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martedì 24 febbraio 2015

Recensioni Narrativa: L'ISOLA DEL TESORO di Robert Louis Stevenson




Autore: Robert Louis Stevenson.
Anno: 1883.
Genere: Avventura.
Pagine: 190.

Commento di Matteo Mancini.
Classico assoluto della narrativa inglese catalogata "per ragazzi" che porta la firma dell'erede artistico di Walter Scott ovvero lo scozzese Robert Louis Stevenson.
Autore classe 1850, Stevenson è un maestro del genere avventuroso e di quello fantastico, oggi ricordato soprattutto per alcune opere che, nell'immaginario collettivo, hanno dato vita a dei veri e propri archetipi, uno su tutti, sulla scia di quanto scritto da Mary Shelley, è la figura del mad doctor che compie esperimenti scientifici da cui si innescano conseguenze mostruose.
Scrittore appassionato di viaggi e con un'infanzia agiata poi evoluta in una vita dissoluta. Stevenson, come molti suoi colleghi, ha un'educazione bigotta e calvinista, cresce sui libri, anche perché ha una salute cagionevole (problema che si porterà dietro per tutta la vita), è seguito in tutto. Il padre è un ingegnere specializzato nella costruzione di fari, professione che porta lo stesso Robert a intraprendere il corso universitario di ingegneria. Il giovane però ha altro per la testa, vaga sempre con un libro in tasca e un taccuino su cui appuntare la proprie impressioni. Cambia corso, si iscrive a giurisprudenza e completa gli studi, sebbene neppure la professione legale lo convinca fino in fondo. Comincia a frequentare ambienti anticonformisti, adotta atteggiamenti da bohemien e si accompagna a personaggi ambigui che non trovano il consenso della famiglia. Minaccia di sposare dapprima una prostituta, da cui è attratto per i racconti folkloristici che la stessa gli svela, poi incontra la prima delle due Fanny della sua vita, una donna molto più anziana di lui che lo affascina per le indubbie capacità intellettive. Infine, dopo essersi trasferito in Francia, si fidanza con una donna americana, anch'essa di nome Fanny, sposata e con un figlio a carico. Per il perbenismo del padre è troppo e la conseguenza è quanto mai ovvia: Robert deve fare a meno dei contributi familiari ed è costretto a una vita ai limiti della questua. Ciò non frena il desiderio di avventura del giovane che si specializza in viaggi in canoa e si sposta di continuo di nazione in nazione. Nel 1879 emigra, in condizioni da viaggiatore clandestino, negli Stati Uniti dove sposa la fidanzata non appena questa riesce a ottenere il divorzio. Si riappacifica anche con la famiglia, colpita dalla sua determinazione e dal suo spirito intraprendente. E' questo il momento più florido della sua carriera. A trentatré anni scrive quello che è il suo primo capolavoro: Treausure Island, L'Isola del Tesoro, che realizza per divertire il figlioccio, senza alcuna pretesa ulteriore.
A causa dell'aggravarsi dello stato di salute, è affetto dalle conseguenze della tubercolosi, si sposta di continuo tra Stati Uniti, Francia e Inghilterra. Stende, a stretto giro di posta, quelli che saranno ricordati quali i suoi migliori lavori: il cult, a metà strada tra horror e sci-fi, Lo Strano Caso del Dr. Jekyll & Mr. Hide (1886), il romanzo storico La Freccia Nera (1888) e il drammatico Il Signore di Ballantrae (1889). Nel 1889, per potersi curare al meglio, si trasferisce definitivamente nelle Isole Samoa, ad Apia, dove intraprende subito una lotta politica in favore degli indigeni contro lo sfruttamento dei colonialisti. Viene chiamato da tutti con il nomignolo di Tusitala ("colui che racconta le storie") e si fa ben volere dai locali al punto che, una volta deceduto per un improvviso ictus nel dicembre nel 1890 (a soli quaranta anni), viene condotto a spalla dai samoani fino alla vetta del monte più alto dell'isola dove viene sepolto in segno di riconoscenza.
Autore quindi ribelle, votato all'avventura, soprattutto alla navigazione, tanto da riportare le proprie esperienze in cronache di viaggi e romanzi semi-autobiografici. Sintetizzò bene queste sue passioni una lettera che spedì a un amico in cui scrisse: "La storia della mia vita è, per me, più bella di qualsiasi poema."

