Autore: Stephen King.
Titolo Originale: Just After Sunset.
Anno: 2008.
Genere: Antologia Fantastico/Thriller/Horror.
Editore: Sperling & Kupfer.
Pagine: 530.
Prezzo: 11.90 euro.
Commento a cura di Matteo Mancini.
Appena sei anni dopo Tutto è Fatidico, Stephen King se ne esce fuori con una nuova antologia di racconti brevi, la sua quinta, data alle stampe col titolo originale di Just After Sunset, in Italia Al Crepuscolo. Tredici testi, molti dei quali fulminei, che non impressionano quanto sarebbe stato lecito attendere. La sensazione generale è che si tratti di un'uscita editoriale dettata da una richiesta avanzata dall'editore, quale riunione di un eterogeneo gruppo di storie concepite per far fronte alle pressioni avanzate da una lunga serrie di riviste che hanno commissionato racconti di svariato genere alla più celebre penna del terrore. In media, salvo qualche raro caso, il livello dei racconti, pur buoni per stile e scorrevolezza, pecca in modo evidente di originalità. Lo scrittore del Maine ricorre spesso all'autocitazione, oppure propone soggetti che si traducono in esercizi di stile a carattere impersonale. Conseguenza di ciò è un'antologia che, ad avviso di chi scrive, è notevolmente inferiore rispetto alle precendeti.
Tra i tredici racconti, brilla l'orrore cosmico di N., chiaro omaggio di Stephen King alla narrativa di Arthur Machen e di Algernon Blackwood.
Con
Ayana torna
il tema già affrontato da King ne Il
Miglio Verde
ovvero quello dei miracoli. Come da tradizione nella narrativa dello
scrittore del Maine, all'individuo benedetto dalla luce divina si
sostituisce l'uomo comune investito di un male che, da contrappasso, rilascia un dono: quello di guarire gli altri. Una facoltà a tempo
limitato a quanto pare.
Questi i tredici racconti per un'antologia, a mio modo vedere, non proprio riuscita che patisce in modo importante il confronto con le precedenti firmate King, tanto da potersi definire la peggiore dell'autore. Cala in modo importante l'horror e, ancor di più, il fantastico. Solo quattro racconti possono definirsi horror puri (N., Il Gatto del Diavolo, Cyclette e Le Cose che hanno Lasciato Indietro), un altro paio possono qualificarsi quale fantastico (Willa e Il New York Times in Offerta Speciale), mentre il resto (più della metà del testo) è costituito da thriller o drammatici. Scarsa l'originalità delle storie, pur se narrazioni di piacevole lettura per stile e caratterizzazioni. Da acquistare solo per finalità di completamento dell'opera di King. Tranquillamente sorvolabile per gli altri.
"C'è un mondo dietro questo mondo, pieno di mostri. Dei, Dei malefici."
Tra i tredici racconti, brilla l'orrore cosmico di N., chiaro omaggio di Stephen King alla narrativa di Arthur Machen e di Algernon Blackwood.
Si tratta dell'unico inedito dell'antologia, ispirato, in
base a quanto detto dall'autore, a Il Grande Dio Pan sebbene i
legami più evidenti, a mio avviso, siano altri. Si respirano inoltre echi, per
tematica, anche ad altre opere kinghiane quali i romanzi Buick 8 e Revival nonché il
racconto lungo The Mist (posto in apertura della antologia Scheletri). Dall'autore gallese arriva l'idea
dell'esistenza di un ipotetico velo che rende cieco l'uomo, celando
la realtà (mostruosa) a beneficio di una realtà menzognera che
altro non è che la vita di tutti i giorni. Da Blackwood arriva la
potenza di una cornice ambientale capace di generare un brainstorming
nel passante fin troppo sensibile al richiamo della natura.
“La realtà è un mistero e la consistenza quotidiana della cose è la stoffa con cui ne mascheriamo luminosità e oscurità. Credo che per la stessa ragione copriamo il volto dei cadaveri. Vediamo il volto dei morti come una specie di porta. È chiusa... ma noi sappiamo che non sarà sempre chiusa... Ci sono posti dove la stoffa è stracciata e la realtà è sottile. La faccia che c'è dietro vi sbircia attraverso...”
“La realtà è un mistero e la consistenza quotidiana della cose è la stoffa con cui ne mascheriamo luminosità e oscurità. Credo che per la stessa ragione copriamo il volto dei cadaveri. Vediamo il volto dei morti come una specie di porta. È chiusa... ma noi sappiamo che non sarà sempre chiusa... Ci sono posti dove la stoffa è stracciata e la realtà è sottile. La faccia che c'è dietro vi sbircia attraverso...”
