempliciotto analfabeta che il difensore si era convinto che gli appartenesse.
Lo stile di Leoni, già apprezzato dal sottoscritto nell'antologia Sul Filo del Rasoio (dove aveva proposto uno sci-fi grottesco di critica sociale) è sobrio e ben scandito anche se inizialmente poco interessante. A mano a mano però che si svolgono i fatti, peraltro narrati all'interno di un unico contesto (seppur con i flashback sull'omicidio), la storia si intinge di un alone sempre più disturbante. A modificare tutto è la rivelazione di un dettaglio connesso al mondo delle sette sataniche. Così l'imputato muta atteggiamento e da strafottente semianalfabeta diventa un personaggio dotato di un fascino e di una cultura insospettabili. Aspetti che ribaltano il dialogo tra i due uomini, con l'avvocato che da soggetto forte della conversazione si ritrova soggiogato dal carisma del suo assistito. Inquietante il dettaglio finale del cervello. Testo tecnico.

Nell'altro gruppo di elaborati troviamo invece una serie di soggetti che puntano tutto sulla componente tragica o comunque sui dissidi familiari o anche sulla malattia come ragione scatenante della follia. Inutile dire che il livello qualitativo è più basso rispetto ai due blocchi già menzionati, a causa di idee trite e ritrite e sviluppate con tagli spesso lenti o alternativi (deliri più o meno facili da seguire).
Il racconto migliore, per stile e cura nella caratterizzazione dei personaggi, è Qualcuno di troppo in famiglia di Loriano Macchiavelli. Ci troviamo in un paesino della campagna meridionale dove un ragazzino si vendica castrando il fratello più grande reo di averlo tramortito e di aver stuprato una quattordicenne. Macchiavelli dimostra, non è certo una novità, una grande padronanza narrativa facendo scivolare via il testo con il dovuto ritmo, anche se in modo piuttosto impersonale. Il finale è un misto di splatter e sadismo.

Interessante, per contenuti metaforici criptati, il giallo (uno dei pochi dell'antologia) della Vallorani. La scrittrice propone un soggetto che, per il movente dell'assassino, ricorda molto da vicino il film Non si Sevizia un Paperino. Ciò nonostante compie un certo sforzo nel caratterizzare i personaggi con uno scrittore in crisi indagato dalla polizia per l'omicidio della figlia. L'uomo però è innocente, paga solo i suoi errori di padre assente, l'assassino è invece un qualcuno che agisce per preservare il talento e la purezza delle piccole vittime.
Il grosso difetto del racconto è la pesantezza dovuta al modo lento con cui la Vallorani sviluppa il soggetto miscelando la trama gialla con passaggi metaforici (l'elemento del mare soprattutto) e una caratterizzazione del protagonista che getta la luce sulla figura dello scrittore in crisi e sempre più in difficoltà a trovare idee buone. Proprio queste caratterizzazioni, pur rendendo a tratti poco fluida la storia, innalzano di livello un racconto che altrimenti avrebbe avuto ben poco di originale.

Delude il maestro dell'horror rurale italiano Gianfranco Nerozzi . Il suo Dita nell'acqua è un racconto sulla disperazione causata dalla malattia e dall'anzianità. Il pregio del testo è quello di esser impreziosito da alcuni elementi apparentemente fantastici (al protagonista, a poco a poco, spuntano sulle scapole delle ali da angelo) e da un contenuto nobile di fondo (si parla dell'amore tra marito e moglie dopo cinquanta anni di matrimonio, di assistenza morale e fisica). Purtroppo lo sviluppo del tutto è poco narrativo o comunque tutt'altro che personale. Ritmo lentissimo, sviluppo noioso, finale prevedibile. Non ci siamo.

Fanno peggio la giovane Lidia Parazzoli (Brown) e Barbara Garlaschelli (Fotogrammi) con omicidi in ambito familiare portati in scena con una struttura narrativa non lineare e, soprattutto per la Garlaschelli, con poca cura per l'azione e la tensione.

Non classificabili in un gruppo omogeneo gli altri quattro testi. Tra essi brilla Clem di Carmen Iarrera (tra le più in forma della compagnia), la quale centra il bersaglio di suscitare angoscia con un soggetto che, in più, lancia anche un messaggio chiaro: giocare con gli incubi a occhi aperti porta a prendere strade che finiscono per far materializzare l'incubo (una sorta di inversione della c.d. legge dell'attrazione).
Protagonista è una bambina di otto anni che si diletta a vincere la noia fantasticando sui possibili sviluppi tragici che potrebbero scaturire da quanto le avviene attorno. Un giorno, scesa dal bus, si convince di esser braccata da un'orda di motociclisti intenzionati a stuprarla. I motociclisti non sono altro che dei suoi amici che vogliono farle uno scherzo; la bimba però, per fuggire, finisce nelle mani di un orco...

