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mercoledì 5 settembre 2018

Recensione Narrativa: TERRORE PROFONDO di AA.VV



Autori: Nicola Lombardi, Antonio Tentori, Luigi Cozzi, Igor Scanner e Massimo Brando.
Anno: 1997.
Genere: Horror.
Editore: Newton.
Pagine: 474.
Prezzo: Trattativa Privata (Fuori Catalogo.

A cura di Matteo Mancini
Trovata commerciale del Gruppo Newton che, a distanza di un anno dall'uscita di Profondo Thrilling (1994), tenta di sfruttare il successo cinematografico degli horror di Dario Argento riconvertendoli nella forma del racconto. Per compiere il proposito la casa editrice commissiona a cinque autori il compito di trasformare in chiave letteraria l'estro onirico e visionario di Dario Argento, nel massimo rispetto delle sceneggiature originali. Così troviamo autori conosciuti quali Luigi Cozzi, Nicola Lombardi, Antonio Tentori e altri, forse meno noti, quali Massimo Brando e Igor Scanner impegnati a modificare l'arte del descrivere con immagini, propria del cinema, con quella di descrivere con le lettere. Compito apparentemente semplice, ma assai arduo quando si è alle prese con prodotti di culto quali Suspiria, Inferno o Phenomena.
Il risultato finale centra sicuramente l'obiettivo di partenza e costituisce un valido esempio, specie per gli aspiranti scrittori, per comprendere la diversità di registro tra lo scrivere per il cinema e lo scrivere per i lettori. Non tutti gli autori riescono bene in questo. A esempio, si rivelano assai bravi Nicola Lombardi e Igor Scanner che, pur mantenendo l'impianto originale del film lo veicolano nella diversa forma del racconto. Antonio Tentori, invece, opta per un taglio che resta fin troppo legato a quello della sceneggiatura, non riuscendo a fluidificare in adeguato modo il passaggio dalla visione dell'occhio alla descrizione sottesa a stimolare l'immaginazione di ogni lettore, così che si abbia quella partecipazione attiva che solo la letteratura può offrire. Non si può infatti negare che mentre un lettore è impegnato a dirigere mentalmente la storia che gli viene raccontata, uno spettatore è un soggetto passivo, costretto a sorbirsi quanto gli viene mostrato senza possibilità di personalizzazione. In questo sono interessanti i racconti/film Opera e Demoni. Nel primo, ottimamente tradotto in racconto da Igor Scanner (bravo e immediato), abbiamo il colpo di genio (oltre a quello del volo dei corvi come arma per scovare l'assassino, facendo leva sulle capacità mnemoniche di questi uccelli) degli aghi applicati sotto gli occhi di una vittima costretta a guardare gli omicidi del pazzo che la perseguita. Omicidi, a sfondo libidinoso, che il killer pratica sotto gli occhi della giovane sperando di eccitarla, così come faceva con la madre della stessa, che si concedeva solo dopo la mattanza. E' evidente il legame che si instaura con lo spettatore (forse affetto da un sadismo latente, come si è soliti dire per certi medici legali), con un Dario Argento desideroso di costringere il suo pubblico più impressionabile a non staccare gli occhi nei momenti topici dei vari assassinii proposti. Quei famosi istanti in cui la vostra ragazza, un po' come succede a una delle coppie accomodate sulle poltroncine del cinema in Demoni, vi stringe la mano e abbassa la testa sussurrandovi: "dimmi quando tutto questo è finito" e voi, per sadismo, la fate rialzare mentre le forbici del killer squarciano la gola della Tassoni di turno, dicendo alla vostra giovane compagna che sapevate quanto lei fosse una grande estimatrice dei braccialetti d'oro e che non potevate perdermettervi di farle perdere la visione di un simile gioiello.
Un sadismo che permea tutto il film per un soggetto che risente degli echi del Fantasma dell'Opera di Gaston Leroux (idea della giovane che si ritrova lanciata al debutto in un'opera teatrale per l'intervento di un sadico che pone le condizioni che portano all'infortunio della titolare) e che diviene background per un sadismo che Argento cercherà di riproporre nel successivo La Sindrome di Stendhal. Opera quest'ultima dove si compirà quel passaggio da vittima a carnefice esorcizzato con forza all'epilogo di Opera ("Non è vero che somiglio a mia madre: sono molto diversa, diversissima, io non sono una sadica come lei!"). Il legame con gli spettatori diviene più marcato ed esplicito in Demoni. Film prodotto da Dario Argento per Lamberto Bava, qua riscritto da Massimo Brando. Si tratta di un soggetto metacinematografico, sospeso tra il fantastico d'atmosfera (caratterizzato dalla parte che si vede scorrere dalla sala di un cinema) e quello urbano alla George A. Romero (il riferimento va a Zombi). Massimo Brando assolve piuttosto bene al compito a cui è chiamato per quella che è la trasformazione narrativa di un film che forza la mano sullo splatter e sulle metamorfosi da umani a demoni (caratterizzati alla stregua di zombi capaci di correre), puttosto che lavorare sul contenuto di fondo (come invece fa Suspiria o, in chiave criptica, Inferno). Ne esce una storia che ha nell'azione la propria arma di forza, ma che non sfrutta appieno le buone premesse iniziali (con tanto di riferimento alle profezie di Nostradamus). Il momento centrale del film è il passaggio in cui la fantasia cinematografica si trasforma in pazzesca realtà, con la tipa che, ferita dall'amica contaminata da un male di cui non si riesce a capire né la giustificazione né la fonte (se non il taglio subito da una scheggia inserita all'interno di una maschera esposta nel cinema), squarcia dal retro il telone su cui vengono proiettati le immagini di un film che anticipa la deriva e il morbo che irromperà nella realtà. Un modo come un altro per dire che quello che si vede al cinema, spesso e volentieri, viene superato dalla realtà così da forgiare il vecchio adagio secondo il quale "la realtà supera la fantasia". Una conclusione apocalittica di cui, tuttavia, non vengono fornite spiegazioni, così da lasciare spiazzati i lettori.

