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giovedì 20 novembre 2025

Recensione Narrativa: I VENDICATORI di Stephen King.

Autore: Stephen King.
Titolo Originale: The Regulators.
Anno: 1996.
Genere:  Horror / Fantastico.
Editore: Sperling & Kupfer.
Pagine: 432.
Prezzo: 16.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Concepito in origine quale sceneggiatura per un film rimasto inedito (causa morte prematura del regista) di Sam Peckinpah (dal titolo The Shotgunners), The Regulators è diventato parte di un progetto sperimentale di Stephen King, che ruota attorno alle malefatte del medesimo villain: lo spirito/demone di non meglio precisata origine Tak. Ritroveremo infatti tale spirito anche in Desperation, romanzo uscito in contemporanea a The Regulators con una copertina complementare rispetto a quella del primo romanzo.

Per l'occasione si rispolvera, a distanza di dodici anni (Thinner – L'Occhio del Male), lo pseudonimo Richard Bachman e si inventa un vero e proprio lancio, dove si finge (come avverrà per i personaggi del successivo Lisey's Story) che il romanzo sia stato trovato in uno scatolone dalla vedova Bachman, a circa dieci anni dalla morte del marito.

Il romanzo, di circa quattrocento pagine, parte in modo lanciato, durante un ordinario pomeriggio soleggiato di un piccolo villaggio di campagna dell'Ohio. King/Bachman offre fin da subito la dimensione corale del progetto, spostando come potrebbe fare Brian De Palma (penso a film come Omicidio in Diretta) il punto di vista di quanto avviene da un personaggio all'altro. Vediamo così irrompere in scena un camion dai bizzarri colori che, lentamente, percorre la via principale del villaggio. All'interno del mezzo un folle (poi scopriremo essere altro) si prepara a sparare a caso sui passanti compiendo un'irragionevole carneficina, presto replicata da altri camion. King/Bachman, senza volerlo, anticipa (in Mr Mercedes sarà consapevole della cosa) quello che diverrà uno degli orrori concreti del nuovo secolo ovvero il terrorismo a danni di ignari passanti. Qui però tutto sfuma in un fantastico ai limiti del fantasy. Il tema portante è quello della possessione, con uno spirito che riesce a insinuarsi nel corpo delle vittime (forse ispirerà il film Fallen – Il Tocco del Male del 1998) e dall'interno di una di queste (un ragazzino autistico) modifica la realtà materializzando gli eroi del bimbo ovvero i personaggi e le scenografie del film western I Vendicatori, del cartone animato Motokops 2200 e del serial televisivo Bonanza. Prende così abbrivio un Urban Western dal retrogusto carpenteriano (Distretto 13, a sua volta influnzato da Howard Hawks), per effetto di un vero e proprio assedio in cui i superstiti si trovano costretti ad asserragliarsi nelle abitazioni sotto una vera e propria grandinata di piombo. Wentworth, il paese vittima degli eventi, a poco a poco cambia i propri connotati, diviene un set western in cui (un po' alla Brazil) le abitazioni mutano il proprio aspetto e dove sulla pubblica via si muovono animali impossibili frutto dell'immaginazione di un bambino di cinque anni.

Purtroppo, dopo l'inizio incalzante, il romanzo si incarta nella parte centrale. King solidifica la fluidità del testo ricorrendo a continui flashback (proposti nella forma di lettere scritte a mano) piuttosto che ritagli di giornale, estratti di recensioni cinematografiche o passaggi di sceneggiatura di cartoni animati. Tra gli inserti, è da evidenziare il flashback in cui viene narrato il primo contatto, all'interno di una miniera di recente ritornata alla luce dopo una frana (King omaggia Demon Knight dello scrittore Joseph Michael Straczynsky del 1988, qua la mia recensione http://giurista81.blogspot.com/2024/09/recensione-narrativa-la-notte-del.html) dove i protagonisti discendono nelle viscere della terra e dove Seth (il piccolo e sfortunato protagonista) viene “contagiato” da Tak (King omaggia anche Omen – Il Presagio soffermandosi sul sorriso distorto del piccolo). Questa parte è di grosso impatto, capace di suscitare una tensione e un'atmosfera cupa e tetra ai livelli dei racconti di Howard P. Lovecraft, tanto che avrebbe potuto essere utilizzata come racconto autonomo da includere in un'antologia.

Convincono assai meno gli altri inserti che, pur contribuendo a delineare il dietro le quinte della follia che attanaglia Wentworth (spiegando le modalità di azione di Tak), rallentano la narrazione. Ecco che bisogna attendere la fuga di alcuni cittadini asserragliati che, nel tentativo di chiedere soccorso (i telefoni ovviamente non funzionano), prendono la via dei campi, trovandosi però alle prese con un contesto scenografico del tutto stravolto e con bestie non contemplate dall'esperienza umana.

