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venerdì 3 giugno 2022

Recensione Narrativa: QUALCOSA D'ALTRO di Gianfranco De Turris.

Autore: Gianfranco De Turris.
Anno: 1986-2000.
Genere: Fantastico - Esoterismo - Weird.
Editore: Bietti, 2021.
Pagine: 262.
Prezzo: 16,00 euro.

A cura di Matteo Mancini

In queste nostre pagine, abbiamo già incontrato e presentato più volte Gianfranco De Turris, soprattutto in veste di curatore. Oggi lo proponiamo in un'ottica diversa rispetto a quella in cui siamo abituati a conoscerlo.

Saggista dotto e pungente, divulgatore di fantastico fin dagli anni settanta, coraggioso pioniere di interpretazioni oltraggiate dalla sinistra intellettuale (spesso ingenerosa col “nostro”), ma anche narratore o, meglio ancora, autore capace di andare al di là del semplice narrato per proporre storie perturbanti sospese tra il fantastico/orrorifico e la fantascienza, opere in grado di scardinare la quotidianità per proiettare il lettore in un qualcos'altro.

Ecco che Edizioni Bietti offre la succulenta e imperdibile opportunità di apprezzare la scrittura creativa del De Turris dell'ultimo ventennio del secolo scorso. Un'occasione che rivela, a pieno titolo, quanto si sia stata erronea e affrettata la scelta dei curatori del saggio Guida ai Narratori Italiani del Fantastico (2018) dell'Odoya (opera che si fregia del Premio Italia quale miglior saggio dell'anno di riferimento) nell'escluderlo dall'elenco degli ottanta autori imprescindibili. Un'esclusione in parte, a nostro modo di vedere, dovuta a ragioni politiche (cosa grave e antidemocratica), tuttavia mitigata da altre scellerate esclusioni (Carlo Hakim de Medici, Alessandro Manzetti, Ivo Torello per citarne alcuni).

Uscita nel 2021, Qualcosa d'Altro è la seconda antologia di racconti pubblicata dall'autore, preceduta dalla lontana nel tempo Il Silenzio dell'Universo (Solfanelli, 1988) più votata alla fantascienza e al racconto brevissimo (allora furono proposti trentadue racconti). Raccoglie diciannove racconti, molti dei quali già editi seppur dispersi in antologie collettive e riviste ormai introvabili; storie scritte tra il 1986 e il 2000, che De Turris presenta quale “l'antologia conclusiva della sua narrativa”.

È dunque un'antologia assai più matura rispetto alla precedente. Ne Il Silenzio dell'Universo è possibile valutare un De Turris ancora giovane, trattandosi di racconti scritti tra il 1961 e il 1969 quando l'autore aveva un'età compresa tra i diciassette e i venticinque anni ed era ancora lontano dallo studio completo dell'opera di Julius Evola.

L'autore, grande conoscitore del fantastico e della narrativa lovecraftiana, riscrive i caratteri del genere. Laddove nei paesi anglosassoni si opta per nebbia, acqua e scenari cupi, De Turris compie un processo di lavorazione agli antipodi, plasmando quello che potremmo definire un orrore mediterraneo. Il caldo, gli scenari estivi e il sole la fanno da padroni, salvo qualche rara eccezione. Così come gli scenari sono quasi tutti italici, abbracciando realtà urbane, marine e campestri. I protagonisti sono sempre dei “perdenti” se analizzati nell'ottica della società contemporanea. Emarginati, reietti, uomini che vivono di rimpianti o vagano disperati in ambienti impazziti in attesa di un riscatto che non potrà esserci. È la lunga ombra del kali yuga che discende nelle storie dello scrittore romano. “Siamo in un mondo che non crede più a nulla, senza più prospettive, che genera la sensazione di vivere una realtà fittizia e superficiale” spiega l'autore.

