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mercoledì 12 ottobre 2016

Recensioni Narrativa: IL PROCESSO di Franz Kafka.



Autore: Franz Kafka.
Anno: 1925.
Genere: Satirico/Grottesco.
Pagine: 215+20.
Prezzo: variabile a seconda delle edizioni.

A cura di Matteo Mancini.
Dopo aver riletto il pessimista 1984 di George Orwell passiamo a un altro romanzo che fa del pessimismo e dell'ineluttabilità del controllo da parte del potere con conseguenziale perdità della libertà dei singoli il suo centro preminente. Un'opera, a differenza di quella di Orwell, caratterizzata da un'intelaiatura realistica e contemporanea, ma con un alone onirico che la rende, soprattutto per la caratterizzazioni dei personaggi, allucinata ed estraniante. Un'opera, altresì, che accenna, suggerisce a livello subliminale ma non spiega, a differenza invece di 1984 dove la follia del potere trova una giustificazione e le colpe del protagonista sono evidenziate e represse. Da qui una crudeltà di fondo, in Kafka, addirittura superiore a quella di Orwell, peché la condanna arriva senza che se ne capisca il motivo e dunque senza che ci si possa redimere o, ancor meglio, umiliare.
Il testo, assai tribolato nella sua realizzazione e ancora incompleto, vede la luce dieci anni dopo la prima stesura, nel 1925, grazie all'impegno di un tale Max Brod, amico fraterno dell'autore, che si prende incarico di pubblicare una serie di testi di Kafka rimasti inediti. L'autore è infatti morto di tisi già da un anno e ha dato incarico all'amico, nonché biografo, di curare i propri testi.
La trama la conoscono un po' tutti. Assistiamo al calvario, dapprima farsesco, quasi comico e poi via via sempre più tragico in cui si trova, suo malgrado coinvolto, un trentenne procuratore di banca che una mattina viene dichiarato in arresto (ma non limitato nella libertà personale) da alcuni loschi figuri alle dipendenze di un fantomatico tribunale parallelo a quello riconducibile al Palazzo di Giustizia e che ha ramificazioni e collaboratori, più o meno segreti, sparsi in ogni luogo. L'uomo, tale Josef K., non sarà mai informato circa la sua presunta colpa e si troverà costretto a difendersi da un'accusa di cui nessuno sembra conoscerne i termini e le natura. Una situazione dunque dove ogni difesa e ogni garanzia di difesa vengono calpestate e rese impossibili (non a caso gli avvocati non possono assistere agli interrogatori dei propri clienti) e dove il processo non può mai avere fine (anche un'eventuale assoluzione altro non sarebbe che una decisione temporanea). Inevitabile la condanna finale, anche perché Josef K rinuncia a ogni tentativo di corruzione che gli viene suggerito di compiere da personaggi assurdi e sopra le righe, in quanto ritiene di essere innocente e che si stia montando contro di lui un vero e proprio complotto che intende far venire alla luce.
Si renderà però presto conto di esser entrato quale attore protagonista di un vero e proprio teatro delle assurdità, esaltato da udienze che si tengono all'interno di caseggiati popolari periferici tra vere e proprie schiere di spettatori che danno la netta impressione di far parte di un'associazione segreta ("Il signor giudice ha appena fatto, qui accanto a me, un segno segreto a uno di voi" commenta spazientito K durante uno dei suoi monologhi difensivi). Un mondo sotterraneo, anche se sarebbe il caso di definire "aereo", in cui il tribunale si snoda tra cancellerie confinate nei solai di palazzi decadenti, sfruttando apporti di pittori squattrinati ma influenti ai fini dei giudizi (tanto che è proprio un pittore a fornire la spiegazione dei procedimenti al protagonista e non un avvocato, così che lo stesso arriva a dire di é stesso: "spesso queste cariche non riconosciute sono più importanti di quelle riconosciute") e di giudici vanitosi che si fanno immortalare in dipinti alla stregua di divinità. Un ruolo centrale viene poi offerto alle donne, non con qualche punta misogena. Le vediamo infatti caratterizzate come civettuole di facili costumi che gravitano di continuo intorno al protagonista, che va subito in "brodo di giuggiole", quasi a voler simboleggiare la corruzione della purezza del protagonista.
"Non c'è dubbio che dietro a tutte le manifestazioni di questo tribunale vi sia una grossa organizzazione!" capisce presto K senza però arrivare a comprenderne la natura e il fine. Si intuisce un certo senso manipolatorio che caratterizza questa organizzazione che studia e mette alla prova le persone per poterle indirizzare a suo piacimento. "Avete formato dei finti partiti, uno dei quali mi ha applaudito per mettermi alla prova, volevate imparare come si seducono degli innocenti!" Tuona K durante la prima udienza, dopo essersi reso conto di esser circondato da una folla di uomini attempati ("Erano uomini anziani, alcuni avevano la barba bianca. Forse erano loro quelli che decidevano, che potevano influenzare tutta l'assemblea") sui cui vestiti brillavano particolari distintivi e che davano l'impressione di comunicare mediante cenni precodificati. "Ai baveri delle giacche luccicavano distintivi di ogni misura e colore. Per quanto si poteva vedere, tutti avevano questi distintivi. Tutti erano della stessa banda... e quando K si voltò di scatto vide gli stessi distintivi al bavero del giudice istruttore, che, le mani in grembo, guardava giù tranquillo." Credo che per la compresione del testo questi siano passaggi cardinali che evidenziano la presenza di un'organizzazione occulta che detta indirizzi  e influisce sugli uomini di un certo prestigio (si noti che il protagonista, Josef K, è un banchiere ovvero un rappresentante di spicco del potere economico).

