Bisogna
ammettere che ideare, scrivere e realizzare un film su Barbie era
qualcosa di pressoché impensabile, salvo scivolare in quei prodotti
trash che “insozzano” le sale cinematografiche prima e le
mensole delle rivendite dvd/blue ray poi. Ne sa qualcosa la Mattel,
che qua partecipa in veste di finanziatrice, quando negli anni
ottanta tentò di realizzare il film sul corrispettivo maschile di
Barbie ovvero He-Man. Masters of the Universe, con l'allora
emergente biondone Dolph Lundgren (Ivan Drago di Rocky IV). Fu un fiasco clamoroso, sia sul
versante economico che su quello cinematografico in senso stretto,
sebbene il soggetto fosse senza dubbio dotato di possibilità di
realizzazione cinematografica, vuoi per essere un prodotto derivativo
di un cartoon (e quindi con un plot già delineato),
vuoi per le similitudini – sebbene votate al fantasy più sfrenato
– con un film di successo come Conan Il Barbaro. Un
precedente disastroso che non ha spaventato le due fautrici del
“miracolo” Barbie: la regista Greta Gerwig e la
produttrice nonché protagonista Margot Robbie. Le due, entrambe
titolate e già lanciate nell'olimpo hollywoodiano (cinque
candidature agli oscar in due; la prima per migliore regia e migliori
sceneggiature, la seconda come migliore attrice protagonista e non
protagonista), riescono nell'impresa e sfornano probabilmente il film evento
dell'anno. Barbie è una commedia costruita su una massiccia
quantità di ironia che riesce nel pazzesco compito di distruggere il
messaggio di perfezione e di bellezza delle forme (anteposte alla
sostanza nell'immaginario Mattel) proprie del giocattolo di Barbie
per rimodulare il tutto in nome di un qualcosa di diverso che resta
comunque Barbie ma la evolve sul piano intellettuale.
Un'operazione concettualmente assurda che eleva il marchio e la
bambola per eccellenza, muovendo dalla distruzione della stessa verso
una costruzione di altro che mantiene la medesima immagine esteriore.
Un concetto questo sottolineato più volte nel film, quando ogni
variazione - sulla carta catastrofica - che avviene a Barbieland
si tramuta in un successo economico nella vita reale in fatto di
vendite. La Gerwig fa propria la sceneggiatura e sembra quasi offrire
un saggio di bravura sul come trasformare un materiale trash
in un film con velleità da oscar (avrà contro avversari agguerriti,
a partire da Christopher Nolan, ma strapperà diverse candidature).
La pellicola prende l'abbrivio con un pomposo prologo che rimanda a
2001 Odissea nello Spazio (la sequenza con l'evoluzione degli
oranghi che acquisiscono le basi evolutive per tramutarsi in uomini)
e con un'esaltazione di quella che io chiamo “carrozzeria
femminile” anteposta alla sostanza. Da qui, a poco a poco, si
delinea il film in una stretta correlazione tra il mondo reale e il
mondo fantastico, che rimanda al concetto divino di creazione nel
rapporto tra Uomo (qua donna) e Dio (qua ancora una volta donna,
ovvero la tipa anziana). Le modifiche apportate alla bambola dagli
ideatori della stessa nella sede di Los Angeles portano a modifiche
effettive sul corpo e sulla mente di Barbie (la splendida Margot Robbie), così
come le evoluzioni di Barbieland (dovute all'esperienza maturata
nella vita reale dall'imbranato Ken, interpretato da un divertito
Ryan Gosling, sempre pronto a mettere in evidenza i muscoli intesi
quale sinonimo di idiozia) si riflettono sui giocattoli del mondo
reale. Barbie scoprirà, nella sua relazione col mondo reale, in cui si trasferisce per eliminare i difetti che si è ritrovata a riscontrare (e che poi imparerà ad apprezzare),
l'importanza di altri valori (superiori, come dimostra la scelta
finale di calzare i sandali anziché le scarpe con tacco a spillo) che
vanno oltre i meri canoni estetici fino a desiderare, da novello
Pinocchio in versione femminile, di tramutarsi in umana
sebbene abbia scorto la sofferenza e il male che fanno parte della
vita di tutti i giorni (che però è reale e non un qualcosa di fittizio). Le pervengono idee di morte, il terrore della
vecchiaia e il deterioramento del corpo e della psiche, tutti sintomi
di una maturità che non è propria dei soggetti che, da perfetti
Lucignoli, vivono nel paese dei balocchi (qua a tutti gli effetti)
senza porsi domande sul domani (e sull'aldilà) che viene solo visto come una festa continua in cui ballare e fare gli idioti (modello Grande Fratello). La Gerwig sembra
scatenata dietro alla macchina da presa, offrendo la sensazione che
si sia divertita non poco nell'ideazione e nella trasformazione
filmica del progetto. Plasma un fantasy che oscilla tra musical e
commedia, con un'ironia di fondo decisamente graffiante e ultra
marcata. Lode alla Mattel che non si prende sul serio e si
auto-dileggia, con una serie di amministratori che sono dei veri e
propri idioti tutti sopra le righe. I personaggi del film, infatti,
sono grotteschi nei modi di fare e hanno reazioni fanciullesche che
simulano i giochi dei bimbi (non a caso fluttuano in aria e simulano di fare la doccia o di mangiare). Attraverso l'ironia, la Gerwig evidenzia
i difetti tipici delle donne e dei maschi, con l'inevitabile cliché
di “lui ama lei, ma lei non se lo fila, però gli scodinzola
mandandolo in brodo di giuggiole e facendogli mostrare i muscoli e rendersi disponibile”.
