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mercoledì 12 aprile 2023

Recensione Narrativa: IL BACIO DEL CRISANTEMO di Fausto Marchi.

Autore: Fausto Marchi.
Anno: 2023.
Genere:  Giallo.
Editore: Susil Edizioni.
Pagine: 200.
Prezzo: 18.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Terzo romanzo dello scrittore romano Fausto Marchi, ex adepto dell'Ordo Templis Orientis, che abbiamo già incontrato in occasione delle recensioni dell'horror lovecraftiano La Vestale di Dagon (2018) e della raccolta di tre sillogi di liriche intitolate Rime Gotiche (2021). Fausto Marchi è inoltre un nostro amico di penna intervistato, in esclusiva qui sul blog, nel corso del marzo 2021.

A distanza di due anni, lo ritroviamo in rampa di lancio quale autore del giallo ibridato da più generi che ha dato alle stampe, nel febbraio del 2023, col titolo Il Bacio del Crisantemo. Duecento pagine che hanno trovato nella Susil Edizioni lo sbocco per il mercato editoriale.

Marchi riparte laddove era giunto La Vestale di Dagon, di cui vengono meno le componenti erotiche, blasfeme e per certi versi horror, ma si confermano le ambientazioni, l'amore per sirene e altre creature marine rappresentate dall'estro pittorico di qualche artista maledetto, i piccoli ristoranti periferici in cui si degustano specialità ittiche e, soprattutto, l'ombra e la minaccia di un culto innominabile figlio della veneazione di divinità degli abissi acquatici. Si torna dunque a Roma, in quartieri più o meno ideati dalla fantasia dell'autore e legati ad antiche storie preromane, in cui si narra di idoli di derivazione fenicia e siriaca dedicati a Dagon e ad Atargatis. Si ripresentano quindi gli echi di Howard P. Lovecraft, ma anche l'evidente passione per le creature fantastiche del mare (sirene, kraken, piovre e via dicendo) e soprattutto torna a spiccare la passione per la pittura dark. Quadri, sculture e coltelli rituali sono gli elementi che conferiscono linfa al mistero su cui si troveranno a indagare due comuni cittadini che uniranno le forze per motivi diversi. Il protagonista, uno scrittore di romanzi gialli che viene costantemente pressato dal suo editore, cerca di trovare l'assassino di un caro amico, muovendosi sui pochi indizi dallo stesso rivelategli poche ore prima della misteriosa morte. L'altra, una giovane ragazza dai modi sbarazzini e dall'atteggiamento psicologico borderline nonché più volte finita nei guai per spaccio di sostanze stupefacenti e commercio internazionale di opere d'arte, si unisce all'indagine in quanto convinta dell'esistenza di un rebus che possa portarla a scoprire tre statuette di incommensurato valore legate a culti pagani. Al centro dell'intreccio, infatti, vi sono una serie di opere di un pittore russo, che potremmo definire bohémien e maledetto, per i suoi modi anticonformisti, la passione per l'occultismo, l'uso smodato di alcool e oppio, il gusto per il bizzarro, le frequentazioni in locali equivoci e soprattutto un odio smodato verso la società perbenista di inizio novecento. Proprio attorno a questo personaggio, Ivan Ostrosky il suo nome, si dipana un intrigo che dal fantastico lovecraftiano si sviluppa verso altri lidi, quelli del vero e proprio giallo all'italiana.

Tutto ha inizio con un omicidio, di cui il lettore viene informato a fatto già compiuto (il romanzo inizia durante un funerale). Marchi gestisce il soggetto guardando da un lato alla narrativa hard boiled dei pulp americani degli anni trenta legati alla produzione di Mike Spillane e Dashiell Hammett, dall'altro alla cultura decadentista francese, senza dimenticare l'organizzazione di storia sullo stile dei gialli di Dario Argento, quest'ultima fondamentale nella costruzione e nella presentazione del prodotto. Dalla prima corrente arrivano i dialoghi sporchi di alcuni personaggi, il vero e proprio culto per l'alcool, a cui spesso i protagonisti ricorrono degustando cocktail la cui realizzazione viene spiegata al dettaglio; sempre legato all'hard boiled è la scelta di lasciare in un ruolo marginale la polizia, rappresentata da un burbero commissario che finisce costantemente superato dagli indagatori amatoriali. L'anima decadentista, invece, viene incarnata da una coprotagonista esperta d'arte (echi di Huysmans) che, un po' come Sherlock Holmes, ricorre all'oppio e all'eroina da fumare pur dimostrandosi sveglia e intelligente nei momenti apicali della vicenda. Un personaggio quest'ultimo ambiguo, su cui, fino alla fine, Marchi lascia un velo di sospetto, nella sua costruzione sullo stile del cosiddetto whodunit. Il tutto, come abbiamo anticipato, viene tenuto unito da un'organizzazione di storia che sposa uno schema prettamente argentiano, caratterizzato da un continuo oscillare tra momenti di tensione e altri di rilassamento, con due soggetti che ricordano per il loro rapporto Daria Nicolodi e David Hemmings nel film Profondo Rosso. Anche qua abbiamo infatti un operatore dell'ingegno, nella fattispecie uno scrittore, che indaga per conto proprio scavalcando la polizia e mantenendosi con i pochi proventi che gli arrivano dai romanzi pubblicati. Su tale canovaccio, Marchi monta un ulteriore elemento di sviluppo della vicenda ovvero quello della caccia a un tesoro nascosto, seguendo uno stilema che da Stevenson, il riferimento va a Treasure Island (“L'Isola del Tesoro”, 1883), si muove verso quegli spaghetti western legati all'idea di mappe più o meno immaginarie riprodotte e spalmante su diversi supporti (nella fattispecie quadri e manici di coltelli cerimoniali), quasi a voler innescare un gioco dagli esiti tragici e burloneschi che strizza l'occhio alla vicenda dei falsi d'autore di Modigliani e, al contempo, propone un antiquario perverso che rievoca il Kazanian di Inferno (1980) di Dario Argento.

