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lunedì 30 aprile 2018

Recensione Narrativa: MOBY DICK di Herman Melville.



Autore: Herman Melville.
Titolo OriginaleThe White Whale.
Anno: 1851.
Genere:  Avventura.
Editore: Dalai Editore.
Pagine: 576.
Prezzo: 9.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Pietra miliare della letteratura statunitense dell'ottocento, addirittura considerato, insieme a La Lettera Scarlatta (1850) di Nathaniel Hawthorne, il romanzo fondante di una nuova letteratura americana, la c.d. american renaissance. Iniziato a scrivere nel 1847, ultimato quattro anni dopo, The White Whale segna l'apice creativo (non quello economico) toccato dalla penna di Herman Melville che lo inizia a scrivere, giovanissimo, all'età di ventinove anni.
The White Whale è frutto delle conoscenze maturate direttamente dall'autore, un appertenente dell'alta borghesia statunitense decaduto a causa del fallimento del padre tanto da doversi imbarcare su mercantili e baleniere per sbarcare il lunario. Uomo dedito all'avventura, il newyorkese Melville alternava la professione di insegnante a quella di marinaio. Il romanzo qui oggetto di esame è l'opera che lo renderà (a sua insaputa, come tutti i grandi artisti) immortale ma che al tempo, pur se apprezzata da alcuni recensori inglesi, ne decretò l'improvvisa bocciatura fino a portarlo, sei anni dopo, a cessare l'attività di narratore. Bollato quale libro "astruso e assurdo" fu infine definito "la creazione di un pazzo". Opinioni non condivise dagli attuali critici, ma che furono confermate dal clamoroso insuccesso popolare. The White Whale finì infatti presto fuori pubblicazione con appena 3.200 copie vendute in quarant'anni (a momenti hanno venduto di più i miei manuali sul cinema western italiano, ndr).
Deluso dal trattamento ricevuto, Melville finì con lo sfiduciarsi, rununciando alla scrittura per vivere alle spalle del suocero, autorevole giudice nel Massachussets. Solo dopo quasi un secolo, nel 1921, il romanzo fu rilanciato grazie a una biografia di Raymond Weaver che lo riportò in auge, facendo di Moby Dick una creatura capace di sconfinare dal romanzo per penetrare nella leggenda, grazie anche al contributo del cinema, con quattro film in trent'anni di cui l'ultimo, del 1956, con Gregory Peck protagonista.
Tradotto per la prima volta in Italia solo nel 1930, per mano di Cesare Pavese, fu pubblicato due anni dopo grazie all'editore Frassinelli diventando presto un classico.

L'opera prende le mosse, oltre dalle esperienze personali di Melville, da due fatti di cronaca che portarono l'autore a concepire il volume. Nel 1820 una baleniera di Nantucket, medesima località da cui partono i protagonisti del romanzo, fu affondata da un capodoglio in Sud America. Da qui viene dunque l'idea dell'affondamento della baleniera sotto i colpi inferti da un cetaceo, mentre l'idea della balena bianca deriva da un articolo scritto nel 1839 su una rivista letteraria statunitense (The Knickerbocker) in cui un esploratore raccontava dell'uccisione, a largo dell'isola di Mocha (Cile), di un capodoglio albino denominato Mocha Dick, che vagava per le acque con più di venti ramponi conficcati sulla schiena (stessa cosa si legge nel romanzo di Melville, cambia solo la location). Evidenti dunque le basi della creazione del romanzo in questione, in un realismo che cozza in modo evidente con l'atmosfera apocalittica e religiosa costruita dall'autore.

Raffigurazione dello scontro finale.
MOBY DICK distrugge
le tre lance mandategli contro da Achab.