Brillante anche Paziente Zero, sorta di medical thriller affidato alle mani di Edoardo Rosati. Si tratta quasi di un racconto di sci-fi con un chirurgo guascone che conduce operazioni complicate in diretta tivù, mostrando freddezza e poco rispetto per il proprio lavoro e i pazienti, valori subordinati alle esigenze dello share.
Rosati è un esperto del genere e si vede soprattutto nel linguaggio tecnico e dettagliato che accompagna l'operazione eseguita dal protagonista, L'idea dell'operazione in diretta non è originale nella sua concezione (siamo nell'ambito del voyeurismo spinto oltre i limiti della riservatezza delle persone, una sorta di reality show), ma è resa benissimo e ha quel quid che la distingue dai canonici canovacci.

Raul Montanari, conosciuto scrittore nonché antologista di raccolte horror, propone invece una via di mezzo tra una sceneggiatura e un racconto. Il suo Dj è un testo intriso di risvolti metaforici e mette contrapposti sotto il profilo dialettico due torturatori impegnati nel tormentare la loro vittima costretta a subire ogni forma di violenza. Netta è la sensazione che Montanari voglia caratterizzare questi due soggetti come Dio (tutt'altro che buono) e il Demonio, mentre il torturato sarebbe l'uomo e tutto il contesto intorno sarebbe la vita sulla terrao. Interessante.
I fatti si svolgono la notte di capodanno e vedono all'opera un trio di manigoldi impegnati nel torturare un uomo con scosse elettriche, musica techno e urla registrate di altri torturati. Tutto fa parte di una sfida, un gioco, tra due di questi uomini che studiano le reazioni dei torturati e soprattutto il loro diverso modo di porsi al cospetto del dolore e poi della alla morte.

Sconclusionato e disomogeneo è infine Le Vedove di Forest Lawn con Roberto Barbolini che butta di tutto nel calderone della sua storia, dall'erotico volgare (una masturbazione in luogo pubblico) alla fantascienza (finale con una forma alternativa alla cremazione delle salme), passando per il grottesco (elemento predominante, e questo è una fortuna) e persino omaggi cinematografici e a Poe (il morto, alla fine, rinchiuso nella bara continua a essere cosciente sebbene finisca per esser dissolto in una sequenza che richiama alla mente in chiave parodistica il racconto Autopsia 4 inserito nell'antologia Tutto è Fatidico di Stephen King). Barbolini propone così qualche idea buona, ma lo fa in modo confusionario e per nulla calibrato al resto.
La trama vede due vedove milanesi, che vanno in giro dicendo di esser state le mogli di Stanlio & Olio, organizzare la loro consueta visita a uno dei principali cimiteri della California. Nell'occasione fanno conoscenza di un rappresentante milanese e lo invitano a passare un giorno con loro. Durante una rappresentazione religiosa però l'uomo muore di infarto, mentre le due lo stanno seducendo in modo palese e folle (lo masturbano in pubblico!?). Ancora capace di capire ciò che succede attorno a lui, nonostante sia clinicamente morto, il poveretto viene sottoposto a una nuova pratica per smaltire i cadaveri che comporta lo scioglimento del cadavere in una poltiglia densa. Racconto dunque fracassone.

In definitiva siamo alle prese con un'antologia quasi di esclusivo intrattenimento che si legge bene, ma che rischia di non insinuarsi a lungo nella mente del lettore.
Tra i racconti più meritevoli rimarco: per contenuti quello di Claudia Salvatori (gioiellino), per ritmo quello di Stefano di Marino (adrenalinico), per capacità di suscitare angoscia i racconti di Giulio Leoni (luciferino) e Carmen Iarrera (profetico), per ricostruzione storica e intreccio giallo il testo della Pastor (poeniano). Si attestano su buoni livelli anche i racconti di Zucca, Rosati e Dazieri. Sufficienti Evangelisti (per le descrizioni e il tocco pulp), Vallorani e Macchiavelli. Mezza occasione sprecata il racconto di Arona, rimandati gli altri cinque. Giudizio complessivo: più che sufficiente. Voto: 6,5

giovedì 19 luglio 2012

Spaghetti Western Vol.1 approda da Feltrinelli. Progetti Futuri Matteo Mancini







Eccomi con questo articolo estivo a portare a conoscenza di quanti mi seguono i miei progetti futuri in ambito di scrittura e gli sviluppi dei progetti già andati in porto.

