Genere: Giallo.
Editore: Dream Book Edizioni.
Pagine: 304.
Prezzo: 15.00 euro.
Commento a cura di Matteo Mancini.
Mi chiamo Matteo Mancini, sono nato a Pisa nel 1981 e abito nell'indipendentista Tirrenia. Sono un grande appassionato di B-Movie (dallo spaghetti western, passando per il "poliziottesco" e proseguendo con thriller e horror). Tra le mie tante passioni le più forti sono la narrativa specie del genere fantastico scuola weird tales e la scrittura. Nella foto mi vedete, al centro, con a dx Antonio Tentori e la "giallista" Cristiana Astori, e alla mia sx Mr.B-Movie Dainelli e Ivo Gazzarrini.
Sono giunto al termine di questa avventura non senza fatiche. I racconti, ventitré (di cui uno di circa 90 pagine), hanno schemi di costruzione ripetitivi. Tante le analogie tra essi, con colpi di scena e/o sviluppi analoghi, che rendono ridonante la lettura per un lotto, in realtà, estremamente omogeneo di livello e di qualità.
Definirei la struttura delle storie “didattica” per chi intenda avventurarsi nella scrittura dei gialli. La costruzione ricorrente è estremamente schematica. Abbiamo un indagatore, spesso accompagnato da un assistente, che si imbatte casualmente in un caso di omicidio e si attiva, anticipando l'intervento delle forze dell'ordine, per risolvere il caso.
Spesso ci si trova al cospetto di delitti di svariata tipologia (di solito furti) che si intrecciano al caso principale di omicidio, tra tentativi di depistaggio e/o inquinamento delle prove così da mandare fuori pista gli indagatori. Talvolta questi ultimi vengono ingaggiati dai malfattori stessi al fine di manipolarli a proprio favore così da avvalersi della loro autorevolezza per conseguirne un vantaggio (ovviamente i propositi malandrini non andranno a buon fine).
Vi sono opere apocrife che si ricollegano a indagatori di creazione letteraria come Sherlock Holmes (racconto scritto addirittura da uno dei figli di Arthur Conan Doyle) o Auguste Dupin. In altri casi vengono invece utilizzati quali protagonisti personaggi storici (Socrate, Cicerone, Leonardo da Vinci e William Shakespeare) o scrittori antesignani del genere (Edgar Allan Poe, Arthur Conan Doyle e Jack London) che mettono al servizio del caso le loro doti intellettive.
La scarsa lunghezza delle singole storie penalizza gli sviluppi che giocano su un unico indizio sparato in mezzo al testo e poi evidenziato all'epilogo, così da consentire la quadratura del tutto con risvolti, quasi sempre, didascalici. Il punto di forza del progetto sta nelle ambientazioni e nella collocazione storica delle varie avventure. Si va dall'antico Egitto all'Inghilterra vittoriana, passando per il medioevo e la Roma antica.
Tra le firme più autorevoli si segnalano, in una lunga sequela di pseudonimi, John Dickson Carr, Edward D. Hoch (presente con due racconti), la tre volte vincitrice del Premio Agatha Barbara Mertz (accreditata Elizabeth Peters, nome noto anche nella collana Gialli Mondadori), Peter Tremayne, John Maddox Roberts (apparso nella collana Urania), l'orientalista olandese Robert van Gulik e altri.
Livello generale molto omogeneo con pochi voli pindarici. Tra i più riusciti, soprattutto per la cura del contesto, brilla Mightier than the Sword (“Più Potente della Spada”) di John Maddox Roberts. Scrittore specializzato nel heroic fantasy alla R.E. Howard e anche nella fantascienza (un paio di pubblicazioni nella serie Urania), che qua viene selezionato per la sua passione per la Roma antica e per i romanzi che hanno per protagonista Decio Cecilio Metello (personaggio nato attorno al 93-91 a.C.), tra cui SPQR. In questo breve racconto di quindici pagine emerge tutta la passione dell'autore per Roma. Il movente e il mistero legato all'identità dell'assassino, per la verità, sono modesti, con una prevedibile soluzione finale che non fornisce effetti a sorpresa, tuttavia piace la cura con cui l'autore tratteggia la vita sociale della Roma del 50 a.c., coinvolgendo nei fatti il procuratore Marco Tullio Cicerone e un'indagine stile CSI ante litteram. Protagonista è un aedile (una sorta di guardia edilizia) che nel corso del suo lavoro finalizzato a verificare la salubrità degli scantinati rinviene nella cantina di una villa il cadavere di un senatore. L'uomo è stato ucciso da un'arma impropria molto sottile. Tra intrighi politici (orditi da sostenitori di Crasso, Pompeo e Giulio Cesare), frenesie per le scommesse (i romani sono qua caratterizzati alla maniera degli inglesi, subito pronti a scommettere su tutto, un po' come nel recente film Il Gladiatore 2) e ambizioni sociali, il giallo si risolve in modo lineare, ma la cosa non guasta grazie al valore aggiunto costituito dalla cura dell'insieme.