Materialismo, ignoranza spirituale e uccisione del genius loci sono i tratti comuni che toccano quasi tutti i racconti per altri aspetti assai diversi tra loro. L'idea delle maschere pirandelliane e della realtà relativa frantumata in tante porzioni, l'una parallela all'altra e tutte - al tempo stesso – concorrenti, sono altri minimi comuni denominatori dell'antologia. È un De Turris maturo quello che scrive, un autore che vuol portare a riflettere il lettore che non si accontenta di subire passivamente la lettura. La passione per l'esoterismo è palpabile, ma non diventa mai preponderante o eccessivamente iniziatica. Si respira forte l'idea della necessità di sviluppare l'anima attraverso processi alchemici finalizzati alla trasmutazione dell'uomo in quella creatura superiore in grado di ascendere e di liberarsi dalle maglie del capitalismo e delle falsità sociali.

Ecco che Qualcosa d'Altro è un'antologia assai rara da leggere in Italia, specie in un periodo in cui personaggi come Alessandro Manzetti stanno cercando di sdoganare un fantastico assai diverso da quello che potremmo definire aristocratico/ermetico. Un branca, quest'ultima, a cui si avvicina certo più l'opera di De Turris, che pure non esagera facendo in modo che il tutto sia fruibile ai più. Diversa è anche l'eleganza, il gusto per un erotismo mai spinto oltre la soglia del volgare, eppure vorticoso e sfrenato, sia esso condotto da disperazione o ardente desiderio. La malinconia è la sensazione che più di tutte si avverte, la sensazione di aver fallito e di aver smarrito il proprio tempo in una realtà sfuggevole, che cambia forma e connotati e lascia nello sbaraglio coloro che vi si muovono all'interno.


ANALISI NEL DETTAGLIO

Sono almeno cinque i capolavori dell'opera. Su tutti brilla il distopico La Torre dell'Eclissi (2000), un racconto che non si può far a meno che giudicare una perla che funge da summa dell'intera produzione creativa di De Turris. Ironia, critica socio-politica, azione, fantascienza e anche un fantastico orrorifico intrecciano le loro coordinate fino a un epilogo tra i più potenti che mi sia mai capitato di leggere tra le storie scritte da un autore italiano. De Turris immagina un mondo abbandonato dagli Dei, in cui l'Italia del 2027 (data troppo prossima visti gli avvenimenti narrati) si è ridotta a una landa di morte e di disperazione di valenza post-atomica; uno stato (“che non rappresentava più sé stesso, ma era variegato come il costume di quell'antica maschera... Arlecchino”) in totale balia di albanesi, romeni, musulmani e altri immigrati, con una polizia finita in mano ai rom. Un'Italia ormai priva di italiani, spazzati via da immigrati dotati di ben altro carisma. De Turris immagina veicoli del futuro, ricostruisce in chiave farsesca il tessuto socio-politico e traccia un contesto ambientale che riporta alla memoria i più ispirati testi apocalittici firmati da James G. Ballard. Il pessimismo di De Turris, qua, è all'ennesima potenza e del tutto non allineato alle politiche di integrazione razziale che vanno per la maggiore in epoca moderna. Un'impostazione che culmina in un epilogo da urlo, durante un'eclissi solare ammirata dall'alto di una torre imbottita di cadaveri mummificati, in cui l'onirismo e la visionarietà toccano livelli degni di una penna di un grande maestro pubblicato sulle mitiche pagine di Weird Tales. Ecco infatti che sulla fantascienza distopica si innesca un orrore che ricorda Wings in the Night (1932) di Robert Ervin Howard, con i suoi demoni alati e le creature deformi che piombano sull'uomo. La risposta finale è orientata alla battaglia, una battaglia però per la mera sopravvivenza fisica perché l'uomo ha smarrito ormai ogni valore. Non è più possibile vincere o riscattarsi, si può solo combattere e andare avanti poiché gli dei non sono più padroni di questo mondo. Chapeau, poco altro da dire.