Non posso che iniziare dal volume, che vedete ritratto nelle tre foto di cui sopra, che sta riscuotendo un successo da me inatteso e mi sta dando grandi soddisfazioni.

SPAGHETTI WESTERN VOL.1

Uscito nello scorso maggio, il libro sta andando molto forte sul mercato sia su internet, sia nelle librerie (è apparso sulle mensole persino della Feltrinelli e questo per me, che frequento spesso le librerie, è stata una grande soddisfazione).

Nonostante io mi maledica per la presenza di alcuni refusi che non sono riuscito a eliminare, alcune copie, in virtù dell'interesse per il genere di alcuni grandissimi appassionati, sono giunte persino negli Stati Uniti. Grazie a questo e agli apprezzamenti ricevuti, è molto probabile il coinvolgimento nei volumi 2 e 3 di grandi voci internazionali autorevoli in fatto di spaghetti western. Tali soggetti avranno la funzione di rendere ancora più completa e variegata la trattazione, partecipando in veste di vere e proprie guest star, con opinioni esclusive e aneddoti aggiuntivi a quelli riportati dal sottoscritto. Inutile dire che se la cosa dovesse andare in porto ne sarei altamente onorato.

Intanto iniziano a uscire anche le prime recensioni del volume. A battere tutti sul tempo è stato MARIO BONANNO, il quale, all'interno della recensione, ha affermato:

"L’alba e il primo splendore del genere. Anni 1963-1966”, vigoroso primo tomo che Matteo Mancini dedica all’argomento per le Edizioni Il Foglio. Un’inesausta cavalcata storico-filmografica che nulla ha da invidiare ai precedenti lavori sul tema (tutt’altro): il numero delle pellicole pistole & cowboy presso che sterminato è restituito da Mancini con una nonchalance-fiume da scrittore russo votato alla saggistica (e meno male che si dichiara mero “appassionato di cinema e non un critico”)."

In attesa di altre recensioni, qua potete leggere nella sua completezza quella di Bonanno: http://www.sololibri.net/Spaghetti-Western-L-alba-e-il.html

Per quanti mi chiedono news sul secondo volume, a parte la chicca sopramenzionata, posso dire che la stesura del volume, nonché la visione di una buona parte di western del periodo, inizierà da settembre.

PROGETTI FUTURI

Progetto numero 2: Bastardi senza Storia.

Il primo dei progetti futuri che andrà in porto, con uscita del volume da individuarsi verosimilmente per il prossimo settembre, sarà l'antologia collettiva BASTARDI SENZA STORIA. Si tratta di un volume che ho realizzato, in qualità sia di autore che di unico curatore, in omaggio alla narrativa dissacrante e dai contorni pulp del recentemente scomparso GIOVANNI BUZI.

IL testo sarà composto da poco più di venti racconti di stampo prettamente pulp/punk, c'è anche qualche bella spruzzata horror, finalizzati non solo a intrattenere chi legge, ma soprattutto a lanciare messaggi di critica verso la società in generale e più in particolare a certi atteggiamenti familiari, al sistema consumistico/imprenditoriale, ma anche allo sfruttamento non controllato dell'ambiente, alla speculazione edilizia e infine ad atteggiamenti umani fondati su preconcetti o consuetudini sociali.
Protagonisti di tutte le vicende saranno dei veri propri reietti, spesso respinti dalla società di appartenenza o comunque guardati con sospetto, da qui il richiamo al titolo.
Lo stile di buona parte delle storie ha l'intento di ricreare i dialoghi e le atmsfere proprie della narrativa e della cinematografia pulp di tarantiniana memoria. Dunque storie dense di azione, sanguinolente e orientate a un messaggio di fondo.

Il libro uscirà per conto de IL FOGLIO EDITORE di Piombino e vedrà coinvolti, tra gli altri, scrittori di talento alcuni dei quali apparsi più volte in volumi dell'"alta editoria". Tra i più conosciuti segnalo NICOLA LOMBARDI, GORDIANO LUPI, MAURIZIO COMETTO, LUCA BARBIERI, LUCA GUARDABASCIO, MARIA SILVIA AVANZATO, ANNA GIRALDO, non poteva poi mancare GIOVANNI BUZI che sarà presente con due racconti.

Progetto numero 3: Prontuario violazioni amministrative del comune di Pisa.