L'epilogo, decisamente cattivo e privo di happy end (la scena al bagno anticipa la quasi omologa di Dreamcatcher - L'Acchiappasogni), pur se prevedibile, è all'altezza della situazione a completamento di un romanzo non proprio page turner. Pur se leggero nei contenuti, ho impiegato oltre un mese a finirlo, con diversi momenti di stanca e alcune fiammate degne del miglior King. Tra le altre cose da segnalare vi è la componente grandguignol, qua abbastanza marcata tra teste che, alla Ken Shiro, si deformano sino a deflagrare in un misto di materia cerebrale e schegge ossee che inondano la faccia dei personaggi, braccia amputate, teste scoperchiate da fucilate, bestie che azzannano alla gola, tentativi di operazioni chirurgiche e via dicendo.

Una nota finale va al criptico inserto finale (anche questo dotato di capacità autonoma tale da poter essere proposto come racconto a sé stante), alquanto incomprensibile e all'apparenza disconnesso dall'intero testo, se non a suggerire l'esistenza di ulteriori piani dimensionali in cui altri umani si muovono lasciando tracce nella nostra realtà proprio come potrebbero fare i fantasmi. Forse quei due umani sono proprio Seth e madre adottiva in un'ottica di vita post-mortem, ma la cosa non è chiara.

Nel complesso The Regulators è un romanzo minore di King/Bachman, piuttosto allineato ai topoi dei B-Movie e con evidenti contenuti kinghiani (l'autore si autocita, tra l'altro) quali bimbi affetti da deficienze mentali e, al contempo, di poteri speciali, oltre alla dimensione corale del progetto che si concentra sulla reazione di un intero villaggio alla prese con l'irrazionale. Tra alti e bassi, con un'originalità di fondo superiore alla media dei soggetti di King.


"La vita è una cosa incompiuta a paragone dei libri e dei film. La vita è solo un gran casino."

sabato 15 novembre 2025

Recensione Cinema: THE RUNNING MAN (2025) di Edgar Wright.

Produzione: Edgar Wright, Nira Park, e Simon Kinberg.
Soggetto: Stephen King, tratto dall'omonimo romanzo del 1982.
Sceneggiatura: Michael Bacall ed Edgar Wright.
Regia: Edgar Wright  
Montaggio: Paul Machliss. 
Fotografia: Chung Chung-Hoon. 
Colonna Sonora:
Interpreti Principali: Glen Powell, Josh Brolin, Colman Domingo, Lee Pace, Emilia Jones, William H. Macy, Michael Cera...
Durata: 135 min.


Commento Matteo Mancini.

Sotto lo pseudonimo Richard Bachman, nel 1982, Stephen King dava alle stampe il secondo dei suoi due romanzi distopici (l'altro è The Long Walk, 1979), immaginando un'America del futuro totalmente in balia di un sistema televisivo distorsivo incentrato su giochi crudeli che ingannano i disperati di turno promettendo soldi facili e, al tempo stesso, distraggono e intrattengono un pubblico di frustrati che gode nel vedere morire chi tenta di passare dal ceto meno abbiente a quello più facoltoso. Non c'è dunque spazio per gli eroi o, almeno, così sembrerebbe. Del resto, il successo del prossimo provoca sovente fastidio a chi sguazza nella melma e nella mediocrità, dunque perché non sfruttare questo vizio capitale per generare una follia colletiva in una sorta di caccia alla preda. King ambienta la storia proprio nel 2025, anno in cui il talentuoso regista inglese Edgar Wright decide, in simbiosi con lo stesso King (in veste di produttore esecutivo), di trasporre su pellicola il romanzo a suo tempo dato alle stampe sotto pseudonimo di copertura. Edgar Wright è un nome di culto, salito alla ribalta sul finire degli anni novanta col western dal titolo “leonianoA Fistful of Finger (1994) e soprattutto con la cosiddetta “Trilogia del Cornetto” lanciata dal citazionista romeriano Shaun of the Dead (“L'Alba dei Morti Dementi”, 2004) divenuto fin dall'uscita un cult sponsorizzato nientemeno che da Quentin Tarantino. Un regista dunque capace di calamitare su di sé le attenzioni del pubblico di genere, interessato alle contaminazioni e connaturato da un'ironia sconfinante nel comico/grottesco, fatta di un mix tra comicità, satira, azione e horror grandguignolesco che ha in Hot Fuzz (2007) il suo fiore all'occhiello. Qua appare un Wright più maturo, meno giocoso e al tempo stesso più cattivo e incisivo. Il citazionismo è evoluto in una progressione intellettuale che porta Wright a seguire le orme, non più da un mero aspetto visivo ma anche filosofico, dei vari John Carpenter (Ben Richards è un outsider alla Plissken), George A. Romero (il sistema corrotto che sacrifica gli operai per il proprio benessere) e David Cronenberg (il potere della televisione). Il suo The Running Man, a differenza del valido ma “carnevalesco” L'Implacabile diretto nel 1987 da Paul Michael Glaser e fortemente derivativo, più che dell'opera di Stephen King (che fece togliere il proprio nome da credit), di I Guerrieri dell'Anno 2072 (1984) di Lucio Fulci e, in parte, di Endgame – Bronx Lotta Finale (1983) di Aristide Massaccesi, si allinea al testo originale, introducendo il protagonista Ben Richards (una sorta di Jena Plissken) nella città di New York e non più in un'arena artificiale ricostruita nel perimetro dell'area televisiva. Ne viene fuori una struttura simile al point to point che ricorda il canovaccio di film quali Falling Down ("Un Giorno di Ordinaria Follia", 1993) con Richards che incontra, spostandosi da una parte all'altra della città, personaggi fuori di testa che lo aiutano in virtù di proprie convinizoni oppure tentano di ucciderlo per ragioni prettamente economiche o per avere un passaggio televisivo. Si torna dunque sulle coordinate di King e si carica la visione di un sottotesto anarchico/rivoluzionario (si vedano i teli di sfondo che vengono proposti a Richards per registrare i suoi messaggi) che conduce il film nel solco di prodotti quali Escape from New York (“1997 Fuga da New York”, 1981) e Videodrome (1983), in un clima, sia per il montaggio che per i dialoghi, che rimanda ai perduti anni '80, con i suoi antieroi destinati a fallire (qua, purtroppo, si rabbercia il finale) eppure capaci di lasciare un'impronta più profonda rspetto a gli eroi vincenti. Un'impostazione melodrammatica, che mira a riaccendere la capacità di critica e l'intelligenza dello spettatore medio, ormai sempre più assuefatto dalle comodità proposte dal sistema. 