ROBERT LOUIS STEVENSON.

Treasure Island da noi pubblicato col titolo L'Isola del Tesoro è un romanzo reputato un classico della narrativa per ragazzi, uno di quei testi che un po' tutti hanno letto e che ha avuto oltre cinquanta trasposizioni cinematografiche e televisive, la prima nel 1920. Uscito a episodi sulla rivista inglese Young Folks a cavallo tra il 1881 e il 1882 col titolo Sea Cook ("Il Cuoco di Mare"), fu pubblicato in volume nel 1883 venendo presto tradotto in più lingue e ottenendo l'approvazione del primo ministro inglese e dello scrittore Henry James.
La trama la conoscono tutti. Tutto verte su una mappa di un tesoro di 700.000 sterline sepolto su un isola caraibica da un vecchio pirata deceduto. Protagonista assoluto è Jim Hawkins, un giovane adolescente che si trasforma in uomo proprio nel corso di questa vicenda, tanto da poter definire i fatti che si troverà ad affrontare come una serie di esami iniziatici alla futura vita da adulto. Si parla, a ragione, proprio per questo di Romanzo di Formazione. E' proprio Hawkins a scovare, a inizo romanzo, la mappa strappandola dalle tasche di un rozzo pirata (Billy Bones) morto nella locanda (Ammiraglio Benbow) che gestisce insieme alla madre. Ed è sempre lui, indirettamente, a far organizzare la spedizione che da Bristol partirà alla ricerca della ricchezza perduta.
Stevenson traccia su questa base iniziale uno sviluppo che diverrà un classico di centinaia di soggetti, penso soprattutto al cinema western all'italiana. Viene cioè strutturata una storia dove gli accordi presi da tutti i soggetti coinvolti, circa una ventina di marinai, vengono stravolti per la sete del denaro. Il tesoro (di cui solo alcuni conoscono le coordinate) diviene trappola di morte che punisce gli avari, ma anche coloro che, ignari e rispettosi della parola data, pagano le conseguenze della malvagità altrui. Si innesca così una battaglia tra due fazioni che rompono l'equilibrio iniziale e che cercano di estorcersi confessioni e promesse a vicenda. Da una parte abbiamo gli inflessibili organizzatori del viaggio, tra cui Hawkins, dall'altra i rivoltosi che rispondono agli ordini di uno dei migliori personaggi del romanzo. Sto parlando di Silver Long John, il cuoco della Hispanola (questo il nome della barca sui cui viaggiono i marinai), vecchio pirata sprovvisto di una gamba, che se ne va in giro con un pappagallo sulla spalla e che si rivela un vero e proprio doppiogiochista (qualcuno vi vede un simbolo utilizzato da Stevenson per sottolineare l'ambiguità della morale umana, ricostruzione che non condivido vedendovi invece le caratteristiche di un abile manipolatore opportunista). Ruolo, quest'ultimo, da vera e propria canaglia tanto cara agli sceneggiatori nostrani degli anni '60 e '70 (diverrà lo stereotipo di certi personaggi western). Così viene descritto nel testo: "Non è un uomo qualunque... Da ragazzo ha fatto i suoi studi, e parla come un libro quando ha voglia; è bravo poi! Un leone è nulla, al paragone di Long John! Io l'ho visto alle prese con quattro, e fracassar loro la testa, una contro l'altra, lui disarmato!"

Long John Silver.