King, da abile amalgamatore, recepisce le lezioni
offerte da capisaldi del genere quali The Willows (1907) di
Blackwood e The White People (1904) di Machen, per
confezionare, col suo Ackerman's Field (ovviamente nel Maine), un
ambiente naturale capace di solleticare quella che Blackwood chiamava
“la psicologia dei luoghi” ovvero un'influenza tale da
generare vertici di orrore cosmico che minano l'integrità
psicofisica e inducono alla pazzia (nella fattispecie un cortocircuito indotto dalla necessità di contare e di scorporare quanto avvenuto alla ricerca di un significato ulteriore). Ne faranno le spese tre soggetti
molto diversi, tra i quali uno psichiatra, influenzato dai deliri di un
proprio paziente (l'N di cui al titolo) e incapace di sottrarsi dal
vortice ossessivo-compulsivo scatenato dalla visione di un campo
isolato in un bosco, dove un essere di una quarta dimensione -
dotato di testa a elmetto e chiamato Cthun - sembra attendere il
momento propizio per liberarsi da un cerchio magico composto da otto
pietre (un vero e proprio stargate che ricorda Stonehenge)
così da scagliarsi sulla terra.
Una certa prolissità e una ridondanza di argomenti
penalizzano un testo altrimenti degno di esser accostato ai livelli
dei capolavori del sopramenzionato duo scuola Golden Dawn.
Interessante la struttura, piuttosto variegata, che segue la forma un
po' epistolare e un po' del diario. A ogni modo, un ottimo racconto, trasposto peraltro in una serie a fumetti griffata Marvel.
Molto
simpatico e piuttosto originale (di matrice squisitamente kinghiana) è Cyclette,
in cui King immagina la battaglia metaforica tra un artista
sovrappeso e il suo metabolismo chiamato a fargli perdere peso e rappresentato da una squadra di
lavoratori. A fungere da collegamento è una particolare cyclette che gioca da portale per un altrove, un altrove fantastico. La scelta dell'uomo di accelerare il metabolismo,
ricorrendo a una serie di sedute di allenamento, porta alla ribellione
dell'ideale squadra di lavoratori, in un parallelismo tra realtà e
fantasia che alla fine travalicherà di campo in una sovrapposizione
di piani.
Il
protagonista immagina infatti di macinare chilometri, tracciando un
percorso ideale tra il Nord America e il Canada e ponendo una serie
di dipinti di sua ideazione così da stimolare una sorta di fantasia
d'evasione. Non appena in sella alla cyclette, si troverà catapultato nella quiete boschiva fino allo squillo del timer che lo riporterà nella realtà. Si renderà presto conto che i suoi viaggi nella natura sono minacciati da misteriosi operai che si lanceranno al suo inseguimento, specie dopo il suicidio di uno di loro, incapace di tenere i ritmi dell'uomo. L'evento scatenerà
le ire dei colleghi che andranno ad asserragliare l'artista nel garage di casa dove ha riposto la cyclette, uscendo dal quadro dallo
stesso dipinto. L'obiettivo dei lavoratori sarà la distruzione
dell'attrezzo di allenamento, evidentemente poco motivati a incrementare il proprio carico di lavoro per stare dietro ai ritmi del loro datore.
Sicuramente
uno dei racconti più riusciti e originali, sebbene anche qua King
utilizzi soluzioni già incontrate dai suoi lettori, tipo i dipinti che si
modificano da soli come già avvenuto nel più riuscito Il
Virus della Strada va a Nord
contenuto in Tutto
è Fatidico.
Il
testo di apertura, Willa,
fa invece leva sul mistero della morte e, più precisamente, su ciò che ci
aspetta oltre il passo che ci separa dalla vita di tutti i giorni. Il
tema è quello affrontato da M Night Shyamalan ne Il
Sesto Senso (1999)
ovvero quello del morto che, a poco a poco, si accorge del proprio
status, credendo all'inizio di essere ancora vivo. King fa leva sulla
variabile temporale e sul distacco dissociativo che porta un gruppo
di passeggeri di un treno deragliato ad attendere il treno
successivo, convinti di far ritorno alla loro vita. In realtà sono
tutti morti sebbene non vogliano accettarlo. Venature romantiche, che
sembrano suggerire che l'amore sopravviva alla morte e che,
tutto sommato, il decesso non sia così drammatico (lo spirito dei morti resta nella vita di tutti i giorni, seppure invisibile ai vivi), garantiscono una visione ottimista che viene invece sconfessata altrove.
