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sabato 19 marzo 2016

Recensione Narrativa: IL GIOCATORE di Fedor Dostoevskij





Autore: Fedor Dostoevskij.
Anno: 1866.
Edizione: Oscar Mondadori.
Genere: Drammatico.
Pagine: 180.
Prezzo: 6.00 euro.

Commento di Matteo Mancini.
Romanzo breve firmato da una delle penne più autorevoli della letteratura mondiale ovvero Fedor Dostoevskij, celebre per i voluminosi capolavori quali Delitto e Castigo (1866), I Fratelli Karamazov (1879), L'Idiota (1869), romanzo quest'ultimo avviato a Firenze,  e I Demoni (1871).
Scrittore moscovita nato nel 1821 da una mercante e da un medico militare di origini lituane, bravo a sfruttare conoscenze per diventare ricco e mutare grado sociale. Si forma con studi in ingegneria militare conseguendo il titolo finale, ma riformandosi dopo appena un anno, col grado di sottotenente, per intraprendere la carriera di scrittore. Educato da un padre dispotico, perde in giovane età entrambi i genitori e deve lottare con i denti per tirare a campare. Pubblica il primo volume, Povera Gente, all'età di venticinque anni, ottenendo apprezzamenti. Nel 1849 però la sua vita sembra giunta al capolinea. Viene arrestato in quanto reputato un dissidente con simpatie comuniste nonché aderente a certe società segrete reputate pericolose per la stabilità dello Stato. La condanna è grave e prevede la pena di morte. Nulla sembra poter scongiurare questo triste epilogo, Dostoevskij sta già salendo sul patibolo quando giunge la grazia dello zar. La pena viene convertita ai lavori forzati a tempo indeterminato, ma lo shock è tale da comportare l'insorgere della pazzia per un compagno, il mutamento di colore dei capelli per un altro e l'insorgere di una grave epilessia per Dostoevskij. Deve così passare cinque anni di lavori forzati, beneficiando nel 1854, all'età di 33 anni, della semilibertà per buona condotta. La pena viene così convertita all'obbligo di servizio di leva al confine con la Cina. Ancora cinque anni e sarà definitivamente messo in libertà. Ritorna a San Pietroburgo e riprende le pubblicazioni, tutte opere minori, ma la morte del fratello e lo smodato gusto per il gioco e la roulette lo portano a versare in una profonda crisi economica, amplificata dai contrasti con la prima moglie.  Braccato dai creditori, si trasferisce all'estero per sottrarsi a un nuovo arresto per insolvenza, mentre mobili e proprietà gli vengono pignorati. La condizione di indigenza lo porta a sottoscrivere un non troppo vantaggioso contrato di cessione dei diritti d'autore a un editore di nome Stellovskij. E' proprio in virtù di questo accordo che si pongono le basi per la bizzarra genesi de Il Giocatore. Dostoevskij è infatti impegnato a stendere quello che è il suo primo vero capolavoro ovvero Delitto e Castigo che inizialmente pensa di pubblicare col titolo Gli Ubriachi. L'opera esce a puntate sul Messaggero Russo ed è formata da circa 700 pagine. Tutto sembra procedere liscio se non che Dostoevskij si ricorda di una clausola inserita nel contratto e che prevede l'impegno di consegnare all'editore un romanzo di almeno 192 pagine entro il primo novembre del 1866. Dostoevskij, preso nella stesura di quello che reputa il suo primo grande romanzo, si ricorda di ciò solo a inizio ottobre e si fa prendere dal panico, poiché il mancato rispetto dell'impegno comporterebbe l'acquisizione a titolo gratuito di Stellovskij dei diritti sulle successive opere pubblicate dallo scrittore nei successivi nove anni. Per massimizzare i tempi, lo scrittore russo ingaggia una giovanissima stenografa (che poi diventerà sua moglie) e detterà alla stessa, in fretta e furia, il testo de Il Giocatore. Il romanzo sarà completato in meno di trenta giorni, scritto nelle pause di stesura di Delitto e Castigo con Dostoevskij impegnato di nuovo su quest'ultimo nei tempi morti determinati dalla traduzione in russo della grafia della stenografa. Grazie a tale escamotage il romanzo viene ultimato il 30 ottobre, solo che si innesca un ulteriore problema: Stellovskij non è in Russia per ricevere il volume, si trova all'estero. Per scongiurare liti e cause giudiziarie relative ai tempi di consegna, Dostoevskij si reca a un commissariato di polizia per far accertare il rispetto della scadenza. Nasce così un romanzo dalla genesi più bizzarra nella produzione dello scrittore russo, un romanzo che ha, come vedremo, contenuti autobiografici (contrariamente alla produzione solita dell'autore) e che ruota attorno alla vera passione dello scrittore: il gioco d'azzardo. Un vizio, quest'ultimo, che lo porterà spesso a dilapidare i guadagni, in giro per i casinò d'Europa, subito però rintuzzati da una serie di capolavori avviati da L'Idiota e culminati con I Fratelli Karamazov. Successi questi ultimi tali da garantirgli un'ultima parte di carriera in buone condizioni economiche e da andare a plasmare quella che è una tra le più blasonate bibliografie del mondo. Morirà a sessant'anni per enfisema polmonare scatenato da tubercolosi.