Purtroppo, a mio avviso, il romanzo paga una certa staticità dopo un'interessante prima parte. Molti capitoli sono dedicati ai movimenti dell'Hispanola, alle scene di battaglia a colpi di moschetto o a cariche all'arma bianca tutte inscenate su un'isola fantasma (in realtà vi è un superstite di un precedente viaggio) rigogliosa di vegetazione dove è nascosto il tesoro e dove sono presenti delle postazioni figlie dell'approdo dei pirati collegati al carico di monete su cui i ricercatori vorrebbero mettere le mani. In sostanza, tutto si risolve nello scontro tra due distinte fazioni inizialmente cooperanti.
Stevenson caratterizza bene i personaggi, in particolare la figura del marinaio/pirata evidenziandone gli atteggiamenti straccioni e la facile propensione all'alcool e alla vita priva di regole. "Così è per tutti i cavalieri di ventura. Essi vivono duramente e rischiano la corda, però mangiano e bevono come pascià, e quando una crociera è finita, olà, sono centinaia di sterline che gli entrano in tasca. Il guaio è che la maggior parte se ne va in rum e sciali, e tornano in mare con la camicia... I cavalieri di ventura, generalmente, si fidono poco gli uni degli altri, e hanno ragione." Infatti non perderanno occasione per mettere in piedi un piano che porterà alla morte di quasi tutto il personale, sebbene Hawkins, sempre lui, riesca a sapere fin da subito, per mero caso, del piano di Long John origliandolo mentre è nascosto in una botte piena di mele. Ed è su quest'ultima figura che Stevenson costruisce il successo dell'opera. Scrive il romanzo in modo tale da far immedesimare il giovane pubblico di lettori nel protagonista.

E' Hawkins a fare il bello e il cattivo gioco nella storia. Tutti i passaggi che portano avanti la narrazione partono da lui, dal rivenimento della mappa, alla scoperta del piano di diserzione, quindi al recupero della Hispanola finita nelle mani dei traditori, passando per i primi omicidi e le missioni eroiche di cui si rende protagonista (il taglio degli ormeggi o le escursioni che lo portano a imbattersi in Benn Gunn, l'unico ospite dell'isola). Il "fascino" dell'opera è tutto qui, non essendovi presenti sottotrame particolari (se non quella della sete del denaro che porta alla morte e al mancato rispetto degli impegni presi). Questo aspetto, che per alcuni è un pregio (tra questi Piero Dorfles che la definisce "La più travolgente storia di viaggio, di mare, di tesori, di pirati che sia mai stata scritta"), è a mio avviso un limite che ridimensiona l'importanza contenutistica del testo (non quella storica del romanzo) che offre poco che possa far riflettere un lettore adulto e che non ha sviluppi che potremmo definire geniali e caratterizzanti. Questa ovviamente è la mia modesta opinione, peraltro su un romanzo che è considerato da tutti una delle maggiori opere della letteratura inglese.

La trasposizione cinematografica italiana del 1972.
Regia di Andrea Bianchi con Orson Welles nei panni di Long John.

Mi piace concludere con un bel commento fatto dal citato Dorfles e inserito nel suo "I cento libri che rendono più ricca la nostra vita". Un commento dal sapore vagamente alchemico che, forse, getta luce sulla vera ragione che ha decretato il clamoroso successo avuto dal romanzo: "L'Isola del Tesoro è il sogno di un ragazzo che immagina avventure travolgenti in lidi lontani, lotte all'ultimo sangue con i pirati, rischi mortali, e soprattutto un ruolo da protagonista, come tutti i ragazzi sognano di avere, perché nei loro sogni proiettano l'aspettativa della vita adulta, che vogliono piena, ricca e felice." Orbene, per ricollegarmi a quanto ho detto nel testo, come sintetizzare questa bellissima interpretazione di Dorfles se non come esperienza iniziatica che funge da ponte tra l'adolescenza e la maturità?

Un ultimo cenno al leit motiv musicale che accompagna la storia e che risunonerà nelle orecchie soprattutto di chi ha visto i film tratti dall'opera di Stevenson: "Quindici uomini sulla cassa del morto, yo-ho-ho! E una bottiglia di rum! Il vino e il diavolo hanno fatto il resto, yo-ho-ho! E una bottiglia di rum!"

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