Un altro buon racconto è The Case of the Deptford Horror (“Il Caso dell'Orrore di Deptford”), uno Sherlock Holmes apocrifo scritto nientemeno che da Adrian Conan Doyle, figlio minore del ben più celebre Arthur. L'investigatore di Baker Street, accompagnato dal fido Watson, viene ingaggiato per convincere una giovane ragazza a non abbandonare la casa di residenza a seguito della morte dei due precedenti occupanti. Si tratta di una chiamata finalizzata a creare un alibi a favore dello zio della ragazza, vero autore del decesso dei parenti della giovane. Ragni cubani, richiami di uccelli canterini e un epilogo in salsa horror svelano l'arcano delle morti delle precedenti vittime. Carino e diverso dalla media dei racconti dell'antologia.
Piace per il clima cupo e le atmosfere umide e marcescenti He Came With the Rain (“Veniva con la Pioggia”) di Robert van Gulik, dove un giudice ribalta la ricostruzione della polizia e scagiona l'accusato trovando il reale colpevole. Bella gestione della storia, per un racconto che beneficia delle originarie scenografie cinesi, tra paludi e superstizioni locali legate alla presenza degli spiriti delle paludi.
Sul livello dei tre racconti proposti si rivela infine Murder in the Rue Royale di Michael Harrison, scrittore tra i più celebri prosecutori del ciclo di Sherlock Holmes. Qua, tuttavia, per protagonista abbiamo Auguste Dupin, personaggio nato dalla penna di Edgar Allan Poe, chiamato a risolvere un intrigo che rientra nell'ambito degli omicidi delle camere chiuse. Bella la spiegazione dell'articolato meccanismo che induce i testimoni a ricostruire la dinamica di un omicidio ben diversa dalla reale.
Dietro a questi quattro racconti si segnala un'altra mezza dozzina di validi racconti, sovente però non memorabili.
Curioso l'argentiano Father Hugh and the Deadly Scythe (“Padre Hugh e la Falce Mortale”), a firma di Mary Monica Pulver, dove si procede a identificare l'assassino di un contadino, da individuare tra tre sospetti, grazie all'atteggiamento delle mosche che si orientano in massa sull'arma del killer, una falce dove il sangue si è infiltrato nell'impugnatura e per questo attrae gli insetti.
Buoni
momenti sono rintracciabili nel sanguinolento Captain
Nash and the Wroth Inheritance (“Il
Capitano Nash e l'Eredità Wroth”), attraverso il quale Raymond
Butler si propone di portare in scena il primo detective della
storia. Ambientazione inglese, tra quartieri degradati, sedicenti
fattucchieri, bordelli e intrighi legati alla nobiltà inglese. Un
po' troppo lungo e non sempre capace di mantenere la tensione,
sebbene con fiammate interessanti. Con le sue novanta pagine è l'elaborato più lungo.
Affascinante per contesto ambientale e dialoghi è Socrates Solves a Murder (“Socrate Risolve un Omicidio”) di Brèni James, in cui assistiamo a un'indagine condotta nientemeno che da Socrate, qua impegnato a risolvere l'enigma di un bizzarro incidente dietro al quale si cela un'elaborata vendetta a danno di un assassino.