Fedor Dostoevskij

Dunque possiamo definire Il Giocatore un romanzo scritto per ragioni alimentari, e più precisamente per scongiurare grane editoriali. Dostoevskij lo scrive per costrizione, con un'ispirazione en passant e senza tempo per migliorarlo o comunque rivederlo. L'opera nasce, si può dire, da una costola di Delitto e Castigo, come una sorta di lato B di un album tutto orientato sull'altro romanzo e che non punta niente sul secondo prodotto. Eppure, pur non essendo all'altezza del copioso romanzo fiume che si sarebbe dovuto intitolare Gli Ubriachi, si tratta di un romanzo dagli interessanti risvolti e dalla futuribile psicoanalisi del tema del gioco d'azzardo. Possiamo intravedere nel testo tre anime. La prima è quella legata alla febbre o malattia del gioco con il profilo delle varie tipologie di giocatore (è la parte migliore), poi abbiamo un substrato sociologico con l'autore che si sofferma su svariati archetipi di uomini di nazioni diverse (inglese, tedesco, russo, italiano, polacco e francese) infine abbiamo la storia di una famiglia di nobili decaduti che vorrebbero sposare le norme del galateo e invece si rendono protagonisti delle più basse forme di ipocrisia.

Protagonista della storia è Aleksej Ivanovic, un giovane precettore che vive alla corte di un generale carico di debiti, invaghito della figliastra dello stesso, tale Polina, che lo deride di continuo e ne sfrutta la passione amorosa per fare di lui una sorta di giullare ai suoi ordini (mi viene in mente il tema de La Ballata dell'Amore Cieco di De Andrè). La famiglia è altresì composta da due bambini (di cui il protagonista è maestro), una madama francese, tale Blanche, dal passato oscuro tanto da dare l'idea di essere una prostituta d'alto borgo legata ai soldi, oltre che da una serie di personaggi che, a vario titolo, ruotano attorno al gruppo. Tra questi ultimi abbiamo un francese strozzino (di cui è innamorata Polina) che attende la restituizione dei soldi che ha prestato al generale, un nobile inglese, anch'esso innamorato di Polina che incarna tutte le caratteristiche del gentleman e, infine, una vecchia nobile russa, la nonna del generale, di cui tutti attendono il telegramma che ne annunci la morte, così da poterne incamerare l'eredità, e che invece sopraggiunge dalla Russia nella dimora del generale dispensando ordini a destra e a manca, gettando tutti nello sconforto (perché non solo non muore, ma è sana e vegeta). Quest'ultimo ingresso, a circa metà romanzo, funge da elemento di cerniera nell'evoluzione del protagonista. Dostoevskij caratterizza questa anziana, che si sposta su una sorta di sedia a rotelle, in modo grottesco e sopra le righe. "Gli uomini sono tutti galli; si sarebbero battuti. Voi siete tutti babbei, come vedo, non sapete tenere alta la vostra patria!" urla per scuotere l'ambiente moscio con cui si trova a doversi confrontare. Sarà lei a incarnare, per prima, la temerarietà del giocatore, che rischia la rovina per vincere piuttosto che scegliere il confort della tranquillità. E tutto questo non per ricevere somme con cui sistemarsi (sia la vecchia che il protagonista, infatti, avranno questa possibilità, ma persevereranno nel gioco), ma per la scossa emozionale di adrenalina che può offrire solo il pericolo di disfatta che si frappone, quale ideale ostacolo, alla ricompensa per l'ardore dimostrato e premiato dal fato. Una sensaizione assimilabile al crosser che in sella alla sua bestia a due ruote compie un salto tra due crostoni di terra intervallati da un abisso da cui non vi è ritorno. Il raggiungimento dell'altra parte viene così ad assumere l'idea di aver sfidato e battuto la morte. Un modo come un altro per dare benzina al proprio narcisismo o per rafforzare la stima in sé stessi. Un premio però che senza ripetizione resterebbe un mero e lontano ricordo di un'emozione forte che non si potrebbe più vivere e quindi via via sempre più sfumata, quasi neppure più propria. "Io avevo come la febbre ardente, e spinsi tutto questo mucchio di denaro sul rosso e di colpo tornai in me! Mi attraversò il gelo della paura e si tradusse in un tremito delle mani e delle gambe. Sentii con terrore e istantaneamente ebbi coscienza di quel che adesso significava per me perdere! Nella posta era tutta la mia vita!" Ne deriva un'immagine masochistica del giocatore, che gioca perché ama sentire quella sospesione tra disfatta e gloria, una condizione che genera uno sbalzo emozionale regolato dall'aleatorietà e dall'attesa della quiete di una pallina che vortica impazzita in una roulette, piuttosto che di una carta che entra in un mazzo o di un cavallo che corre sull'erba sospinto o frenato dalle migliaia di occhi che ha puntati contro. Un approccio pericoloso, tutt'altro che ludico e tendente più al patologico, che non può che portare alla perdita economica in quanto continuo, ripetuto, e spesso sempre più audace. "Avevo voglia di far stupire gli spettatori, arrischiando pazzamente... m'invase una terribile sete di rischio." Un'analisi, per l'epoca, avanguardistica di Dostoevskij che, memore delle proprie esperienze dirette, anticipa di decenni certi profili stilati da psicologi e studiosi del gioco o, più generalmente, della psiche umana.

