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domenica 6 luglio 2025

Recensioni Cinematografiche: F1 (2025) di Joseph Kosinski.


Produzione: Lewis Hamilton, Brad Pitt, Jerry Bruckheimer, + 4.
Sceneggiatura: Eheren Kruger.
Regia: Joseph Kosinski.
Montaggio: Stephen Mirrione.
Fotografia: Claudio Miranda.
Colonna Sonora: Hans Zimmer.

Interpreti Principali: Brad Pitt, Damson Idris, Kerry Condom, Javier Bardem, Kim Bodnia...
Durata: 156 min.

Commento Matteo Mancini.

Quando nel 2001 Sylvester Stallone tentò di scrivere e produrre un film sul mondo della Formula 1, la FIA – federazione di riferimento del circus – non raggiunse l'accordo desiderato. Stallone fu costretto a ripiegare sul campionato CART, all'epoca molto più in voga e seguito di oggi (vi si laurearono campioni piloti quali Jacques Villeneuve e Juan Pablo Montoya, che poi arrivarono in F1 con grossi successi, e altri come Cristiano Da Matta e, prima di lui, Michael Andretti che tentarono con minor fortuna il medesimo percorso o chi, come Alex Zanardi, si alternò tra le due formule). Il film diretto dal finlandese Renny Harlin, che aveva già lavorato con Stallone alla regia di Cliffhanger (1993), fu un flop al botteghino, pur se interpretato e sceneggiato da Sly, con attori quali l'aggressiva Gina Gershon (interprete successivamente di Donatella Versace nel film biografico dedicato alla stilista) e il tedesco Til Schweiger, che poi entrerà nell'immaginario collettivo degli amanti di film di genere per il ruolo di Hugo Stiglitz in Bastardi senza Gloria (2009). Sorprende, a distanza di ventiquattro anni e a fronte del fallimento di un progetto pressoché identico, verificare il grosso successo riscontrato da F1 (2025) di Joseph Kosinski. Le due sceneggiature, non esenti da momenti trash (soprattutto in Driven, penso all'inseguimento stile Delitto in F1 con le monoposto che scorrazzano per la pubblica via) ed esagerazioni (macchine che volano oltre le recinzioni della pista), sono pressoché costruite su un medesimo soggetto e ciò rivaluta, gioco forza, il lavoro di Stallone. Abbiamo un vecchio pilota, fuori dal giro da anni (Brad Pitt), richiamato nel circus da un compagno di squadra degli anni '90 per far crescere un talentuoso pilota ancora da “registrare”. Se ne film di Stallone il rookie (con tanto di assistenza manageriale del fratello mutuata da F1) era impegnato per la vittoria del mondiale, nel film di Kosinski la scuderia, a metà campionato, è a secco di punti e deve, pena chiusura dei battenti, vincere almeno una corsa (obiettivo, sulla carta, impossibile). Questo il soggetto, praticamente ricalcato su Driven, realizzato da una produzione che coinvolge sette produttori trainati dal nome di culto Jerry Bruckheimer (produttore in auge da metà anni '70, con alle spalle produzioni di film quali American Gigolò, Top Gun, Flashdance, Beverly Hills Cop, Armageddon, Pearl Harbor, Pirati dei Caraibi, Top Gun: Maverick e molti altri ancora). 

Driven, il film da riscoprire.

Kosinski cerca il realismo visivo e lo ottiene, forte di un talento nelle scene d'azione già dimostrato in Oblivion (2013) e Top Gun: Maverick (2023). Vengono utilizzate macchine da presa di piccole dimensioni, montate sui caschi e sui musetti delle auto, così da variegare le inquadrature e cercare sempre l'effetto mozzafiato. Si tratta, tuttavia, di un realismo del tutto stralciato dall'inverosimiglianza della sceneggiatura. Ehren Kruger, candidato all'oscar per lo script di Top Gun: Maverick, sembra ritornare ai minimi storici delle tre nomination (di cui una vincente) ai razzie award ottenute dai vari Transformers di Michael Bay da lui sceneggiati. E' pur vero che le battute sono divertenti e regalano sorrisi, ma lo sviluppo delle corse e le strategie sembrano arrivare da film comici degni delle genialate confusionarie di Oronzo Canà. A corto di soluzioni tecniche, Brad Pitt (il cui personaggio monta su una f1, a distanza di trent'anni, adattandosi alla vettura in appena una sessione di prove), di cui viene mostrato un passato ricalcato sulla tragedia di Martin Donnelly (con tanto delle reali immagini dell'incidente, che ne concluse la carriera, montate nel film come si era soliti fare nei lowbudget italiani di avventura di fine anni '70 ovvero spacciandole per finzione filmica), chiama via radio la tattica caos, proponendo scorrettezze su scorrettezze. Si badi bene che i dialoghi radio, in F1, vengono sentiti da tutte le squadre, mentre nel film sono limitati all'ascolto della squadra in modo da rendere possibili le follie, di volta in volta, proposte. Kruger pare divertirsi nel dileggiare la F1. Prende spunto dall'episodio del crashgate avvenuto nel 2008 a Singapore, quando Briatore concordò con Piquet jr di provocare un incidente al fine di favorire Fernando Alonso, che poi vinse la prova. Il crashgate, episodio isolato e macchia nella carriera di Briatore, in F1 diviene la norma. Eppure l'episodio costò il licenziamento in tronco del General Manager della Renault, con richiesta di risarcimento per danno all'immagine alla casa produttrice francese. Nel film invece tutto viene preso come una simpatica furberia da avallare, tanto che lo stesso Alonso (in un passaggio sicuramente esilarante, dal punto di vista dell'auto ironia) si congratula con Pitt dicendogli: “Bel lavoro!”. La cosa che sorprende è che, a differenza di Driven, dietro alla produzione c'è la F.I.A., nota per i suoi atteggiamenti castranti dello spettacolo e per una pignoleria che arriva a sacrificare lo spettacolo a favore del rispetto fiscale delle regole con pregiudizio dei contatti e dei duelli rusticani. Qua, invece, la federazione legittima un prodotto stile corse anni '70, con scorrettezze di ogni tipo che rimandano anche all'episodio in cui Fernando Alonso ritardò l'uscita dal pit stop per danneggiare un avversario (all'epoca il compagno di squadra Hamilton). In aggiunta, se Stallone cercava di essere costruttivo e formativo al cospetto del giovane pilota da svezzare, il personaggio di Brad Pitt è l'esatto contrario, tutto costruito sulle furbizie e le scorrettezze a danno del fair play. Il finale del film è ricopiato da Driven, con le due Apx che insidiano in simultanea il battistrada (ovviamente Lewis Hamilton) finché una delle due non ha un incidente e l'altra riesce a prevalere.