Non troppo dissimile, per tematica ed epilogo, è Passeggiata romantica al chiaro di luna durante l'ultima notte di carnevale (1999). L'autore opta per uno stile sperimentale, prediligendo una struttura prossima a una sceneggiatura teatrale giostrata su un dialogo esistenziale tra Pierrot e Colombina. Le due maschere si muovono in una piazza deserta in attesa dell'ultimo minuto di carnevale ormai prossimo ad andare in inventario. Qualcosa però va storto. Qualcuno, forse un dio usurpatore, ha bloccato l'orologio e il tempo, permettendo alle due maschere, invece di vivere il momento, di calarsi in una lunga serie di dissertazioni sulla loro situazione e sulla loro essenza. Pierrot capisce che c'è qualcosa di corrotto, di malato. Non può togliersi la maschera, è costretto a recitare un ruolo che non sente proprio. “Non vedi che è la Menzogna l'unico idolo dei nostri tempi e la Perversione la sua ancella?” grida a Colombina che vorrebbe ingannare il tempo facendo all'amore.

Finale apocalittico e crudele, altamente visionario, in cui De Turris mette alla berlina la falsità della realtà quotidiana, mostrando una realtà infernale tenuta nascosta dal burattinaio del gran teatrino.


Altro racconto di notevole impatto è Il Vecchio che camminava lungo il mare (1990). Gioiellino che guarda in chiave personale e originale a Machen (idea della duplice realtà), Meyrink e Blackwood (penso racconti quali L'Orologiaio o Il Vecchio delle Visioni) per stendere un racconto sfumato (sospeso tra suggestione/follia ed effettiva realtà) che vada oltre la semplice narrazione in una chiave allegorico/iniziatica. È in gioco la realizzazione di sé stessi, un qualcosa che passa dalla comprensione del proprio io e dalla liberazione delle catene sociali oggetto di convenzioni e fittizie realtà spacciate quali incontestabili e opportune.

Al centro della narrazione c'è una visione che accompagna fin dall'adolescenza il protagonista della storia. È l'immagine di un vecchio strambo e solitario che vaga sulla spiaggia in cerca di oggetti portati dalla risacca. Dapprima sfumato e quasi ignorato, a poco a poco, il vecchio si insinua nella mente del giovane che, tuttavia, ha altro a cui pensare. Passano gli anni, il protagonista è diventato un adulto e ha deciso di tornare nei luoghi di gioventù per trascorrere l'Estate. Mentre contempla la spiaggia, preso dalla visione di una splendida ragazza, ecco che qualcosa affiora dal passato: il vecchio viandante. Lo vede camminare proprio come ai vecchi tempi. Eccolo che si china, raccoglie oggetti all'apparenza inutili e se ne va, con la sua indefinibile età e il passo claudicante. Chi è? Perché colleziona inutili pezzi di vetro probabilmente ricollegati a birrini distrutti?

Parte un'indagine che conduce il protagonista, un uomo insoddisfatto della propria vita (pur avendo tutto), oltre i confini del villaggio dove i lampioni cessano di illuminare la via (allegoria), al di là di quei veli che separano la presunta realtà (luce) dall'effettiva realtà (buio), quella che è collocata al di là del velo che rende ciechi i limitati sensi delle persone comuni. L'ingresso nell'abitazione del vecchio è una vera e propria iniziazione che proietta il protagonista in un viaggio oltre le consuetudini sociali e oltre i limiti imposti dalla società consumistica e materialista. Il vecchio spiega che il paradiso è a portata di mano di ogni persona e non è quel luogo decantato dalla religioni, bensì un luogo personale assimilabile a quello spirito che ogni uomo deve sviluppare nel cammino della sua vita. “Questo paradiso coesiste con noi e la nostra vita di ogni giorno, ma noi lo abbiamo perduto perché la Realtà ci induce a dimenticarlo e quindi a non preoccuparci più di raggiungerlo. Esso viene inesorabilmente sepolti dagli eventi quotidiani, dalle banalità, dalla vita corriva che conduciamo, dall'abitudine che soffoca ogni slancio, dall'incredulità, dallo scetticismo, dal cinismo di cui alla fine ci corazziamo... mano a mano che si cresce diventiamo succubi di altri problemi, schiavi di altre mete... Il segreto è questo: non far diventare elementi determinanti semplici accidenti, non fare dei mezzi il fine della propria vita.”