Dostoevskij sceglie la Germania come teatro in cui far svolgere i fatti, nell'immaginifica Roulettenburg, un paese conosciuto per due cose: le terme e il casinò, da qui il nome di fantasia che richiama la roulette e che avrebbe dovuto dare il titolo al romanzo (fu Stellovskij a imporre Il Giocatore).
La prima parte del romanzo è funzionale a presentare i vari personaggi. L'autore è attento nel delineare psicologie e attitudini, pur giocando sugli stereotipi riconducibili alle nazioni di provenienza. Abbiamo così i russi che incarnano il modello di persone che dilapidano i patrimoni al gioco (la c.d. sregolatezza russa), quindi l'ipocrita e calcolata cortesia dei francesi, l'idiozia formale dei tedeschi rappresentati come uomini privi di fantasie e assimilabili a formiche operaie ("preferirei fare il nomade tutta la vita sotto una tenda che inchinarmi all'idolo tedesco"), il lato truffaldino e caciarone degli italiani e l'aplomb inglese. Dostoevskij dedica molto del suo testo a questo spaccato sociologico e familiare, tipico della narrativa russa, a mio avviso a tratti noioso e funzionale a dilatare il contenuto del testo. Si parla di amori non corrisposti, ipocrisia legata a falsi sentimenti di affezione che poi contrastano con l'immagine del rispetto delle norme del galateo che il generale in primis vuol rispettare (non a caso si preoccuppa per la banale offesa di un barone, evento considerato di enorme gravità, e poi brama che muoia la nonna per ereditarne i soldi e sposare una prostituta che si spaccia per nobile), quindi la malattia del gioco da interpretare quale fuga da una realtà di cui non si accettano i contorni (si rovinano la nonna, che non accetta il falso amore dimostrategli dai cari, e il protagonista che cerca di ricrearsi una vita dopo aver visto sgretolarsi il sogno di un amore impossibile). Ed è questa seconda parte che costituisce la benzina vitale di questo testo. Notiamo come il protagonista, costretto a giocare su mandato altrui, passi da un atteggiamento ostile di presa di distanza dal gioco d'azzardo ("è sciocco e assurdo aspettarsi qualcosa dal gioco... E' esattamente il caso di chi annega, che si aggrappa alla pagliuzza scambiandola per un ramo d'albero") a uno di completa adesione, un po' a simulare quell'atteggiamento cui vanno incontro i drogati che si credono convinti di poter sospendere l'assunzione delle sostanze a cui si sono abituati e che invece cadono sempre più in una spirale da cui è difficile fare ritorno.Così vediamo Aleksej passare da giocatore su mandato altrui a giocatore in proprio, sempre più coinvolto e sempre più temerario.


