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mercoledì 23 maggio 2018

Recensione Narrativa: IL FU MATTIA PASCAL di Luigi Pirandello.



Autore: Luigi Pirandello.
Anno: 1904.
Genere:  Drammatico/surreale.
Editore: Mondadori.
Pagine: 224.
Prezzo: 4.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Il Fu Mattia Pascal è un capolavoro assoluto della letteratura italiana e non solo, dato alle stampe nel 1904 dal futuro Premio Nobel alla Letteratura Luigi Pirandello. Certo, non è compito di questo recensore, onde evitare di diventare tediosi, presentare la sinossi di un testo tanto importante, spiegato e fatto studiare alle superiori e dunque conosciuto pressoché da tutti. Ci "limiteremo" allora a una discussione libera e leggera, più per fissare nel tempo le impressioni che abbiamo avuto nella lettura che per sviscerare nel profondo il senso del volume.

Uscito a puntate sulla rivista Nuova Antologia, si tratta di un romanzo breve che lo scrittore siciliano da alle stampe quando ha trentaquattro anni e già diverse opere all'attivo. A metà strada tra un realismo drammatico e un surrealismo fantastico, Il Fu Mattia Pascal rientra nel solco del sottogenere del c.d. doppelganger. A differenza però dei romanzi cardinali di questa branca della narrativa fantastica, si pensi alle opere di E.T.A Hoffman, al William Wilson di Poe o al celebre Lo Strano Caso del Dottor Jeckyll e Mister Hyde, Pirandello scorpora l'intelaiatura fantastica e porta nella verosimiglianza narrativa un soggetto che trae linfa dall'alveo fantastico di origine. Così abbiamo un protagonista che crea coscientemente un proprio doppio al fine di sottrarsi da una realtà oppressiva. I debiti finanziari da una parte, una suocera invadente dall'altra e una moglie la cui passione è presto evaporata per lasciar spazio alla noiosa abitudine quotidiana (Pirandello descrive come le fidanzate, una volta sposate, si lascino andare non curando più la propria bellezza), sono le ragioni che stanno alla base della scelta. Dunque una situazione in cui i sogni d'infanzia, peraltro caratterizzati da un crollo finanziario a cui viene assoggetta la famiglia del protagonista, si sgretolano per lasciar spazio a una realtà di delusione e insoddisfazione. Qual buon vento allora se non approfittare, in un momento di assenza ingiustificata, dell'erroneo riconoscimento di un cadavere per darsi alla fuga senza esser cercati da nessuno? Creduto morto da tutti, parenti e amici, Mattia Pascal, questo il nome del protagonista, pensa bene di sfruttare la situazione che casualmente si è venuta a creare e chiudere col passato per costruirsi una nuova vita. Diviene Adriano Meis (bella la descrizione della scena che porta alla decisione di prendere questo nome), un piemontese dall'oscuro passato, plasmando un'identità basata sull'inevitabile menzogna. Il doppio diviene allora un qualcosa di verosimile, non è più una metafora della natura umana (come nei precedenti romanzi), ma incarna il tentativo di fuga dalla realtà, un voler recidere il cordone ombellicale con la propria terra, con la propria storia, sfruttando gli scherzi del fato. L'errore dei parenti da una parte, con lo sballato riconoscimento di un cadavere di uno sconosciuto, l'improvvisa vincita al casinò dall'altra; ed ecco prendere consistenza l'illusoria sensazione di poter prendere il volo, di liberarsi dalle catene sociali (gestite dai debitori e dai legami giuridici) per spogliarsi delle vesti dell'uomo triste e indossare quelle del sogno della felicità. Pascal si renderà presto conto, per usare una sua metafora, che un tronco non può vivere lontano dalle sue radici. L'uomo è un "animale" inserito in una società (a cui cede quei diritti naturali che caratterizzano il suo stato di animale, ricevendo vantaggi ma allo stesso tempo un collare di riconoscimento da cui è difficile manlevarsi) che ha le sue regole e in cui si può vivere solo se riconosciuti quale persona fisica di stampo civilistico. "Io sono ancora vivo per la morte, ma morto per la vita". Chi non ha un nome e un cognome da spendere e certificato dai documenti è un nessuno, un qualcuno che non può avere una vita sociale, un qualcuno che si deve accontentare di campare proprio come un animale. "E che uomo dunque ero diventato? Un'ombra d'un uomo". Pascal capisce di non poter intraprendere nessun atto che potremmo definire superiore all'ordinaria amministrazione. Non può difendersi dai delitti subiti, non può comprare beni che necessitino di un'iscrizione nei pubblici registri, non può contrarre matrimoni nè avere amici di lungo corso ("amicizia vuol dire confidenza; e come avrei potuto io confidare a qualcuno il segreto di quella vita mia senza nome e senza passato...?") o un lavoro regolarmente denunciato. E' costretto a vagare, alla stregua di un nomade, di città in città, per proteggere il suo segreto. La conseguenza inevitabile di questa condizione è la solitudine, dapprima liberatoria poi insopportabile. Una situazione che lo costringerà a tornare sui propri passi, a reputare migliore quella vita da cui era scappato ma a cui non potrà più ritornare come si capisce nel beffardissimo finale.  "Quell'ombra" dirà Adriano Meis/Mattia Pascal "aveva un cuore ma non poteva amare; aveva denari, ma ciascuno poteva rubarglieli; aveva una testa, ma per pensare e comprendere ch'era la testa di un'ombra, e non l'ombra di una testa". 