Ruotano sul sabotaggio delle armi The Confession of Brother Athelstan (“La Confessione di Fratello Athelstan”) di Paul Harding e The Golden Nugget Poker Game (“Partita di Poker al Golden Nugget”) di Edward Hoch, dove si assiste a due omicidi agevolati dalla mano di qualcuno dietro le quinte che manovra il tutto per ragioni personali. Nel primo caso ci viene proposto il "classico" del torneo arturiano in cui i cavalieri si sfidano con armature, lance, scudi in sella a cavalli lanciati al galoppo l'uno contro l'altro al fine di contendersi la mano della figlia del signorotto locale. Qualcuno pensa bene di sostituire le lance da esibizione con lance vere provocando la morte di un cavaliere e l'accusa di omicidio in capo all'altro. Fratello Athelstan aiuterà il coroner del re a fare emergere la realtà, scagionando il cavaliere incriminato e gli scudieri dei due sfidanti finiti anch'essi (ingiustamente) accusati per un giro di scommesse e di invidie. Il racconto di Hoch, invece, sposta la narrazione nel nord del Canada, in un paese in cui la legge fatica ad arrivare e in cui i pistoleri e i giocatori di poker professionisti si muovono al seguito dei cercatori d'oro. Qui va in scena una truffa che vede il capo locale delle giubbe rosse collaborare con un baro per estorcere denaro ai malcapitati cacciatori d'oro. Gli uomini vengono indotti a sparare e a credere di aver ucciso l'agente provocatore, finendo così sbattuti in carcere con l'accusa di omicidio. Non sanno però che i proiettili delle loro pistole, debitamente controllate dal capo delle guardie, sono stati depotenziati e che l'uomo che li ha provocati calza una lastra di piombo sotto la camicia. Clima western.
Mancano di cura sul versante storico The Christmas Masque (“Il Ballo di Natale”) di S.S. Rafferty e Murder Lock'd In (“Omicidio con la Porta Chiusa”) di Lillian de la Torre che ben potrebbero traslarsi nella contemporaneità. Rafferty propone una festa da ballo dove finisce per essere assassinata la figlia della padrona di casa. L'intreccio è più curato rispetto alla media dei racconti, grazie a un intrigo di personaggi ognuno dei quali intenzionato a porre fine a una situazione di disagio. Su tale struttura si innesca un omicidio, estraneo alle argomentazioni di partenza (che vertono su un tentativo di estorsione messo in atto contro la padrona di casa). Buona l'indagine dei due indagatori, che verificano lo stato dei luoghi così da escludere l'eventualità che il killer sia qualcuno venuto dall'esterno della villa. Ragiona invece in modo opposto Lillian de la Torre che propone un “finto” enigma della camera chiusa, proponendo un epilogo che non brilla per inventiva e si rifà ad altri trucchi utilizzati dai precedenti racconti (su tutti la storia di Elizabeth Peters). Anche qua vi è un intrigo elaborato con la compresenza di due distinte azioni delittuose messe in atto da soggetti diversi.
Questo il meglio dell'antologia, per il resto non eccezionale nonostante si portino in scena anche personaggi realmente esistiti di grosso prestigio. Il “Maestro” dei gialli delle camere chiuse John Dickson Carr con The Gentleman from Paris (“Il Gentiluomo di Parigi”) scomoda, seppur in incognito e di mero supporto alle indagini, Edgar Allan Poe per venire a capo della scomparsa di un testamento, mentre Joe Gores col suo A Sad and Bloody Hour (“Una Triste Ora di Sangue”) utilizza William Shakespeare per far emergere la verità circa una rissa avvenuta all'interno di una bettola. Entrambi i racconti forniscono il colpo di scena sulle generalità del loro protagonista solo nell'ultima riga del testo. Nel modesto Five Rings in Reno (“Cinque Anelli a Reno”) di Edward Hoch abbiamo persino Arthur Conan Doyle (negli inusuali panni di arbitro di un match di pugilato) e Jack London.
Non sempre gli indagatori lavorano per assicurare alla giustizia gli autori dei delitti. In The Price of Light (“Il Prezzo della Luce”) di Ellis Peters, il monaco Cadfael scopre l'autore del furto di un candelabro donato alla chiesa da un nobile senza scrupoli intenzionato a ripulirsi dai peccati, ma preferisce non denunciarlo. Racconto tra i più elaborati del lotto, colpisce soprattutto per la scelta del protagonista di riconoscere un valore all'azione della presunta autrice del furto. Bello il finale in cui la Chiesa riesce a ottenere un gruzzolo di denaro da destinare ai poveri piuttosto che custodire un candelabro fatto dono per l'intercessione della Madonna.
