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giovedì 14 maggio 2015

Recensioni Narrativa: I RACCONTI DI PIETROBURGO di Nikolaj Gogol.


Autore: Nikolaj Gogol.
Anno: 1835-42.
Genere: Surreale calato nel realismo quotidiano.
Pagine: 232.
Prezzo: 6,90 euro.

Commento di Matteo Mancini.
Quella che andiamo ad analizzare è un'antologia di appena cinque racconti scritti tra il 1835 e il 1842 dallo scrittore di origine ucraina Nikolaj Gogol, intitolata Peterburgskie Povesti. Si tratta della risultanza, postuma, attribuibile all'unione di alcuni racconti inseriti nell'antologia breve Arabeschi (1835) con altri aventi in comune con i primi l'ambientazione nella città russa nata dall'arte dell'architettura italiana: San Pietroburgo. Tale riunione la si deve al concorso di alcuni critici, ma soprattutto all'apporto di successivi colleghi della penna di Sorocincy (Poltava, Ucraina).
Mi piace allora procedere con un'introduzione in salsa gogoliana, lui l'autore considerato da tutti come un surrealista iperbolico e caustico, così folle da trasformare il frutto del suo estro onirico in ciò che è definito "realismo fantastico" poi non tanto lontano dalla realtà qua deformata e piegata al servizio di quei tratti grotteschi, ma al contempo fini e ben calibrati, liberati da un pennello che poco sembra interessarsi alla verosimiglianza e alla realtà, ma che in realtà la mette a nudo come solo un grande maestro può fare. "Che cos'è la vita nostra! Una perenne lotta della fantasia con la realtà! Tutto sulla Prospettiva è inganno, tutto delirio, tutto è altro da ciò che appare" dice Gogol ne La Prospettiva.
FEDORO DOSTOEVSKIJ dopo aver letto l'opera omnia di NIKOLAJ GOGOL disse, rivolgendosi ai suoi colleghi dell'epoca: "Siamo usciti tutti dal cappotto di Gogol", un'affermazione che ha portato qualcuno a esaltare più del dovuto il racconto a cui fa riferimento il celebre autore de L'Idiota e di Delitto e Castigo, non capendo che il riferimento di Dostoevshij è da intendersi in senso più ampio ovvero che tutti gli scrittori successivi, in ambito russo, sono stati influenzati in modo così forte (in particolare Bulgakov) che Il cappotto di Gogol diviene una sorta di ala protettettiva e dunque è da intendersi come "siamo tutti figliocci di Gogol." Del resto, come diceva Jorge Borges un buon scrittore e raro tanto quanto un buon lettore e Dostievski non è certo l'ultimo arrivato. E allora, prima di pensare che chi ha steso questa recensione abbia commesso un errore nello scrivere il cognome dell'autore moscovita, forse si dovrebbe partire dal concetto che lo stesso, in Italia, era chiamato col nome proprio di Teodoro (fino agli anni '40), motivo poco chiaro forse un refuso nella lettura del nome (una F trasformata in T), e che questo vuol dire dono di dio, curiosa contrapposizione per un pilastro monumentale della letteratura russa conosciuto anche per il romanzo Demoni e per un cratere sul pianeta Mercurio a lui dedicato. Ma non procediamo oltre, perché questa è una recensione dedicata all'opera di Gogol e non certo un modo per fare narrativa all'interno di una recensione, che pure non si è mai vista, o quanto meno si vede di rado, ma con gli iperbolici-surrealisti... può succedere di tutto...E allora galoppiamo subito nella vita dell'autore e andiamo a tracciarne un profilo artistico-culturale.

