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giovedì 10 ottobre 2013

Recensione Narrativa: IL MISTER (di Manlio Cancogni, Romanzo dedicato dall'autore a Zdenek Zeman)

Autore: Manlio Cancogni.
Anno: 2000.
Editore: Fazi Editore.
Pagine: 142.
Prezzo: 22.000 lire.

Commento Matteo Mancini.
Romanzo breve edito da Fazi Editore, nell'aprile del 2000, per la brillante penna di Manlio Cancogni.
Scrittore bolognese classe 1916, vincitore, tra gli altri, del premio Strega nel 1973, Cangogni si ispira all'enigmatica figura dell'allenatore di calcio Zdenek Zeman (a cui dedica esplcitamente il romanzo) e al film Il Diavolo e l'Acquasanta (1983), diretto da Bruno Corbucci e interpretato da Tomas Milian, per tessere le trame di una storia calcistica incastonata in un soffocante ambiente fatto di misteri e intrighi occulti.

Cancogni sviluppa il soggetto in tredici capitoli, filtrandolo dagli occhi di un bambino di una dozzina di anni. I fatti si svolgono a Roma a cavallo tra il 1932 e il 1933.
La storia ruota attorno a un misterioso sloveno che si chiama Vecto Zoran (anche se poi circola con un nome italianizzato) dal passato importante in ambito calcistico. “Poco più che ragazzo s'era fatto un nome, grazie soprattutto alla sua sveltezza e all'imprevedibilità delle sue mosse. Allo Slavia di Lubiana lo chiamavano la gazzella”. Acquistato dall'Alba (una delle quattro società romane di calcio militanti nelle serie superiori) si era affermato tra i più forti attaccanti della categoria, prima di ritirarsi a seguito di un misterioso infortunio. Scomparso nel nulla per più di cinque anni, Zoran riappare a Roma e viene assunto come traduttore in un mobilificio della capitale di proprietà di una famiglia di massoni: i Malafronte (così scrive Cancogni: “Il vecchio Malafronte era un massone, un 33”. Il figlio più piccolo della famiglia, tale Michele Malafronte, è ossessionato dal calcio e ha un sogno: allestire una squadra del quartiere Savoia per partecipare al campionato rionale nella stagione '32/'33. Così inizia a corteggiare il vecchio campione slavo che però terciversa: “Se tu ricominciassi... Se ti tornasse la fantasia gli faresti ancora vedere i sorci verdi a 'sti burini.” Michele infatti è in aperto contrasto con i gerarchi fascisti che controllano la zona e soprattutto con il titolare della squadra blasonata del quartiere: l'Aquila Romana. "Una nuova squadra al Savoia non serve, sarà motivo di divisione" mugugnano i detrattori.
Zoran, tratteggiato fisicamente come una sorta di Nosferatu (pallido, smilzo, alto, con un timbro di voce monocorde e un naso alla Pinocchio) resta impassibile e suscita grande fascino attorno a sé. Vive nei pressi di Monte Sacro (“Stai a casa del diavolo!” lo canzonerà il presidente), con due sorelle a cui offre consigli mentre legge un libro celato da una tenda stesa come separé per delimitare la sua stanza da letto.

Intanto Michele Malafronte allestisce la squadra affidandola in allenamento a un tale di nome Dionigi. I progetti del giovane, pur meno dotato sotto il profilo finanziario rispetto ai rivali dell'Aquila, sono ambiziosi. Fa realizzare il campo sportivo sullo sfondo di Villa Ada (dimora del Re d'Italia), cosa che manda subito su tutte le furie i rivali. Il debutto però è traumatico. I gialli canarino (questo il colore delle divise) naufragano subito al debutto contro i rosso-nero della Concordia e continuano a perdere contro il Parioli, la Virtus e il Bornigia, a differenza dei rivali che invece superano l'Italia Nova, il Candelotti e la Mater.