Arriva la copertura dell'autore del delitto, seppur giustificata da ragioni tutt'altro che etiche, anche in Leonardo da Vinci, Detective (“Leonardo da Vinci, Investigatore”) di Theodore Mathieson, in cui vediamo il celebre Maestro di Vinci ricostruire le modalità d'esecuzione della condotta messa in atto da un misterioso assassino così da svelarne l'identità. La realtà, fin troppo scomoda, porterà Leonardo da Vinci ad ammettere di non esser riuscito a risolvere l'enigma, così da coprire un mistero la cui risoluzione implicherebbe il coinvolgimento del Re di Francia.
The Locket Tomb Mistery (“Il Mistero della Tomba Sigillata”) di Elizabeth Peters è un'indagine a ritroso attraverso la quale il protagonista svela il modus operandi di un tombarolo dell'antico Egitto.
Piuttosto ingenuo per inneschi e semplificazioni è il “fiabesco” Il Ladro Contro il Re Rhampsinitus (di Erodoto), dove va in scena una sfida di intelligenza tra un faraone e il ladro che ha osato sottrargli ricchezze da una cassaforte.
In The High King's Sword (“La Spada dell'Alto Re”) di Peter Tremayne, altra firma di un certo spessore specie per gli appassionati della narrativa del terrore (è presente in diverse raccolte monotematiche a cura di Stephen Jones), l'indagatore viene assunto dall'autore del delitto (nella fattispecie il furto di una spada) al fine di fornirgli indirettamente un alibi così da screditare la vittima (il nuovo Re d'Irlanda) e trarne un vantaggio diretto in un'ottica di scalata al trono. Piuttosto intrigato ed elaborato, ma quadrato all'epilogo.
Sceglie la via del sarcasmo A Byzantine Mystery (“Un Mistero Bizantino”) dove l'indagatore, chiamato a recuperare una reliquia, agisce di furbizia ingannando il committente spacciando un oggetto ricostruito per l'originale ricercato.
The Doomdorf Mysetery (“Il Mistero di Mystery”), di Davisson Post, propone un finto caso di delitto delle camere chiuse, risolto con una soluzione fantastica. Un gruppo di indagatori d'occasione, infatti, risolve l'enigma di un omicidio dopo che due interrogati hanno asserito di essere gli assassini indiretti, seppure con modalità impossibili: una donna è convinta di aver determinato la morte tramite il voodoo; l'altro soggetto è certo che il decesso sia frutto dell'intercessione divina. Non andranno molto lontani dalla reale soluzione. Pressoché identico The Witch's Tale (“Il Racconto della Strega”) di Maragaret Frazer, dove la morte di un uomo molesto viene ricondotta a un'anatema lanciato dalla moglie.
Tanti racconti dunque, ventitré storie, per una lettura non esaltante nel suo complesso, ma onesta. Forse più apprezzabile se letto intervallando i singoli racconti con altre letture. Piacciono le ambientazioni storiche, ma pochi sono i colpi di scena.
Vero e proprio spartiacque nella produzione di Dean R. Koontz (per approfondimenti sulla carriera rinvio a quanto scritto a questo link http://giurista81.blogspot.com/2024/08/recensione-narrativa-spedizione-verso.html), all'epoca già molto attivo (oltre venti romanzi alle spalle), soprattutto nel campo della fantascienza. Con Whispers lo scrittore americano compie il salto di qualità, iniziando a sperimentare quello che diventerà il suo campo di elezione ovvero il thriller violento contaminato dal soprannaturale (in realtà in precedenza già trattato da romanzi quali The Face of Fear, Night Chills e The Vision, da noi proposti con i titoli “Il Volto della Paura”, “Quando Scendono le Tenebre” e “Visioni di Morte”). Il successo è immediato e suggerisce all'autore la via da battere per diventare uno degli autori dark più acquistati negli anni '80 e '90. Sebbene non esente da difetti, Whispers riesce a vendere qualcosa come 20 milioni di copie, un livello precedentemente mai toccato dall'autore. Koontz concepisce il soggetto contravvenendo alle richieste