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sabato 30 maggio 2015

Recensione Narrativa: VIAGGIO AL CENTRO DELLA TERRA (Jules Verne).



Autore: Jules Verne.
Anno: 1864.
Editore: Newton.
Pagine: 220
Prezzo: 7 euro.

Commento di Matteo Mancini.
Seconda opera in assoluto di un autore che avrebbe fatto scuola, gettando le basi della nascente narrativa di fantascienza e riscuotendo fin da subito un successo commerciale talmente alto da permettergli di vivere nel lusso grazie ai successi delle sue opere. Stiamo parlando di sua maestà Jules Verne, agiato borghese nato a Nantes che sfugge da una carriera da avvocato per interessarsi inizialmente, grazie all'amicizia con Dumas padre, alla sua prima passione: il teatro. Inizia a scrivere relativamente tardi, a ventiquattro anni dando alle stampe il racconto Un Viaggio in Pallone nel 1852. Nella prima parte della carriera alterna la sua passione con il lavoro in borsa, andando a interpretare il ruolo di agente di cambio. E' l'avventura che lo interessa (sia sulla carta che nella vita di tutti i giorni), ma un'avventura orientata alla scienza, con una bravura talmente elevata da anticipare alcune scoperte che il mondo scientifico andrà a conquistare ispirandosi, di fatto, ai suoi romanzi. Verne è un esploratore sia nella fantasia, sia nella vita di tutti i giorni. Ama viaggiare e soprattutto ama esplorare ambienti esotici. Pubblica il primo romanzo nel 1862, Cinque Settimane in Pallone, sottoscrivendo un contratto alquanto bizzarro: si lega per venti anni con un editore parigino. E' successo immediato, saranno oltre ottanta le opere nate dalla penna di questo prolifico scrittore, deceduto quasi alla soglia dei cento anno. Alcuni titoli, che chi legge questa recensione sicuramente conoscerà, sono 20.000 Leghe Sotto il Mare (1869), Il Giro del Mondo in 80 Giorni (1873), L'Isola Misteriosa (1875), Michele Strogoff (1876) e Il Raggio Verde (1882). Pubblicato in Francia e all'estero quando è ancora in vita, riesce persino, indirettamente, a far nascere un movimento di studiosi della sua opera che si dichiarano convinti che nell'opera del maestro si racchiudino messaggi criptati e passaggi che, nella forma dell'avventura meravigliosa esaltata da attente ricostruzioni geografiche, nascondino misteri celati agli occhi del mondo. Una sua frase tipica sarà profetica per quanto poi si verificò dopo le sue opere (si pensi all'invenzione del sommergibile, anticipato da Verne con il famoso Nautilus): tutto ciò che un uomo è in grado di immaginare, altri uomini saranno capaci di realizzare.



JULES VERNE


Il romanzo che qui ci apprestiamo ad analizzare, Voyage au Centre de la Terre, è il secondo pubblicato da Verne. Uscito nel 1864 riscuote subito un grande successo in termini di vendite sebbene l'asso transalpino riesca a fare molto meglio in seguito. L'opera è molto importante soprattutto per avere il merito di aver avviato un vero e proprio sottofilone, quello dei Mondi Perduti e più in particolare dei sotterannei segreti. Usciranno di lì a poco, su questa falsa riga, La Razza Ventura (1871) di Bulwer-Lytton, L'Altra Parte (1909) di Kubin, Il Mondo Perduto (1912) di Doyle, nonche svariate opere del nostro Emilio Salgari, tra le quali 2.000 Leghe Sotto l'America (1888), peraltro alimentate dalla successiva produzione verniana. Al di là di questo aspetto, non di secondaria importanza per la genesi della narrativa fantastica di fine ottocento / primi novecento, Viaggio al Centro della Terra non è un romanzo capolavoro. Andiamo però a evidenziare i meriti. In primo luogo Verne traccia la tipica figura dello scienziato di mezza età, integerrimo, scontroso, coraggioso e duro nei modi, ma dal cuore d'oro (come dimostrano le preoccupazioni per il nipote che si porta a seguito). Si tratta del tedesco Otto Lidenbrock, geologo e mineralogista che svolge il ruolo di Professore all'università, ma che va sempre alla caccia della scoperta che possa donargli gloria nei circoli accademici. Si tratta di un profilo che Conan Doyle andrà a ricalcare per il suo Challenger, protagonista di storie dal forte gusto verniano. Lidenbrock si porta al seguito il nipote, il giovane Axel, anche lui scienziato, ma molto più ragionevole e pragmatico, ma soprattutto innamorato perso per una giovane ragazza a cui pensa sempre. I due vivono ad Amburgo in Konigstrasse, è qui che ha inizio la storia, nello studio del Professor Otto, al cospetto di un raro volume scritto in runico appena acquistato da una biblioteca di un ebreo. I due trovano, celata tra le pagine, una pergamena con un messaggio scritto in runico che ha tutta l'aria di essere un crittogramma. Lidenbrock riesce presto a capire che la scritta porta la firma di Arne Saknussemm, noto alchimista islandese del XVI; tanto basta per mettere in moto la sete di avventura del professore. "Saknussemm potrebbe aver nascosto sotto il crittogramma qualche meravigliosa invenzione... Forse Galileo non ha fatto altrettanto con Saturno?"
Ha così inizio una vera e propria battaglia alla ricerca della chiave per sciogliere l'enigma criptato, peraltro reso compilicato dall'impiego di quattro distinte lingue. Ci riuscirà il nipote, scoprendo le istruzioni iniziali per giungere al centro della terra. Da qui ha inizio il viaggio dei due verso il luogo indicato dall'alchimista: il vulcano Sneffels, in Islanda, con una precisione particolare da accertare nel giorno del Solstizio d'Estate.