Il Maestro DOSTOEVKSKIJ per anni chiamato, in Italia,
Feodoro quando invece si chiamava Teodoro per via di un refuso
nella lettura del nome, è il primo a dire: SIAMO NATI DAL CAPPOTTO DI GOGOL

Nikolaj Gogol ha i natali il 20 marzo del 1809, ragazzo irrequieto e anche inquieto, dotato di una marcatissima ironia tendente al gusto per il grottesco. Riceve subito un'educazione che lo avvicina alla scrittura, dato che il padre è un commediografo, mentre la madre una piccola proprietaria terriera. Inizia a scrivere all'età di sedici anni, alternandosi inizialmente con l'attività di attore. Tra le opere del periodo si ricorda Qualcosa sul Nezin, ovvero per gli Stupidi la Legge non è Scritta, terminato il periodo di studio si getta nella carriera da burocrate. L'esperienza, evidentemente pessima, lo segnerà al punto tale da ripercuotersi in modo massiccio nei futuri racconti che poi ne decreteranno il valore. La critica, come spesso avviene, lo massacra, anche perché il buon Gogol non disdegna il ricorso alla satira, anzi ne fa un fortissimo uso. La situazione esaspera il giovane scrittore che distrugge le proprie opere e inizia un lungo peregrinaggio in giro per l'Europa, quello che si direbbe in certi ambienti un cross nation, alla ricerca della giusta ispirazione. Gira varie città della Germania, poi si trasferisce a Pietroburgo dove fa la conoscenza dello scrittore byroniano Aleksandr Puskin, celebre per la ghost story La Donna di Picche avente per protagonista un giocatore di carte. Personaggio anche quest'ultimo quanto mai bizzarro e unico, sempre alla ricerca del brivido, al punto da perdere la vita in un duello con un ufficiale francese intrapreso per il mero gusto della sfida. E' quest'ultimo a intuirne per primo il valore, al punto da fargli offrire, in veste di professore, una cattedra in storia all'Università di Pietroburgo. Siamo nel 1834. Gogol però è un soggetto che sembra uscito dai suoi stessi racconti, disordinato, passionale, senza peli sulla lingua e per nulla intimorito delle conseguenze determinate dai suoi scritti, sempre al vetriolo specie con gli apparati burocratici della società russa e con le abitudini sociali dell'epoca. In lui alberga poi una certa componente mistico-esoterica che ne guida la penna. In particolare vi è l'ossessione della presenza del male sulla terra, male da intendersi non tanto sotto il profilo criminologico-sociale, bensì quale frutto dell'interferenza di entità diaboliche. Impressioni queste ultime che sembrano suggerite da alcuni passaggi di diverse delle sue opere come espressioni quali "fatti assurdi accadono in questo mondo, da cui talvolta ogni verosimiglianza è bandita." I limiti caratteriali lo portano così ad abbandonare l'incarico (entra in polemica con gli studenti, a suo avviso irrispettosi nel non prestargli la giusta attenzione), non prima però di aver ultimato Arabeschi (1835) e la commedia Il Revisore. Scrive anche vari racconti horror, quali Vyi e Le Veglie alla Fattoria, spesso pubblicati su giornali locali (Il Contemporaneo)In questi anni porta in scena la commedia L'Ispettore Generale che però fa un fiasco clamoroso, ma così clamoroso che per la rabbia Gogol si fionda in un altro cross nation che lo porta infine in Italia, e per la precisione a Roma, in via Felice.
Negli ultimi anni di vita si concentra su quello che è definito il suo romanzo capolavoro ovvero Le Anime Morte, steso su spunto dell'amico Puskin. E' una genesi tormentata e combattuta, così come lo è il contenuto dell'opera che parla di una sorta di demone che vaga sulla terra per acquistare anime allo scopo di rafforzare il potere demoniaco e l'influenza di questo sulla società. Il testo, un po' faustiano, andrà a influenzare Il Maestro e Margherita di Bulgakov. Gogol stende più versioni, alcune vengono anche pubblicate, poi però brucia le più evolute perché in crisi psichica e psicologica (curioso leggere il suo Il Diario di un Pazzo, lenta discesa nella pazzia del protagonista che tiene un diario).
Sul volume I Maestri della Letteratura Fantastica, edizioni Edipem, si legge: "Gogol si lascerà morire per scongiurare l'aspetto tenebroso della sua opera, cui contava di dare un po' di luce, per bilanciare l'influenza del diavolo sulla terra".

Nikolaj Gogol.