The Running Man, che pure omaggia a più riprese l'omonimo film interpretato da Arnold Schwarzenegger (vediamo la sua faccia sui nuovi dollari o sequenze come il finale col presentatore che abbandona il palco lasciando campo aperto al titolare della trasmissione), è un film cupo dove l'ironia, sebbene presente (si veda la sequenza nell'abitazione del nerd che ha trasformato in un Vietnam la sua casa), viene surclassata da una tragicità grottesca in cui tutto è modificato e tutto è sacrificabile in virtù delle esigenze televisive, tra sponsor, proclami esasperati e luci colorate. Il testo di King, del resto, era era già fortemente debitore di opere letterarie filo-anarchiche e complottiste quali il romanzo 1984 (1949) di George Orwell e soprattutto il racconto The Most Dangerous Game ("La Preda più Pericolosa", 1924) di Richard Connell - più volte adattato al cinema con film quali Sopravvivere al Gioco (1994) e The Hunt (2020) - e la narrativa dello scrittore Robert Sheckley, in particolare il racconto Seventh Victim (“La Settima Vittima”, 19530), poi trasposto nei cinema dalla pellicola La Decima Vittima (1965) girata a Tirrenia (Italia) dal vincitore del Premio Oscar Elio Petri, fino al successivo romanzo Victim Prime (“Vittime a Premio”, 1987). Uno zoccolo duro di opere che ha generato un vero e proprio sottogenere, quello dei cosiddetti Hunger Games, con film simbolo del calibro di Rollerball (1975) e Battle Royale (2000)

Solo in Civil War (2024) di Alex Garland, tra le recenti produzioni hollywoodiane, si era visto un sottotesto esplosivo e corrosivo come quello proposto da Wright, così da confezionare un film che recepisce davvero la lezione dei grandi maestri degli anni '80, penso anche a The Crazies (“La Città Verrà Distrutta all'Alba”, 1973) di George A. Romero. Una pellicola dunque che sa unire la spettacolarità ai contenuti di critica sociale, riproponendo (c'era anche nel film di Glaser) l'idea di un sistema massmediatico che trucca tutto, effettua montaggi ad arte e manda in onda immagini ed esternazioni modificate dall'intelligenza artificiale. Tutte cose che sono di moda ai giorni nostri, così come sono oggetto di indagini da parte della procura di Milano le battute di caccia all'uomo andate in scena a metà anni novanta in Bosnia da parte dei turisti italiani paganti.

La morte diviene spettacolo da mandare in onda, motivo di un dibattito filtrato da una lente manipolatoria e ipocrita in cui si cerca di ribaltare la verità a beneficio dell'audience. Non sono i fuggitivi i cattivi, bensì i predatori e, ancor di più, lo è lo Stato che agevola la deriva violenta e stimola i reietti a generare caos per ripristinare così un ordine che fagocita sempre più libertà che altrimenti concedibile nel silenzio. Il gioco è un anestetico per coprire politiche che sacrificano la vita dei cittadini a beneficio dei più ricchi. La felicità di pochi è pagata dai più deboli. In città ci si ammala, ma viene accettato dai cittadini come fatto inevitabile. I sindacati vengono sciolti, chi lotta per fare valere i diritti diviene un insubordinato, stigmatizzato e indicato quale corruttore di valori e per questo bannato dal sistema. Ecco che un reietto come Ben Richards diviene il detonatore di un sistema destinato a esplodere. 