Lo scontro tra titani che vedrà i "nostri" protagonisti,
di lato sulla destra, a svariati chilometri sotto terra.

Questo l'inizio del romanzo che poi si snoda con le descrizioni di Copenaghen e da qui dell'Islanda, con Verne che dimostra una grande attenzione e un innegabile gusto nel descrivere città e soprattutto le panoramiche ambientali (grande fascino le visioni dei mari del nord alla caccia delle coste della Groenlandia). La storia scorre piuttosto lentamente, ma con stile brioso e aperto a tutti, specie gli adolescenti. Certo, gli appassionati di geologia e di biologia potranno divertirsi in modo maggiore, perché a Verne piace impreziosire il narrato con descrizioni tecniche e spiegazioni che vorrebbero dare verosimiglianza a quanto proposto al lettore. Quest'ultimo aspetto, in verità, andrà a perdersi nel corso d'opera, poiché Viaggio al Centro della Terra chiede molto al lettore in termini di sospensione dalla realtà, andando a cozzare anche con le scoperte e le giuste convinzioni scientifiche dell'epoca.
Aiutati da un glaciale islandese, un vero e proprio automa che risponde ai comandi del professore (sembra un terminator che non si scompone mai), i tre scenderanno nelle viscere della terra penetrando dal cratere di un vulcano spento e si abbandoneranno ai tortuosi budelli sotterranei. A guidarli saranno le scritte sui muri lasciate in runico da Saknussemm e poi un ruscello fatto fuoriuscire da un letto ostruito tra le mura dei sotterranei. Di Saknussem Lidenbrock dirà: "Genio meraviglioso! Tu non hai dimenticato nulla di ciò che doveva aprire ad altri mortali le vie della crosta terrestre, e i tuoi simili possono trovare le tracce che i tuoi piedi hanno lasciato tre secoli fa in fondo a questi oscuri sotterranei. Tu hai permesso che altri occhi contemplassero queste meraviglie. Il tuo nome, inciso di tappa in tappa, conduce diritto al suo scopo il viaggiatore così ardito da seguirti!"

La foreste di Prataioli.