In Al Crepuscolo si notano poi, in modo assai evidente, gli strascichi del 11 settembre (2001) che
confluiscono in ben due racconti e, in modo indiretto, in un ulteriore terzo. Uno di questi, Il
New York Times in Offerta Speciale,
richiama la tematica già affrontata in Willa,
mettendo in correlazione i morti con i vivi. Nella fattispecie
abbiamo un marito, deceduto in uno degli aerei schiantatesi sulle torre gemelle, che riesce a telefonare alla moglie
due giorni dopo il decesso. L'uomo rivela di trovarsi in una grande
stazione abbandonata e di non avere dolori. Capisce di esser morto, eppure non se ne capacita troppo. Fornisce altresì, seppur
involontariamente, alcune profezie all'amata (che si verificheranno
puntualmente) dicendo di esser preso dalla scelta di dover aprire una
porta tra le tante che si trovano al suo cospetto. A differenza di
Willa, dunque, i morti si trovano in un altrove di natura
labirintica, impegnati a prendere scelte inconsapevoli che ne
determinano il futuro. Buono spunto di partenza, che si perde poi in
quell'indeterminatezza non a misura di uomo (per usare un espressione
sofista).
Più
drammatico è Le Cose che
Hanno Lasciato Indietro,
in cui un superstite del crollo delle Torri Gemelle rivive, per
effetto di una serie di oggetti che compaiono misteriosamente nella
propria abitazione, l'orrore, preludio della morte, provato dai colleghi
rimasti intrappolati nell'inferno di fuoco scatenato dall'attentato
aereo. L'uomo, vittima dei sensi di colpa, riuscirà a placare i
tormenti consegnando i vari oggetti ai familiari dei colleghi morti. Ogni
tentativo di disfarsene, infatti, sortirà effetto negativo. Pungente poi lo sfogo dell'autore, alla stregua di un urlo lanciato in alto, verso il grande architetto dell'universo: "L'hanno fatto in nome di Dio, ma non c'è nessun Dio. Se ci fosse un Dio li avrebbe folgorati tutti e diciotto nelle loro sale d'aspetto... Ma nessun Dio l'ha fatto!"
Sempre
legato al tema terrorismo, seppur più generale, è Pomeriggio
del Diploma.
Racconto breve che denota l'abilità stilistica di King, pur essendo
povero di contenuti. Qua viene esternato l'orrore massimo che sembra esser rievocato dai tempi della guerra fredda ovvero un attentato nel cuore della grande mela
perpetrato con una bomba nucleare.
Incentrato
sull'azione, pur se povero di contenuti, è Torno a
Prenderti, una sorta di sceneggiatura innescata da un trauma (la perdita di una figlia) e su come
questo si rifletta nella vita di tutti i giorni, portando il
rapporto di coppia a collassare. King parte da ciò, caratterizzando
assai bene una protagonista al femminile che trova nell'attività
agonistica, nella fattispecie la corsa, la via per esorcizzare il
dolore. La tematica, a circa metà racconto, viene tuttavia scalzata
dall'incontro, casuale, con un serial killer. L'evento trasforma il
testo in un concentrato, seppur impersonale, di suspence e tensione
che richiama alla memoria Il
Gioco di Gerald (1992).
Imprigionata e imbavagliata dall'assassino, la donna si libera e
ingaggia con lo stesso un confronto, dapprima all'interno di
un'abitazione e poi sulla spiaggia di una cittadina della Florida. King dimostra eccezioanle attitudine all'action movie, con piglio
cinematografico, tuttavia non inventando niente di nuovo e limitandosi a evoluzioni stilistiche.
Appartenente al medesimo genere è Alle Strette, in cui King si diletta nel descrivere i tentativi, poi andati a buon fine, messi in atto da un individuo rinchiuso per vendetta all'interno di una latrina sradicata e precipitata giù in un dirupo. Testo molto dilatato, assai disgustoso con un personaggio invischiato tra urina ed escrementi, capace tuttavia di fuoriuscire da una situazione claustrofobica prossima a condurlo alla morte.