Le cinque storie che formano l'antologia I Racconti di Pietroburgo hanno un comun denominatore molto forte, costituito non solo dal contesto ambientale (avviene tutto nella medesima città), ma soprattutto dalla cura prestata dall'autore nel descrivere società, usi e consuetudini della Pietroburgo dell'epoca, una città divisa tra russi e tedeschi. In tale humus Gogol traccia i profili dei personaggi delle proprie storie e pare interessarsi soprattutto a tre categorie di soggetti: i burocrati, gli artisti e i militari o poliziotti. Una distinzione sociale quasi platonica, con l'artista collocato sul piano più alto, quasi divino.
Tutte e cinque le storie, infatti, coinvolgono queste figure allo scopo di fungere da basi di partenza utili all'autore per mettere alla mercè le problematiche legate al funzionamento degli uffici pubblici (dipendenti tracciati quali individui oziosi, poco inclini a lavoro e annoiati, pur con delle eccezioni che vengono meleggiate dai colleghi), ma anche per delineare i diversi approcci alla vita che caratterizzano ciascuna di queste figure. In quest'ultimo senso sono degni di grande nota Il Ritratto e La Prospettiva che ruotano attorno alla figura dell'artista, e più in particolare del pittore, mettendola al confronto con quelle dei nobili e dei militari. Il punto di forza del testo, poi, è la meticolosa ricostruzione storico e culturale della Pietroburgo della metà dell'ottocento; parti di racconti come La Prospettiva sembrano usciti da un testo di sociologia dell'epoca, per quanto sono dettagliati nel descrivere la vita di città, soluzione questa che rallenta non poco le trame, ma al contempo si rivela assai gustosa per gli studiosi della società russa zarista. Gogol in questo funge da ispiratore di buona parte dei suoi connazionali, maestri del calibro di Dostoievkij, Tolstoj o Bulgakov che ne seguiranno la strada. Quest'ultimo, in particolare, si farà coinvolgere anche per l'innegabile gusto per l'insolito e soprattutto per il grottesco che in Gogol emerge in modo marcato. Nello specifico si afferma l'idea della presenza sulla terra di fantasmi, il più delle volte sembrano anime erranti che vagano per la città in cerca di vendette per ingiustizie subite in vita. Il caso più evidente si ha nel racconto Il Cappotto, su cui avremo modo di soffermarci in seguito, ma anche ne Il Ritratto con un usuraio che esce e rientra nel quadro che lo raffigura incarnando una sorta di figura di un demonio. Curiosa poi l'abitudine di Gogol di utlizzare spesse volte la parola "diavolo", sia come affermazione che come esclamazione, un vezzo forse non troppo casuale.
Che cosa è la vita nostra! Una perenne lotta della fantasia con la realta! così afferma l'autore che, di fatti, in tutti i suoi testi passa di continuo dalla realtà al sogno (emblematici i sogni in salsa scatola cinese che caratterizzano la prima parte de Il Ritratto, con un protagonista che sogna di sognare di svegliarsi da un sogno in cui sognava di svegliarsi).
L'opera si apre con quello che è il racconto più grottesco del lotto, tanto da portare il celebre critico bulgaro Tzvetan Todorov (ne La Letteratura Fantastica, n.d.c.) a classificarlo quale esempio di racconto anti-allegorico, un vero e proprio non-sense, soluzione peraltro suggerita dallo stesso Gogol che a fine racconto scrive: "Quello ch'è invero più strano e più incomprensibile di tutto il resto, è come gli autori possano scegliersi consimili soggetti. Confesso che ciò mi riesce del tutto incomprensibile". Stiamo parlando del famoso Il Naso, soggetto paradossale che vede un funzionario dotato di grandissimo olfatto perdere il proprio naso che si umanizza e se ne va in giro per Pietroburgo in veste di consigliere di stato. Il testo è una vera e propria "follia" letteraria difficile da decriptare, anche perché Gogol inserisce aspetti assurdi come il fatto che il naso venga ritrovato all'interno di un panino appena sfornato dal barbiere del protagonista (celebre per avere le mani sempre puzzolenti di tabacco, anche se l'unico che se ne accorge è proprio il titolare del naso). Altrettanto assurde sono le attività di indagine che il protagonista, tale Kovalov, cerca di mettere in piedi allertando capi della polizia svogliati, medici e giornalisti della testata Ape del Nord. La cosa curiosa è che ciascuno di questi individui prende come verosimile la storia narrata, ma per un motivo o un altro cerca di dissuadere il protagonista dalla ricerca. Sarà un vigile a recuperare il naso e a portarlo a casa di Kovalov, con quest'ultimo ben felice di recuperare la parte di corpo fuggitiva non tanto per poter riavere il suo olfatto, ma perché altrimenti non avrebbe potuto mostrarsi in pubblico in quanto menomato al giudizio altrui. "Senza il naso, un uomo lo sa il diavolo cosa rappresenta: non è né cristiano, né animale, né carne né pesce, è da prendere e buttare dalla finestra". E' forse in quest'ultimo aspetto, a mio avviso, il senso del racconto. Gogol vuole sottolineare come nella società della sua epoca, figurarsi oggi, è molto più importante la forma sulla sostanza, ovvero è più importante avere il naso in quanto componente visibile da tutti, che avere un grande olfatto(da intendersi quale caratteristica capace di fare la differenza e dunque virtù) o la capacità di saperlo usare, in quanto il giudizio su tale aspetto è prerogativa solo di pochissimi e quindi sacrificabile per il giudizio della massa. Sarebbe un po' come dire, come infatti emergerà nel racconto La Prospettiva, è molto più importante essere belli e avvenenti piuttosto che intelligenti e dotati di acume. Badate però, o voi che leggete, questa è solo una mia ricostruzione, peraltro di un racconto che il grande Todorov reputa privo di significati perché a suo avviso è "l'incarnazione pura dell'assurdo, dell'impossibile... quel che Gogol afferma è il non senso" poiché ogni parvenza di allegoria non sarebbe supportata da indicazioni esplicite all'interno del testo (cfr op.cit). Più esoterica e simbolica è invece la ricostruzione operata dall'opera francese I Maestri della Letteratura Fantastica, per la quale il naso sarebbe l'incarnazione del diavolo nella Santa Russia del XIX secolo e dunque Gogol avrebbe utilizzato una chiave di scrittura/lettura ben specifica per sottolineare le stramberie e le capacità di rottura agli schemi precostituiti di cui sarebbero capaci le creature dell'altrove. Ad avviso di chi scrive tale ricostruzione non è supportata dal resto del testo, poiché non spiega l'atteggiamento dei terzi rispetto alla vicenda ovvero i poliziotti, i giornalisti e i medici.