Da sottolineare infine alcuni capitoli in cui Marchi parla dei viaggi appiedati del suo protagonista per le vie di Roma, dei pellegrinaggi senza meta che ricordano molto da vicino L'Arte del Vagabondaggio (1924) di Arthur Machen, con quartieri reali che appaiono sotto una diversa ottica grazie a particolari che sfuggono ai passanti impegnati nella frenesia della vita di tutti i giorni.

L'approccio è quello del giallo cinematografico. Il Bacio del Crisantemo, infatti, ben potrebbe essere trasposto, anzi sembra proprio essere la traduzione narrativa di una sceneggiatura per il cinema o la fiction televisiva, giocando su contenuti non violenti o spinti. I dialoghi, infatti, sono molto presenti, così come il gusto per l'immagine.

Veniamo ora ai difetti o, comunque, agli aspetti che potrebbero far storcere il naso a qualche lettore. Sebbene il romanzo goda di uno stile di scrittura molto agile e flessibile, peraltro indirizzato a un pubblico di qualsiasi età, si notano molti piccoli refusi, che non inficiano la lettura ma denotano alcune disattenzioni e che saranno eliminati nella seconda edizione. Tra queste vi è l'indicazione della presenza di una sicura (modello semi-automatica) su un revolver di marca Colt (che credo proprio esserne sprovvisto) o il vezzo di alimentare un gatto con del latte (prodotto solitamente intollerante a un felino) riscaldato e, per giunta, ben zuccherato (lo zucchero è un prodotto da evitare!!!).

Il ritmo è buono, ma forse troppo spesso rallentato. Marchi, infatti, lavora soprattutto sulle caratterizzazioni dei personaggi coinvolti nella vicenda. I suoi "attori" non sono dei semplici fantocci ma hanno, ognuno di loro, caratteristiche fisiche, comportamentali e psicologiche assai diverse. Vi è persino chi è affetto da malformazioni che lo portano a sviluppare veri e propri deliri paranoici. Marchi centra in pieno l'obiettivo di creare personaggi credibili, delineando degli evidenti stacchi psicologici tra un individuo e l'altro; uno sforzo, tuttavia, su cui tende a insistere troppo. In altre parole, vi sono scene simili, in cui vediamo i personaggi farsi la doccia (un'attività che qua è pressoché continua), prepararsi cocktail, amoreggiare tra loro o degustare cibi più o meno esotici. Un vezzo questo che rievoca certe lungaggini che hanno portato più di un critico a puntare l'indice su un romanzo come The Night Land ("La Terra dell'Eterna Notte", 1912) di William H. Hodgson accusato di eccessiva verve descrittiva.

L'epilogo, infine, è un evidente omaggio al giallo delle edicole degli anni cinquanta e sessanta, modalità poi ripresa dai thriller cinematografici italiani del ventennio successivo, con il protagonista che spiega all'assassino come abbia capito il mistero, mentre questo finge di essere innocente salvo sbottare nel momento della rivelazione finale.


Il Bacio del Crisantemo è dunque un giallo che prende le mosse dal weird per piegare all'hard boiled all'insegna di quegli intrecci, penso a romanzi come Attento alle Rosse, Berty (1968) della serie I Gialli dell'F.B.I. a firma George Simeon (pseudonimo di Pino Belli, più noto con lo pseudonimo Max Dave), In The Frame (pubblicato nella serie I Gialli Mondadori col titolo "Una Tela Rosso Fuoco", 1976) di Dick Francis o il racconto presente nell'antologia The Dark Side (Einaudi, 2006) intitolato Herbert in Motion (1996) di Ian Rankin, che ruotano attorno a indagini su quadri rubati, falsi d'autore e che, per questo, si legano alla passione per l'arte, delineando un vero e proprio sotto filone del giallo. Dunque un romanzo particolare, forse non superiore a La Vestale di Dagon ma, indubbiamente, più originale e personalizzato, con un coinvolgimento del lettore che resta per tutto il corso della lettura garantito.
 
 
"Tu sei trasgressiva per natura, un'autentica borderline; le situazioni torbide ti attraggono come il polline per le api; anzi, aggiungo che tante cose le fai per puro divertimento, senza una reale necessità economica."

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