Gestito con una calibrata tensione finalizzata a centellinare il narrato e a dilatarlo nei tempi richiesti dalla narrazione, Il Vecchio che camminava lungo il mare è un classico esempio di racconto figlio di quella scuola legata ai grandi autori della scuola inglese di inizio novecento, pur se caratterizzato in chiave mediterranea con sole, mare e caldo in luogo di nebbie, brughiere e freddo.


Poesia allo stato puro è il sensuale e altamente erotico Il Bacio della Sirena (1997). Metafora, ben gestita e ben calibrata, sia dal punto di vista fantastico che erotico, delle nozze alchemiche. Racconto che parla, a livello simbolico, di trasmutazione dei metalli e di oro individuando l'uomo, e non il metallo, quale materiale da trasformare in creatura completa, frutto dell'incontro di elementi maschili e femminili, grazie ai veleni evoluti a medicina in virtù di una loro perfetta comprensione e conseguenziale corretto impiego. Notevole.


Di particolare valore e connessi a un fantastico scuola inglese di inizio novecento sono Meridies (fine anni 80) e Il Segno (1987). Il primo dei due affronta l'archetipo del genius loci (tematica toccata anche dal meno riuscito L'Ora senza Ombre). La calura e il meriggio di un pomeriggio fuori porta, nella campagna agreste romana, diventano occasione per un miraggio confinato in un lontano passato. Il protagonista nota infatti il tentativo di un genius loci di riaffiorare da un'epoca morta e sepolta. Un baluginare vagamente percepito; una testimonianza di un passato lontano soffocato dalla banale contemporaneità. Più classico Il Segno, un vero e proprio racconto lovecraftiano sviluppato e gestito in maniera personale. Una vacanza estiva con moglie e figli si trasforma, per un intraprendente turista appassionato di immersioni subacquee, in un'occasione di scoperta di una “realtà” diversa pur se adiacente alla “nostra”. Ottima gestione tra suggestioni, intuizioni, sogni e realtà, fino alla rivelazione dell'impronta umana palmata riscontrata su un fondale marino.


Questi sono forse i sei elaborati più riusciti, anche se c'è da dire che la qualità generale è assai ricercata. È probabile che De Turris abbia condotto un'approfondita selezione tra i testi disponibili, poiché tutti gli elaborati hanno una loro valenza. Tra quelli non ancora indicati ve ne sono molti, forse troppi, legati all'idea delle realtà parallele che si sovrastano e disintegrano la supposta realtà quotidiana. Emblema di questi racconti è Radionotte (1993), un breve elaborato che fa porre domande al lettore. Esiste davvero un'unica realtà oppure siamo immersi in un caleidoscopio di realtà alternative? Un radiofonista a fine turno, alla guida della sua auto e diretto verso la propria abitazione, finisce all'interno di un buco nero in cui la radio sembra essere l'unico oggetto ancorato a una qualche forma di realtà. Una realtà mutevole però che, a ogni metro, riscrive la storia e i suoi protagonisti. Simile, pur se da altra prospettiva, è Conversazione notturna nella sala d'aspetto di terza classe di una stazione ferroviaria di campagna (1993). Durante una camminata un viandante si imbatte in un barbone che dichiara di esser l'ideatore della realtà che c'è intorno e che ha innestato la stessa in un nulla cosmico oltre il quale non vi è altro. Bello l'epilogo a sorpresa con un'inaspettata rivelazione post-apocalittica. Da lodare il fatto che il testo sia stato scritto nell'estate del 1993, anticipando di gran lunga il dialogo in cui nella pellicola Matrix (1999) Morpheus spiega a Neon cosa sia Matrix.


Si muove invece su un doppio binario Spettacolo di Marionette (1986), il racconto che inaugura l'antologia. De Turris si muove in dimensioni e archi temporali diversi, usando sempre il medesimo protagonista. L'ingresso in un bizzarro negozio di antiquariato, con De Turris che omaggia volontariamente il romanzo La Faccia Verde di Meyrink, diviene un'occasione per vivere una realtà parallela che permette al protagonista di scrollarsi di dosso l'onta del tempo e di vivere un'esistenza alternativa con l'unica persona che ha veramente amato e che poi, per vicissitudini varie, si è lasciato alle spalle. Notevole gestione dell'erotismo che non sfiora mai la volgarità.