Un flm da andare a vedere al cinema (purtroppo nello spettacolo pomeridiano di venerdì 14 novembre in sala eravamo solo in due), pressoché perfetto per trequarti (notevole tutta la prima parte, anche per lo sforzo di una scenografia che mischia futurismo e passato, tra droni volanti e vhs e audiocassette). Non eccelso il finale confusionario, che pare essere stato modificato per volere della produzione in vista di un eventuale sequel. Brutto e inutile lo spiegone in cui si cerca di convincere sulla verosimiglianza di quanto si andrà di li a poco a vedere. Nel cast artistico brillano i gigioni Josh Brolin e Colman Domingo. Convincono anche i cammei di Emilia Jones e Michael Cera. A Glen Powell va il ruolo di Richards, personaggio che riesce a interpretare in modo forse non memorabile, ma comunque efficace. Richards diventa, suo malgrado, un eroe del popolo (chiari omaggi finali anche a The Long Walk, sia per i militari che per il pubblico ammassato a bordo strada), action man a cui poco interessano gli aspetti sociali che pure tenta di denunciare. Richards cerca soprattutto di racimolare i soldi per la propria famiglia e di sopravvivere per i trenta giorni del gioco. La fotografia eccellente del coreano Chung Chung-Hoon (direttore della fotografia di fiducia di Park Chan-Wook) costituisce un elemento aggiuntivo. Non credo di azzardare nel definirlo uno i dieci migliori adattamenti di sempre dei romanzi di Stephen King nonché uno dei pochi action di denuncia del nuovo secolo. Superiore al precedente Running Man - L'Implacabile di Arnold Schwarzenegger. Va visto al cinema!

Il protagonista GLEN POWELL

 "Non guardate la tv, guardate chi la finanzia. SPEGNETELA."

giovedì 6 novembre 2025

Recensione Narrativa: ALIENI CATTIVI a cura di Alessandro Balestra.


Curatore: Alessandro Balestra.
Anno: 2024.
Genere: Antologia di AA.VV. Horror / Fantascienza.
Editore: Scheletri Ebook.
Pagine: 272.
Prezzo: 9,90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini

Nel 1960, mentre nei cinema erano ancora forti gli echi dei film fantascientifici quali The Thing from Another World (“La Cosa da un Altro Mondo”, 1951), The Day the Earth Stood Still (“Ultimatum alla Terra”, 1951), The War of the Worlds (“La Guerra dei Mondi”, 1953), Invaders from Mars (“Gli Invasori Spaziali”, 1953), The Invasion of the Body Snatcher (“L'Invasione degli Ultracorpi”, 1956), The Blob (“Fluido Mortale”, 1958), Plan 9 From Outer Space (1957) di Ed Wood, a cui si deve anche la (magnifica) copertina della qui presente antologia, e Village of the Damned (“Il Villaggio dei Dannati”, 1960), in Italia usciva l'antologia I Vampiri tra Noi. A distanza di oltre sessant'anni, Alessandro Balestra e la sua Scheletri Ebook lanciano un progetto molto accattivante che traduce su carta stampata lo spirito degli anni cinquanta: Alieni Cattivi. Venti racconti, pescati nella XII edizione del Premio Scheletri, per un'antologia che allude ai primordi della fantascienza cinematografica per tentare di terrorizzare i lettori suggerendo che, nel nuovo secolo, a essere davvero tra noi sono gli alieni. Dunque una proposta sfiziosa per gli appassionati di B-Movie che sposa appieno l'iconografia cinematografica, raccogliendo gli insegnamenti degli anni cinquanta poi tornati in auge e sviluppati negli anni ottanta, quando vi fu un vero e proprio ritorno di fiamma per gli extraterrestri cattivi (e non), grazie ad Alien (1979), al serial tv Visitors (1984) nonché alle pellicole Lifeforce (“Space Vampires”, 1985), The Hidden (“L'Alieno”, 1987), Predator (1987), il capolavoro low budget di John Carpenter They Live (“Essi Vivono”, 1988), Leviathan (1989), per non parlare dei remake The Thing (“La Cosa”, 1982) ed Invaders (1986), oltre che i romanzi Strangers (1986) di Dean Koontz, Communion (1987) di Whitley Strieber e Tommyknockers (“Le Creature del Buio”, 1987) di Stephen King, fino a tornare sul piccolo schermo col fil rouge di una serie di clamoroso successo commerciale: X-Files (1993), che aprirà poi la via alle tematiche debunking, cover up e misteri dell'Area 51 che confluiranno nel blockbuster Independence Day (1996). Queste le coordinate su cui si muovono i venti autori, in una proposta decisamente più vicina all'horror che alla fantascienza o alle teorie del complotto e del governo ombra (clamorosamente omesse), con una fortissima influenza cinematografica piuttosto che narrativa o ufologica.