I due pezzi forti del volume, insieme al giallo orrorifico Phenomena (100 pagine firmate Cozzi), restano comunque Suspiria e il suo sequel Inferno. Nicola Lombardi riesce nell'impresa di confezionare un elaborato che, se non fosse la traduzione di un film di Dario Argento, sarebbe da definirsi un grande gioiellino di cui andare fieri. Una prova a dir poco sontuosa, seppur dilatata in alcuni momenti topici (penso all'assassinio di Sarah). Spettacolose, da un punto di vista tecnico, le ultime quattro pagine che culminano in una conclusione trascendente in cui la protagonista scopre, come nel più classico dei racconti fantastici dei grandi maestri del primo novecento, che la realtà è celata da un velo dietro il quale si nascondono gli orrori di coloro che dominano il mondo. Un passaggio che viene ben reso nella sequenza in cui la protagonista dorme, insieme alle compagne, nella palestra, sentendo un brusio affannoso che altro non è che il respiro di un donna ultracentenaria (la Regina Nera) che sottrae energie al di là di un velo (pitagorico?) da cui si intuiscono solo le forme corporee. "Nulla, nella sua vita, avrebbe più avuto importanza, ora che aveva conosciuto il buio nascosto dietro la facciata dell'esistenza... Continuò allora a ridere (era atroce pensare che spesso le verità più dolorose si manifestano alla coscienza con l'insospettabile manto della burla), e a piangere, trovando esilarante e straziante, al tempo stesso la consapevolezza che tutto, tutto quanto, non era altro che un orribile imbroglio. Ma chi ha, allora, le redini dell'universo?"
Una resa dunque avvicincente, tenebrosa e capace di regalare tensione anche a chi già conosca la storia. Testo quadrato, che si sviluppa pian pianino quasi fosse un giallo, se non fosse per la conclusione in cui sconfina definitivamente in un fantastico in cui il male è una presenza continua e incombente. Protagonista una giovane ballerina americana che giunge a Friburgo (Germania) nell'accademia di ballo dei suoi sogni, scoprendo, suo malgrado, di esser entrata a far parte di una struttura che altro non è che una sede di una congrega di streghe che vivono quali parassite, assorbendo le energie delle giovani allieve. "Lo scopo delle streghe è ottenere vantaggi personali e materiali... Fanno il male, nient'altro al di fuori di quello. Conoscono e praticano segreti occulti che danno loro il potere di agire sulla realtà, sulle persone... ma solo in senso maligno." A scatenare la catena di omicidi una ragione logica e chiara: cancellare testimoni scomodi che possano rivelare la vera natura delle maestre di ballo.
Lombardi lavora anche sulla resa "visiva" del racconto, centrando appieno lo spirito della fotografia baviana su cui tanto aveva investito Dario Argento per la resa onirica del suo film. Una cura dunque al dettaglio da parte di questo scrittore che, a mio avviso, rende il racconto il migliore dell'antologia.