Questa appena accennata, a grandi linee, è l'anima di fondo di un romanzo che diviene veicolo per parlare anche di altro. Con uno stile colto ed elegante, Pirandello si concede una lunga serie di digressioni, sempre illuminanti ma talvolta un po' in contrasto con il ritmo. Abilissimo a tratteggiare i contorni psicologici dei vari personaggi, l'autore si abbandona a numerosi passaggi filosofici che toccano disparati temi riuscendo a esprimere opinioni che, a distanza di oltre un secolo, sono tuttora contemporanee, prerogativa quest'ultima propria dei grandi scrittori. Così viene toccato il tema della febbre del gioco in un capitolo che sembra uscito dalla penna del grande maestro russo Fedor Dostoevskij da cui Pirandello sembra ispirarsi (il riferimento va a Il Giocatore, 1866). Se posso permettermi, sperando di non risultare irriverente, arrivo a dire che il maestro siciliano riesce a trasmettere meglio del blasonato collega russo la frenesia e la speranza di aggrapparsi alla fortuna, più che per guadagnare, per il bisogno di placare un impulso psicologico che rilascia emozioni connesse al rischio. Bellissima, quanto tremenda, la parte in cui viene descritto il suicidio di un giovane, evidentemente respinto dalla dea bendata, abbandonato nel cortile della sala e a cui nessun sembra voler concedere il rispetto della vita bruciata al tavolo. "Lei sola, là dentro, quella pallottola d'avorio, correndo graziosa nella roulette, in senso inverso al quadrante, pareva giocasse... Lei sola: non certo quelli che la guardavano, sospesi nel supplizio che cagionava loro il capriccio di essa, a cui sotto, sui quadranti gialli del tavoliere, tante mani avevano recato, come in offerta votiva, oro, oro, oro, tante mani che tremavano adesso nell'attesa angosciosa, palpando inconsciamente altro oro, quello della prossima posta, mentre gli occhi supplici pareva dicessero: Dove a te piaccia, dove a te piaccia di cadere, graziosa pallottola d'avorio, nostra dea crudele!" Badate bene il sostantivo con cui Pirandello chiama la biglia che determina vincitori e vinti. Non la chiama con il nome che le sarebbe appropriato, no... la chiama "pallottola", perché come una pallottola essa è letale e dispensatrice di potenziale morte. Non a caso il ragazzo che si suiciderà lo farà proprio con una pallottola e sarà solo questa presa di coscienza a frenare Mattia Pascal dall'impulso di giocare fino a lasciare sul banco l'enorme vincita conquistata. L'appetito vien mangiando, dice è un saggio proverbio, e questo vale anche per il gioco, quando il giocatore è incapace di gestirsi con quella logica che gli imprenditori chiamano "divisione dei capitali". Solo in quest'ultimo modo si possono contenere le eventuali perdite, evitando di fare come Pascal che persevera, con una fortuna sfacciata, a mettere in gioco tutti i  propri averi, rischiando costantemente il suicidio. 