Tra i selezionati figurano diversi nomi noti nel circuito underground italiano, quale il pluri-vincitore di concorsi Roberto Risso, il finalista Urania Short Giuliano Cannoletta, la menzionata al Tohorror Fantastic Film Fest Sara Ronco, Filippo Santaniello, Demis Zampelli, Ramsis Bentivoglio e altri. Il livello tecnico è sorprendentemente alto. L'antologia è ben editata e, come tradizione della casa editrice, per ogni racconto si avvale di un'illustrazione (di Alessandro Balestra) che riassume il contenuto dello stesso. Squisitamente pulp la copertina e la quarta di copertina, non a caso dotate di scritte che scimmiottano la locandina di un ipotetico film. Se il punto di forza del progetto è lo stile di narrazione (diretta, senza fronzoli e lirismi), il punto debole lo si riscontra nella natura della selezione. Alessandro Balestra pesca i migliori venti racconti da un totale di sessantasei analizati (tra gli esclusi nomi quali Raffaele Serafini, Simone Pancotti e Diego Cocco) senza effettuare un controllo e una direzione sui soggetti. Ne deriva la presenza di molti racconti estremamente simili, con un'inflazione smodata della figura dell'alieno impostore che, alla Ultracorpi, si mischia nella popolazione spacciandosi per umano. Al contempo, mancano degli sviluppi di trama che sarebbe stato lecito attendersi da un progetto del genere. In prima battuta non è stato dato alcuno spazio alle space opera né ai racconti ambientati su pianeti alieni (tipo alla Pitch Black o alla Ghosts of Mars). Latitano (pur essendoci) le storie di invasione stile Independence Day o Dreamcatcher (2003), non vi è poi traccia di avventure alla Predator. Che dire infine delle tematiche assurte al classico sul tema alieni, specie dopo X-Files, quali abduction (si veda il film The Fourth Kind, 2009, da noi “Il Quarto Tipo”), cattle mutilations, crop circles (al centro, a esempio, del film Signs del 2002), criptozoologia (penso al Chupacabras), architetture aliene, impianti alieni nel corpo umano, sedute ipnotiche regressive, avvistamenti UFO (si pensi alla pellicola del 1978 Occhi alle Stelle diretta da Mario Gariazzo o al recente Ufo Sweden) e altro. Tutte cose che si sarebbero dovute affrontare e che qua invece sono state quasi del tutto eluse. Cosa abbiamo allora? Vediamolo nel dettaglio.

La locandina del film che ha ispirato
 la copertina dell'antologia.

RENCENSIONE NEL DETTAGLIO

Abbiamo tantissime storie in cui il protagonista si trova alle prese con vicini o passanti che, in realtà, sono alieni sotto mentite spoglie. Tra tutti fa eccezione il racconto, giustamente risultato vincitore del contest, Silenzio Cosmico di Riccardo Rossi (già menzione speciale della critica al Terni Horror Fest 2018). Rossi omaggia la tradizione classica del cosmic horror ed è pressoché l'unico in tutta l'antologia. Immagina una laureata in fisica impegnata in un esperimento teso a svelare i misteri della materia oscura. Dallo studio emergeranno scoperte (o supposizioni alimentate da strani incontri) che sveleranno i misteri della creazione dell'universo in un'ottica che rimanda a The God of Pegana (1905) di Lord Dunsany e che considera l'umanità una nullità al cospetto di un creatore non a nostra immagine e somiglianza. Storia profondamente diversa dal resto dell'antologia.


Un altro racconto che fa eccezione è quello che chiude l'antologia ovvero La Casa sull'Argine della cinquantaquattrenne Rossella Romano, scrittrice che sfoggia nel suo curriculum una pubblicazione nientemeno che con la leggendaria Editrice Nord (con cui ha pubblicato il romanzo Il Segno dei Ribelli). La Romano fonde Slime (“Viscidume”, 1953) di Joseph Payne Brennan – divenuto famoso per avere ispirato la pellicola Blob (1958) – alla tematica delle case infestate e maledette. Il racconto ha il pregio di anticipare fin da subito l'elemento fantastico con tanto di prologo nel mesozoico, per proseguire portando in scena al giorno di oggi una creatura protoplasmatica di origine extraterrestre che assorbe piccoli mammiferi fino ad arrivare a cibarsi di un gruppo di ragazzini entrati impavidamente nella “casa della strega”. Pulp puro quindi per quello che, a mio avviso, è tra i tre migliori racconti del lotto.