Sulla stessa falsa riga de Il Naso, quanto alla difficoltà di comprenderne il significato, è Il Giornale di un Pazzo, meglio tradotto in altre antologie come Il Diario di un Pazzo. Qua Gogol, non perdendo l'occasione per sparare frecciate di critica alla burocrazia e alla casta degli impiegati pubblici dell'epoca, mette in scena la lenta discesa nella pazzia di un protagonista paranoico e invaghito della figlia del suo superiore. E come fare per meglio rappresentare tale maelstrom mentale? Semplice, fa narrare in prima persona la storia dal protagonista nella forma del diario. Tale scelta permette così all'autore russo di evidenziare la lenta e costante degenerazione di chi tiene il diario, estrinsecata dalla comparsa di date e luoghi impossibili, discorsi sempre più sconnessi e assurdi (a un certo punto il protagonista inizia a sospettare di essere il Re della Spagna) fino a un epilogo dove viene suggerito il ricovero in manicomio, ovviamente dal filtro percettivo distorto del protagonista. Ne deriva un testo poi non così tanto piacevole da leggere, privo di una vera e propria trama, ma condito da un'ironia e un sarcasmo di fondo assai acuto come dimostra il seguente passaggio in cui Gogol lancia i suoi strali al cianuro: "Ancora non ho sentito dire in vita mia che un cane possa scrivere... ma i cani sono gente accorta, essi conoscono tutte le relazioni politiche".


