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lunedì 25 agosto 2014

Recensione Saggi: RIBOT - Cavallo del Secolo (di Renzo Castelli).


Autore: Renzo Castelli.
Genere: Saggistica / Ippica
Anno: 1981.
Editore: Pacini Editore.
Pagine: 220.

Commento Matteo Mancini.
Eccoci al cospetto di un mito della mia infanzia e non solo di quella, una vera e propria istituzione nel mondo dell'ippica italiana e mondiale: Ribot. Sono praticamente cresciuto con le leggende di questo cavallo invincibile (nel vero senso della parola, imbattuto in sedici uscite, tre delle quali internazionali) che negli anni '50 veniva a trascorrere gli inverni (c.d. "a svernare") a Barbaricina, nella periferia di Pisa, dove preparava i gran premi di primavera.
Chi meglio di un appassionato d'hoc di lungo corso come Renzo Castelli avrebbe potuto scrivere un libro dedicato a questo magnifico cavallo? Giornalista e storico pisano, Castelli, classe 1937, pubblica il libro nel gennaio del 1981 per conto dell'editore pisano Pacini. Il libro è praticamente da sempre presente in casa mia, essendo stato acquistato addirittura prima della mia nascita (luglio 1981). L'ho rispolverato in questi giorni e l'ho riletto ad anni e anni di distanza dalla prima volta.

Lo stile è scorrevole, il testo essenziale e asciutto. L'autore stende quella che lui definisce, a ragione, una biografia popolare di Ribot e in effetti la sinteticità dell'opera non permette approfondimenti che non vadano oltre a un'infarinatura generale. Tuttavia, nonostante la brevità del testo, circa 220 pagine inframmezzate da centoventi fotografie, Castelli mette dentro quanto necessario evitando noiose ripetizioni e soprattutto caratterizzando tutti i personaggi gravitanti attorno al cavallo imbattibile.
Così abbiamo un primo capitolo dedicato ai genitori del cavallo, Tenerani e Romanella, di cui vengono forniti i dati circa le carriere in pista e poi quelle riproduttive. Sul punto l'autore si sofferma sulla perplessità mostrata dall'allevatore del cavallo, il leggendario Federico Tesio (personaggio capace di imporsi, dal 1911 al 1954, 21 volte su 35 edizioni disputate del Derby di Roma), il quale vedeva di cattivo occhio il frutto di questa unione (nel testo non viene detto nulla circa l'eventuale fuga dello stallone che avrebbe montato la fattrice all'insaputa degli allevatori). L'occasione è poi propizia per spendere più di una parola su Tesio stesso, definito "il mago" per le incredibili intuizioni, per il bagaglio di cultura applicata alla pratica quotidiana e per la capacità di accaparrarsi la fortuna degli astri.  Personaggio di interesse trasversale, un eclettico ossessionato dalla sete di sapere e di dimostrare quanto appreso, dotato di abilità poliedriche (scrittore, pittore, appassionato di filosofia e sostenitore dell'esistenza della anima, studioso di astronomia e di astrologia) e maniaco sperimentatore di incroci genetici elaborati scrutando ore e ore i suoi cavalli. Tesio era quello che si potrebbe definire un Lombroso del mondo dell'ippica, convinto che si potesse individuare un campione sulla base della morfologia e della struttura fisica. Acerrimo nemico della psicanalisi e della burocrazia, era altresì famoso per i suoi eccessi scaramantici e per i suoi atteggiamenti rigidi e massimalistici (pretendeva il massimo da tutti: uomini e cavalli, con carichi di lavoro massacranti e spesso oltre i limiti). Dotato di una certa verve ironica miscelata a un fondo di scontrosità, soleva dire: "Solo gli uomini politici che vogliono fare carriera parlano di eguaglianza".
Si era dato all'ippica, in particolare all'allevamento equino (rivelandosi, in Italia, il più vincente con fiori all'occhiello come Nearco e Cavaliere d'Arpino), dopo una prima parte di vita un po' travagliata e dopo essersi sposato con l'aristocratica Lydia, la sua inseparabile e fidata compagna (una delle poche di cui si fidava ciecamente), con la quale aveva fondato la celebre scuderia Razza Dormello Olgiata.

Federico Tesio.

