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venerdì 28 luglio 2017

Recensioni Narrativa: I CANTI DI UN SOGNATORE MORTO di Thomas Ligotti.



Autore: Thomas Ligotti.
Genere: Antologia Horror.
Titolo originale: Songs of a Dead Dreamer.
Anno: 1986.
Edizioni: Elara, 2012.

A cura di Matteo Mancini.
Prima antologia data alle stampe in Italia dello scrittore americano Thomas Ligotti, uscita negli Stati Uniti nel 1986 in appena trecento copie (poi ovviamente ristampata). Siamo nell'ambito della narrativa del terrore, ma non cadete nell'errore di pensare al truculento piuttosto che al gotico, Ligotti plasma quasi un nuovo sottogenere, un genere tutto suo, tutt'altro che commerciale, molto introspettivo funzionale a fuggire dalla realtà. La sua è una cura per esorcizzare la depressione e gli attacchi di ansia che lo attanagliano dall'età di diciassette anni. Scrittore complesso e complessato, ha poco da spartire con l'horror tradizionale che rimodula sempre con una chiave interpretativa personale anche quando affronta tematiche classiche come il vampirismo (La Perduta Arte del Crepuscolo, in cui un ragazzo generato da una vampira e un umano fa di tutto per scongiurare che la parte mostruosa che è in lui prevalga) o la ghost story (La Clinica del Dottor Locrian o I Tormenti del Dr Thoss). La psicosi (ma è poi tale?) della manipolazione mentale, l'idea dell'uomo identificato in un stolto burattino manovrato da forze superiori o da menti illuminate (più o meno aliene), un essere che agisce senza neanche sapere di farlo o che ha opinioni che non sono tali essendo invece l'esatto risultato perseguito da altri e generato da un lavoro teso ad alterare nella massa la percezione della realtà in modo da determinarne le scelte trasformando l'oggettività in soggettività, sono i temi ritornanti della produzione di questo scrittore e racchiusi nell'antologia I Canti di un Sognatore Morto. 

È difficile in molti casi parlare di sinossi dei racconti, più di una ventina. Ligotti ha uno stile lirico, pura poesia in prosa, molto autoriale e in perfetto contrasto con le logiche “imposte“ dall'editoria commerciale. Non è un autore facile e i suoi lavori sono destinati a un pubblico di nicchia, è inevitabile. Lo stile non è mero strumento di narrazione, non si rende veicolo atto a proporre storie canoniche destinate al grande pubblico. No, niente di tutto questo. Con Ligotti lo stile diviene componente centrale del testo, di valore pari se non superiore al racconto in sé per sé. Ligotti è un “pescatore di emozioni“, evocatore di incubi e di angosce, altamente claustrofobico. Muove corde emotive che disturbano il lettore, spesso e volentieri disperso, insieme ai vari protagonisti dei racconti, in labirinti mentali sprovvisti di punti di riferimento (esempio emblematico il racconto “La Voce nelle Ossa") o costretto alla deriva per la disintegrazione delle certezze via via maturate nella lettura (in "I Mistici di Muelenburg", molto prima di film come Matrix, si mette addirittura in dubbio la consistenza della materia: "tutto è irreale"). Non appena si costruisce un filo logico, Ligotti lo stravolge, muta forme e situazioni come un bizzoso alchimista che si diverte a giocare con la sua arte. Nei racconti “Il Chimico“, peraltro il primo scritto dell'autore (nel lontano 1981), nello stesso “La voce nelle Ossa“ o nel lovecraftiano La Setta dell'Idiota si parla del potere di materializzare i sogni (intesi come componenti di valore onirico e non obiettivi cui tendere nella vita), intervenendo in una realtà che diviene incubo, in cui niente è quello che sembra e in cui tutto si trasforma e niente si distrugge. Emblematico, al riguardo, l'evoluzione in mostro del protagonista de La Setta dell'Idiota, che sogna una confraternita di creature tentacolari di struttura antropomorfa, che determinano le sorti del mondo salmodiando versi incomprensibili nell'ultima stanza del palazzo più alto del paese, e scopre che le stesse esistono davvero tramutandosi in una di loro.
In Vastarien c'è addirittura un tentativo di fuggire dal mondo "reale" percepito come illusorio per penetrare in un mondo onirico sostitutivo, poiché "il valore di questo mondo consiste nella sua capacità di suggerire l'esistenza di un altro mondo." Ligotti rompe con ogni scuola precostituita arrivando a dire che "il solo regno della redenzione è quello dell'irrealtà". Il protagonista della sua storia vi accede per mezzo di un libro la cui lettura ipnotica lo conduce in una landa fantastica e fantasiosa; un libro molto particolare (autorigenerante) che lo spingerà all'omicidio per evitare che questi sogni gli vengan rubati da chi non è in condizione di interpretare a dovere il testo. Inutile dire che la scoperta di Vastarien porterà all'annichilimento dell'altra vita, quella in mezzo ai comuni mortali.