Il giovane Ugo, inizialmente ostile all'armata brancaleone del Malafronte di cui vede di sfuggita le partite mentre porta a spasso la sorellina handicappata, resta folgorato dalla partita che segna il ritorno in campo di Zoran.
Cancogni offre qua il meglio di sé e confeziona un paio di capitoli favolosi per il trasporto e il taglio cinematografico con cui sono in grado di colpire le corde emozionali del lettore.
La partita è Malafronte contro Urbe, con i padroni di casa costretti a giocare in dieci per la defezione di un loro giocatore. In panchina dei locali ci sono il presidente, l'allenatore Dionigi e uno sconosciuto pallido e magrolino avvolto da un lungo impermeabile. L'Urbe si porta in vantaggio per tre a zero e questo, paradossalmente, segna una svolta per i padroni di casa. Leggiamo dalle parole scelte da Cancogni per raccontare la scena: “Riapparve Zoran. Ugo ebbe l'impressione che si fosse materializzato dal nulla, o che fosse stato sempre lì, a due passi di distanza, invisibile. Notò, oltre il pallore del viso, un tremito alla bocca che gli ricordava il fratello di una loro donna di servizio di tanti anni prima che aveva fama di visionario... Poi vide, o credette di vedergli ai piedi un paio di scarpe da calciatore. Il cuore cominciò a battergli forte (come gli accadeva quando intuiva confusamente, con un senso di fatale certezza, che qualcosa di importante stava per accadere) facendogli salire il sangue al viso, alla fronte e alle tempie.
È sul terzo goal che il presidente sbotta e caccia via Dionigi: “Vai!” grida a Zoran. Cancogni prosegue: “Zoran si lasciò togliere dalle spalle l'impermeabile. Era già in tenuta: maglia gialla, calzoncini neri, calzettoni neri con risvolto giallo.” In un amen, lo straniero ribalta la situazione a favore della sua squadra stregando gli spettatori, gli avversari e il giovane Ugo che appena giunto a casa racconta alla sorella le meraviglie di cui era stato testimone: “Dovevi vedere i due difensori dell'Urbe! Quando lui ha fatto quella semplice mossa col naso, loro si sono aperti, uno di qua, uno di là; la palla c'è passata in mezzo”. In particolare Ugo resta affascinato dall'immagine finale della giornata: i compagni Ardito e Cristiani che sollevano in aria Zoran e lo portano in trionfo.

Con Zoran nelle vesti di allenatore/giocatore il Malafronte inizia a incantare il circondario, attirandosi contro le invidie dei potenti. “Ai segni di Zoran i giocatori del Malafronte, simili a orchestrali attenti ai cenni della bacchetta del maestro, si muovevano pronti” scrivono i giornali.

Che cosa si sono messi in testa quei due (Michele Malafronte e Zoran)? Di portare via all'Aquila i tifosi? Di fare i capipopolo?” sono invece le voci che cominciano a serpeggiare in certi ambienti. E così attorno ai canarini inizia a diffondersi un clima di sospetto e di ostracismo sempre più forte. La squadra non ha protezione politica, è seguita e supportata solo dai meno abbienti (“il popolo di nessuno”) che si identificano in essa e la cosa inizia a infastidire i politici. “Ma chi ci dice che questa folla di minimi, questo polverio umano, sollevandosi come in certe giornate di scirocco non possa formare un turbine, un vortice, una specie di tromba marina che quando comincia a girare gonfiandosi nessuno sa dire dove finirà?” sostengono i più cinici.

Le attenzioni si spostano subito sull'elemento più rappresentativo della squadra, lo straniero Zoran il quale ci mette pure del suo ad alimentare l'interesse mediatico. Intervistato agli inizi del '33 regala ai giornalisti una serie di freddure di zemaniana memoria, glissando sul suo vero nome e facendo mistero sulle ragioni del suo ritiro ai tempi dell'Alba (“Non fu per volontà mia, ma di chi lo ordinò”), ma soprattutto sparando a zero sull'Aquila Romana, presentata dall'intervistatore come una squadra titolata (Zoran risponderà così: “Nel mio paese si dice che gli alberi grandi si coprono di funghi ed è meglio fidarsi delle pianticelle”), e spiegando il segreto della sua cura (“Non do ordini, è il mio esempio che contagia i giocatori”).