Questo è un progetto che trova la sua fonte e la sua destinazione prettamente in campo lavorativo, nato per una sorta di gioco/studio tra me e un collega di lavoro.
Il progetto, realizzato a quattro mani, è già in avanzato stadio di evoluzione e dovrebbe vedere la luce su carta stampata per settembre (non ancora definite le modalità).

Si tratta di un volumetto di rapida consultazione destinato in modo particolare agli operatori di polizia locale del territorio per far fronte con rapidità e solerzia alle violazioni delle numerose norme dettate da regolamenti, delibere e ordinanze comunali che disciplinano la vita comune dei cittadini allo scopo di rendere più civile e ordinata la convivenza.

Un volume che, a livello locale, potremmo definire come unico nel suo genere, sebbene ispirato allo stile di altri più famosi prontuari di livello nazionale, e che, pur non avendo la pretesa di esser completo, ha nelle intenzioni degli autori la funzione di offrire un supporto in più per far fronte ai sempre crescenti impegni e funzioni del lavoro di agente di polizia locale.

Progetto numero 4: Articolo sportivo sui fatti di Le Mans 1955.

Anche questo è un articolo che, unitamente a un altro mio articolo sul gran premio di F1 di Imola 1994, vedrà la luce a settembre online sul sito de latelanera.com in una sezione dedicata ai più gravi disastri della storia.

L'articolo mi è stato commissionato, per la mia passione per gli sport motoristici, dall'amico Fabrizio Vercelli.

Progetto numero 5: Articolo di saggistica narrativa sull'autore gallese Arthur Machen.

Articolo che mi è stato commissionato dagli amici della DAGON PRESS e da me già realizzato per quanto concerne i racconti di Machen inseriti nell'antologia IL GRAN DIO PAN E ALTRI RACCONTI.

L'articolo avrà la funzione, secondo le mie opinioni e le mie chiavi di lettura, di analizzare ogni singolo racconto allo scopo di fornire le interpretazioni celate sotto l'apparenza delle singole storie. L'obiettivo è quello di fornire diverse chiavi di lettura e offrire lo spunto all'appassionato per compiere ulteriori letture di questo grande autore di narrativa fantastica, adottando magari una nuova lente un po' come se il lettore diventasse un vero e proprio detective dell'occulto alla caccia di nuovi dettagli.

Il tutto dovrebbe essere inserito in un volume da collezione commemorativo, stampato dalla DAGON PRESS, che raccoglierà scritti, critiche e forse racconti inediti (in Italia) di Arthur Machen. L'uscita è prevista per il 2013.

Progetto numero 6: Articoli sui primi tre film western di Duccio Tessari.

Lavoro commissionatomi da Fabio Zanello. Scriverò tre recensioni o un'appendice cumulativa (ancora da definire) sui primi tre western diretti dal regista Duccio Tessari. Il tutto sarà inserito in un volume, scritto a più mani, che tratterà l'intera produzione filmografica di Duccio Tessari.

Il libro sarà curato da Fabio Zanello e uscirà, verosimilmente verso la fine dell'anno, per IL FOGLIO EDITORE.

Progetto numero 7: Appendice sui film western con protagonisti la coppia Franchi & Ingrassia.

Questo è un articolo, di sintesi e analisi dell'intera produzione western della coppia comica Franchi & Ingrassia, che mi è stato commissionato direttamente da Gordiano Lupi. Il tutto sarà inserito in un volume dell'autore piombinese dedicato all'intera produzione cinematografia della coppia siciliana.
L'uscita è prevista a lungo termine.

Progetto numero 8: Ultimo giro: Genio & Sregolatezza in F1.

Questo è un mio progetto a lungo termine, non ancora iniziato, che vorrei dedicare ai piloti di formula 1 che si sono distinti per coraggio o per uno stile di guida sregolato e poco incline ai calcoli.
Siamo ancora nella fase del progetto, non è prevista un'uscita imminente.

Progetto numero 9: Cortometraggio thriller/erotico con la Bcd Films.

Questo è un progetto già avviato che dovrebbe vedere la luce nel 2013 con riprese da iniziare a ottobre 2012.

Il mio ruolo è quello di co-sceneggiatore (script già ultimato) e aiuto regia.

Il progetto, dopo aver provato buona parte degli effetti speciali e del make up, sta per entrare nella fase del casting.

Progetto numero 10: Nuova antologia di racconti firmati Matteo Mancini.

Non è ancora pianificato nulla, però conto nel prossimo futuro di pubblicare una terza antologia, ancora da definire il genere (mi piacerebbe un'antologia interamente dedicata all'horror esoterico magari inserendo anche alcuni miei racconti apparsi in antologie di nicchia).