Molto più interessanti e anche più lineari sono i restanti tre racconti. Il Cappotto è l'elaborato che abbiamo citato a inizio articolo in riferimento alla massima di Dostevkskij. E' la classica storia della narrativa russa tutta incentranta sul lavoro dell'impiego pubblico, con un protagonista assimilabile al Fantozzi di Paolo Villaggio, eccetto per le gaffe comiche e demenziali. Akakij Akakievic, questo il nome del protagonista (come nella tradizione russa una sorta di omen nomen, Dostoevskij farà altrettando con soggetti chiamati Dementev e cose del genere), è un impiegato pubblico modello, l'unico nel suo ufficio, che vive solo per lavorare. "A stento si sarebbe trovato un altro uomo che vivesse tanto nel proprio lavoro. Dire che prestava servizio con zelo sarebbe poco; no, egli prestava servizio con amore."  Preso in giro da quasi tutti, Akakievic se ne va a spasso sempre col solito cappotto logoro, finché un giorno un sarto non gliene confeziona uno nuovo di zecca. Per comprarlo, il dipendente pubblico deve fare grossi sacrifici, ma alla fine si aggiudica il capo. Invitato a una festa per festeggiare l'acquisto, Akakievic viene aggredito da alcuni manigoldi che gli rubano il cappotto prendendolo a cazzotti. Il furto è così grave per il povero uomo che lo porta alla malattia, determinata anche dall'atteggiamento vago della polizia, oltre che di un c.d. personaggio considerevole, suo superiore, che invece di aiutarlo lo tratta a pesci in faccia, figurativamente parlando e dimostrando tutta l'arroganza di certe posizioni di alto lignaggio: "Ignorereste voi l'ordine gerarchico? Dove credete di essere? Ignorereste voi a tal punto gli usi in questo genere di affari? Voi avreste dovuto prima presentare la vostra richiesta in cancelleria; essa sarebbe quindi passata al capufficio, da lui al capodivisione, quindi al suo segretari, il quale me l'avrebbe presentata... Che, che che? Dove prendete un simil ardimento? Dove avete colto simili idee? Che specie di spirito di insubordinazione s'è diffuso oggidì fra i giovani verso i loro capi e superiori! Sapete voi a chi state tenendo un simile linguaggio? Capite davanti a chi vi trovate? Capite questo? Lo capite? Vi chiedo!" Eloquente l'atteggiamento di Gogol verso il potere costituito con la figura di questo "personaggio considerevole" che ben rappresenta, seppur estremizzato, la visione dell'autore ucraino relativa alle più alte cariche della russia zarista. E' qui che il racconto, fin lì piuttosto lento nello sviluppo, si trasforma e passa dal realismo al fantastico puro, perché Akakievic muore di crepacuore per ritornare in forma ectoplasmatica con un solo scopo: togliere i cappotti a tutti coloro che passeggiano sulla Prospettiva Nevskij, così come era stato fatto a lui, finché non sarà sua vittima proprio quel personaggio considerevole di cui non viene fatto il nome. Bello l'epilogo dove, oltre al fantasma di Akakievic, al cospetto di un vigile appaie un altro fantasma in cerca di vendetta, a dimostrazione che i fatti che avvengono sulla Prospettiva vanno oltre al sensibile, toccano infatti l'extrasensibile: "Io sempre mi avvolgo più stretto nel mantello (ecco il riferimento operato da Dostoevskij), quando ci passo, e sto attento a non guardare gli oggetti circostanti. Tutto qui è inganno, tutto delirio, tutto è altro da ciò che appare."