Il testo procede con una descrizione del Ribot puledro. Nato a Newmarket, Inghilterra, nel 1952 e importato in Italia per essere introdotto alla corte di Tesio, il cavallo riceve subito la bocciatura da parte del suo allevatore che non lo apprezza perché non lo ritiene conforme ai suoi canoni estetici. Il "disprezzo" è talmente forte che Tesio, il sostenitore della fisiognomica ippica, non lo iscrive neppure al Derby di Roma (classica per eccellenza nel panorama nazionale). Lo yearling viene soprannominato il piccoletto o il brutto anatroccolo, il suo allevatore ci va giù di mano pesante reputandolo a priori un brocco. Ciò nonostante decide di dargli un nome come si deve, perché una delle prerogative di Tesio è di dare ai suoi cavalli nomi d'arte. La scelta ricade sul nome di un pittore francese autore di una trentina di pregevoli acquaforti, tale Ribot Theodule.
Intanto il caporale di scuderia (sorta di tuttofare), che poi diverrà allenatore del cavallo alla morte ormai imminente di Tesio (quest'ultimo non vedrà mai correre Ribot), ovvero Vittorio U. Penco insiste con il suo superiore per portare il puledro a Barbaricina, dove la Razza Dormello torna a svernare dopo quattordici anni di assenza. Il cavallo, sebbene "verdone" (termine tecnico per definirlo tardivo) è brillante, dispettoso, persino matto, al punto che in seguito Penco gli affiancherà un gregario, Magistris, allo scopo di tranquillizzarlo. Così scrive Castelli: "Quando Ribot faceva il pazzo, Magistris, incapace di stare al gioco, restava fermo, immobile a fissarlo con uno sguardo stupito e anche pieno di deplorazione". Penco riferisce che ha margini di miglioramento e che potrebbe rivelarsi utile nel giro di poco tempo. Tesio non ne è convinto, però cede.

Ribot.

Il testo prosegue con i brevi profili del citato Penco il quale, grazie ai successi ottenuti da Ribot, otterrà il patentino onorario da allenatore per meriti sportivi, senza dover sottoporsi al prescritto esame, nonché del fantino pisanissimo Enrico Camici (capace di chiudere la carriera con 4.100 vittorie su 20.000 corse disputate) che monterà Ribot in tutte le sue sedici uscite. Al riguardo, Castelli inserisce anche una gustosa intervista al jockey toscano, ricostruendone la carriera dall'infanzia fino alla conquista dell'Arc de Triomphe di Longchamp.
Presentati tutti i protagonisti della genesi del campionissimo, l'autore passa a narrare le sedici uscite dell'allievo di casa Tesio, presentando corsa su corsa con piglio giornalistico ma senza annoiare mai. E' bene subito precisare che il mito Ribot si costruirà non tanto in virtù delle sedici vittorie ottenute in pista, ma soprattutto grazie ai tre successi internazionali e alle prove mattutine dove, ad appena tre anni, era capace di stracciare l'eccellente compagno di allenamento Botticelli (vincitore del Derby di Roma e della Gold Cup di Ascot). Nelle altre corse, salvo il leggendario Gran Criterium di Milano del 1954 dove, su un terreno paludoso, si salvò per una sola testa dal soldiano (Razza del Soldo) Gail, cavallo specialista del pesante spinto a fondo da un altro pisano d'hoc (Silvio Parravani), Ribot ebbe vita relativamente facile; molte delle corse lo videro infatti protagonista di meri canter, con un campo di partenti talvolta ridotto addirittura a due unità spesso peraltro contro compagni di colore. Delle tredici corse disputate in Italia solo una vide Ribot galoppare in un ippodromo diverso da quello di San Siro (Milano). L'occasione lo vide trionfare di sei lunghezze sulla compagna di allevamento Donata Veneziana (che lo aveva accompagnato anche nel giorno del debutto, avvenuto il 4 luglio del 1954) in quel di San Rossore, nel Premio Pisa, il 6 marzo del 1955 sotto una pioggia battente. Sul punto, lo abbiamo già specificato, il legame tra Ribot e Pisa era molto forte, essendo questo il luogo dove il campione veniva a passare i propri inverni in vista degli impegni più importanti.

La vittoria di Ribot nel premio Pisa vista dal vignettista Punch. 