L'erotismo è protagonista in altri due racconti. Ne La Dama della Pioggia (1999) torna l'idea dell'uomo pieno di rimpianti che, in un abbandonato paese montano, attende chi mai arriverà (probabilmente la donna dei sogni), finché non nota qualcosa di diverso che sembra affiorare da un passato risalente al periodo del fascio. Ghost story stile anni sessanta/settanta, penso alle collane de I Racconti di Dracula, tutta giocata su mystery, erotismo e una spruzzata di grandguignol. Cosa si cela dietro l'apparizione di una donna, che appare sempre in un luogo isolato di montagna alla guida di un auto dell'epoca fascista e vestita in modo antico, quando dal cielo scende acqua a catinelle?

È un De Turris che parla del dopo morte quale status in cui chi si è macchiato di certi peccati in vita si trova costretto a dover ancora camminare sulla Terra, separato dalle persone che ha amato in vita e costretto a rivivere ciclicamente un incubo che rischia di non aver mai fine.


In Viaggio con Cleo (1998) è un seducente omaggio alla figura del gatto. Si capisce fin dall'inizio, sebbene si cerchi di nascondere la cosa, dove si vada a parare (gatta mannara), ma la gestione del testo, giocato su un erotismo sottile e mai volgare, rende piacevole la lettura. Manca forse il colpo a effetto che possa far fare il salto di qualità al testo che tende a non decollare.


Molti sono poi i racconti, forse meno personali, legati a una forma di fantastico sdoganata dai vari Richard Matheson e Stephen King. Ne è un evidente esempio Manoscritto trovato in un cimitero di automobili (1988) che pare esser stato partorito dalla penna dell'asso del Maine. È un racconto dalla tensione crescente che prende il suo abbrivio dalla banalità quotidiana per evadere, forse per suggestione o per l'intensa calura estiva che soffoca il protagonista, in territori ulteriori. De Turris si muove su coordinante kinghiane, ma non perde occasione per lanciare strali anti-progressisti che vedono nell'auto “l'espressione più turpe del mondo moderno, il precipitato massimo dell'errore, la concrezione ultima della catastrofe occidentale”. Il riferimento a King va all'epilogo di Christine, dove i protagonisti lottano contro un auto infernale capace di auto-rigenerarsi all'interno di uno sfasciacarrozze. La location e l'idea della macchina infernale vengono riprese da De Turris, sebbene quest'ultimo aspetto venga sfumato a beneficio di una visione che potrebbe essere stata artefatta e influenzata dal contesto. Un ordinario viaggio verso un adempimento burocratico si trasforma infatti in un incubo da cui il protagonista, che narra in prima persona i fatti, sembra essere attratto e al tempo stesso respinto.

Nostalgico e decadente, con un occhio a Lovecraft (e Meyrink) sia per lo stile narrativo che per la presenza di manoscritti che riportano misteri inconfessabili che aprono la porta della paura e smuovono la mente verso una realtà altra che induce alla follia o alla fuga. Al centro del tutto vi è una macchina indefinibile, sommersa da una catasta di relitti, di cui il protagonista non riesce a comprenderne né il modello né la marca. All'interno del mezzo l'uomo trova uno strano biglietto inserito in una cassetta. Nel foglio sono scritte le seguenti parole: “Questa cosa diabolica che mi succhia la vita si sta impadronendo di me: non solo della mia anima ma anche del mio corpo, non solo del mio corpo ma anche della mia anima...” Suggestione o realtà si confondono quando l'auto si libera dalla catasta che la sovrasta, inducendo alla fuga il malcapitato curioso di turno.


Rispondono invece a un Fritz Leiber o a un Richard Matheson racconti quali Autobus (1986) o Nella Torre (1993). Autobus propone una quotidianità urbana che si trasforma in un qualcosa di orrorifico. Anche qua siamo all'insegna dei passaggi dimensionali. Nel torrido clima primaverile un autobus, condotto da un crumiro che non ha aderito allo sciopero che ha paralizzato la città, passa a caricare i passeggeri ammassati alle fermate del bus. C'è un particolare... dove scendono i passeggeri se il protagonista non li vede apparire sul marciapiede che costeggia le fermate?