Moby Dick è il tributo di Melville alla baleneria, un saggio che usa la struttura del romanzo per celare in sé stesso una vera e propria opera enciclopedica. Considerato nella visione massmediatica un libro per ragazzi (idea folle, ndr), l'opera di Melville è in realtà un complessissimo elaborato che miscela zoologia, antropologia e sociologia alla pura avventura, il tutto sotto il filtro di un elaboratissimo stile che offre citazioni continue in un intreccio dove l'allegoria, la religione e la filosofia vengono ad acquisire carattere preminente. Ecco quindi che il canovaccio della caccia alla balena definita da qualcuno immortale e che, in passato, ha tranciato la gamba al capitano Achab diviene un mero pretesto. Un leit motiv che spinge all'azione Achab, un uomo che ha nella vendetta la sua unica ragione di vita (poco gli importa della moglie e del figlio che ha a casa, così come poco gli importa degli interessi del datore di lavoro che gli ha affidato la nave). Un'ossessione che gli inibisce il sonno, lo rende preda di incubi, fino a trasformarlo in un uomo cieco ed egoistico ("Non mi parlare di blasfemia; colpirei il sole se mi offendesse..."). Achab è pertanto il combustibile che permette alla macchina libro di procedere nel viaggio, ma non è il fine ultimo dell'opera dello scrittore. Melville, come abbiamo accennato, non è interessato alla storia in sé e per sé, ma punta a realizzare un saggio a difesa della baleneria, sottolineandone i pregi (e anche difetti) e l'importanza (viene vista come professione pionieristica rispetto alle esplorazioni di conquista dei nuovi confini territoriali), per poi andare a parlare dell'animo umano e di quanto certi sentimenti, quali il desiderio della vendetta, rendano ciechi gli uomini consumandoli dall'interno fino a condurli a un'inevitabile morte preceduta dal delirio di onnipotenza. Ecco allora che lo scontro tra l'uomo e la natura si carica di significati ben precisi, va oltre alla mera descrizione dei fatti per ascendere allo scontro dell'uomo con i mali del mondo. Moby Dick diviene un simbolo, assurge a emblema del male da esorcizzare e sconfiggere per illudersi di liberarsi dal peccato originale che macchia l'uomo. Dico illudersi perché dalla lettura del romanzo traspare una visione pessimista che non ammette redenzione, quasi come se l'uomo dovesse accontentarsi del proprio stato così da ridurre gli effetti negativi che potrebbero derivargli dal voler condurre una guerra che non può vincere. "La balena bianca gli nuotava davanti agli occhi come l'incarnazione ossessiva di tutte quelle forze del male da cui certi uomini profondi si sentono azzardare nel proprio intimo, finché si riducono a vivere con mezzo cuore e mezzo polmone." Ecco quindi che lo scontro fisico, a cui il romanzo prepara per tutto il suo corso, diviene un qualcosa di indispensabile per poter chiudere il romanzo ma, al tempo stesso, marginale. Non a caso, su oltre 570 pagine di romanzo, i tre giorni che vedono la baleniera Pequod di Achab lottare contro il fantomatico capodoglio bianco (Melville regala un capitolo dove parla del colore bianco in un'esplicita valenza simbolico-metaforica) vengono descritti in sole trentacinque pagine. Vien da se, pertanto, quanto sia residuale ai fini dell'analisi del testo la caccia alla balena bianca. Quest'ultima è il motore che spinge all'azione, ma non è il vero tema del romanzo che, lo ripetiamo ancora, è uno studio dell'animo umano e, prima ancora, della professione di baleniere. "Tutto ciò che volevano era una crociera vantaggiosa, un utile da contarsi in dollari di zecca. Ciò che voleva Achab era una vendetta temeraria, spietata, ultraterrena."

Piero Dorfles ha scritto che "Moby Dick non è un libro solo, ma ne contiene una dozzina. E' una raccolta di note etimologiche sul termine balena, un citazionario sui cetacei, una ricerca antropologica sulla vita dei balenieri, un ampio resoconto sui costumi dei puritani della Nuova Inghilterra, un testo scientifico di zoologia dei cetacei, un manuale di caccia alla balena, una raccolta di informazioni sulle parti commestibili dei capodogli e sul modo di cucinarle, una riflessione sul valore simbolico del leviatano, un'estesa casistica dei racconti avventurosi che si scambiano gli uomini di mare, un'indagine filosofica sul rapporto tra il caso, la necessità e il libero arbitrio, una sacra rappresentazione del modo in cui la natura esprime la collera divina e un testo di psichiatria sulla patologia ossessiva di Achab". Potete dunque capire che tipo di testo possa contenere tutte queste diverse sfaccettature. Un libro voluminoso, pieno zeppo di digressioni, che alterna capitoli di narrato ad altri puramente descrittivi e nozionistici che interrompono di continuo il ritmo. Melville opera questa scelta, e lo dichiara apertamente nel testo, per immergere il lettore nella realtà della baleneria, ma così facendo appesantisce in modo massiccio la lettura. Non c'è da meravigliarsi se in origine il volume fu un flop commerciale. Ci sono delle parti che diventano difficilmente digeribili anche perché viene a mancare la fluidità. Melville è dotato di eccezionale potenza evocativa, riesce a regalare strepitose immagini visionarie eppure, allo stesso tempo, costringe il lettore a sospendere la lettura della narrazione per somministrargli pagine e pagine in cui si parla di come si macellano le balene piuttosto delle varie tipologie di cetacei (dissertazione, peraltro, sul quesito se una balena sia o meno un pesce) o di cosa comporta scegliere il lavoro di baleniere piuttosto che uno terrestre. Ne deriva un romanzo che, pur nella sua lentezza, parte bene, grazie anche a una serie di passaggi e di dialoghi da cui è possibile estrapolare indovinati aforismi ("il peccato che paga può viaggiare liberamente e senza passaporto, mentre la virtù, se povera, viene fermata a ogni frontiera"), per arenarsi nella parte centrale e smuoversi dalle sabbie mobili solo nelle ultime cinquanta pagine. Dopo aver caratterizzato magnificamente i vari protagonisti, eccezionale la descrizione di un Achab "alla testa di una ciurma fatta soprattutto di bastardi rinnegati, di reprobi e di cannibali" tra cui il maori Queequeg (bella la parte in cui Melville supera la religione in favore di un Dio universale e comune tra tutti i credi), il romanzo procede in un estenuante viaggio dal Nord America al Giappone, circumnavigando il Capo di Buona Speranza, tra scambi di informazioni tra imbarcazioni, caccia a balene varie e bufere fino all'attesissimo quanto sbrigativo scontro finale. Achab è una sorta di mosca bianca, insieme ai suoi tre ufficiali, immerso in un microcosmo di reietti guerriglieri (anche se non mancano i vigliacchi di turno) che si sacrificano pur di eseguirne gli ordini alla stregua di spettatori ipnotizzati dal carisma di un mago. "Achab è un fuori classe, Achab è stato all'università oltre che in mezzo ai cannibali, ed è abituato a cose più serie e spettacolose che le ondate, ed ha piantato quella sua lancia furiosa dentro nemici più forti e più straordinarie delle balene." Achab diviene il prototipo di capitano superbo e austero che sarà preso da modello da altri successivi narratori, tra questi non si può non menzionare Peter Benchley che costruirà su di lui, non solo per la medesima morte (diversa nel film di Spielberg), il Quint de Lo Squalo (1974). Basti vedere la parte del romanzo in cui Achab punta un moschetto contro il suo secondo (l'uomo che rappresenta la parte razionale del Pequod e che cerca di farlo ragionare) che vorrebbe convincerlo a tornare indietro e a rinunciare alla caccia (si pensi alla scena con Shaw, omonimo peraltro della moglie di Melville, che spacca la radio di bordo e respinge ogni invito di Roy Scheider relativo alla necessità di una barca più grande). Grandissimi momenti, tenuti in alto dal carisma di questo personaggio ma che hanno delle immediate cadute non appena Melville si interessa di altro. Ecco che il ritmo diviene molto altalenante e non si contano i tempi morti, anche la narrazione cambia in continuazione, da un Io narrante alla terza persona.