Sempre da Driven arriva il coinvolgimento dei reali piloti e manager del movimento. Kosinski schiera le F1 della stagione 2024 e reali piloti e manager, con sequenze che rimandano persino a L'Allenatore nel Pallone 2 (si compari la sequenza con Banfi a Pressing e quella imbarazzante con Vasseur, Zack Brown e il responsabile della Apx che dialogano sulle scorrettezze della squadra).

 

L'incidente mostrato nel film del giovane Hayes (Brad Pitt)
non è stato ricreato sul set, ma è stato ripreso da un incidente avvenuto davvero 
nel 1990, in Spagna, quando Martin Donnelly, su 
Lotus, fu sbalzato fuori dall'autovettura riportando gravi ferite che
ne decretarono la fine della carriera. 

Insomma, un grande spettacolo visivo, che non annoia neppure per un minuto. Kosinski da il massimo alla regia e lo aiuta il magistrale montaggio del premio oscar (miglior montaggio con Traffic) Stephen Mirrione, un professionista che vanta due ulteriori nomination all'oscar (Babel, 2017, e Revenant, 2016) oltre che qualcosa come sei nomination Bafta. Il montaggio è l'arma di forza della pellicola, supportato da adeguati effetti sonori e da un'incalzante colonna sonora di Hans Zimmer. Dunque una grande prova tecnica, funzionale a essere esaltata dalla visione in sala, purtroppo messa al servizio di un copione mediocre e non all'altezza delle aspettative di un appassionato di F1. Kruger, un passato anche nell'horror (sue le sceneggiature di Scream 3, The Ring, The Ring 2, The Skelton Key e di Dumbo di Tim Burton), non sembra conoscere molto il mondo delle corse. Dimenticate, a esempio, la cura e l'epicità di Rush di Ron Howard o di Le Mans 66. I brividi emotivi di queste pellicole vengono sostituiti dai brividi effimeri dell'adrenalina pura che inchiodano nella visione, ma nulla lasciano usciti dal cinema. Kruger gioca tutto su sportellate, scorrettezze e furbizie infantili che, se proposte nella realtà, porterebbero alla radiazione del pilota e della squadra per gravi condotte antisportive (si veda l'episodio di Michael Schumacher nelle prove di Montecarlo). Al netto di tali problematiche, siamo comunque alle prese con un film che diverte e intrattiene, a condizione di staccare il cervello. Brad Pitt (solito personaggio spaccone) ruba la scena a tutti, sebbene non sfigurino gli altri (soprattutto Kerry Condom e Damson Idris). Male l'inserimento degli stralci di cronaca, da parte dei commentatori (nella versione italiana) di TV8, che si esprimono con frasi scollegate di circostanza sulla medesima lunghezza d'onda dei commenti tipici dei videogiochi tematici.

Sorprende in negativo inoltre il coinvolgimento dei personaggi del circus (tra i produttori e consulenti Lewis Hamilton), praticamente tutti presenti (come avveniva anche in Driven) che si prestano a offrire un brutto spot pubblicitario del mondo della F1 reso in una forma carnevalesca.

Per concludere, F1 è un film divertente, capace di intrattenere ma, allo stesso tempo, appare fin da adesso sopravvalutato e per certi versi (non certo quelli visivi) peggiore di Driven, non da ultimo per essere uscito oltre venti anni dopo senza la capacità di innovarsi in scrittura.

Joseph Kosinski e Brad Pitt discutono sul set.

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