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sabato 12 luglio 2014

Recensione Biografie: CAVALLO PAZZO - Una vita oltre il limite (di Beppe Gabbiani)


Autore: Beppe Gabbiani.
Anno: 2008.
Genere: Autobiografia.
Editore: Edizioni Tip.Le.Co.
Pagine: 272.
Prezzo: 20 euro.

Commento Matteo Mancini.
Spassosissima autobiografia di una delle più lucenti promesse dell'automobilismo italiano dei primi anni '80, purtroppo mai esplosa come sarebbe stato lecito attendersi, complice un'esuberanza e un carattere troppo sincero per potersi affermare in certi ambienti. Un pilota capace nelle formule minori di mettersi spesso dietro campioni del calibro di Riccardo Patrese, Elio De Angelis, Stefan Bellof, Eddie Cheever, Kekè Rosberg, Stefan Johansson, Sigfried Stohr e Terry Fullerton, il rivale storico di Ayrton Senna, giunto anche per questo in Formula 1 ad appena ventuno anni e poi bruciato tanto da restare senza volante a soli ventisette anni (costretto poi a passare al gran turismo).

Per introdurre la recensione credo che niente potrebbe essere efficace quanto le parole dei due prefattori dell'opera, i quali inquadrano benissimo fin da subito il personaggio Gabbiani e allo stesso tempo il contenuto del libro. Paolo Gentilotti, coautore del testo in supporto a Gabbiani, scrive così: "Nessuno, o pochissimi, l'hanno preso sul serio. Dal nostro parlare è uscita sì una vita sempre al limite, spesso oltre il limite, fatta di eccessi e follie, motori sempre al massimo, donne strapazzate, vetture disintegrate, fughe dalla polizia, insubordinazioni, frenate estreme di fronte alla morte, ma anche la coscienza del privilegio, l'attenzione per l'amicizia, la capacità di non dividere il mondo in classi, di non sentirsi superiore a nessuno, se non nell'autostima delle capacità sportive."

Addirittura più appropriato è Marco Donnini il quale sostiene che "quella di Gabbiani non è un'autobiografia ma è soprattutto la cronaca pulsante di un'immensa sconfitta - di traguardi leggendari possibilissimi ma mai raggiunti - che però non pesa come una realizzazione mancata ma, al contrario, brilla per essere la coerentissima esplicazione della sua voglia d'essere se stesso fino in fondo. Costi quel che costi... Al giovane Gabbiani, nell'intimo, non gli importava granché di vincere. Voleva essere il più veloce del pianeta, della nebulosa e della galassia, questo si. Ma non per tutta la gara - sarebbe stato da tattici opportunisti - non per un campionato - sarebbe stato da ragionieri pitocchi - non per tutta una carriera, ma solo per il giro perfetto. Un attimo infinito, da fermare e consegnare all'ternità, subliminandolo faustianamente al prezzo dell'anima. Cercava l'impossibile filosofico senza manco pensarci. Forse nelle corse è stato l'unico a provarci davvero e strada facendo si è perduto. Ha gareggiato ovunque, comunque, contro chiunque e con qualunque mezzo, assommando prodezze, entusiasmi, antipatie, incidenti impressionanti, eccessi multiformi e fantasiosi, resurrezioni pasquali, mietiture pentecostali, redenzioni mancate e una marea di stronzate." 

Queste le premesse di un'autobiografia che mantiene di gran lunga le attese. Gabbiani, a differenza dell'autobiografia Dove Soffia sempre il Vento (eccellente, un vero e proprio capolavoro) del suo rivale Sigfried Stohr (edita da Fucina Editore), con cui condivide l'enorme talento non sfruttato in Formula 1, opta per un taglio più classico. Se Stohr ricorre alla filosofia e a passaggi classici per impreziosire il suo volume (risultato centrato in pieno), Gabbiani predilige la semplicità dispensando numerosi aneddoti soprattutto sui colleghi con cui ha duellato in pista, con tanto di descrizioni circa le manovre e le sensazioni provate in corsa.


Gabbiani su Osella, Formula 1, 1981.

Gabbiani parte dagli inizi, quando da bambino organizzava scherzi d'ogni tipo (compresi danneggiamenti vari) facendo ammattire i genitori, tanto per vincere la noia e con la fissa dell'adrenalina da stimolare in ogni modo. Non si contano i passaggi folli e incoscienti che hanno accompagnato il giovane Beppe nella sua giovinezza, come gettarsi a mosca cieca negli incroci in una sorta di moderna roulette russa. Al di là di queste pazzie (che proseguiranno in età adulta, con inseguimenti polizieschi e fughe per le vie americane e tedesche), però, il pilota ci racconta del suo atteggiamento psicologico, ovvero quello di un ragazzo che non mollava mai e che cercava sempre di migliorarsi. "Quando trovavo un compagno di giochi migliore di me in qualcosa, analizzavo dove sbagliavo e con tenacia quasi insospettabile facevo in modo di colmare le mie lacune, fino ad arrivare a superarlo." Approccio quest'ultimo che si rivelerà molto importante nella carriera sportiva del giovane.

