Elenco

  • Cinema
  • Ippica
  • Narrativa
  • Pubblicazioni Personali

lunedì 8 luglio 2013

Recensione narrativa: AI CONFINI DELL'ORRORE (AA.VV. a cura di Karl E. Wagner)


Curatore: Karl E. Wagner.
Genere: Horror.
Editore: Newton.
Anno: 1984.
Pagine: 256


Commento di Matteo Mancini
Titolo italiano dell'antologia "The Year's Best Horror Stories: Series XII" a cura di K.E.Wagner uscita nel 1984 e giunta nella nostra penisola solo nel 1999 con l'inspiegabile titolo "Ai Confini dell'Orrore".

Karl Edward Wagner, notevole autore di storie horror nonchè curatore di antologie del medesimo genere, seleziona per l'occasione quello che a suo dire dovrebbe essere il meglio della produzione anglo-americana dell'anno 1983, ovviamente nell'ambito della narrativa del terrore.

L'antologia fa dunque parte di una collezione annuale avviata nel 1973 col proposito di proporre il meglio dell'horror prodotto nell'arco dei dodici mesi di riferimento. Purtroppo solo una minima parte di questi volumi sono stati tradotti in Italia, spesso con risultati tutt'altro che esaltanti, tra questi ricordo: I Mille Volti del Terrore e L'orrore del Buio, entrambi recensiti su queste pagine.

Ai Confini dell'Orrore è probabilmente tra i volumi meno riusciti tra quelli della serie giunti nel nostro territorio. Come al solito abbiamo uno zoccolo duro di racconti di autori celebri (King, Campbell, Etchison e Schow) miscelati a un più corposo gruppo di testi di perfetti sconosciuti o comunque di scrittori meno noti come David Drake e Al Sarrantonio. La logica vorrebbe che il punto di forza dell'opera ricada sui primi e invece ciò è vero solo per il richiamo commerciale come dimostrato dai nomi che campeggiano in copertina.

Il livello medio dei soggetti delle storie è basso, al punto che si ha la sensazione che molti racconti siano stati scritti per esigenze ben definite: tipo partecipare a un concorso o strappare una facile pubblicazione. Abbondano gli stereotipi e le situazioni di dejà vù.
Così Frances Garfield (niente meno che la moglie dell'asso horror Manly W. Wellman, sebbene sconosciuta dalle nostre parti) con Invito alla Festa mette in scena una casa fantasma che appare nel bel mezzo della campagna e in cui si troveranno invischiati gli ingenui protagonisti della storia, partecipando alla festa da ballo in essa organizzata. Inutile evidenziare gli evidenti debiti con Shining, dovuti a canzoni fuori epoca e soprattutto a una fiumana di persone morte diversi anni prima ma che sembrano rivivere nella festa.

Si prosegue con una serie di personaggi che, in perfetto stile slasher movie, si comportano come nessun altro avrebbe fatto al posto loro infilandosi direttamente nelle situazioni di pericolo, come avviene, oltre che nel racconto della Garfield, in Basta Aspettare del sopravvalutato Ramsey Campbell. L'azione si sposta dalla campagna a un bosco montano, con una famiglia litigiosa (padre, madre e figlioletto) in cerca di un'area picnic. La scoperta di un pozzo che esaudisce desideri rovinerà la quiete del trio, con il bimbo che chiederà la soddisfazione del sogno della madre senza immaginare l'orrore che ne seguirà (col bosco che si anima e ingoia entrambi i genitori). Stesso discorso è da farsi per il racconto di Al Sarrantonio il quale, evidentemente appassioanto dal film La Cosa di Carpenter (uscito appena un anno prima), pensa bene di usare l'idea della creatura aliena (nella fattispecie un insettone) capace di assumere sembianze umane usando come elemento per la metamorfosi gli arti inferiori delle vittime. Ovviamente saranno proprio i due giovani protagonisti a voler entrare nella casa dello sconosciuto, avendolo scambiato per loro padre evidentemente non morto nell'incidente loro raccontato dalla madre (!?).

Poi abbiamo le marionette, in stile bradburyano che intrappolano l'anima dei bambini, riproposte da Juleen Brantingham in La Figlia del Ventriloquo. La sconosciuta scrittrice originaria della Louisiana interpreta il logoro canovaccio miscelandolo con Poe (il riferimento va a William Wilson) e Collodi (Pinocchio), ma il risultato finale è sempre il solito.
Così facciamo la conoscenza di una donna motivata a bruciare il burattino costruito dal padre svariati anni prima. La infastidisce il fatto che abbia i suoi stessi lineamenti di quando era bambina e che il padre fosse solito usare il giocattolo negli spettacoli di magia organizzati per lavoro.
Tutto ruota attorno alla convinzione della donna che il padre utilizzasse la marionetta per deriderla pubblicamente. Il fantoccio però sembra avere uno stretto legame con la donna, poiché le fiamme che bruceranno il legno faranno sentire il dolore anche nel corpo della stessa al punto che dubiterà di essere umana.