Geniale la sequenza in cui le donne riprendono il possesso del mondo
mettendo gli uomini uno contro l'altro semplicemente facendoli
ingelosire, così da portarli a scagliarsi contro quello che vedono
come il potenziale contendente, senza accorgersi di essere tutti
pedine manovrate dalla bellezza femminile che persegue suoi fini.
I due protagonisti: Ryan Gosling (Ken) e
Margot Robbie (Barbie).
Si
noti come tra gli elementi centrali per il risveglio delle barbie vi
sia la barbie punk, chiaro rimando alla Harley Quinn di Suicide
Squad interpretata da Margot Robbie che, avendo interpretato
anche Tonya, si conferma un'attrice con una certa simpatia per
la ribellione e i personaggi che rompono gli schemi. Da notare anche
la citazione a Fight Club, quando viene detto alle Barbie che
non sono quello che gli altri intenderebbero che esse fossero
(un'idea), ma dei soggetti capaci di autodeterminarsi così da
superare l'impostazione del loro creatore e ascendere al rango di
umano a tutti gli effetti (altro messaggio ascetico). Centrale il
discorso, fatto da un'ispirata America Ferrera, finalizzato a
cancellare la manipolazione di fondo che programma la mente delle
donne (pensate agli attuali influencer o alla moda in generale e quanto essa, come farà Ken nel film, riesca a plasmare il volere delle persone) al fine di
stimolare l'autocoscienza, il ruolo a cui potrebbero ambire e la vera evoluzione che potrebbe derivarne con il realtivo superamento di
generi, classi sociali e sessismo.
Costumi
e scenografie volutamente patinate e sgargianti, con dominanza del
fucsia. La Gerwig, con i suoi scenografi, rende bene l'idea delle
scenografie fittizie. Barbieland è un grande gioco in cui si muovono
giocattoli e dove tutto è finto, mera riproduzione di una realtà
che non ha gli elementi per poterla mutuare in modo perfetto (si
vedano le onde del mare di plastica). Una finzione di vita che
intenderebbe emulare la realtà, ma che tale non è, restando solo
un'illusione di vita e dunque un qualcosa di inferiore seppure all'insegna del divertimento e della falsa gioia. Le bambole (verrebbe da dire l'uomo) esistono
solo perché il suo creatore e i destinatari dell'invenzione (i
bambini dell'ideatore) continuano a giocare con loro, altrimenti
verrebbero cancellate. Si tratta dunque di un esistere per concessione altrui, vale a dire una condizione di dipendenza che rispecchia una mancanza di maturità. Un concetto quest'ultimo che ribalta
l'impostazione propria di certi romanzi fantastici (penso al
Malpertuis di Jean Ray) dove si dice che gli dei e lo stesso
Dio esistono solo perché gli uomini continuano a rivolgersi a loro
attraverso la preghiera, altrimenti anche gli dei finirebbero per
essere cancellati. Qua avviene l'opposto. A mio modo di vedere, un
film ottimo, probabilmente sottovalutato da molti che (un po' come
avviene a Barbie) si soffermano sulla forma e sui tanti omaggi legati ai vari
modelli dei giocattoli effettivamente realizzati negli anni ottanta (che
io, per ovvie ragioni, non sono in grado di cogliere),
molti dei quali mostrati nei titoli di cosa. Barbie è dunque
un film sopra le aspettative. Appuntamento alla notte degli oscar... e sempre e solo W I CAVALLI, meglio se rappresentati dal colore fucsia in Italia sinonimo di ostacoli.
La Barbie stramba vi aspetta con il Joker.
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