dell'editore. Struttura un thriller fortemente contaminato da altri generi, quali il romance, l'horror, il poliziesco e persino un erotico che sconfina nel pornografico (viste le voci secondo le quali, sotto pseudonimo, Koontz avrebbe scritto una ventina di storie pornografiche, non c'è da sorprendersi). Cinquecento pagine abbondanti che, inizialmente, fanno storcere la bocca all'editore che suggerisce di operare tagli in favore di un ridimensionamento che, tutto sommato, avrebbe fatto bene a una storia assai dispersiva ed eccessivamente prolissa nelle caratterizzazioni (sia ambientali che dei personaggi). Koontz resiste alle pressioni e il pubblico, nonostante tutto, ne premia la caparbietà. Eppure di nuovo c'è davvero poco. Il romanzo, infatti, nasce sulle ceneri del precedente Funhouse (“Il Tunnel dell'Orrore”, qua trovate la mia recensione: http://giurista81.blogspot.com/2024/08/recensione-narrativa-il-tunnel.html) che Koontz, sotto pseudonimo, aveva scritto accettando un'offerta della Universal per il lancio dell'omonimo film diretto da Tobe Hooper. Le due opere hanno un DNA costituito dai medesimi ingredienti, sebbene qua il tutto venga messo al servizio di un prodotto con la struttura di un mainstream narrato con estremo coraggio e una certa predilezione per momenti che oggi definiremmo hardcore (indimenticabile un omicidio brutale e truce preceduto da uno stupro proposto senza filtri). Torna l'idea del serial killer dominato da impulsi sessuali repressi, per effetto del lavoro “mentale” prodotto di una madre castrante e mentalmente instabile (viene un po' in mente la vicenda di Edmund Kemper III). Il cattivo di Koontz è ancora una volta un energumeno muscoloso, a cui piace usare armi bianche e percepire nelle proprie vene la convinzione di avere il controllo sull'altro. Il killer si comporta alla stregua di una bestia sessualmente vorace (le descrizioni degli stupri sono tra le più viscide e brutali che mi sia capitato di leggere) e uccide per portare a termine una delirante sete di vendetta messa in atto per interposta persona (uccide serialmente e continuativamente la madre). Come il villain di Funhouse, il pazzo di turno è convinto di essere un mostro, addirittura il figlio del demonio (riesce difficile immaginarlo quale uomo di successo capace di intrattenere rapporti interpersonali di un certo tipo). In realtà è solo il prodotto di un'infanzia infelice, fatta di soprusi e di un bombardamento psichico che ne ha plasmato una mentalità paranoica e complessata. Torna altresì, quale elemento che funge da spinta allo sviluppo della storia, il movente della vendetta per interposta persona.
Whispers è dunque un ulteriore romanzo in cui, sotto diversa forma, fanno la comparsa i demoni dell'infanzia di Koontz. Lo scrittore rivive, sotto la metafora narrativa, l'inferno di un'infanzia vissuta in una famiglia altamente problematica. È in questo humus che si sviluppa la storia, guardando ai due possibili canali di sbocco del futuro uomo allora bambino: da una parte abbiamo la follia e la perversione quali demoni da cui non si è stati esorcizzati, mentre dall'altra abbiamo la possibilità di sottrarsi all'inferno e di ricostruirsi una vita felice e di successo all'insegna della creatività. La protagonista, infatti, ha avuto un passato non troppo dissimile a quello del villain ma, a differenza di questo, è riuscita a vincere e a diventare una sceneggiatrice di successo. Koontz, in tutta probabilità, si riconosce in questo personaggio femminile e gioca sulle due facce della medaglia plasmate da un'infanzia infelice e problematica. Sembra quasi chiedersi cosa sarebbe successo, nella sua vita, se non fosse riuscito a farcela: sarebbe forse diventato un assassino? Per sua fortuna (e delle eventuali e sventurate vittime) si è limitato a uccidere e a violentare sulla carta...