Notevole, tanto da essere il mio secondo racconto preferito, Quello che Bisogna Fare. Qui la firma è di Tommaso Colussi, una delle rivelazioni dell'antologia. Il dramma della quotidianità, rappresentato dai femminicidi in età senile, si mischia al poliziesco. Brillano le caratterizzazioni dei personaggi (punto di forza della storia) e una struttura funzionale a delineare un finale a sorpresa che ribalta tutte le impressioni fin lì maturate. The Astronaut's Wife (1999) incontra X-Files (l'idea dei vermicelli alieni che si intravedono nella sclera) in quello che è un po' il leitmotiv dell'antologia ovvero la capacità degli alieni di impossessarsi dei corpi umani e muoverli a proprio piacere nell'indifferenza collettiva. Attenzione allo spiazzante finale, in puro spirito Venom (2018), che ribalta tutto.


Un altro elaborato che lavora assai bene sulle caratterizzazioni e sulla psicologia dei personaggi è Buoni Affari di Andrea Dado (scrittore di lungo corso dall'alto dei suoi cinquant'anni). Horror dalla struttura thriller ispirato alle tante truffe in appartamento di cui cadono vittima le persone anziane. Accattivante dall'inizio alla fine, per effetto di un stile leggero e incisivo capace di tenere costantemente viva l'attenzione del lettore. La storia ricorda molto da vicino racconti come Hoarder (“Accumulatore”) di Kealan P. Burke, che potete leggere nell'antologia della Cut Up Edizioni intitolata Shivers (2019), e propone un ribaltamento finale dove il truffatore finisce preda di quella che sarebbe dovuta essere la sua vittima. Della serie “chi la fa, l'aspetti”.


Contenuto intrinseco interessante anche per Maledetta Felicità (di Alessandro Marinelli) che sfrutta uno stile maturo, sebbene con piglio pulp, proponendo una riflessione sul rapporto tra felicità e libertà. L'idea base è quella su cui poggiano capolavori cinematografici quali Dark City (1998) e Matrix (1999) ovvero una situazione di cattività dell'uomo, gestito e sfruttato dagli alieni (qua alla caccia delle endorfine, sostanza fondamentale per il nutrimento dei piccoli), che baratta la libertà a favore del piacere e degli agi senza riuscire a rendersi conto del proprio status di schiavo/marionetta. Tutto quanto l'uomo ha intorno è fittizio, persino il cielo non è reale. Cosa succederà, allora, quando il protagonista inizierà a rendersi conto che qualcosa non è come dovrebbe essere? Carino e con l'elemento dell'alieno impostore che non si spiega la ribellione dell'uomo, coccolato e tenuto nella bambagia.


Sul tema invasione lavora invece Roberto Risso (vincitore praticamente di quasi tutti i concorsi dedicati al dark) col suo 21/05/2024 Invasione? Si parte dalla tematica pulp per suggerire altro (la manipolazione mentale della popolazione tanto da scatenare episodi di psicosi collettiva) salvo poi tornare sul versante pulp validando la componente fantascientifica supposta a inizio racconto, con una struttura da diario/cronistoria che regala gustosi echi del folle Mars Attacks (1996) di Tim Burton.


Queste sono le sei perle dell'antologia, ovviamente a mio modo di vedere, a cui fa seguito un'altra mezza dozzina di racconti a cui manca qualcosa per trasformarsi in qualcosa di eccellente.

Giuliano Cannoletta (uno dei più titolati dell'antologia, finalista di premi quali Urania Short, Kipple, Premio Robot e Terni Horror) va sul sicuro con Tesi di Laurea, fornendo un efficace esercizio di stile che non propone, tuttavia, novità. Stile professionale, bel ritmo e capacità di intrattenere nonostante un soggetto debolissimo. Lo spunto viene dal celebre video (probabilmente fake) trasmesso dalla Rai nel 1995 relativo a un'autopsia eseguita a Roswell a carico di un alieno. Cannoletta propone la novità dell'alieno vivo e sezionato senza essere narcotizzato, agevolando per tale via la reazione empatica di uno degli studenti impegnati nell'autopsia che penserà bene di liberare la cavia. I buoni propositi, tuttavia, si ritorceranno contro il protagonista in un'inversione della situazione iniziale che non promette niente di buono. Il tema dunque si trasformerà, seppur marginalmente, dall'autopsia aliena all'abduction.


Altro racconto scritto molto bene, ma poco dotato di soggetto, è Nel Profondo dell'ottimo Andy Dei Fiori (già apprezzato nelle antologie Esecranda). Latita del tutto l'originalità, per una storia che guarda ad Alien e ai successivi cloni come Leviathan (1989) diretto da George Pan Cosmatos e Dreamcatcher (“L'Acchiappasogni”, 2002) dalla penna di Stephen King. Il tema è quello del parassita che si insinua nel corpo umano e vi cresce all'interno per liberarsi, famelico e aggressivo, dopo averne sfondato lo sterno.