Progetto numero 11: Volume di saggistica sportiva dedicato alla generazione maledetta di piloti francesi.

Proposta che mi è stata fatta da Fabrizio Vercelli per un libro da scrivere a quattro mani in risposta a un volume inglese che trattava le sorti di quattro sfortunati piloti britannici.
Ancora tutto da chiarire e definire.

Conclusioni.

Moltissima carne al fuoco, anche perché ho omesso altre collaborazioni e altri progetti cumulativi che dovrebbero uscire a breve (ex la collaborazione con Gordiano Lupi sul libro dedicato alla produzione cinematografica di Bruno Mattei, la collaborazione con Brando Taccini sul volume dedicato al cinema low budget commissionato a Taccini dall'Università La Sapienza di Roma etc etc).
Nel prossimo futuro vediamo quanti di questi lavori riusciranno a vedere la luce; io, con il mio motto ZERO COMPROMESSI, confido di vederli entrare tutti in porto, come sempre!

Alla prossime news.



lunedì 9 luglio 2012

Recensione Narrativa: Le Dieci Morti di Tran-Silvana

Autore: Giovanni Buzi.
Genere: Horror/Erotico.
Editore: Il Foglio Letterario.
Pagine: 164
Prezzo: 14 euro.

Commento Matteo Mancini
Quella che mi trovo ad analizzare oggi è un'antologia inserita nella collana Fantastico & Altri Orrori delle Edizioni Il Foglio Lettario di Piombino, collana che ho di fatto saccheggiato quasi in tutta la sua interezza e che è densa di perle tra cui ricordo Cambio di Stagione e L'Incrinarsi di una Persistenza di Cometto, Five Fingers di Luca Barbieri e La Signora dalla Maschera d'Oro di Giovanni Buzi. A differenza dei volumi citati, Le Dieci Morti di Tran-Silvana è un'opera particolare, destinata a un pubblico più circoscritto rispetto a quello interessato al puro e semplice horror.

Buzi, qua alla sua ultima opera peraltro uscita postuma complice la prematura scomparsa dell'autore-pittore, osa oltre ogni limite e lo fa fin dalla copertina del libro. La sua è una scelta coraggiosa sotto tutti i profili, "imposta" persino all'editore a partire dal disegno eletto a copertina e scelto direttamente tra i tanti dipinti dell'autore (molte le sue mostre, si ricorda).

Non c'è da meravigliarsi di questo, Giovanni è sempre stato un anticonformista, una persona che diceva sempre quello che pensava e che mostrava un temperamento che, in una società come la nostra, non può definirsi che coraggioso seppur rispettoso e in linea con la volontà propria della persona e dunque naturale, libero da ipocrisie e sincero. Ciò detto credo che nella fattispecie la generosità di Giovanni abbia forse esagerato, quanto meno sotto il versante commerciale ma sono certo che Giovanni questo lo sapeva e che nell'occasione poco gli interessava. Non è per fare il bigotto, ma immaginatevi di leggere un libro con una copertina come quella che vedete qui in alto su un autobus o su un treno? In quanti avrebbero il coraggio di leggere il libro in pubblico...? Francamente credo in pochi, comunque la scelta di Buzi rispecchia la personalità di un autore estremo nel vero senso della parola, ma dotato di una tecnica narrativa sopraffina al contempo essenziale ed elegantissima, con gusto particolare per la contaminazione tra erotico e orrore di stampo fantastico, ma anche per i colori, i profumi, l'onirico e le mutazioni della carne.
Non è certo un caso se ho più volte accostato Buzi a Clive Barker, un paragone per nulla irriverente per un autore eccezionale per le capacità visionarie e la fantasia deformante che lo rendeva secondo a pochi nel panorama della narrativa italiana; un vero e proprio artista dell'eccesso e della contaminazione tra generi.

Ne Le Dieci Morti di Tran-Silvana la passione di Buzi per l'horror e l'erotico spiccano in modo esponenziale. Buzi non perde occasione per passare da contesti a luci rosse a veri e propri momenti hard-core, ma sempre con grande cura per le scenografie ricche di sculture, colori, candelabri e mobilia sopra le righe nonché impreziosendo i soggetti con l'inserimento di elementi fantastici talvolta ai limiti del mitologico (penso a teste di Medusa, riferimenti all'antica Roma e via dicendo).