Da un punto di vista formale, il romanzo è scritto in modo fluido, eppure soffre di cali di ritmo e di una ripetitività che appesantisce la lettura. Koontz si diletta nel cambiare di continuo di registro, alternandosi tra poliziesco (ben scritto), romance (palloso) e horror (ipotetico) salvo poi ritornare sul thriller vero e proprio. Intere parti del romanzo, pur se narrativamente interessanti (bellissima quella della cattura dello spacciatore in preda delle allucinazioni), sono del tutto superflue e inutili, sortendo il solo effetto di allungare il testo. Koontz introduce personaggi irrilevanti rispetto alla trama (il libraio satanista o i testimoni legati alle vicende dello spacciatore, a esempio), uomini e donne che entrano in scena e poi spariscono senza lasciare traccia. Da questo punto di vista, è del tutto superflua tutta la parte in cui il co-protagonista lavora con un poliziotto turbato per il fallimento della propria vita coniugale. Koontz spende pagine e pagine per delineare questo personaggio (gli trova addirittura una compagna), salvo poi toglierlo di scena senza che incida sulla vicenda. La sensazione è che lo scrittore cerchi, per tale via, un realismo che sovente non è presente nei romanzi. In altre parole, non massimizza il tutto in funzione della storia, ma lascia che i vari personaggi vivano come se non sapesse dove la storia lo andrà a condurre. Ne viene fuori un romanzo che somiglia, per certi versi, a un libro game. La storia, a ogni pagina, potrebbe prendere una via diversa rispetto a quella definitiva e pertanto tutti i personaggi sono potenzialmente importanti e presentati accuratamente. È proprio questo l'aspetto più rilevante del testo. Si ha la sensazione che ogni cosa possa decollare, mutare di forma e di punto di vista, andando a ipotizzare persino una direzione fantastica. A un certo punto si suggerisce che in azione vi sia un morto vivente, un qualcosa in stile Michael Myers che torna a funestare la protagonista nonostante sia stato ucciso dalla stessa. Il sopranaturale fa capolino a metà romanzo – come in Funhouse – guardando al satanismo e all'idea di un figlio generato dal demonio. Purtroppo tutto resta infondato e converge verso un epilogo razionale decisamente cinematografico e altamente drammatico tanto che, nel 1990, Douglas Jackson dirigerà un poco fortunato adattamento per il grande schermo.
Ne esce fuori un romanzo che divide, tra chi lo reputa uno dei migliori prodotti dell'autore e chi, come il sottoscritto, ne ravvisa i tanti difetti. Tra questi vi sono, di certo, gli inneschi. Senza fare spoiler e senza parlare dei colpi di scena sulla natura del killer, non si può non evidenziare l'atteggiamento poco realistico della polizia. Eloquente l'interrogatorio che viene condotto ai danni di una vittima di stupro. Koontz sembra voler portare a galla la propria sfiducia verso le istituzioni. La vittima, in luogo dell'accusato, diviene la persona da sottoporre a indagini, col risultato di lasciare campo aperto al vero responsabile del misfatto. Non vi è alcuna sensibilità o empatia verso la persona offesa dal reato. Si accusa una potenziale vittima di stupro di essersi inventata tutto per ragioni di pubblicità e la si lascia, sprovvista protezioni, in balia di un pazzo scatenato che, senza alcun controllo e nel giro di poche ore, torna sulla scena del delitto per terminare il proprio lavoro. Uno sceriffo, chiamato a verificare la presenza a casa dell'uomo indicato quale autore di uno stupro, con leggerezza si limita a fare una mera verifica telefonica fornendo l'alibi all'accusato. Un'altra cosa che lascia perplessi sono i tanti momenti morti, come l'assurda storia d'amore tra una sceneggiatrice/regista di Hollywood e un poliziotto dell'antidroga (colpo di fulmine tra due soggetti molto diversi e difficilmente compatibili nella realtà) che non perde occasione per intrattenere una relazione amorosa con un'indagata di omicidio. Koontz non lesina nel proporre scene di amore anche spinte e pornografiche, persino tra questi due personaggi. Insomma, abbiamo approfondimenti interessanti di matrice psicologica alternati a banalità relative all'atteggiamento dei poliziotti, oltre a una certa insistenza sulle scene sessuali anche quando queste non interessano il folle di turno. Non manca il didascalico “spiegone” finale che, di certo, non fa impazzire. Stephen King resta altra roba, anche se qua, in un certo senso, Koontz anticipa tematiche che lo scrittore del Maine proporrà in modo assai più fantasioso per The Dark Half e Secret Window, Secret Garden.
Spicca infine una critica, non poi tanto velata, verso una facoltosa borghesia che, dietro la facciata di rispettabilità e di riconoscimento sociale, cela un'abietta perversione che arriva a ricomprendere oscenità quali l'incesto e l'omicidio, producendo “mostri” che il potere e il denaro non riusciranno a disinnescare.
Al di là di tutto, resta un romanzo fondamentale per lo studio della carriera di Dean Koontz. In Italia fu proposto con un ritardo di dieci anni rispetto all'uscita americana.