Più interessante, ma meno quadrato, il visionario Gli Anticorpi del Cosmo (titolo bellissimo e allusivo) di Demis Zampelli (letto su Acheron Books), che propone una storia, a mio modo di vedere, un po' confusa, tra il dono di precognizione del protagonista (che secondo me penalizza la storia) e una vera e propria invasione di extraterrestri sul modello di Herbert G. Wells in cui compaiono, sul cielo di Roma, astronavi da cui fuoriescono esseri assai inquietanti calati sul suolo da fasci luminosi: “Le teste erano allungate e finivano con un rigonfiamento dal quale usciva un filamento color porpora. I volti non avevano naso, bocca e orecchie, ma un solo unico grande occhio centrale e un'infinità di rughe grinzose, come quelle che compaiono sulle dita dopo essere stati per troppo tempo in acqua. I corpi, quasi informi, materia grezza ancora da modellare, erano interamente solcati da un intrico di capillari violacei e fosforescenti, ramificazioni in cui probabilmente scorreva la linfa energetica capace di rendere vive quelle colate di magma”. Bella la parte con gli extraterrestri che guerrigliano con i militari, per un racconto che, a mio modo di vedere, pecca nella sua prima parte.


Manca un finale innovativo a Lui di Michele Nanni che volge al fantascientifico un soggetto alla Bonnie & Clyde, sfruttando in pieno uno stile e una gestione dei personaggi che prevalgono di gran lunga sul soggetto. La storia, peraltro ben cadenzata dai flashback e dal background familiare della protagonista (echi da Carrie di Stephen King), non riesce a trovare un epilogo all'altezza delle premesse. Il riferimento all'amore quale punto debole della razza umana appare un po' posticcio e viene inserito per dare senso a un finale altrimenti scialbo.


Promette molto bene Sicut in Caelo di Cassandra Usher, grazie a una costruzione in crescendo che mischia la religione cattolica (spodestata) a un nuovo e subentrante credo connesso alla caduta di una particolare reliquia piovuta dallo spazio. Niente di originale, eppur ben trattato. Peccato che manchi un finale d'effetto, nonostante l'idea dell'infezione aliena quale metafora dell'invasione extraterrestre.


Manca una quadratura che giustifichi l'atteggiamento degli extraterrestri all'affascinante Io sono in me, La Paura è fuori di me di Adelaide Rossi. Al centro della narrazione vi è un'indagine presso una clinica psichiatrica sulle colline bolognesi dove opera uno psichiatra dai modi anticonvenzionali. L'indagine viene motivata dalla lunga sequela di suicidi che vedono i pazienti provocarsi ferite e mutilazioni alquanto strane. Freud e la psicanalisi si mischiano così alla narrativa di genere per una storia efficace dal punto di vista narrativo (il tema è l'ipnotismo), ma meno solida sul versante delle giustificazioni alla base del soggetto. Gli alieni, ovviamente sotto mentite spoglie umane, paiono divertirsi nel materializzare le paure degli umani, un po' come avviene nel film Sfera (1998), senza avere null'altro scopo. Ottimi i dialoghi e l'ambientazione, ma manca il vero movente.

 

 Alieni mascherati da umani
nell'inquietante serie tv degli anni ottanta
VISITORS.

I restanti otto racconti, a mio modo di vedere, sono inferiori, vuoi perché si rivelano meri esercizi di stile, vuoi perché tendono a riproporre quanto già letto nei precedenti racconti vuoi, infine, perché non mi sono piaciuti.


Una variante depotenziata di They Live (“Essi Vivono”, 1988) di John Carpenter la propone Ramsis Bentivoglio col suo allucinato I Sostituti, un racconto che si sviluppa per tutto il corso della vita del protagonista e che porta sempre alla medesima conclusione: la presenza degli alieni dietro ogni fallimento personale. La tematica della paranoia e dell'alienazione, pressoché costanti in tutta la storia, si destruttura in un epilogo davvero horror e ben confezionato, dove Bentivoglio vira verso un fantascientifico di estrazione aliena, tipico di certi racconti di impronta lovecraftiana, che culmina con un disturbante momento cannibalico (intravedo un omaggio alla serie Visitors e, più specificatamente, alla scena in cui gli alieni ingoiano topi). Peccato, perché la storia ha diverse frecce da scoccare, ma mischia i deliri psicotici del protagonista al fantastico.


Bel ritmo, ma totale mancanza di originalità per I Nuovi Vicini che si qualifica quale esercizio di stile firmato dall'esperto Filippo Santaniello. La richiesta di soccorso di una babysitter si trasforma in una trappola.


Tripudio splatter per Un Posto Sbagliato di Max Cromaz che tenta la strada dell'action horror, ambientando tutta la storia all'interno di un'abitazione infestata da una razza di marziani (!!) carnivori e (udite, udite) dotati della capacità di emulare i corpi umani. Soggetto modesto, funzionale a un esercizio di stile grandguignolesco. Sulla stessa lunghezza d'onda Vestiti Nuovi di Davide Camparsi, che torna sul tema degli impostori alieni, qua nella forma di vermoni, che squarciano i corpi umani e penetrano all'interno per assumerne il controllo. Finale che strizza l'occhio a The Hidden (“L'Alieno”, 1987) di Jack Sholder, con un accenno a una caccia aliena che passa dallo spazio alla terra tra alieni buoni e alieni cattivi.