Non è un autore semplice, penso che si capisca anche da questo mio breve profilo, né vuole esserlo. È uno dei rari casi di scrittore che incarna un ideale di distintività che trapela subito dalle sue opere che sono difficilmente imitabili e mutuabili e dunque facilmente identificabili.

Di che parla questo racconto? Quante volte lo avrete sentito dire...? Nel caso di Ligotti non si può dire, si deve leggere e ricercare personalmente il senso ultimo, il fine voluto, con dozzine di riferimenti disseminati nel testo. La lettura dei suoi testi è pura esperienza, va al di là di un soggetto e del suo sviluppo. Si tratta di opere che devono esser rilette almeno due volte per comprenderne la portata, spesso e volentieri raccontate in prima persona da personaggi che stan vivendo un incubo a occhi aperti. Claustrofobico oltre ogni limite (bellissimo Sogno di un Manichino con la storia di un sogno dentro un sogno che poi si riversa nella realtà con variazione continua del rapporto uomo-manichino), rende i suoi racconti recettizi delle sue stesse psicosi e delle sue stesse paure. Solo di rado si tratta di incubi terreni (si veda Il Birichino con una guardia penitenziaria che teme l'evasione di uno strano carcerato che promette sorprese), il più delle volte si sconfina nel fantastico puro. Non è un caso che molte di queste storie gravitino attorno a veri e propri giocolieri della mente, soggetti che nella società contemporanea sono da ricercare in figure come psiconalisti, illusionisti, maestri esoterici e persino scienziati alla ricerca di nuove forme di droga in grado di alterare la percezione e manipolare menti.

Sperimentale in alcuni testi, addirittura riesce a fondere il saggio al racconto con Appunti sulla Scrittura dell'Orrore col quale mostra le diverse prospettive di scrittura sviluppando in modo diverso la medesima idea iniziale, ripetendosi poi con Brevi Lezioni del Professor Nessuno sull'Orrore Sovrannaturale.



Splendido Bevi a me Soltanto con Occhi Labirintini che, a dispetto del titolo sgrammaticato, è un capolavoro di scrittura ipnotica, con tanto di quelli che nella programmazione neurolinguistica si chiamano "ancoraggi". A differenza di altri testi di Ligotti, questo è molto più lineare ed è incentranto sul tema dell'ipnotismo e dell'illusionismo. Un mago che si definisce “evoluto fino a essersi addentrato in un territorio mesmerico mai esplorato da altri“ realizza uno spettacolo di magia, a pagamento, a favore di un pubblico che non si rende conto di essere stato ipnotizzato e di esser in completa balia del mago, un prestigiatore della mente (un Grande Maestro come lo stesso si definisce) che può far credere al pubblico qualsiasi cosa lui voglia, tipo trasformare un pezzo deforme di carne putrida nella più bella ragazza mai vista sulla terra. Chiusura in puro stile racconto mystery o del giallo, con colpo di scena finale impreziosisto da quel gusto del macabro degno di un Edgar Allan Poe.