“Poche persone hanno il coraggio di usare il coltello contro un altro essere vivente. Più di ogni altra arma, evidenzia la delicatezza della carne, la terribile fragilità della vita umana; nel momento in cui distrugge, l'assassino vede fin troppo chiaramente la natura della sua stessa mortalità. Una pistola, una dose di veleno, una bomba, un oggetto smussato, una corda possono essere utilizzati in modo relativamente pulito e spesso anche a distanza. Ma l'uomo con il coltello deve essere preparato a sporcarsi e deve essere vicino alla vittima, così vicino da avvertire il calore sprigionato dalle ferite da lui stesso provocate. Ci vuole un certo coraggio, o una certa follia, per squarciare un'altra persona e non provare repulsione di fronte al sangue caldo che scorre sulla propria mano. ”
Possibile realizzare un nuovo Dracula capace di suscitare entusiasmi e attenzioni dopo oltre cento anni di continue riproposizioni, tra cui anche quella in 3D di Dario Argento? La risposta è si e lo si deve a uno dei maggiori talenti nel campo horror degli ultimi venti anni. Robert Eggers torna alle atmosfere del suo magnifico film di esordio, quel The Witch (2015) capace come pochi di regalare inquietudini ancestrali di matrice occulta (qua rappresentate da cerchi magici e da formule arcane), e lo fa guardando da un lato alla pellicola di Murnau e dall'altro al romanzo di Bram Stoker da cui decide di riproporre il personaggio di Van Helsing (ribattezzato Von Franz), il tutto incastonato in scenografie d'epoca (siamo nel 1838) che ben si legano alla sua predilezione per il folk-horror.
Inutile parlare della struttura del film che segue, piuttosto fedelmente, quella del romanzo di Stoker con le varianti introdotte nel 1922 dall'adattamento di Murnau. I fatti si svolgono infatti in Germania (e non nella Londra vittoriana) e ruotano attorno all'idea dell'arrivo di una particolare e aggressiva peste giunta via nave dall'oriente. Lo stesso Conte, che torna a chiamarsi Orlok, ha una caratterizzazione più vicina a Murnau che all'immaginario collettivo destato dal romanticismo di Stoker. Dimenticate il fascino erotico di Christopher Lee o il ringiovanimento e il carisma di Gary Oldman. I modi del Conte Orlok (un irriconoscibile Skarsgaard, già Pennywise nel rifacimento di It) sono autoritari, bruschi, e tutt'altro che empatici, con un timbro di voce asmatico che inquieta e impaurisce persino i personaggi (figurarsi gli spettatori). Orlok è un mostro, non ha il cranio glabro e la schiena arcuata ideata da Murnau e ripresa da Herzog e soprattutto dai vampiri di Tobe Hooper e di Stephen King; è una bestia ultracentenaria, decadente, con piaghe tumorali sulla pelle e i baffetti ripresi dal testo originale di Stoker e di solito mai rappresentati dalle trasposizioni cinematografiche. Non cerca l'amore dell'eroina, bensì lo impone sotto estorsione. Eggers sembra rifarsi un po' al Dracula di Coppola, ma conferisce al suo personaggio e alle location in cui questo si muove (ivi compreso un castello fatiscente, pieno di calcinacci e assai spoglio) una decadenza ai limiti della putrefazione. Lo stesso Ranfield, che qua torna ad avere il ruolo di profeta del male (con tanto di commenti fuori campo che richiamano celebri passi dell'Apocalisse di San Giovanni), incarna la pazzia nella forma della zoofagia proprio come nel testo originario.
Curiosamente vengono meno
la tematica legata alla piaga del vampirismo e tutti gli accorgimenti tra sacro e profano (niente croci). Non ci sono le trasformazioni in vampiro da
parte dei contaminati (sebbene si riproponga la scena dello scoperchiamento della tomba di colei che nel romanzo si chiama Lucy) sostituite da una psicosi simile alla possessione diabolica e soprattutto dall'emergere di una malattia che viene confusa
per i sintomi della peste. In città, infatti, vi sono veri e propri sciami di topi vomitati da una barca giunta dai Carpazi e si vedono scene con tanto di monatti di manzoniana memoria che caricano sui carretti i morenti adagiati sui muri perimetrali delle abitazioni.