Nella Torre gioca sull'idea che le paure di cui gli uomini si liberano possano trasformarsi in entità maligne capace di proliferare in un luogo chiuso. Scritto su un doppio binario, il racconto procede da una parte con la visione di una antica torre di avvistamento teatro di prove di coraggio di ragazzini intenzionati a dimostrare di esser divenuti adulti; dall'altra con la visione nel presente della medesima torre divenuta teatro di un misterioso fatto di cronaca nera dopo esser stata riconvertita ad abitazione. Ma chi è stato l'autore del massacro? Può un luogo farsi carico delle paure liberate dagli uomini e caricarsi di negatività così da divenire un luogo maledetto capace di uccidere?


Più orientato al pulp splatter è Ferragosto (1991). L'arrivo delle ferie d'agosto si trasforma in un'occasione di libertà per un marito, costretto a restare sul luogo di lavoro, dai continui litigi con una moglie oppressiva e comandina. È una sorta di plot in stile La Moglie in vacanza, L'Amante in Città se non fosse per i controlli ferrei di una moglie che bombarda di chiamate il marito, che si muove in una città deserta resa soffocante dal caldo. L'acquisto di un nuovo modello di scatolette di carne fornirà motivo di liberazione dalla tortura delle telefonate, in cambio però di un orrore superiore che diviene l'emblema del capitalismo più sfrenato: il fast food.


Segreto di Stato (2000) chiude l'antologia ed è l'unico elaborato scritto a quattro mani. Vi partecipa alla realizzazione il veterano Errico Passaro. È una sorta di x-files italiano (con tanto di Area 51 de “noi attri” e relativo alieno precipitato sul suolo italiano) ambientato in epoca fascista e in cui si mettono alla berlina le gelosie e le antipatie tra organizzazioni che dovrebbero cooperare tra loro.


Molto personali gli altri due elaborati. La Notte che Morì mio Padre (1989), più che scrittura creativa, sembra un omaggio autobiografico che si carica delle emozioni e delle sensazioni di un figlio, a sua volta padre, nell'attimo in cui l'ultimo appiglio all'infanzia viene meno: la morte di un genitore. Solo allora può dirsi davvero finita l'epoca della giovinezza. Più conosciuto dagli estimatori di De Turris, tanto da esser stato oggetto di numerose ristampe, è L'Appuntamento Mancato (1989). Una gita a Parigi in compagnia di moglie e figli si trasforma in occasione di incontro con quello che sembra essere lo scrittore dei sogni, seppur defunto da decenni. De Turris non rivela chi esso sia, ma è chiaro che si tratti di Howard P. Lovecraft. L'incertezza, dovuta allo stupore, costa la conoscenza di un segreto non a misura d'uomo. Impossibile che il miracolo si ripeta.


CONCLUSIONI

Qualcosa d'Altro è un'antologia uscita a fari spenti, non aiutata da una copertina che predilige la sobrietà al richiamo delle masse, eppure è una delle più interessanti uscite nel nuovo secolo nell'ambito del fantastico italiano. Gianfranco De Turris si conferma (o si rivela) un grande maestro della parola, superando le aspettative e forse persino il suo prioritario ruolo di saggista. Il De Turris scrittore, infatti, tocca apici che in pochi sono riusciti a raggiungere. Elegante nello stile, dotto nei contenuti e, al tempo stesso, non pesante nello sviluppo delle trame che restano accessibili a qualsiasi categoria di lettore.

La prefazione di Giuseppe O. Longo e la colta postfazione di Alessio de Giglio corredano un'antologia che deve essere acquistata e che ha l'ulteriore vantaggio di esser disponibile alla modica cifra di 16 euro. Notevole.

 
L'autore Gianfranco De Turris.
 
 
"Il sogno di una possibilità, la possibilità che la vita potrebbe imboccare vie diverse da quelle che ha già preso, direzioni inconsuete, strade non conosciute, rispetto a quelle a tutti note. E se c'è la possibilità, c'è sempre la speranza; e se c'è la speranza, è sempre concretizzabile il sogno. "

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