Dostoevskij distingue le varie figure di giocatori. "Ci sono due giochi: l'uno da gentleman, l'altro plebeo. Il gentleman punta per puro gioco, per semplice spasso, propriamente per seguire il processo delle vincite o delle perdite senza interessarsi della vincita," il plebeo punta al guadagno. Così per il primo anche una perdita ingente non comporta conseguenza alcuna nell'animo, mentre nel secondo innesca un procedimento votato a un recupero del perduto che rischia di condurre alla rovina irreversibile. Così Dostoevskij mostra anche l'immagine del giocatore professionista e di quello improvvisato, soggetti che scelgono diverse filosofie di gioco. I primi, armati di penna e fogli, segnano i colpi, calcolano probabilità, dispensano pronostici; i secondi invece si affidano al fato, senza badare a nulla, convinti della cecità della Dea Bendata.

Non di secondaria importanza la descrizione di questi ambienti dove le persone costruiscono o, più propriamente, distruggono il proprio patrimonio. Dostoevskij parla di una calca che coinvolge soggetti di diversa estrazione, soprattutto scrittori e nobili, in cui si muovono banditi di diversa natura, pronti a rubare qualche moneta o a fare circonvenzione su partecipanti poco esperti (l'autore vede i polacchi come gli specialisti in questa attività). "Là dentro, fin dalla prima occhiata, tutto mi dispiacque. Io non posso soffrire quel servilismo delle appendici giornalistiche, dove ogni primavera i nostri scrittori di appendici discorrono di due cose: in primo luogo, la magnificenza e il lusso delle sale da gioco nelle città renane della roulette, e, in secondo luogo, i mucchi d'oro che si dice ci siano sui tavoli da gioco. Non li pagano mica per questo. Non c'è alcuna magnificenza in queste miserabili sale, e d'oro sui tavoli non soltanto non ce n'è a mucchi, ma appena appena lo si vede."

Il resto della storia è strumentale, marginale. Vediamo solo cadere in rovina tutti coloro che si sono messi a giocare alla roulette, a causa dell'incapacità di comprendere quando smettere di giocare o a causa del modo in cui giocano e cioè della capacità di accettare l'eventualità della perdita e quindi di dividere i capitali in modo da non cadere in rovina. Qua tutti giocano fino all'ultima moneta in modo da recuperare le somme perdute, poiché compiono ragionamenti su base probabilistica e legati alla legge dei grandi numeri ("se ho perso fino a ora vuoi che continui a perdere?"). Un modo questo che porta alla rovina, bisognerebbe non giocare mai (o con grandissima moderazione) e, se lo si fa, lo si deve fare facendo conto di buttar via il denaro che si investe nell'aleatorietà, ben sapendo quindi di dover far fronte con il restante alle esigenze del comune vivere.

Il romanzo ha ispirato un film del regista ceco Karel Reisz, intitolato 40.000 Dollari per non Morire (1974) con James Caan protagonista, il quale ha preso spunto dall'opera di Dostoevskij per modernizzarla e spostare l'ambientazione negli Stati Uniti. Risulta invece più fedele al testo The Gambler (1997) dell'ungherese Karoly Makk, mentre ne racconta un po' la genesi di realizzazione I Demoni di San Pietroburgo (2007) di Giuliano Montaldo, che parla di Dostoevskij nel periodo di stesura di Delitto e Castigo e de Il Giocatore.


Locandina di un film tratto da
Il Giocatore.

"La gente presuntuosa! Con che orgogliosa sufficienza quei cialtroni sono pronti a pronunciare le loro sentenze! Se sapessero fino a che punto io stesso comprendo tutta la schifezza della mia presente condizione, certamente non si moverebbe loro la lingua per insegnarmi. Ma che cosa, che cosa possono dirmi di nuovo, che io non sappia? Qui il fatto è che, con un solo giro di ruota, tutto cambierebbe e quegli stessi moralisti per primi verrebbero con amichevoli scherzi a congratularsi meco. E non mi volterebbero tutti le spalle, come adesso. Ma di tutti loro m'infischio! Che cosa sono io stesso? Zero."

"Lo Zero è il profitto del banco. Se la pallina cade sullo zero, tutto quel che è stato messo sul tavolo appartiene al banco senza conteggi... Se voi avete puntato sullo zero, vi sborsano trentacinque volte tanto..."





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