Altro racconto degno di nota, pur se diverso dagli altri, è Mascherata della Spada Morta, un testo di cornice fantastico-medievale (vagamente citazionista nei confronti di Edgar Allan Poe), ambientato in un Ducato di fantasia (ducato di Soldori). Si tratta di un vero e proprio testo che segue, a differenza degli altri racconti di Ligotti, lo schema tipico di certa narrativa esoterica. Criptico, con un linguaggio che tende a procedere per ossimori, che suggerisce e al tempo stesso cela, chiarisce riccorrendo alla confusione. La confusione in cui vive il mondo e che, nel testo, viene rappresentato dai cittadini di un ducato che ricorrono a ogni forma di nefandezza, perchè protetti da delle maschere che ne nascondono l'identità. In questo contesto, vestito da giullare, va a operare uno spadaccino trasformatosi in uomo di valore dopo aver ricevuto in sorte un amuleto. Si tratta di un uomo che ha delle visioni, in sogno (elemento ricorrente in tutta la narrativa di Ligotti), di morte e di distruzione che incarnano la vera natura dell'anima del mondo. Il pessimismo di Ligotti non si scopre certo in questo testo, ma qua tocca vette massime che sfiorano il concetto filosofico. "L'anima del singolo uomo non può essere sanata quando non vi è speranza di risanare l'anima stessa del mondo" dice il mago al protagonista che, in un certo senso, tenta di scongiurare la pazzia che fa capolino nei suoi sonni per diffondersi nella sua veglia. "Ci sono altri occhi dentro i nostri occhi e quando questi altri occhi si aprono tutto diventa confusione e orrore." Siamo alle prese col classico "monito" della narrativa iniziatico-esoterica ovvero la minaccia al viandante o studioso non preparato, l'avvertimento che solo chi è dotato di conoscenze tali da gestire l'occulto può sperare di affrontarlo senza sconfinare nella pazzia (nel testo, in verità, sembra cadere anche questa ultima possibilità, infatti il mago soccomberà). Ligotti usa la metafora degli occhiali dotati di lenti scure (filtro di analisi e di interpretazione o anche oggetto di lettura) per affrontare il mondo, poiché una volta in cui si è superato la cortina che divide la supposta realtà dall'ipotetica irrealtà (con concetti poi ribaltati alla luce dei fatti) nulla torna più come prima. "Attraverso le lenti verrai accecato per poter vedere con maggiore acutezza", classico ossimoro della tradizione esoterica (indice della famosa vista interiore o del proverbiale "terzo occhio"). L'autore parla di Anima Mundi, ovvero la reale natura del mondo, la parte segreta dell'anima dell'uomo con accezione, se vogliamo, addirittura divina. "L'Anima Mundi ti si è rivelata nel suo aspetto più selvaggio, mostrando quello che potremmo chiamare il suo volto segreto" spiega il mago. L'unico modo per contenere gli effetti è ignorare l'impossibile (quanto meno secondo i canoni della comune esperienza), accettare qualunque cosa accada, poiché solo così si può scongiurare la pazzia. "Il potere più grande, il solo potere, è non curarsi di nulla." Sul punto mi salta in mente Clive Barker quando diceva che "nel momento in cui si crede che una tigre sia una tigre, si è già in metà in suo possesso." Non a caso, nel testo, si assisterà a un duplice omicidio dettato da una sbagliata visione della realtà, con due innamorati scambiati per due sanguisughe per effetto di un numero di magia. Nonostante i buoni propositi, il protagonista viene ingannato e il suo tentativo di aiuto a un innamorato che cerca la propria promessa sposa segregata nella corte del duca si ritorce contro i due giovani. Ligotti impreziosisce il racconto con pennellate splatter niente male e con un tocco di magia ipnotico-onirica che rende caratteristico il testo. All'epilogo ci sarà spazio per l'Anima Mundi. Si presenterà al cospetto del protagonista nelle vesti di Re, mentre l'altro calzerà un costume da giullare (messaggio sottointeso direi piuttosto inequivocabile e metaforicamente forte). Per il protagonista è quasi una vittoria, il privilegio di avere in esclusiva la risposta alla domanda che assilla l'uomo fin dall'alba dei tempi. Ligotti però è brutale. L'Anima Mundi è uno spirito corrotto che incarna la vera natura del mondo, visto non come un eden ma come un vero e proprio inferno da cui non vi è via di redenzione, in cui la menzogna e l'ipocrisia sono le linee guida. Impossibile scongiurare la pazzia, questo il finale firmato Ligotti, poiché non vi è spazio per la speranza.

Ci sono poi racconti che rendono omaggio agli scrittori ispiratori della passione narrativa di Ligotti. L'Ultimo Banchetto di Arlecchino, a esempio, è un esplicito tributo a Lovecraft (ricorda un po' anche Jerusalem's Lot di Stephen King) con tanto di dedica iniziale alla memoria. In questa opera, in particolare, un antropologo interessato alla figura del clown viene reso edotto dell'esistenza di un'antica festa pagana che si tiene in occasione del solstizio d'inverno in una fantomatica cittadina americana (Mirocaw). Incuriosito dall'evento, una sorta di carnevale invernale, si imbatte in due tipologie di clown, tra cui gli adepti di una setta erede dei Saturniani, una setta di gnostici siriani, che credevano che il genere umano fosse stato creato da angeli a loro volta creati dal Supremo Ignoto, esseri, questi ultimi, incapaci di far camminare erette le loro creature costrette per lungo tempo sulla terra a strisciare come vermi. Intenzionato a scoprire cosa si nasconda dietro le bizzarre figure dei clown, il protagonista decide di infiltrarsi e di farsi condurre in aperta compagna, dove si troverà a tu per tu con l'orrore. Non è un Ligotti all'ennesima potenza quello che esce fuori da questo racconto che, invece, segue una costruzione e un epilogo in puro stile Lovecraft. Massima attenzione all'architettura urbana, agli usi chiusi e bigotti dei cittadini e soprattutto costruzione di un finale dalla tensione crescente in cui gli adepti si trasformano in esseri serpentiformi all'apice di un sabba che vede una giovane ragazza destinata a fungere da vittima sacrificale issata su un altare sotterraneo. Piacerà ai fan del solitario. Un altro racconto che potremmo definire citazionista è La Musica della Luna, ascrivibile al sottogenere della musica e l'orrore. Un insonne cronico se ne va in giro di notte per noia, quando per caso si imbatte in un volantino che pubblicizza un evento musicale. Sulle prime l'uomo glissa poi, in un secondo momento, si trova a vagare nei corridoi di un vasto palazzo finché non entra nella sala dove è in corso lo spettacolo. La musica è ipnotica e induce i presenti a cadere preda del sonno. Quello che nessuno di loro sa è che i musicisti sono dei mostri assimilabili a ragni che tessono la loro tela per privarli degli occhi.