In un clima di crescente ostilità, Zoran trascina la squadra alla finale contro l'Aquila Romana. Memorabile la descrizione della sfida contro lo Ster con uno Zoran scatenato che mette a soqquadro i più forti rivali fino a piegarli a suon di sassate da fuori area. Cancogni sottolinea il tutto con un entusiasmo per la narrazione che sconfina nella poesia per effetto delle sensazioni e delle emozioni rappresentate dai pensieri del piccolo Ugo.

A questo punto, come se già quanto sopra non bastasse, Cancogni infarcisce la storia di spruzzate esoteriche. Accadono infatti due eventi, entrambi nei pressi di Villa Ada, che allarmano le autorità. In prima battuta si vocifera di un'apparizione mariana, caratterizzata da un'intensa luce accompagnata “da un'onda soavissima di profumo, simile a quello delle roselline rampicanti”. Subito dopo le forze dell'ordine portano alla luce i membri di una società segreta formata da uomini di mezza età, con simpatie socialiste, dediti a riunirsi, nelle ore notturne, per adorare il Signore in piena libertà di spirito.
I due eventi mandano nel caos le autorità e gli scagnozzi dei politici, che intensificano i controlli compresi quelli sul Malafronte. Si innesca così una sequela di eventi che porteranno all'improvviso rapimento di Zoran (“quei giocatori lo seguono come se fosse un santo”), precedentemente insultato (“con quali parole definire un uomo ancora giovane, che pur essendo celibe era privo di relazioni femminili, né passeggere né stabili?”), attaccato moralmente e infine minacciato insieme al presidente (che a differenza dell'allenatore inizia a vacillare fino ad arrendersi alle pressioni), proprio alla vigilia della finale con l'Aquila Nera.
Nonostante gli attacchi Zoran sarà integerrimo fino all'ultimo: “Sono venuto a fare il mio lavoro, fra pochi giorni l'avrò finito. Non mi sono mai nascosto: chi mi vuole sa dove trovarmi!” atteggiamento che rende ancor più epico il suo personaggio.

Dunque un romanzo dal taglio cinematografico che ha un inizio dai contenuti e dai personaggi molto smargiassi, ma che, a poco a poco, seppur retto da un atteggiamento di lotta per l'affermazione dei veri valori finisce per tingersi di una drammaticità che si trasforma in tragedia a causa di un ambiente bigotto, ipocrita, invidioso e retto dai preconcetti e dalla paura del diverso (sia di nazionalità, sia di idee politiche o religioso, sia di abitudini di vita), tutti aspetti che portano all'incancrenimento della società. Si può quasi dire che l'epilogo assume contorni persino da spy story, visto che entrano in scena alte cariche politiche intenzionate a ripristinare lo stato d'ordine consueto il tutto con la connivenza passiva delle forze armate che non indagano sui fatti.
Siamo quindi alle prese con un bel romanzo dall'apparenza sportiva ma che indaga poi su aspetti molto più profondi, scritto con uno stile asciutto e rapido che trasuda di emozioni per tutto il corso dell'opera. Forse il ritmo tende a calare negli ultimi capitoli, ma resta comunque un'opera che, se trasposta sul grande schermo, sarebbe capace di garantire un sicuro successo ai produttori. Sicuramente consigliato.

PS:
Zoran non solo aveva trasformato una squadra, aveva rigenerato un pubblico. Forse nascosto nel cuore di ciascuno di loro c'era un desiderio, un bisogno, che andava oltre la soddisfazione offerta da un semplice episodio sportivo. Zoran l'aveva acceso...
Caduto Zoran, sconfitte le maglie gialle che col loro esempio avevano acceso una speranza, quei poveracci sarebbero tornati a essere gli annoiati e casuali testimoni di partitelle domenicali e periferiche
."

Al seguente link, invece, la sintesi del film "IL DIAVOLO E L'ACQUASANTA" (il cui soggetto, seppur molto più semplice e non dotato di fascino, ricorda quello del libro di Cancogni): http://www.youtube.com/watch?v=ua_jTw24D4w

1 commento:

  1. Ciao!
    Purtroppo non sapevo dove altro scriverti...
    volevo chiederti se recensivi anche produzioni di cortometraggi indipendenti?

    http://bergsonmovie.wordpress.com

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