Che dire alla fine? Si tratta indubbiamente di un romanzo da leggere, vuoi per cultura personale vuoi per il valore che gli è stato attribuito nell'ambito della grande letteratura. Un testo che, probabilmente, si dovrebbe leggere più di una volta per trovare tutte le sfumature di cui si rende messaggero. Non posso, tuttavia, non sottolineare quanto non si tratti di una lettura agevole, penalizzata dal tentativo di Melville di trasformarla in un qualcosa di sospeso tra il saggio e il romanzo classico. Sconsigliato di certo a chi sia in cerca di letture veloci e a chi sia ai primi approcci con la lettura. Per quest'ultima ragione non lo ritengo affatto un volume per ragazzi, bensì un qualcosa di molto profondo su cui ragionare con svariati passaggi filosofici da applausi, primi tra tutti le riflessioni religiose, tutt'ora moderne, di inizio romanzo. Eccone un esempio:

"Allora cos'è il culto? Fare la volontà di Dio. Questo vuol dire culto. E che cos'è la volontà di Dio? Fare agli altri quello che mi piacerebbe avere fatto dagli altri, questa è la volontà di Dio... Non ho niente da dire contro la religione di nessuno, qualunque sia, fintanto che questa persona non si metta ad ammazzare e insultare nessun altro perché quest'altro individuo non ci crede pure lui. Ma quando la religione di un uomo diviene pazzia autentica, quando si trasforma in vera e propria tortura, allora mi pare proprio il momento di prendere a parte quell'individuo e farsi una piccola discussione... Mi riferivo a quella vecchia Chiesa Cattolica a cui appartiene ogni figlio di donna e ogni anima viva, la grande e sempiterna prima congrega di tutto questo mondo di Dio. A essa apparteniamo tutti, anche se qualcuno di noi coltiva qualche ghiribizzo che però non tocca affatto la fede generale. E in quest'ultima ci diamo tutti la mano." Passaggi questi ultimi che fanno di Moby Dick, come si può facilmente desumere, un'opera con dei picchi di estremo valore letterario e su cui tutti quanti, in quest'epoca di terrorismo parareligioso, dovremmo riflettere.

HERMAN MELVILLE.

"Dichiararono guerra eterna alla più potente massa animata che sia sopravvissuta al diluvio, la più mostruosa, la più simile a una montagna. Quell'Himalaya di un mastodonte d'acqua salata che è dotato di tale incredibile forza incosciente, che persino i suoi momenti di panico vanno temuti più dei suoi assalti più audaci e maliziosi."

4 commenti:

  1. Questo romanzo non sará stilisticamente perfetto, non avrá una struttura equilibrata; sí avrá dei difetti di forma, quello che volete, ma tutto ció assume la stessa rilevanza che ha il "non finito" di Michelangelo. Questo romanzo è talmente brillante che la sua luce abbacinante cancella qualsiasi difetto.

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  2. Grazie per aver partecipato con un commento. Alla prossima recensione.

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  3. Questo libro mi ha affascinato...anzi oserei dire stregato per le sue riflessioni filosofiche, per i riferimenti a Platone e alle edizioni aldine.Mi ha fatto innamorare del mare e della baleneria.

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  4. Indubbiamente, è considerato "La Divina Commedia" della letteratura americana (con le debite proporzioni).

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