Veniamo allora al testo in cui Gogol dedica interesse specifico a questa strada principale di Pietroburgo, ovvero La Prospettiva. Nella prima parte del racconto la penna ucraina si dilunga nella descrizione della fauna umana che è solita popolare il viale, facendo distinzione tra una fascia oraria e l'altra. Lo spunto è necessario per portare il lettore al cospetto di due personaggi che stanno passeggiando sulla Prospettiva Nevskij, allo scopo di mostrare il loro diverso approccio verso l'amore per una donna. Da una parte abbiamo un militare casanova, dall'altro un artista (pittore). Entrambi notano una donzella, una ciascuno, e decidono, dopo essersi salutati, di seguirle. Mentre il primo è un guascone e sfacciato, il secondo è un timido e pudico di buone maniere eppure isolato da tutti a differenza del primo che è influente. A questo punto il racconto si divide in due parti: una è la storia che riguarda il pittore, l'altra il militare. Comune alle due sarà l'epilogo, ma mentre l'artista è un puro di cuore che ricerca, anche piuttosto ingenuamente, l'essenza dell'amore da tradursi in una complicità che travalica la fisica, il militare invece è a caccia di soddisfazioni materiali. I rifiuti, anche se il termine non è corretto (paradossalmente il rifiuto lo subisce il guascone, mentre il timido andrebbe in buca se solo al suo posto ci fosse il militare), pertanto avranno effetti ben diversi. Il pittore infatti viene accolto dalla donzella, che in realtà è una prostituta (anche se Gogol lo suggerisce soltanto), ma non ne accetta la sua vera natura e cerca di redimerla non riuscendoci, tanto da rinchiudersi in un mondo di fantasia che lo porterà alla morte di crepacuore (soluzione evidentemente cara a Gogol, che poi farà una fine simile a quella dei suoi personaggi prediletti). Il militare viene invece respinto dalla sua scelta, una tedesca sposata, ma ha così tanti soldi da amicarsi il marito (un sarto) fino a tentare il colpaccio e baciare la sposa. Gli andrà male, perché scoperto subirà una dura punizione dal clan tedesco che tuttavia non ne minerà lo spirito, poiché, come si suol dire, persa un'occasione ce ne sono altrettante da cogliere. Bello, nel testo, la visione di Gogol sulla bellezza femminile, così scrive: "La stupidità costituisce in una bella moglie un particolare incanto. Ho conosciuto molti mariti che vanno pazzi per la stupidità delle proprie mogli, e vi scorgono i segni dell'innocenza infantile. La bellezza fa autentici miracoli. Ogni difetto morale di una bella donna, lungi dal generare repulsione, diventa invece al massimo grado attraente; il vizio stesso spira leggiadria; ma scompaia la bellezza, e una donna dovrà essere venti volte più intelligente di un uomo per attirarsi, non dico amore, ma almeno stima".

La PROSPETTIVA NEVSKIJ fine '800.

Chiudo la recensione con quello che è, a mio avviso, il capolavoro del volume: Il Ritratto. Si tratta di un testo base per tutta una serie di racconti incentrati sul tema del quadro e del soggetto che, racchiuso al suo interno, torna a vivere e a interagire con l'esterno. Peraltro ricorda un mio racconto horror che presentai, nel 2010 circa, a una serata di letture al cinema Lumiere di Pisa, senza che venisse letto (lo inserii poi nella mia antologia Sulle Rive del Crepuscolo, quasi tutta costituita da opere secondarie della mia piccola produzione creativa), ma soprattutto ha dei passaggi che ricordano Il Modello Pickman di H.P. Lovecraft o Il Rondache di Leonardo di Manly Wellman. Gogol qua traccia un elaborato, diviso anch'esso in due parti, che è uno spettacolo da leggere, sia per il contenuto intrinseco sia per la storia in sé e per sé. Un pittore di talento, ma sconosciuto, acquista un quadro (è il ritratto di un usuraio dagli occhi diabolici usato come modello del diavolo) sommerso da una caterva di opere e ne rimane così impressionato da vivere un sogno (incubo) in cui sogna di sognare di svegliarsi da un sogno in cui sognava di sognare. Da qui ha inizio la storia che lo porta ad arricchirsi d'improvviso, poiché all'interno della cornice del quadro trova innavvertitamente (viene rotta da un commissario dalle "manone") un piccolo tesoretto. Con i soldi, il giovane artista riesce a comprare una recensione scritta da un giornalista profumatamente retribuito che ne incensa il valore e le qualità, paragonandolo a Van Dyck e Tiziano. Grazie alla pubblicità, già all'epoca (sic!), da perfetto sconosciuto (o meglio conosciuto solo nell'underground artistico), il pittore diviene famoso e tutte le personalità vogliano farsi immortalare da lui a prescindere poi della qualità dell'opera ("Ma che opera! Questo è un vero Correggio! Confesso che avevo sentito parlare di voi ma non immaginavo un simile talento!"), poiché ciò che conta è la pubblicità. Ancora una volta emerge il rapporto tra forma e sostanza. Gogol lo evidenzia con passaggi da grande maestro, distinguendo, già allora, tra opere commerciali e opere autoriali. "Sta attento a non diventare un pittore alla moda: già adesso il tuo colore comincia a essere troppo vistoso; il disegno non è sicuro, la linea è confusa; tu ricerchi gli effetti di luce alla moda, ciò che colpisce l'occhio di primo acchito... stà attento che non ti capiti di fare alla maniera inglese. Bada a te: il mondo già comincia ad attirarti... e ci si può buttare a fare quadri alla moda per denaro; ma in questo modo il talento muore, non si sviluppa. Pazienta; matura ogni tua opera; lascia perdere l'eleganza, i quattrini li raccolgono gli altri, così ciò che è davvero tuo non ti abbandonerà". Chiaramente il protagonista si farà prendere dalla bella vita, dai soldi, dalla notorietà, ma a che prezzo...? La perdita del talento e da questa alla gelosia e all'odio verso coloro (specie se i più giovani visti dai colleghi più anziani come degli irrispettosi) che quel talento ce l'hanno davvero, al punto da cercare di criticarli, di danneggiarli e di esprimere commenti che lui stesso sa di non pensare (viene infatti invitato in veste di giurato e di critico), fino a distruggere le opere altrui che comprende essere superiori alle proprie. Nella seconda parte del testo, Gogol racconterà la storia del quadro iniziale da cui tutto ha avuto inizio, ma si tratta più di un'invenzione narrativa strumentale per parlare di quanto sopra accennato. A proposito, l'epilogo all'asta col quadro che svanisce nel nulla sembra uscito dalla penna di Arthur Conan Doyle. Curioso poi che nel mio racconto a sparire era il soggetto immortalato nel quadro, mentre in Gogol a sparire è l'oggetto mentre davanti a esso c'è un misterioso soggetto (definito solo come "artista") che si presenta come il figlio dell'autore del quadro, almeno così dice per giustificare di volerlo distruggere, ma poi alla fine tutti resteranno a bocca aperta....