I racconti proposti sono dieci, alcuni di essi, come il lovecraftiano Sotterranei o il giallo La Collana di Perle Celesti sono già apparsi altrove e con notevoli risultati. Quest'ultimo infatti permise a Buzi di aggiudicarsi il prestigioso premio Profondo Giallo 2005 con successiva pubblicazione del racconto in appendice a un numero della collana Giallo Mondadori. Si tratta di un giallo che, al di là degli ottimi e veloci dialoghi, secondo me non è tra i migliori lavori di Buzi, soprattutto a causa di un finale poco chiaro in cui si cerca di innescare la canonica girandola di colpi di scena per smascherare l'identità di un serial killer di studenti universitari (omosessuali) che fa collezione di occhi celesti dopo aver ucciso le prede con un colpo di tacco a spillo sul cuore. Nell'antologia è presente anche un secondo giallo, Senza Cuore, in cui fa la comparsa l'indagatrice "ufficiale" di Buzi già protagonista di altre opere: Lucilla Simonetti.

Il livello generale dei racconti è buono con punte di eccellenza. Purtroppo, a mio avviso, il risultato complessivo viene in parte penalizzato dalla scelta di mettere come protagonista in tutti i racconti, oltre alla location (che è quasi sempre Roma), una splendida donna che poi si scoprirà essere un trans e che non ha nulla a che fare con le altre protagoniste delle altre storie se non avere in comune il medesimo nome (appunto Silvana). Questo aspetto, se da un lato funge da trait d'union, rende un pizzico stucchevoli e ripetitive le opere, perché lascia (almeno a me) sorgere l'idea di una forzatura per rendere i soggetti alternativi rispetto alla solita figura della femme fatale (a me decisamente più gradita, lo confesso ma non era certo un segreto) di hollywoodiana memoria.

Ciò posto non si può non lodare il grande impegno dello scrittore nel tessere uno stile elegantissimo, attentissimo ai colori, ai profumi e all'arte; passioni che trasudano da ogni testo. In particolare ho trovato bellissimi gli horror con atmosfere e struttura simile ai miei amati racconti dei primi novecento: Ghiaccio e Sotterranei. In entrambi testi protagonista è un giovane che si dovrà sposare nel giro di pochi mesi, ma che finisce stregato nel primo caso da una voce lontana che si irradia dal nord Europa fino a Roma, e che si scoprirà appartenere a una sorta di arpia mummificata (potrebbe essere anche una vampira) intrappolata nel ghiaccio che potrà trasformarsi in una creatura volante mezzo uomo e mezza donna solo bevendo il sangue del protagonista, nel secondo caso da una donna avvolta in una tunica verde (poi si scoprirà essere una sorta di medusa omosessuale che vive nei bassifondi di Roma). I due testi sembrano voler omaggiare, seppur con piglio personale, rispettivamente R.E. Howard e H.P. Lovecraft.

Ultra visionario, da Gioventù Canniable, è anche l'horror psicotropo Estatiche Tigri in cui abbiamo due studenti universitari drogati fino ai capelli e in caccia continua di ragazze da adescare in discoteca. L'assunzione di una nuova droga sintetica causa a uno dei due delle visioni terrificanti. Il giovane si convince di esser braccato da da due tigri libere di ucciderlo nei bagni della discoteca. Gli animali sarebbero un transessuale e l'amico del giovane trasformatesi in bestie (mannare) sanguinarie. Quello che però sembra essere un delirio paranoico si scoprirà poi essere terribile verità. Il giovane e il trans, drogati fino al midollo, sono finiti senza accorgersene (anche il lettore con loro) in una gabbia dello zoo: quella delle tigri!
Si tratta di un testo onirico al mille per mille che lavora molto sul senso della vista e dell'olfatto (il tanfo del fiato delle bestie) per stupire il lettore in una progressione adrenalinica che cresce di intensità pagina su pagina. Resta un po' vago il riferimento al passaggio dalla discoteca allo zoo, ma il talento descrittivo e conciso di Buzi si nota alla massima potenza.

Tra i racconti votati all'erotico/pornografico si segnala Tran-Silvana in cui Buzi mette in scena una escort dalla pelle chiarissima (ancora transessuale) ingaggiata da un potente politico per una serata particolare. Il trans viene condotto in una villa megagalattica e costretto a intrattenere un rapporto sessuale a tre con una statua imbalsamata di un uomo che pare però avere un qualcosa di vivo e con l'autista del padrone di casa, mentre quest'ultimo osserva il tutto da una vetrata. L'escort non sa che, a rapporto completato, farà la stessa fine della statua a causa di un siero che le sarà iniettato nelle vene. Il padrone di casa, infatti, oltre a essere un voyeur, è un collezionista di bellezze esotiche a ciascuna delle quali, una volta imbalsamate, dedica una stanza della propria villa per poterle mostrare ai suoi amici internazionali. L'escort finirà così nella stanza artica.