Delle altre corse disputate a Milano si ricordano le rivincite contro Gail, strapazzato nel Premio Emanuele Filiberto con un distacco di dieci lunghezze, il 17 aprile del 1955, e poi il successo di un anno dopo nel Gran Premio Milano dove, sui 3.000 metri, piegò le resistenze di tutti i migliori cavalli italiani (vincitore del Derby di Roma, vincitore del Presidente della Repubblica), lasciando a distacco abissale il compagno di colori Tissot risalito dalle retrovie per il crollo fisico dei due avversari più temuti del lotto, cioè Barba Toni e Vittor Pisani (rei di aver tentato di mettere pressione al favorito).
Il mito del cavallo imbattibile, però, lo si deve al trionfo a sorpresa (quasi cento la quota al totalizzatore) nel Arc de Triomphe del 1955 e soprattutto alla vittoria, ottenuta peraltro in condizioni non ottimali, sulla pista Ascot al cospetto della Regina d'Inghilterra e di Wiston Churchill, con un vantaggio di cinque lunghezze sul cavallo della regina stessa (High Veldt). E' infine leggendaria l'ultima corsa della carriera di Ribot, con un Camici deciso a mostrare la potenza del suo pupillo spingendolo a fondo nell'Arc de Triomphe del 1956, al punto da concedersi un beffardo finale con la testa rivolta all'indietro per scrutare e beffeggiare gli altri  (tra i quali due cavalli americani giunti d'oltreoceano per confrontarsi con il miglior cavallo d'Europa) dispersi per la pista e capitanati dell'americano Talgo.
Castelli regala poi il simpatico aneddoto legato alle bizze di Ribot (disarcionò Camici dopo il palo) nell'esibizione all'ippodromo delle Capannelle di Roma, dove la Razza Dormello Olgiata concesse l'ultima uscita pubblica del suo cavallo, in compagnia del fido Magistris, prima di ritirarlo stallone.

Il volume si chiude con dei veloci capitoli dedicati alla carriera riproduttiva di Ribot. Si parla di alcuni dei suoi migliori prodotti, tra i quali Molvedo e Prince Royal II entrambi capaci di aggiudicarsi l'Arc de Triomphe (nel '61 il primo, nel '64 il secondo). Questa parte, probabilmente, si sarebbe potuta curare maggiormente, mancando quasi del tutto i riferimenti e gli aneddoti relativi alla parte finale di vita negli Stati Uniti del dormelliano (vi morirà nel 1972 a causa di una colica, aspetto quest'ultimo non indicato nel testo). Ribot infatti, dopo una prima parte di carriera stalloniera in Inghilterra e poi in Italia, fu ceduto a noleggio a un allevamento americano per cinque anni, poi prorogati per l'impossibilità di ricondurre il cavallo in Italia. Così titolerà un giornale dell'epoca: "Caro Ribot, addio! Il cavallo non può più ritornare in Italia, si ritiene che sia impazzito e un suo trasferimento potrebbe provocarne la morte."

In definitiva l'opera di Castelli è un testo sintentico, ma che contiene quanto di indispensabile ci sia da sapere su Ribot e sui personaggi che lo hanno reso un campione intramontabile. Ribot fu un cavallo eccezionale, al punto da concedersi errori di strategia e stati di forma non perfetti, grazie  a una capacità polmonare fuori dalla norma e a un'eleganza di galoppo che gli permetteva di correre senza scomporsi e senza risultare macchinoso. Poco importava poi se esteticamente non fosse un gran bel vedere, addirittura a prima vista poteva sembrare un cavallo anonimo, senza qualità apparenti e peraltro senza balzane o liste bianche sul muso a interrompere la "monotonia" del suo mantello baio. Castelli spiega bene tutto questo e plasma un volume apprezzabile anche da chi di ippica non ne capisca niente. Dunque Ribot - Cavallo del Secolo è un libro che non può mancare nella biblioteca degli appassionati del settore ma anche in quella di tutti gli studiosi dello sport tout court, per la capacità di questo cavallo di portare l'Italia sportiva sulle vette del mondo in un'epoca assai triste come quella del secondo dopo guerra.

Per coloro che siano intenzionati ad approfondire la conoscenza di Ribot segnalo Ribot. Un campione e la sua Epoca (2012) sempre di Castelli per le Edizioni Pacini, il goliardico e un po' fantastico Io Ribot. La Mia Vita da Figlio del Vento (2012) di Nicola Melillo, dove l'autore racconta la storia da un'ipotetico punto di vista del cavallo, e soprattutto il volume di quasi quattrocento pagine dedicato alla Razza Dormello Olgiata e, più in particolare, al suo ideatore Federico Tesio Il Mito di Tesio (2008) di Franco Varola, testo quest'ultimo pubblicato in più lingue ed edito in Italia da Equitare.  

L'imbarazzante epilogo dell'Arc de Triomphe del 1956.
Enrico Camici si permette il lusso di voltarsi e controllare
il distacco sugl avversari.


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