Non potevano poi mancare, a omaggiare Richard Matheson, gli oggetti ordinari che si trasformano in assurdi congegni manovrati da forze diaboliche. Così con Le 3.47 del Mattino dell'inglese David Langford (autore di terza fascia ma capace ogni tanto di sfornare qualcosa di buono) abbiamo una sveglia prodotta in Malesia con lo sfruttamento della manodopera locale che tormenta il suo possessore suscitandogli degli incubi che lo porteranno alla pazzia. L'uomo si vede crescere sul corpo dei nei da cui si contorcono dei vermi, contemporaneamente si sente esplodere tutti i denti e uscire gli occhi dalle orbite. Il testo ha dalla sua una forte componente onirica e una velata critica a certe prassi industriali tuttora vigenti, ma resta un racconto da completamento piuttosto che da prima linea.
E' risibile e confuso invece Oggetto Ricordo di Vincent McHardy, altro semisconosciuto con la passione per gli oggetti comuni (nella fattispecie giocattoli sequestrati dalla maestra di scuola) dotati di strani poteri.

Infine largo spazio per le storie incentrate sulla follia dei protagonisti. Si parte con Il Camion dello Zio Otto di King (testo inserito nell'antologia Scheletri) che vede un uomo perseguitato da un camion, si prosegue con i drammaticissimi Nomi di Jane Yolen ed Echi di Lawrence Connolly che propongono degli strascichi psicologici connessi a eventi traumatici, nel primo caso le torture dei campi di concentramento (una superstite pretende che la figlia sia rachitica in memoria dei caduti) nel secondo la morte di un figlio (i componenti della famiglia lo vedono in casa, ma tutti fanno finta di non vederlo accusando gli altri di essere affetti da vizi mentali).

Tutti questi racconti citati scorrono bene, alcuni hanno anche degli ottimi spunti ma, a parte il racconto di Langford - il migliore tra i citati - e forse quello della Brantingham, hanno una scarsa capacità di coinvolgimento. Ce l'avrebbe, e pure tanta, quello di Campbell che però rovina tutto con una chiusura grossolana dopo aver introdotto degli elementi bizzarri non di poco conto (tipo dei camerieri che vagano in mezzo al bosco a piedi nudi per servire la famiglia senza che si capisca da dove escano fuori).

Ma allora è tutto da dimenticare o comunque da sorvolare nell'antologia? Certo che no, ma non si va lontano dall'inutilità del progetto.
Sono solo due, a mio avviso, i racconti degni di esser ricordati. Il più bello è Immagini Postume scritto dallo sconosciuto inglese Malcolm Edwards che confeziona uno sci-fi originalissimp.
Il lancio di tre bombe nucleari sperimentali sganciate dai sovietici su Londra genera la nascita di una bolla surreale aperta su un muro che sprigiona strane immagini. Si tratta di un portale da cui accedere a una terza dimensione dominata da uno strano calore e da un'intensa luce in cui si avanza come sospesi nel tempo e nello spazio. Solo chi è munito di speciali lenti può sperare di non perdere la vista all'interno della bolla, ma anch'egli deve stare attento a non avvicinarsi troppo al nucleo onde evitare di esser ridotto in cenere.
Intanto l'evento influisce sul contesto ambientale. Il sole non tramonta più mentre migliaia di persone hanno abbandonato la città. Chi è restato ha mantenuto un atteggiamento fatalista perseverando a giocare a carte e a bere al bar, in attesa dell'inevitabile anche perché la bolla diviene sempre più incapace a contenere l'energia che, simile a una detonazione nucleare, avanza al suo interno per straripare sulla città.
Dunque un racconto surreale che riflette il terrore del conflitto nucleare tipico del periodo della guerra fredda. Non a caso si parla di sirene che anticipano il lancio delle bombe, di bunker, di armi nucleari e di conflitti in medio oriente. Edwards tratteggia i contorni di una storia surreale più vicina alla sci-fi che all'horror, che fa della componente visionaria il punto di forza. Purtroppo la trama non è di facile intuizione, viene lasciato al lettore il compito di ricostruire i fatti e ciò potrebbe anche essere un pregio. A mio avviso il racconto è una sorta di disastro rallentato connesso al lancio di una bomba nucleare, dove l'esplosione si materializza dapprima all'interno della bolla e poi, a poco a poco, investe l'esterno a simboleggiare un pericolo imminente che prima o poi scoppierà (per fortuna la storia ha detto altro).