Altri temi trattati sono quelli della morte, vista in chiave esoterica. Dunque non la fine di tutto, ma l'inizio di un mistero celato in una dimensione per noi invisibile. Non a caso Pirandello inserisce nel romanzo un personaggio dedito allo spiritismo e allo studio dell'occultismo, con cui Adriano Meis/Mattia Pascal si troverà a passare molti pomeriggi. Esilarante la descrizione di una seduta spiritica che mette a nudo la cialtroneria dei medium, ma questo è un altro argomento. "Provi ad accendere una lampadina di fede, con l'olio puro dell'anima. Se questa lampadina manca, noi ci aggiriamo qua, nella vita, come tanti ciechi con tutta la luce elettrica che abbiamo inventato! Non possiamo comprendere la vita, se in qualche modo non ci spieghiamo la morte! Il criterio direttivo delle nostre azioni, il filo per uscire da questo labirinto, il lume insomma, deve venirci di là, dalla morte." Un Pirandello che usa la tecnica esoterica dell'ermetismo propria di una certa letteratura a cui esso, talvolta, si è dedicato in prima persona, dando vita a una serie di racconti di natura fantastica. E ancora si prosegue con una visione in cui viene bocciata la democrazia, bollata come un qualcosa di illusorio. Ahimè anche questo tema balzato agli onori delle cronache proprio in questi giorni. Pirandello definisce la democrazia "la tirannia mascherata da libertà", quella più balorda e ipocrita. Soluzione inevitabile, secondo la penna  agrigentina nata nel quartiere di Caos, quando si devono accontentare i molti che governano in luogo dei governati inevitabilmente subordinati agli interessi dei primi. Al tempo di Pirandello, evidentemente, la borsa e i mercati non erano ancora sviluppati come ai giorni nostri, altrimenti, verosimilmente, avrebbe corretto il tiro per offrire una definizione ancora più calzante. Non si salva neppure il progresso scientifico, e noi nel nuovo millennio non possiamo che confermare l'impressione avuta da Pirandello. "Che farà l'uomo quando le macchine faranno tutto? Si accorgerà allora che il c.d. progresso non ha nulla a che fare con la felicità? Di tutte le invenzioni, con cui la scienza crede onestamente di arricchire l'umanità che gioia in fondo proviamo noi?"

Belli anche i passaggi in cui spiega la psicologia femminile e i modi propri del gentil sesso, delineando la maggiore attenzione ai particolari e quel tatto, all'apparenza remissivo e introspettivo, che è proprio di chi sa leggere nel profondo dell'intermediario. "Ma guarda un po' fin dove vanno a cacciarsi gli occhi delle donne, o meglio, di certe donne... La donna è più generosa dell'uomo, e non bada come questo alla bellezza esteriore soltanto" commenta Adriano Meis/Mattia Pascal, preso in castagna da una vicina di casa che, studiandolo, è arrivata a capire un passato che l'uomo vorrebbe nascondere. 

Che altro aggiungere? Possiamo completare definendolo un classico che ha inaugurato il novecento letterario italiano, un testo in cui la casualità viene a giocare un ruolo importante per determinare quelle situazioni da sliding doors che possono cambiare il senso di una vita di una persona, con l'ammonimento però che per essere liberi non è sufficiente sperare in un colpo di fortuna, ma è necessario essere liberi nel proprio animo, avere un impulso di libertà che è scevro dagli influenzamenti esterni e che non può essere conquistato semplicemente con la fuga dalle proprie responsabilità. Un romanzo la cui lettura non può che arricchire il bagaglio culturale del lettore e, soprattutto, offrire spunti di riflessione e regalare anche qualche sorriso perchè, in fondo, nella tragicità della situazione, Pirandello è anche un grande ironico ("Chi non prova pena, o piuttosto, un frigido avvilimento nell'assistere a una commedia mal rappresentata da comici inesperti?").



Il Premio Nobel
LUIGI PIRANDELLO
pesca l'asso.

"Allegri tutti noi potremmo essere a un sol patto, a patto d'esser governati da un buon re assoluto. La causa vera di tutti i nostri mali, di questa tristezza nostra, sai qual'è? La democrazia, mio caro, la democrazia, cioè il governo della maggioranza. Perché, quando il potere è in mano d'uno solo, quest'uno sa d'essere uno e di dover contentare molti; ma quando i molti governano, pensano soltanto a contentar se stessi, e si ha allora la tirannia più balorda e più odiosa: la tirannia mascherata da libertà."

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