Soffre invece dell'anarchia di fondo, che già si respirava nel film, Inferno. Tentori, chiamato a un compito assai più arduto di Lombardi, non tesse bene i fili della già sfilacciata sceneggiatura di Argento e ne mutua tutti i difetti. Inoltre, a differenza di Lombardi e di Scanner, sceglie un taglio più vicino alla sceneggiatura che alla narrativa. Il racconto, pur se un po' meno del film, è un grande indovinello esoterico in cui trova spazio anche uno pseudobiblia, sulla scia del Necronomicon di Lovecraft, scritto da un tale Varelli che si autodefinisce alchimista tenuto al silentium - per "non turbare le menti profane con la sapienza degli illuminati" - nonché architetto delle dimore delle tre madri "che dominano il mondo col dolore, con le lacrime e con le tenebre". Varelli prosegue nel testo fornendo indizi in chiave allegorica, nella perfetta tradizione ermetica e iniziatica che sottende a certa narrativa e a certa letteratura. Va da se che tutti coloro che entreranno in possesso del volume faranno una brutta fine con il male che si materializza quasi fosse uno spirito che possiede i corpi a piacimento, un po' come nel film Il Tocco del Male, per raggiungere più celermente i propri scopi. Non a caso Dario Argento soleva dire che Inferno costituiva la concatenazione di quaranta indovinelli intrecciati tra loro di cui non veniva fornita alcuna spiegazione, sebbene lo stesso Argento rivelava di saperne la risposta. "Ancora oggi molte persone mi chiedono il perché di certe cose che stanno nel film" spiega Dario Argento "io ho sempre risposto che quei misteri bisogna risolverli da soli attraverso la storia e la conoscenza. Solo in un caso si riescono a capire i perché di certi simboli... Quando si arriva a questo stadio vuol dire che si è trovato il punto d'inizio dell'arte alchemica".  Tematiche che Dario Argento andrà a sviluppare, insieme a Michele Soavi, ne La Chiesa.
Nel racconto si riprende l'idea delle tre madri, fonte di ispirazione di Suspiria (sulla scia del Suspiria De Profundis pubblicato da Thomas De Quincey nel 1845), per spostare la materia centrale del racconto dalla stregoneria all'alchimia (bella la scena, nel tradizionale spirito alchemico proprio dell'immaginario collettivo, in una biblioteca di Roma) e all'architettura occulta. "L'uomo ragionava sul segreto di quell'edificio: quella casa era un organismo autonomo, vivente, colmo di trabocchetti e di segreti. Un abominio dalle molte forme. L'architettura di quel luogo vasto e tenebroso sembrava mancare di ogni fine: corridoi senza sbocchi, alte finestre irraggiungibili, porte che si aprivano su una cella o su un pozzo, scale che finivano senza giungere in alcun luogo, come se tutte le parti dei sotterranei si ripetessero concentricamente."
Ecco che ne esce fuori una storia labirintica sia nella sua struttura (ci si sposta da un continente all'altra con una marea di personaggi, tanto che si stenta a capire chi sia il protagonista) sia nel suo contenuto (ispirato dal volume Le Cattedrali Segrete pubblicato da Fulcanelli nel 1929) con un epilogo all'interno di un edificio, dove risiede la madre delle tenebre, dalla forma labirintica in cui si consumano delitti commessi, più che da un assassinio in carne e ossa, dal male fattosi materia. Inquietante la frase su cui ruota l'intero racconto ovvero che "l'unico grande mistero della vita è che essa è governata unicamente da gente morta." Finale dal grande effetto scenico.