Su tematiche poliziesche si assesta Muto, elaborato costruito su un doppio binario costituito da un flashback (in cui il protagonista rivela la sua triste storia familiare a un autostoppista sordomuto) e da una ricostruzione resa a un prete davanti a un confessionale. L'uomo arriva a pensare che sia stato Dio (notare l'importanza simbolica della medaglina di San Cristoforo che passa dalle mani del protagonista a quelle del vendicatore per ritornare poi al suo proprietario) in persona a metterlo in contatto col reietto, un modo per salvarlo da un fallimento a lui non attribuibile. Il vagabondo, macchiandosi di un crimine atroce, gli salverà la vita civile e lo farà per solidarietà al fine di sdebitarsi del passaggio ricevuto. Aria dunque un po' blasfema, ma anche un modo per sottolineare quanto siano misteriosi i disegni del gran Dio.
L'autista è un marito tradito dalla moglie che, col suo racconto, ha involontariamente ordinato, a uno sconosciuto e apparentemente disinteressato alla comunicazione, l'assassinio della moglie adultera e dell'amante di quest'ultima. Scagionato dalla polizia, in quanto non coinvolto nell'evento e in possesso di alibi di ferro, l'uomo beneficia della polizza assicurativa sulla vita della moglie, per appianare il reato di appropriazione indebita perpetrato dalla stessa a carico della pubblica amministrasione. La donna infatti, presa da un amore malato verso un altro uomo, al fine di sentirsi giovane, aveva dato sfogo a una serie di acquisti compulsivi di mutandine, pensando poi di recuperare i soldi sottratti alla pubblica amministrazione dandosi al gioco d'azzardo (inevitabile lievitazione del debito). Finale un po' cattivo, all'insegna di un'ipocrisia di cui il protagonista si rende ben conto, gioiendo in cuor suo per un evento tragico che aveva accarezzato lui stesso di compiere senza averne forza e coraggio. Niente di nuovo, ma ben raccontato, alla faccia del famoso Delitto per Delitto di Hitchcock.
Appartenente al medesimo genere è Alle Strette, in cui King si diletta nel descrivere i tentativi, poi andati a buon fine, messi in atto da un individuo rinchiuso per vendetta all'interno di una latrina sradicata e precipitata giù in un dirupo. Testo molto dilatato, assai disgustoso con un personaggio invischiato tra urina ed escrementi, capace tuttavia di fuoriuscire da una situazione claustrofobica prossima a condurlo alla morte.
Su tematiche poliziesche si assesta Muto, elaborato costruito su un doppio binario costituito da un flashback (in cui il protagonista rivela la sua triste storia familiare a un autostoppista sordomuto) e da una ricostruzione resa a un prete davanti a un confessionale. L'uomo arriva a pensare che sia stato Dio (notare l'importanza simbolica della medaglina di San Cristoforo che passa dalle mani del protagonista a quelle del vendicatore per ritornare poi al suo proprietario) in persona a metterlo in contatto col reietto, un modo per salvarlo da un fallimento a lui non attribuibile. Il vagabondo, macchiandosi di un crimine atroce, gli salverà la vita civile e lo farà per solidarietà al fine di sdebitarsi del passaggio ricevuto. Aria dunque un po' blasfema, ma anche un modo per sottolineare quanto siano misteriosi i disegni del gran Dio.
L'autista è un marito tradito dalla moglie che, col suo racconto, ha involontariamente ordinato, a uno sconosciuto e apparentemente disinteressato alla comunicazione, l'assassinio della moglie adultera e dell'amante di quest'ultima. Scagionato dalla polizia, in quanto non coinvolto nell'evento e in possesso di alibi di ferro, l'uomo beneficia della polizza assicurativa sulla vita della moglie, per appianare il reato di appropriazione indebita perpetrato dalla stessa a carico della pubblica amministrasione. La donna infatti, presa da un amore malato verso un altro uomo, al fine di sentirsi giovane, aveva dato sfogo a una serie di acquisti compulsivi di mutandine, pensando poi di recuperare i soldi sottratti alla pubblica amministrazione dandosi al gioco d'azzardo (inevitabile lievitazione del debito). Finale un po' cattivo, all'insegna di un'ipocrisia di cui il protagonista si rende ben conto, gioiendo in cuor suo per un evento tragico che aveva accarezzato lui stesso di compiere senza averne forza e coraggio. Niente di nuovo, ma ben raccontato, alla faccia del famoso Delitto per Delitto di Hitchcock.
Il
Sogno di Harvey
riprende l'abusato cliché del sogno/incubo che si rivela
premonitore. King introduce il racconto
utilizzando, di contorno, un contesto familiare in cui la vecchiaia
ha intaccato il sogno adolescenziale di una coppia di sposi. Senza guizzi e
con poco costrutto.