Discreti anche gli altri testi, seppure inferiori a quelli indicati. Tra i meno riusciti segnalo Dissonanze, sorta di truculento esercizio di stile con una trans che evira vittime consenzienti sotto l'occhio attento di una telecamera, e il volgarotto e volutamente trash Silvana, la figlia di Frankenstein in cui Buzi, divertendosi e divertendo, mette in scena grottescamente la moglie di Frankenstein alle prese con il figlio ritornato dagli Stati Uniti e divenuto d'improvviso un transessuale ninfomane. Quest'ultimo, tra lo stupore della madre, vuole farsi il postino, per poterlo così rianimare dopo che lo stesso è svenuto dall'orrore alla vista della signora Frankenstein.

In definitiva un'antologia estremissima, sanguinolenta e bizzarra destinata, a mio avviso, a un ristretto nucleo di persone e soprattutto da evitare per chi si lascia guidare da pregiudizi ovvero dal gusto per il classico. Quest'ultimo aspetto è davvero un peccato, perché l'eleganza e la bravura di Buzi emergono in modo esponenziale e vengono quindi limitate in una nicchia a causa di una libera scelta dell'autore. Penso che se Buzi avesse un po' tralasciato questo interesse, che qua appare ossessivo, per la figura del transessuale ciò avrebbe permesso all'opera di avere un successo superiore a quello ottenuto, ma è pur vero che autori con il coraggio di Buzi devono esser apprezzati anche per questo, per il loro forte desiderio di ribellarsi agli schemi convenzionali. Nel complesso, buono.

sabato 7 luglio 2012

Recensione Dylan Dog: Il Trillo del Diavolo (Roberto D'Antona, 2012)



Regia: Roberto D’Antona;
Genere: Horror.
Prodotto: Roberto D’Antona, Francesco Emulo, Michele Friuli, Paola Laneve;
Co-Produttore: Michele Grassi;
Anno: 2012.
CAST:Roberto D’Antona, Francesco Emulo, Michele Friuli, Barbara De Florio, Ciro De Angelis, Angelo Boccuni, Francesco Santagada, Giovanni Navolio, Federica Gomma, Maria Giovanna Pappadà, Biagio Sampietro, Tiziana Di Napoli, Michele Marzulli, Simon Angelone, Stefania Attanasio, Valentina Pignatale, Michele Grassi, Alessio Attanasio, Gabriele Renna, Erika Quaranta, Mattia Dragone, Swami Manco, Gaia Sportelli, Gabriele Marinelli.

Commento Matteo Mancini.
Con grande piacere eccomi a commentare un mediometraggio amatoriale dedicato interamente ai personaggi del fumetto Dylan Dog da cui vengono ripresi molti dei personaggi principali qui portati in scena in una storia dal sapore decisamente onirico.
A dirigere il tutto c'è il giovanissimo Roberto D'Antona, tarantino classe 1992, che vestito in giacca nera, camica rossa e jeans presta corpo e voce anche al famoso indagatore dell'incubo.

Nonostante i suoi appena vent'anni, D'Antona dimostra un certo talento visivo e soprattutto un curriculum per nulla scarno tra cui spicca la regia di un altro episodio dedicato al personaggio nato dalla fantasia di Tiziano Sclavi: Dylan Dog: L'Inizio (2011) nonché la serie composta da sei episodi che va sotto il titolo di Scary Tales.

Nell'occasione il regista pugliese tratteggia con grande gusto e attaccamento al personaggio dei fumetti un episodio che indaga sul passato dell'eroe, probabilmente, preferito di D'Antona. Il giovane autore opta, come giusto che sia, per un taglio fedele alla serie della Bonelli. In altre parole, propone soluzioni tipiche delle storie su carta di Dylan Dog. Così troviamo l'indagatore imprecare con il suo solito intercalare Giuda ballerino, oppure offendere il fido scudiero Grucho che spara barzellette e freddure come una mitragliatrice, o guidare un Maggiolino targato DYD 666, piuttosto che richiedere il revolver a Groucho nei momenti di pericolo ovvero suonare al clarinetto l'unico motivo di cui è a conoscenza (il trillo del diavolo di cui al titolo). Oltre a questo vediamo Dylan interagire con l'ispettore Bloch, il mefistofelico Xabaras, la morte ritratta con gusto di bergmaniana memoria,zombie e mostri vari.