FRANZ KAFKA.

"Qualcuno doveva aver calunniato Josef K, perché senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato" questo l'incipit di un romanzo che veste presto i panni di un incubo claustrofobico dove il risveglio è un sonno che non vedrà mai fine. Su questo romanzo, volutamente ambiguo e criptico (si veda il bellissimo penultimo capitolo), si è scritto di tutto. Non è certo compito di questo recensore andare nel profondo o fare una carrellata delle varie chiavi interpretative. Mi limiterò solo a fare delle considerazioni personali. Il romanzo è senz'altro un'allegoria che denuncia, più che l'amministrazione della giustizia in sé e per sé, l'esistenza di certi poteri occulti che muovono la società e decidono il destino delle persone sacrificate alla stregua di pedine di un gioco oscuro di cui non è possibile intuire logica o ragione. Kafka sottolinea come al cospetto di una simile autorità, parallela a quella ufficiale ma molto più potente di essa e spesso coincidente (dato che vi sono soggetti dell'autorità ufficiale che si ritrovano in quella occulta), non vi è possibilità alcuna né di difendersi né di instaurare un rapporto paritario o finalizzato a chiedere lumi interpretativi al fine della comprensione del sistema. Chi è estraneo o appartiene a un rango inferiore non ha facoltà di incidere sulla propria posizione né di fare domande. Si intuisce così l'esistenza di una struttura a carattere piramidale dove neppure i livelli inferiori conoscono le logiche e le ragioni dei livelli superiori, figurarsi gli estranei. 
Centrale è la parabola del Guardiano e dell'uomo venuto dalla campagna (da leggersi, probabilmente, come il non studioso inidoneo a varcare il portale in quanto non pronto, a cui il guardiano urla sempre: «NON ORA!») che vorrebbe entrare nel tempio della legge (qualcuno lo interpreta come l'accesso al mondo divino, trascendente, che resta oscuro all'intelletto e all'esperienza umana), a sua volta strutturato a livello piramidale con una serie di porte che ammettono a conoscenze superiori che sono vigilate da un guardiano distinto dall'altro (e sconosciuto ai guardiani precedenti che, a loro volta, non sanno cosa vi sia oltre). Josef K ascolta la parabola all'interno di una cattedrale, deserta come il palazzo di cui alla parabola, raccontata da uno strano sacerdote che alla fine gli dirà: "Cerca prima di capire tu chi sono io." Che sia proprio lui uno dei guardiani di cui alla parabola?

Lento, lentissimo, ma molto affascinante e angoscioso. Il finale un po' sommario (incredibile l'atteggiamento ormai remissivo del protagonista che accetta di capitolare al cospetto di una condanna da cui non è ammessa fuga perché sconosciuta e dunque tale da non potervi sfuggire), a mio avviso, risente del fatto che si tratta di un'opera semi-incompiuta e uscita postuma, aspetto quest'ultimo che si nota in un'innegabile frammentarietà che si respira, tra un capitolo e un altro, in svariate parti del romanzo non sempre perfettamente raccordate tra loro. Inutile dare consigli o meno di lettura, trattandosi di un classico della narrativa mondiale. Posso solo ammonire dalla lettura coloro che cercano testi di pronta soluzione e strutturati attorno a una trama chiara e centrale. Qua si va e si deve andare (nell'interpretazione) oltre al testo, leggere tra le righe e trovare risposte che giustifichino una storia altrimenti folle e delirante. Con Il Processo Kafka voleva si angosciare il lettore, ma anche fargli porre una serie di domande su cui discutere come il protagonista al cospetto del sacerdote, mentre disquisiscono sul senso della parabola del Guardiano e dell'Uomo di campagna.
Classicissimo. 

Una sequenza dell'adattamento curato da
ORSON WELLES nel 1962.

"Se ti attira tanto, prova dunque a entrare, nonostante il mio divieto. Ma bada: io sono potente. E non sono che l'ultimo dei guardiani. Di sala in sala, però, ci sono altri guardiani, uno più potente dell'altro. Già del terzo non riesco più nemmeno io a reggere la vista."

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