Ed ecco che Gabbiani ripercorre tutta la sua vita, parlando di amici, duelli, incidenti e bravate dentro e fuori la pista. In particolare ricorda piloti che oggi non ci sono più (Elio De Angelis, Stefan Bellof suo compagno di squadra in F2, Michele Alboreto, Clay Regazzoni) e altri come Riccardo Patrese, Andrea De Cesaris, Derek Daly, Eddie Cheever, Emanuele Pirro, Kekè Rosberg, Teo Fabi, South, Gilles Villeneuve, Alessandro Nannini di cui racconta esperienze in comune che non potranno che far piacere agli appassionati.

Soprannominato, in modo consono, Cavallo Pazzo da Enzo Ferrari, per il suo modo irruento di correre, Gabbiani si renderà protagonista di un'interminabile sequela di successi alternati a incredibili incidenti e sceneggiate che lo porteranno, a poco a poco, a uscire dal giro ma anche a guadagnare le simpatie dei tifosi per la schiettezza, la generosità in pista e soprattutto per la dimostrazione di essere un uomo sincero. Capelli lunghi, jeans a tubo, cinturone e stivali da cowboy, atteggiamento costante di sfida e una passione smodata per le corse, in pista e fuori, con macchine su macchine distrutte, ma anche per le ragazze straniere in particolare le bionde (sposerà un'australiana e poi una irlandese).
"Per me non c'era via di mezzo: o primo o niente, o ero il più veloce o andavo a schiantarmi alla ricerca del tempo migliore, del sorpasso per me decisivo. Sono stato quel pilota che, anche se era in testa con mezzo giro di vantaggio, andava a cercare di staccare sempre un centimetro più avanti". Una filosofia che non era passata inossservata ai Presidenti Csai e Fia che nel 1975 non gli avevano concesso la licenza per correre in F3. "Dicevano che ero troppo esuberante, nessuno si prendeva la responsabilità di firmare il nullaosta"

Gabbiani su Maurer, Formula 2, 1982.

L'atteggiamento ostruzionistico della FIA non l'aveva però intralciato più di tanto. Divenuto presto uomo-mercato per l'incredibile velocità e per doti da campione dimostrate nelle formule inferiori, Gabbiani viene selezionato da Surtees per sostituire, in Formula 1, l'infortunato Vittorio Brambilla (finito in coma nella catasfrofica carambola di Monza letale allo svedese Ronnie Peterson). L'arrivo in F.1 sembra quello di un predestinato. Beppe ha soli ventuno anni e ha un atteggiamento da terribile canaglia. Al secondo Gp, a Montreal, si mette subito in mostra nelle qualifiche. Addirittura, sfruttando la pioggia, nelle prove libere del venerdì è il più veloce di tutti. "Tutti guardano increduli il mio nome in cima alla classifica." Riceve i complimenti da James Hunt e da Depailler, ma non si ferma. Si conferma su ottimi tempi nelle prime qualifiche, attirando le attenzioni di Alan Jones. "Bravo, sei andato molto forte" gli dirà l'australiano. Bellissimo il ricordo di Gabbiani che oggi scrive: "Cosa avrei dovuto rispondergli? Grazie tante, campione, è un onore solo il fatto che tu mi abbia rivolto la parola? Invece gli dico che si, ero andato piuttosto forte, ma che se avessi avuto le gomme nuove sarei stato più veloce di lui. Mi manda a cagare? No, scoppia a ridere e mi offre di brindare con lui."
Questo è Gabbiani, un ragazzino irriverente, convinto di sè, che osa oltremodo e finisce per raccogliere poco. Così il sabato spinge troppo e un errore lo mette fuori dai giochi a pochi minuti dal termine della sessione (quando stava per staccare un clamoroso sesto tempo in griglia). La pista, intanto, da bagnata diventa asciutta, e il povero Gabbiani si ritrova dal paradiso all'inferno. E' il primo dei non qualificati. La cosa lo manda su tutte le furie, non si presenta al warm up, disattende agli ordini del capo squadra. Surtees, avvicinato dai giornalisti inglesi, commenta: "Beppe ha talento, ma è un bambino viziato e ingestibile." Risultato finale? Gabbiani torna subito in F.2 dove dovrà vedersela con Marc Surer e Derek Warwick.

