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mercoledì 5 ottobre 2022

Recensione Narrativa: CUJO di Stephen King.

Autore: Stephen King.
Titolo Originale: Cujo.
Anno: 1981.
Genere:  Horror / Drammatico.
Editore: Sperling & Kupfer.
Pagine: 378.
Prezzo: 10.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Scritto sotto l'effetto di alcool e droga, tanto che Stephen King arriverà a dire di ricordare poco del periodo in cui fu scritto, Cujo è un romanzo breve più ascrivibile al drammatico che al genere horror. Il fantastico è del tutto assente, sebbene si tenti di introdurre pochi convincenti rimandi al baubau che minaccia i piccoli, palesandosi da armadi. Un modo per dire che il male è sempre in agguato e non per forza di cose connesso alle creature dell'oltretomba.

L'ispirazione del testo arriva da un episodio della vita reale capitato all'autore. Bisognoso di far riparare una moto, l'asso del Maine si sentì ghiacciare quando, giunto nel cortile di un meccanico di campagna, vide fuoriuscire dall'officina un grosso San Bernardo col fare tutt'altro che amichevole. L'animale, dalle movenze goffe, alzò la testa nella sua direzione e prese a ringhiare, prima di esser richiamato dal suo proprietario. Niente di tragico avvenne quel giorno, ma si innescò la scintilla che generò l'incendio nell'infiammabile mente dello scrittore.

Così nel 1981, dopo Firestarter (“L'Incendiaria”) e prima di Christine La Macchina Infernale, uscì una sorta di versione de Lo Squalo di Stephen King, con un cane rabbico (l'orrore è giustificato) che va in giro a uccidere persone al posto della macchina di morte di Spielberg (l'orrore è gratuito). Se è pur vero che questo è il tema principale del romanzo, ivi compreso l'attacco continuo a danno dell'auto dei due protagonisti (in luogo della barca dei tre eroi del film), sarebbe comunque riduttivo parlare di Cujo nei termini di una semplice beast story. King infatti intreccia alla storia principale una serie di sotto trame, tanto da fare del romanzo uno spin-off de La Zona Morta (1979). Si torna infatti nell'immaginaria Castle Rock e si fa riferimento a eventi legati al precedente romanzo, sebbene gli stessi non abbiano alcun ruolo nella storia in questione. La bravura nella delineazione dei personaggi porta King a caratterizzare al dettaglio le famiglie al centro dell'intreccio. Sappiamo tutto di queste: le loro aspettative, i loro sogni, ma anche le loro paure, le loro scappatelle sentimentali e i loro problemi accomunabili a quelli delle famiglie operaie o della piccola borghesia, con le difficoltà di arrivare alla fine di ogni mese, tra mutui e imprevisti. King fa ancora di più, scendendo nelle psicologie dei personaggi (cane compreso). Fornisce in particolare un anticipo di quanto farà anni dopo con Dolores Clairborne, Rose Madder e Il Gioco di Gerald. Entra infatti nella mente di due madri. La psicologia femminile è gestita con talento e ruota attorno a donne che vivono un momento difficile nella vita di coppia col relativo marito. Da una parte abbiamo una madre che, contrastata da un coniuge violento e manesco, lotta per sottrarre il figlio dalla squallida vita di campagna che lo attende nell'immediato futuro, cercando di fargli capire che in città esistono alternative molto più allettanti. Dall'altra abbiamo una madre in crisi psicologica che si tormenta per aver tradito il marito assenteista. In tutto questo si inserisce il “mostro”. King sviluppa in modo molto interessante il male, che si insinua in modo subdolo, prolifera sottotraccia e solo alla fine esplode. Il Mostro infatti non è una creatura malvagia per sua volontà, bensì un vittima di un morbo che distrugge il sistema nervoso e conduce nelle maglie della follia. Il San Bernardo giocherellone e amante dei bambini diviene un demonio assetato di sangue. Le descrizioni che lo riguardano sono notevoli e fanno presa sull'animo gentile e sensibile del lettore che, alla fine, si dispiace quasi più per le sorti del cane che per quelle dei protagonisti (si contano quattro morti).

Ne viene fuori un romanzo estremamente realistico e quadrato, peraltro con uno degli epiloghi più tragici dell'intera produzione del “nostro”. Non a caso i produttori della trasposizione cinematografica affidata alla direzione di Lewis Teague non se la sentiranno di mutuare l'epilogo del romanzo e alleggeriranno la drammaticità, superando in tal modo il taboo più grande per un genitore: la morte del proprio figlio.

Qualità indubbie quindi, pur se diluite da un intreccio troppo dispersivo e a tratti ripetitivo che interrompe di continuo l'azione principale. King struttura il testo portandolo avanti da tre/quattro punti di vista: abbiamo quello del cane che, di volta in volta, finisce con il coincidere con quello delle vittime nel momento in cui le stesse diventano tali (la più interessante), quello del marito della donna imprigionata nell'auto e quella della moglie del proprietario del cane. La seconda e terza traccia portano l'azione lontano da Castle Rock. In queste parti si parla di tutt'altro. Comprendiamo i problemi lavorativi di un uomo che teme il licenziamento dalla sua società impegnata nel campo pubblicitario e, dall'altro lato, venivamo bombardati dalle paure di una madre stanca del proprio matrimonio e intenzionata a strappare il giovane figlio da un futuro che lo porterebbe sulle orme del padre. In mezzo a tutto questo irrompe il grandguignol. King preme sul pedale dell'acceleratore e estrae dal cilindro uno dei migliori romanzi sugli animali killer anche perché, cosa non da poco conto, l'ira bestiale viene giustificata e, così facendo, esorcizzata dalla natura dell'animale. Responsabile delle morti quindi non è il San Bernardo, mero veicolo del demone, ma il morbo trasmesso dal morso di un pipistrello.

Per i motivi indicati, Cujo, pur non essendo un'opera principale nella produzione kinghiana, resta un romanzo sufficientemente riuscito e che offre punte eccelse di tensione e di coinvolgimento emotivo. Difficile dimenticarselo.

 
Il poster del film del 1981.
 
"Forse tutto quello che era successo prima era stato solo un sogno, niente più che una breve attesa dietro le quinte... Le scuole, gli amici, appuntamenti e le sere a ballare... le sembrava che fosse tutto un sogno, come forse sempre appariva la gioventù quanda si diventava vecchi. Non c'era più niente che contasse qualcosa, niente che fosse qualcosa, al di là di quel silenzio e di quell'aia infuocata di sole dove la morte era già passata e dove aspettava di giocare ancora le sue carte, tutti assi. E il vecchio mostro vegliava mentre suo figlio scivolava, scivolava, scivolava, via."

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