Notevole è anche Elle Est Trois (La Mort) della grande Tanith Lee (a mio avviso la migliore autrice contemporanea di racconti horror). La Lee omaggia indirettamente la saga delle Tre Madri di Argento, in particolare Inferno.
Protagonisti della vicenda sono tre artisti bohemienne parigini: uno pittore, l'altro poeta, il terzo pianista. Sono accomunati dal vivere di stenti e dalla continua ricerca dell'illuminazione che li possa destare dai rispettivi blocchi.
Tutti e tre faranno la conoscenza della Morte che si presenterà loro in distinte vesti: una ladra bambina che cercherà di indurre il pittore a compiere delle acrobazie sui tetti parigini; una macellaia depezzatrice incarnatasi in un'amante respinta e desiderosa di uccidere il pianista (una sorta di Casanova); una seduttrice pronta a possedere la mano dello scrittore per fargli compiere visionari viaggi mentali. Le tre sono figlie rispettivamente di uno stato febbrile, dei fumi dell'alcool e degli effetti dell'oppio, o almeno così potrebbe sembrare. Gli artisti, come lascerà intendere l'autrice, andranno incontro alla morte senza quasi accorgersene poiché hanno osato cercarla.
Il racconto è uno spettacolo di eleganza stilistica, narrato con cura per le scenografie e con personaggi caratterizzati in modo certosino. Tre artisti caratterialmente e fisicamente molto diversi tra loro seppur allo stesso tempo simili per i modi indolenti e il voler stare fuori dagli schemi.
La Lee, come suo solito, tratteggia la storia con massicci contorni onirici e trasforma Parigi in una sorta di Londra vittoriana (nebbia, pioggia, suicidi nella Senna, notti malfamate, ubriaconi). Non mancano spruzzate di splatter in qua e in là. Senza dubbio un grande pezzo che mi sento di omaggiare con le stesse parole dell'autrice: "Lei è tre: Ladra, Macellaia, Seduttrice. Non cercatela. E' intorno a voi, dappertutto, nelle foglie portate dal vento, nella nuvola che oscura la luna, nel dolce sospiro dietro il vostro orecchio, nell'odore della terra, nel fruscio di una manica. Se deve essere vostra, verrà da voi".

Il terzo gradino del podio lo strappa Il DIpinto Murale di Roger Johnson, autore di scarsa fama ma che va sul sicuro con una storia convenzionale esaltata da un'indagine da detective dell'occulto che tiene sulle corde il lettore.
In una Chiesa viene riportato alla luce il dipinto di un santo di cui è difficile reperire informazioni. Il volto raffigurato ha una strana espressione di arroganza e punta l'indice al cielo in segno di scherno. Ai piedi, nascosto sotto il saio, compare l'ombra di una sorta di animale di cui non si vedono le forme. Un prete e il restauratore indagano sull'opera, mentre alcuni avvenimenti strani iniziano a manifestarsi e porteranno all'assurda scomparsa del restauratore letteralmente inglobato dal dipinto.
Dunque un racconto dal sapore classico che è meritevole di menzione più per lo stile accattivante che per il soggetto scopiazzato.

Carini ma nulla più Il Mistral di Jon Wynne-Tyson, che omaggia il cult cinematografico Il Bacio della Pantera riproponendo il tema della c.d. felina mannara, e Out of Africa di David Drake che invece sposta l'azione nel cuore dell'africa proponendo una battuta di caccia ai danni di un mostro sconosciuto assai simile a un Velociraptor (con tanto di unghia ad artiglio).

Risibile il resto, per inidoneo sviluppo di idee potenzialmente interessanti, tra pietre che influenzano i comportamenti umani favorendo l'asocialità (Bradfield), videogame che ripropongono la serie omicida di Jack lo Squartatore (Casper, bella l'idea ma resa male con un serial killer che si allena al computer) e omaggi al cinema horror di un tempo con film proiettati in un cinema che andrà a fuoco unitamente alle versioni inedite (in quanto dotate di misteriose scene aggiuntive) dei film in esso riproposti. (Schow)

Nel complesso si è alle prese con una lettura adatta per i tempi morti sotto l'ombrellone, con diciannove racconti da leggere tra un bagno e l'altro senza temere di essere posseduti dall'angoscia. Le storie sono depauperate da componenti esoterico/trascendentali e giocano quasi tutto sulle componenti mentali o fantascientifiche rivelandosi nella quasi totalità dei fatti inverosimili. Piuttosto che essere ai confini dell'orrore si è infatti sull'altra sponda a ricercarlo con l'utilizzo di un cannocchiale. Orrore all'acqua di rose, con qualche saltuario spunto originale. Evitabile.


Nessun commento:

Posta un commento