Non si differenzia troppo Area di Sosta, che riprende un vecchio cavallo battaglia di King ovvero la scissione della personalità tra un autore di romanzi gialli e la personalità fittizia che trapela dalle sue opere, così da dare l'idea dell'esistenza di un secondo individuo nascosto sotto un nome di fantasia che altro non è che lo pseudonimo dello scrittore. A far emergere l'indole cruenta e coraggiosa dell'alter ego è il casuale incontro, in un'area di servizio, di un coppia di fidanzati intenti a litigare all'interno di un bagno pubblico. La violenza del giovane nei confronti dell'indifesa ragazza porta il protagonista a ergersi a giustiziere. Bel ritmo, ma storia insipida.
Non si differenzia troppo Area di Sosta, che riprende un vecchio cavallo battaglia di King ovvero la scissione della personalità tra un autore di romanzi gialli e la personalità fittizia che trapela dalle sue opere, così da dare l'idea dell'esistenza di un secondo individuo nascosto sotto un nome di fantasia che altro non è che lo pseudonimo dello scrittore. A far emergere l'indole cruenta e coraggiosa dell'alter ego è il casuale incontro, in un'area di servizio, di un coppia di fidanzati intenti a litigare all'interno di un bagno pubblico. La violenza del giovane nei confronti dell'indifesa ragazza porta il protagonista a ergersi a giustiziere. Bel ritmo, ma storia insipida.
Sensazione
di racconto troncato sul più bello quella offerta da Il
Gatto del Diavolo, che pare un testo ispirato dal celebre I Gatti di Ulthar di H.P.Lovecraft.
King
costruisce bene l'antefatto che porta un ex farmaceutico a ingaggiare
un sicario per uccidere un gatto. Il vecchio è convinto che
l'animale sia stato mandato dall'inferno per punirlo degli
esperimenti condotti, nel corso degli anni, ai danni dei felini e che
hanno portato al decesso di 15.000 gatti. L'animale, giunto
d'improvviso presso la sua abitazione e apparentemente affettuoso, ha
eliminato tre dei quattro componenti della famiglia, anche se i
decessi sono stati archiviati quali incidenti o fatalità.
Il
sicario accetta l'incarico, ma farà i conti con l'istinto omicida
dell'animale. King costruisce bene la premessa del racconto per
chiuderlo frettolosamente senza sviluppare a dovere l'intreccio.
Inferiore, nonché diversissimo, alla sceneggiatura utilizzata per
l'episodio centrale de I
Delitti del Gatto Nero (1990), film diretto da John Harrison.
Nota curiosa è costituita dal fatto che si tratta di un elaborato dimenticato per anni da King e non ancora incluso in nessuna delle sue antologie. Pubblicato nel lontanissimo 1977 sulla rivista Cavalier, deve la sua pubblicazione in Al Crepuscolo solo per un accenno di un'assistente dello scrittore che, a quanto pare, era convinto di aver già pubblicato il testo in una precedente antologia. La cosa la dice lunga su quanto King apprezzi questa storia...
Nota curiosa è costituita dal fatto che si tratta di un elaborato dimenticato per anni da King e non ancora incluso in nessuna delle sue antologie. Pubblicato nel lontanissimo 1977 sulla rivista Cavalier, deve la sua pubblicazione in Al Crepuscolo solo per un accenno di un'assistente dello scrittore che, a quanto pare, era convinto di aver già pubblicato il testo in una precedente antologia. La cosa la dice lunga su quanto King apprezzi questa storia...
Questi i tredici racconti per un'antologia, a mio modo vedere, non proprio riuscita che patisce in modo importante il confronto con le precedenti firmate King, tanto da potersi definire la peggiore dell'autore. Cala in modo importante l'horror e, ancor di più, il fantastico. Solo quattro racconti possono definirsi horror puri (N., Il Gatto del Diavolo, Cyclette e Le Cose che hanno Lasciato Indietro), un altro paio possono qualificarsi quale fantastico (Willa e Il New York Times in Offerta Speciale), mentre il resto (più della metà del testo) è costituito da thriller o drammatici. Scarsa l'originalità delle storie, pur se narrazioni di piacevole lettura per stile e caratterizzazioni. Da acquistare solo per finalità di completamento dell'opera di King. Tranquillamente sorvolabile per gli altri.
STEPHEN KING
e la copertina della prima versione italiana.
"C'è un mondo dietro questo mondo, pieno di mostri. Dei, Dei malefici."
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