Al di là degli aspetti contenutistici, il prodotto che ne esce fuori si rivela assai interessante soprattutto per la cura nel montaggio e nella fotografia sempre attribuibili all'estro di D'Antona. Sotto quest'ultimo aspetto, il regista riesce più volte a regalare inquadrature di grosso impatto scenografico. In particolare, le sequenze ambientate in mezzo alla campagna e impreziosite da campi lunghissimi tesi a sfruttare appieno la magnificenza del panorama campestre si rivelano eccezionali se si parametrano al contesto che è quello amatoriale. In alcune inquadrature, addirittura, sembra quasi di vedere una tavola (in movimento) raffigurata da un vignettista.

Inoltre D'Antona compie un'altra ottima scelta. La sua regia infatti cerca, riuscendoci, di essere fumettistica e dunque abbonda con primissimi piani su bocche che parlano, pistole, ciondoli vari, occhi e volti. Il regista ricerca anche di creare pathos inquadrando ombre di persone che si proiettano sul selciato mentre stanno camminando e cose del genere.

Il soggetto vede un Dylan Dog alle prese con i suoi incubi orchestrati dal mefistofelico Xabaras che gli rivelerà di essere il suo vero padre (come nei fumetti) solo alla fine. A fare compagnia al protagonista, in quello che sarà una sorta di viaggio di dantesca memoria, come suggerito nello stesso film, ci saranno l'inseparabile Groucho e l'ispettore Bloch. I due però altro non saranno che proiezioni mentali di Dylan Dog, il quale starà solo vivendo a occhi aperti un incubo funzionale a fargli capire chi lui sia veramente. Il nostro, infatti, sta attraversando un periodo di stress, vittima dell'alcool che ingerisce per superare lo shock attribuibile alla perdita della moglie.

Dunque vi troverete alle prese con una storia quasi decontestualizzata che si sviluppa fuori dal mondo, potremmo dire, e, più in particolare, nella testa del suo protagonista, con dialoghi che fanno il verso a quelli del fumetto anche se manca un po' di background di fondo per quel che riguarda i messaggi subliminali tipici del fumetto.

Tra i difetti dell'opera riscontro, a mio avviso, una certa ripetitività di situazioni. D'Antona propone spesso scontri tra Dylan e mostri della più diversa specie che, puntualmente, finiranno per cadere sotto i colpi del revolver. Inoltre, come spesso avviene nelle opere amatoriali, il regista cade in grossa difficoltà nelle scene delle scazzottate che vengono mostrate rallentate per tentare di togliersi dall'impiccio di girarle a velocità normale. La soluzione non è proprio il massimo.

Non mancano poi mostri dai volti scarnificati o dai colori di pelle bizzarrissimi messi in scena sufficientemente bene (visto il contesto) grazie al trucco di Paola Laneve. A mio avviso si sarebbe potuto curare meglio lo splatter che invece, così come l'esplosione dei colpi di pistola, viene rappresentato mediante la computer grafica.

Le interpretazioni sono abbastanza buone, sempre avendo come riferimento la natura del prodotto. In particolare se la cavano bene Francesco Emulo, nei panni di un Groucho che pare - nei modi di fare - ispirato anche al Jonathan vincitore del Grande Fratello di qualche anno fa (per intenderci), Michele Friuli, perfetto nel ruolo di Xabaras, Francesco Santagada, probabilmente il migliore e chiamato a interpretare un demone verde, Giovanni Navolio che sostiene di essere Lucifero in persona e appare con un look di litfibiana memoria, infine un Roberto D'Antona piuttosto glaciale nel ruolo di Dylan. Benino, seppur una spanna sotto, tutti gli altri.

Curate le musiche, i costumi e le scenografie per un mediometraggio che nel complesso si rivela pertanto buono e senz'altro consigliato ai fan del fumetto. Di certo, come idea di fondo, è anni luce superiore a Dylan Dog: Dead of Night di Kevin Munroe prodotto a Hollywood nel 2011; una pellicola, per chi non l'avesse vista, per nulla rispettosa dei caratteri creati da Sclavi.

Chiudo con la battuta finale del mediometraggio e vi invito a segnarvi il nome del regista per futuri progetti orrorifici.
Alla fine siete voi a decidere se tutto questo è un sogno o realtà, alla fine è questo che sono: un indagatore dell'incubo. Il mio nome è DYLAN DOG.

Il film è liberamente visionabile al seguente link: http://www.youtube.com/watch?v=MlnW9q5MRL8