Inserito nel volume, come intermezzo giustificabile solo per allungare il numero di pagine, compare un racconto di Luigi Cozzi intitolato La Porta sul Buio.
Intermezzo che nulla ha che fare con la produzione diretta di Dario Argento pur essendo ispirato da un episodio che lo stesso ricorderà, nell'autobiografia Paura edita da Einaudi nel 2014, quale il giorno più bello della propria vita (una serata passata in una casa nuova con la piccola Fiore, vedendo un film su una televisione a batteria e senza avere ancora allacciato la luce). Scritto dal fedelissimo Luigi Cozzi, si tratta di uno degli episodi dell'omonima saga prodotta dal regista romano per il circuito televisivo. Cozzi parte dall'idea di una famiglia di freschi sposini che si trasferiscono in un villino dove non è ancora stata allacciata la luce. Soli, nel buio, senza un letto e senza candele, i due giovani si trovano costretti a passare la nottata all'interno dello stabile perché la loro auto è rimasta incagliata nella sabbia. Muniti di un televisore a batteria i due notano, durante la visione di un giallo, una profonda macchia di umidità sulla parete da cui inizia a scendere una fitta pioggia d'acqua. Il marito decide così di recarsi dall'inquilino del piano superiore, temendo che lo stesso abbia lasciato un rubinetto aperto. Giunti al cospetto della porta, i due scoprono che la stessa è stata lasciata aperta. Entrano all'interno e trovano conferma dei loro sospetti, spegnendo un rubinetto. Solo che c'è un altro problema: nella vasca c'è il cadavere di una donna...
Racconto thriller classico, scritto in modo fluido ma con delle forzature necessarie a portare avanti il racconto (perché l'assassino avrebbe dovuto lasciare il rubinetto aperto?). A suo modo profetico, si pensi, a esempio, a come gli investigatori avrebbero potuto risolvere il caso relativo al rapimento Moro - i rapitori lasciarono inavvertitamente (!?) un rubinetto aperto nell'appartamento che costituiva il covo della banda – si caratterizza per una struttura classica, giocata soprattutto sui dialoghi. Evidente omaggio finale ai racconti di Edgar Allan Poe (tra l'altro c'è una sepoltura di una persona viva, incubo ricorrente nelle storie di Poe) dove ogni piano dell'assassino viene scardinato da un imprevisto dallo stesso non considerato, così da richiamare alla mente le soluzioni già ammirate ne Il Gatto Nero e ne Il Cuore Rivelatore. Nella fattispecie è il pianto di un bambino a incastrare il killer.

Un cenno finale va fatto al racconto originale, ambientato all'interno del negozio Profondo Rosso del duo Cozzi-Argento, che lega le cinque storie proposte, cinque come le punte di una stella diabolica che vortica nelle mani di un esorcista invertito rispetto alla sua tradizionale funzione e che finisce con l'ipnotizzare il viaggiatore ideale (vuoi proprio ogni singolo lettore) del mondo ideato da Dario Argento. L'autore, peraltro non dichiarato, immagina di dar vita ai cinque racconti/film di Dario Argento come se gli stessi fossero l'incubo vissuto da un cliente che si è avventurato nel museo sotterraneo che si snoda sotto il negozio. Una sorta di lento e graduale rapimento emotivo dettato dalle scenografie, dai costumi e dagli effetti speciali della produzione del maestro del brivido italiano che sfilano durante il cammino nei sotterranei romani. Si scoprirà così che al mondo esistono sette porte per accedere all'inferno e che una di esse, nientemeno che la porta primaria, è celata nelle viscere di Roma, "città santa e maledetta". Indovinate un po' dove si trova questa porta...? Ebbene se Howard Philips Lovecraft diceva di trarre ispirazione per i propri racconti direttamente dai propri sogni/incubi, così da non reputarsi autore delle proprie opere, Dario Argento, a quanto sembra, nella sua veste di osservatore privilegiato di una realtà che è altrove, al di là della piattezza della vita di tutti i giorni, attinge direttamente dall'inferno la linfa delle proprie storie.

A corredo della parte narrativa, a fine lettura, vengono proposte le schede tecniche dei film di Dario e soprattutto una serie di interessanti saggi sulla sua produzione cinematografica. Una ghiottoneria che assume la forma di una ciliegina applicata sul manto di panna disteso sulla torta che completa una cena a base di sugo di pomodoro e frattaglie varie di macelleria scelta e prelibata.

Lettura consigliata ai fan scatenati del regista, con valenza da collezione. Niente di nuovo al fronte, invece, per chi sia a caccia di opere nuove o di diverse interpretazioni originate da una medesima idea o spunto di partenza. I racconti che vi troverete tra le mani sono la perfetta riproposizione in chiave narrativa di quanto già ammirato al cinema o alla televisione.

LUIGI COZZI e DARIO ARGENTO
le due anime del negozio
PROFONDO ROSSO
a Roma.
Sopra Cozzi la diabolica cifra
TRE SEI.

"Scendi il primo dei cinque gradini che prepareranno la tua anima al Grande Segreto! Lasciati andare. Le streghe ti stanno aspettando... La stella rovesciata, osceno simbolo di Satana, si fece enorme e incandescente, nel mio cervello. Una delle cinque gocce scarlatte mandò un bagliore intenso, gonfiandosi, esplodendo, e fu allora che sprofondai in un abisso color sangue."

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