"E appariva chiaro anche ai non iniziati l'incommensurabile abisso che separa una creazione da una volgare copia della natura... Quella composizione pareva frattanto librarsi sempre più in alto: sempre più splendente e portentosa, si staccava da tutto per divenire l'immagine di un'idea volata giù dal cielo sul pittore... Immobile, con la bocca aperta, stava Cartkov davanti al quadro..."

Non mancano ancora una volta le frecciate di Gogol alla sua società, sempre orientate a porre l'artista sul piano più alto della società un po' come Platone metteva i filosofi, al punto da dar vita pure lui a una sorta di embrionale filosofia politica tesa a condannare la democrazia a favore della monarchia:  "Di mecenati non se ne trovano più e il nostro XIX secolo è ormai dominato dalla squallida fisionomia del banchiere che si gode i suoi milioni soltanto sotto l'aspetto di cifre allineate... Sotto i regimi monarchici non si soffocano gli alti e nobili moti dell'animo, né si disprezzano e perseguitano le creazioni dello spirito, della poesia e delle arti; solo i monarchi le incoraggiarono; che gli Shakespeare, i Molière, fiorirono sotto il generoso usbergo, laddove Dante non poté trovare angolo di terra che lo reggesse nella sua patria repubblicana; che i veri geni sorgono nelle epoche di splendore e di potenza dei sovrani e degli imperi, e non nelle epoche di disordinati movimenti politici e di agitazione repubblicana, le quali finora non hanno dato al mondo un solo poeta... I dotti, i poeti e tutti coloro che praticano le arti, sono le perle e i brillanti della corona imperiale: di essi s'adorna e maggior lustro ne trae l'epoca di un grande sovrano." Gogol prosegue con l'analisi della figura di quello che secondo lui dovrebbe essere il vero artista (uno che non persegue il successo né cavalca le mode del momento, ma colui che ricerca in tutto l'alto segreto della creazione) e impreziosisce così quello che può, a ragione, definirsi un vero capolavoro. Vale da solo la lettura dell'intera antologia.

GOGOL il grande.

"Mi pare che condividere i propri pensieri, i propri sentimenti e le proprie impressioni con un altro essere sia una delle più grandi consolazioni al mondo" (N. Gogol - Il Giornale di un Pazzo).

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