Un po' come farà William Hope Hodgson ne La Terra dell'Eterna Notte (1912), Verne descrive i momenti in cui i tre si fermano a mangiare (pagine e pagine sulla crisi di sete e sulle difficoltà di rifornirsi di acqua potabile) o dissertano sulle possibili ragioni legate al fatto che la temperatura non aumenti piuttosto che sulle indicazioni sballate della bussola o sulla natura delle pietre o di quanto vadano a incontrare nel loro viaggio (in questo senso sono un po' stucchevoli le conclusioni a cui il Professore, di solito, giunge nel giro di un battito di ciglia, riconoscendo scheletri e piante antiche come se stesse facendo somme di numeri in doppia cifra). Alla fine il romanzo promette molto, specie quando i tre si imbattono in un oceano sotterraneo dove nel cielo si irradia una luce poco comprensibile che facilita la nascita di foreste di funghi giganti nonché la presenza di pesci eredi delle creature preistoriche (scontro tra un Ittiosauro e un Plesiosauro, roba da far felice Harryhausen ma non da stoppare i nostri che passano tra i due litiganti), ma mantiene poco. Proprio quando sembra che si entri nel vivo, il tutto prende la piega inverosimile con un Verne che non affonda dove forse avrebbe dovuto (evidentemente poco convinto anche lui). Si fa un accenno a creature umane gigantesche, se ne mostra addirittura una all'opera, pur se parzialmente celata dalla vegetazione, così come si fa cenno ai Mammuth, in una bella descrizione di uno sterminato cimitero di ossa su cui i tre si trovano a dover passeggiare, poi a poco a poco si scivola in un brutto finale. Davvero pessima la soluzione scelta da Verne perr riportare i tre in superficie, penalizza non poco il romanzo. Sull'epilogo è simpatica la scelta di far uscire i tre dal cratere dello Stromboli, così come l'omaggio alla becera superstizione degli italiani: "Non ci parve prudente raccontare come eravamo arrivati nell'isola; la tipica superstizione degli italiani li avrebbe indotti a ravvisare in noi qualche demone vomitato dall'inferno."
Il Volturno sarà il mezzo, uno dei postali delle Messaggerie Imperiali di Francia, che riporterà i tre verso la gloria, dopo aver resistito a mostri millenari, sete, fame, tenebre e per ore persino a un geyser di lava che li ha spinti per chilometri e chilometri verso il cielo italiano, nella terra in cui il dio Eolo teneva incatenati venti e tempeste (!?).

Questa la storia che Verne cerca di presentare alla stregua di un resoconto orchestrato dal filtro dei pensieri del giovane nipote di Lidenbrock, che scrive: "Ed ecco arrivata la fine d'un racconto a cui non vorranno prestar fede nemmeno le persone più abituate a non meravigliarsi si niente. Ma io sono corazzato in anticipo contro l'umana incredulità." Eppure è lo stesso Axel a non credere ai suoi occhi quando ha visto il gigante... "No! E' impossibile! I nostri sensi furono ingannati, i nostri occhi non possono aver visto tutto ciò che credono di aver visto!" E' in questo spunto finale che risiede l'interesse intrinseco nell'opera, cioè nella difficoltà dell'uomo di superare le consuetudini, schiavo di un assuefazione alle regole non scritte del comun vivere, al punto da non credere allo straordinario, al c.d. sense of wonder, neppure quando questo si paventa sotto gli occhi dei diretti interessati. Una situazione da dormienti o, ancor meglio, da anestetizzati alla mediocrità del comun vivere. Su questa chiave di lettura se ne innesta una seconda, più tecnica ma legata al medesimo ragionamento, ovvero la rigidità della scienza che tende a dare per verità assolute ricostruzioni talmente perfezionabili da essere stravolte dai fatti... Non  a caso Lidenbrock si troverà a dover combattere con colleghi che cercheranno di sconfessare fatti che, nella storia, sono stati provati, semplicemente perché contrastanti con scuole di pensiero troppo forti per esser cancellate con un semplice colpo di spugna. "Ogni teoria è incessantemente distrutta da una teoria più recente". Una situazione di arroganza tipica dell'uomo medio, che non ammette di esser superato, che non ammette di non poter comprendere, un po' come Axel che cerca di convincersi che non possono esistere quegli uomini giganti che lui stesso ha visto e che potrebbero scacciarlo con l'indice un po' come lui potrebbe fare con una pedina del subbuteo. Questo è Viaggio al Centro della Terra, un romanzo perfetto per i giovani lettori, forse un po' meno per gli adulti, trasposto svariate volte sul grande schermo ma con nessuna pellicola capace di superare il lavoro di Henry Levin del 1959. Lettura piacevole, ma nulla più.


«Discendi nel cratere dello Jokull di Sneffels che l'ombra dello Scartaris viene a lambire prima delle calende di luglio, viaggiatore ardito, e perverrai al centro della Terra. E questo ho fatto io, Arne Saknussemm.»

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