Un cenno va infine fatto per la bella analisi in chiusura al volume di Armando Corridore che sottolinea, rifacendosi all'opera dello scrittore di Detroit, come intorno a noi ci siano manichini che hanno rinunciato al proprio Io per indossare una maschera (tema su cui Ligotti si sofferma anche nel racconto Il più Grande Festival delle Maschere, in cui gli uomini che le indossano perdono la propria identità a vantaggio di una vuota) e che finiscono per rendere la vita un grottesco teatro inautentico. Sono questi soggetti a incarnare la popolazione dei racconti di Ligotti, soggetti a loro volta innescati in un contesto mutevole, multiforme, che ha più le sembianze di una colossale illusione che quella di una concreta realtà, ritenuta tale solo perché così vuole la maggioranza degli uomini. Pensate all'idea portante di Matrix e intuirete l'insieme su cui lavora Ligotti. Un mondo gestito da poteri occulti, in cui fenomenologie come la moda altro non sono che la prova evidente di quanto la massa sia influenzabile e priva di posizioni ideologiche frutto di un percorso interiore e filosofico personale. Corridore calca la mano e scrive grandi verità parlando di "manichini e gente mascherata che hanno amici solo in base alle circostanze e si dimenticano di loro al cambiare di casa o di lavoro; che fanno sesso col ragazzo o con la ragazza, perché è ovvio, stiamo insieme magari tanto per provare, e riducono la conoscenza dei corpi a routine, a qualcosa che occorre fare sperando che piaccia, perché lo fanno tutti come lo shopping... Manichini che vivono emozioni prese in prestito, che si nutrono di alibi per non sentire il battito del cuore, pensando così di allontanare il dolore del vivere e finendo per allontanare solo la vita." Un'analisi questa di Corridore pertinente, che emerge in modo evidente dalla narrativa di Ligotti, e che evidenzia come la scrittura fantastica con la "F" maiuscola non si consumi in mere storie di intrattenimento, ma sia occasione di riflessione e di analisi dettagliata sia della società in cui viviamo sia dei valori superiori come quelli legati alla trascendenza. Mi preme poi sottolineare come gli scrittori "esoterici" abbiano da sempre cercato di scardinare la deriva che oggi, inutile negarlo, coinvolge molti cittadini che vivono strettamente legati al c.d. mondo reale subendo tutto il resto (anzi spesso dileggiandolo con una supposta superiorità che altro non è che pura arroganza), non ricordandosi che il "mondo reale" è un qualcosa da cui tutti quanti dovremo, prima o poi, staccarci, proprio come una cozza che viene staccata dal suo scoglio per allietare i nostri palati magari associata a uno spaghettino e a un pugno di prezzemolo.
Ligotti non offre risposte, non indica vie da seguire. Si limita a constatare, in un pessimismo nero superiore persino a quello del suo ispiratore Giacomo Leopardi (si pensi alla bellissima poesia La Ginestra, dove la vita trionfa sempre sulla morte). Ligotti è un agnostico che non vede per l'uomo nessuna speranza, quasi come se lo stesso sia vittima di un gioco orchestrato da creature superiori, una cavia da esperimento destinata a una fine predeterminata da cui non ha via d'uscita. Nell'introduzione al volume edito da Elara si parla, giustamente, di "universo condannato, perverso, in disfacimento, il nulla urlante che si nasconde dietro la solida apparenza della materia." Vedete dunque come un tipo allucinato come Ligotti (definito da Walter Catalano, in Guida alla Letteratura Horror, "un ossesso") diventi savio osservatore molto più attento di chi invece si ritiene un razionale uomo di mondo e come il primo possa tentare di riqualificarsi per effetto della propria scrittura al contrario del secondo che si trasforma invece in un incosciente cieco viandante delle vie del mondo. E' la magia della narrativa fantastica e di quella esoterica, un continuo e perenne ribaltamento delle situazioni, in cui nulla è come sembra e in cui tutto, materia compresa (pensate al decadiemento dei corpi), si trasforma presto in un nulla.

Thomas Ligotti.

"L'esistenza equivale all'incubo. Se la vita non è un sogno allora nulla in essa ha senso poiché in quanto realtà la vita non è che un supremo fallimento."

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