Lentissimo nello sviluppo, ma superiore ai precedenti tre racconti, Desideri Sbagliati di Luca Girolfi che ha il merito di introdurre una malinconia di fondo orientata verso un passato che non tornerà più (il ricordo della madre defunta, l'immagine della cagna fedele che muore). Il limite è rappresentato dall'essere l'ennesimo racconto su alieni impostori che assumono le sembianze delle persone conosciute (qua sembrano simili a zombie), oltre a innescarsi col “solito” gruppo di ragazzi cannaioli che cazzeggiano proprio mentre sta per prendere piede una subdola invasione extraterrestre.


Ragazzi cannaioli al centro anche del racconto di Sara Ronco, altra firma in ascesa nel panorama underground (qua un po' sottotono) che ricalca la struttura de La Casa sull'Argine con La Forma della Nebbia. Qui l'ispirazione sembra arrivare dalla villa di Cefalù appartenuta ad Aleister Crowley. Un gruppo di ragazzi, alla ricerca di un luogo appartato per bere birre e fumare canne, irrompe in una villa abbandonata le cui mura interne sono affrescate da scenari di orge di ninfe e satiri. Una volta all'interno, qualcosa di maligno si materializza nella forma di una nebbia (rimandi a Clive Barker e ad Hellraiser?) al cui interno si muovono le strane creature immortalate negli affreschi. Gli alieni/demoni riveleranno all'unico superstite il loro ruolo nelle vicende del mondo. Il testo, a mio modesto modo di vedere, non massimizza il soggetto (bruttina la prima parte). Viene concesso troppo spazio a dialoghi stereotipati, inoltre convince poco la rivelazione degli alieni e l'inserimento di un gore un po' posticcio. Perde il confronto con il racconto della Romano.


Un ulteriore racconto che perde il confronto con un altro inserito nell'antologia è Uncanny Valley di Giacomo Mininni, praticamente costruito sul medesimo soggetto di Maledetta Felicità. Entrambi i racconti partono dal solito spunto (la cattività dell'uomo attorniato da familiari che in realtà sono alieni sotto mentite spoglie) e si sviluppano senza distinzioni, proponendo lo stesso finale. Marinelli riesce tuttavia a inserire un ragionamento legato al rapporto tra la felicità e la libertà che è invece estraneo alla storia di Mininni. Di converso, piace più il contesto scenografico finale di Mininni che guarda a pellicole quali Vivarium (2022) di Lorcan Finnegan, con una cittadina fittizia popolata da cittadini svuotati di anima. Tra i due, a ogni modo, è da premiare Maledetta Felicità.


Non mi è infine piaciuto Catìvo di Daniele Treu, che prova la via del fantascientifico di ambientazione veneta (con tanto di dialoghi in dialetto) lavorando su un soggetto originale (stile Garganelli al Ragù della Linina di Carlo Lucarelli) incentrato sulla culinaria e sugli ingredienti segreti utilizzati da una cuoca ormai defunta. Finale confusionario e poco chiaro che necessiterebbe di riscrittura.


CONCLUSIONI

Forse non troppo originale e tendente a essere monotematica per effetto dell'inflazione degli alieni impostori, Alieni Cattivi è un'antologia che riesce a intrattenere, grazie a un approccio cinematografico che sposa appieno lo spirito pulp senza propositi letterari o filosofie intellettuali. Ancora una volta l'underground italiano dimostra di essere tutt'altro che approssimativo, garantendo un divertimento che spesso non viene offerto da progetti più ambiziosi e autoriali. L'antologia, da leggere in modo centellinato per contenere l'effetto deja vù, è consigliatissima agli appassionati di cinema bis e ai cultori dell'horror cinematografico anni ottanta. Non attendetevi fantascienza o metafore sociali. Alieni Cattivi è puro intrattenimento, in un'ottica di croce e delizia, piaccia o non piaccia. Per quel che mi riguarda, prenderò altri volumi della Scheletri Ebook, perché i volumi del suo catalogo mi regalano ore spassose giocando su tematiche e immagini legate al cinema degli anni ottanta. 

 

Il mitico poster/manifesto del serial X-FILES,
clamoroso successo commerciale degli anni novanta.

Le armonie del caos composte dai flautisti che danzano nel vuoto non sono fatte per essere udite dalle vostre miserabili orecchie. Esistono per quietare colui che non deve essere risvegliato. Poiché la sua veglia significherebbe la fine del sogno che chiamiamo realtà.” (Estratto da Silenzio Cosmico).