Un campione però non può sfuggire al suo destino ed ecco che il nostro ha una seconda opportunità. Nel 1981 firma con l'OSELLA ed è di nuovo in F.1. Le aspettative sono tante, ma la vettura è inadeguata. Gabbiani entra così in polemica con i vertici della squadra, addirittura non prende parte al G.P. di Las Vegas per protesta. A fine stagione viene sostituito dal povero Riccardo Paletti (di cui Gabbiani non dice niente nel testo) e se ne torna in F.2 perché vuol vincere il titolo. Ancora una volta però la fortuna non lo aiuta, un po' per eccessi di esuberanza, un po' per la presenza di avversari del calibro di Jonathan Palmer, Stefan Bellof (suo compagno di squadra) e Thackwell meglio attrezzati di lui. Vince però grandi gare come al Nuerburgring nel 1983. Così Gabbiani ricorda la corsa. "Alla partenza le miss tengono il cartello con numero e nome di ogni pilota. A me capita una giovanissima, splendida teutonica. Poco prima del via mi avvicino al mio ingegnere Peter Gethin. «Dille che se vinco, stasera mi piacerebbe accompagnarla a casa.» Lui si alza, va a riferire, intanto mi siedo nella vettura, la vedo che mi sorride e fa okay con la mano.
Parto e non ho tempo di pensarci. Nannini mi è nelle marmitte fin dall'inizio. All'ultimo giro, ho grossi problemi di tenuta nel curvone. Mi affianca nelle due curve che precedono il rettilineo, mi fa segno con le mani, come in una sorta di alfabeto muto, "in fondo, io, primo". Mi vien da ridere perché non sa che se lui è in quinta, io sono ancora in quarta. Cambio e vado via come una freccia. Ma l'esperienza in kart mi aveva insegnato che Sandro aveva in mente una staccata un po' bastarda all'ultima chicane, così anticipo la frenata di cinque metri, lui è costretto a frenare di colpo. Mi sorpassa si, ma con la macchina girata dalla parte opposta.
Sono così felice che faccio un intero giro d'onore, cioè 22 km fra ali ininterrote di gente. Mi fermo davanti a un gruppo di nostri emigrati. Spengo la macchina, mi alzo sul sedile, li saluto tutti. Ma mi viene anche la malagurata idea di fermarmi a fare il furbo davanti a un mucchio di qualche migliaio di tedeschi, per lo più tifosi di Bellof e di Danner, con le bandiere della Maurer (la mia ex squadra). Li mando a quel paese, loro reagiscono tirandomi dietro un milione di lattine di birra. Per fortuna la macchina riparte subito...
Godo come un pazzo anche alla premiazione, poi vado verso il motorhome per cambiarmi. Sulla porta c'è la tedeschina magnifica, quella della partenza, con il suo trolley, che mi dice: «Hai vinto e io sono qui.»
La giornata stava diventando più che memorabile, fosse che si presenta, piangendo, Fulvio Maria Ballabio, un mio amico pilota. Lui e il povero Guido Daccò si erano toccati in pista, Fulvio si era capottato. Mi dice, sempre piangendo e lamentandosi, che aveva paura di morire perché aveva picchiato la testa, che i dottori gli avevano detto che non era niente, ma non si fidava, voleva correre all'ospedale. Non lo posso abbandonare, lo faccio salire in macchina con me e la biondina che accompagno a Francoforte e saluto con un bacio davanti a casa. Alle 21 salgo con Ballabio sul volo Alitalia. Va beh, non si può pretendere proprio tutto."

Gabbiani su March BMW, Formula 2, 1983.

La mancata conquista del titolo nelle stagioni 1983 e 1984 (è quarto e terzo) porta Gabbiani a passare ai prototipi (squadra LANCIA, alla corte di Cesare Fiorio, con cui disputerà anche la 24 ore di Le Mans) e poi a rimanere accantonato per qualche anno, se si esclude un'esperienza poco fortunata in Giappone. Chiuderà la carriera nel Gran Turismo ottenendo assai meno di quanto avrebbe potuto.

Chiudo, come si conviene del resto a un'autobiografia, con le parole del diretto interessato: "Andavo sempre al 110% Non ho mai pensato all'aspetto economico. La mia massima soddisfazione è quella di esser stato, ventenne, tra i cinque-sei emergenti più forti al mondo, osservato e tenuto in grande osservazione. Poi mi sono lasciato trasportare dal mio carattere fiero e impulsivo, ho fatto anche qualche scelta sbagliata. I confini, le barriere, gli steccati, l'obbedienza cieca e assoluta: niente di questo fa per me. Mi sono sentito inferiore come mezzo, mai come pilota. Ho sempre preteso il massimo da me, provando e riprovando, sudando e andando sempre oltre; ho sempre analizzato gli avversari con attenzione, li osservavo mentre giravano. Alla fine ho sempre cercato di sommare tutto il meglio che mi sembrava di aver imparato alle mie qualità innate. Aggiungevo, cioè, quello che avevo in più degli altri. Perché avevo sempre un qualcosa più degli altri. Ne ero convinto."

Un volume dunque straconsigliato agli amanti delle storie dei piloti, divertente e divertito, ricco di aneddoti anche su altri piloti (comprese curiosità sulla vita privata, a tal riguardo c'è un ottimo capitolo dove Gabbiani parla delle famiglie di molti colleghi). Formato editoriale eccellente, oltre centotrenta le fotografie a colori poste al termine del volume. Lettura spassosa. Da avere in biblioteca se amate la F.1. E se per gli albi d'oro Gabbiani è un campione mancato, per gli sportivi è un campione indimenticabile.


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