Valore aggiunto alla pellicola sono i continui effetti sonori finalizzati a suscitare tensione. Le zone d'ombra, le luci soffuse e un commento sonoro giostrato sui toni bassi rendono questo
adattamento indubbiamente tra i più paurosi mai concepiti, tanto da offrire citazioni persino a Lucio Fulci e al suo Paura nella Città dei Morti Viventi (occhi che lacrimano sangue). In poche
parole, il Nosferatu del 2024 fa paura dall'inizio alla fine ed è un qualcosa che, al giorno d'oggi, non è affatto facile da riscontrare. Eggers dimostra di essere uno
dei pochi maestri del genere del nuovo secolo. Il suo stile
da folk-horror brilla nelle sequenze iniziali con gli zingari (che qua, contrariamente al romanzo, sono avversi al vampiro) e negli scenari di
una Wisborg in cui si allunga l'ombra della mano del vampiro (una sequenza
da antologia che offre l'illusione della sospensione in volo degli spettatori). Eggers non lesina nel giocare con le luci, così da riproporre i continui omaggi al cinema espressionista tedesco, delizia degli horror degli anni trenta con le classiche ombre allungate su muri e sulle tende danzanti.
La componente romantica cara a Stoker viene quasi del tutto cancellata. L'eroina (la Mina di Dracula)
involve al rango di una donna dannata destinata a sacrificarsi per il bene collettivo
(l'epilogo rispecchia quello di Murnau pur amplificando la componente
erotica). C'è un passato peccaminoso alle spalle della giovane (si veda
anche il rapporto sessuale spinto col marito), un qualcosa di perverso e
di sadico che corrompe quell'animo mariano che era, invece, al centro
del romanzo. In altre parole, Mina diventa qualcosa di non troppo
lontano dalla Lucy del romanzo, una sorta di concubina di Satana che
cerca di liberarsi dal maleficio espiando una colpa altrimenti insanabile. Proprio questo è l'aspetto caratterizzante del copione del film, a tratti imparentato persino con i
film di possessione diabolica (L'Esorcista).
Crudo in molte scene, il “nuovo” Nosferatu è un horror dalle atmosfere soffocanti, con fotografia e scenografie fredde e glaciali. Le scenografie, in particolare, sono decadenti. Il castello del Conte è fatiscente, non è impreziosito da tutte quelle fantasmagorie tipiche del Dracula della Hammer. I colori non sono sgargianti, bensì cupi, grigi. Il sangue (e ce n'è parecchio) non è rosso scarlatto, ma nero e marcio, con improvvise esplosioni di violenza montate per far saltare sulle poltroncine gli spettatori.
Tempo di statistiche. Pur essendo sempre stato un cultore di queste cose, non ho mai fatto un articolo a tema. Vediamo allora come si è mosso il blog nel 2024. 62 nuovi post per un totale di 554 post, di cui 441 dedicati a recensioni. 28.400 accessi circa nel 2024, con punta di 508 registrata il 13 luglio. 4.642 sono stati gli accessi avvenuti a giugno come apice stagionale, contro i 6.447 di maggio 2023, col minimo di 1.114 registrato a gennaio 2024. Andiamo a vedere la top 50 dei contenuti più letti. Da rilevare una ventina di articoli evergreen capaci di resistere al tempo e di far meglio di molte recensioni di libri letti di recente.
Grimoria, AA.VV, 202 visualizzazioni
Esecranda V.9, AA.VV, 170
Demoni, Uomini, Dei, di Lord Dunsany (recensione 2018), 153
Racconti d'Incubo (Newton & Compton), 150
Il Re Giallo, di Chambers, 149
Paura nella città dei Rabbiosi, di Falanga, 139
La Dolce mano della Rosa Bianca (recensione corto 2011) regia Melini, 126
Presentazione racconti della Stagione 2024 di Matteo Mancini, 122
La Stirpe della Tomba, AA.VV, 109
Il Mio Nome è Che Guevara, di Torreguitart (recensione 2013), 107
Decamerovirus, AA.VV a cura di De Turris, 106
Il Pendolo di Foucault, Umberto Eco (recensione 2013), 105
Black Lord, di Hinckley, 102
Predatori dell'Abisso, di Torello, 100
Il Maniero di Sangue, di Fausto Marchi, 98
Ossessioni, di Vernon Lee, 97
La Bambola, di Grasselli, 96
Il Monaco, di Matthew Lewis (recensione del 2014), 95
Norton Vyse – Indagatore Psichico, di De Crespigny,, 93
Ancora Vivi, AA.VV a cura di Lattanzio & Valsecchi, 92
Lo Strano Caso del Dottor Jekyll & Mister Hyde, di Stevenson (recensione del 2018), 91
Con lo Sguardo alle Stelle, di Bellomi, 90
Un Castello nei Carpazi, di Maurizio Bianciotto, 90
L'Ultima Rivelazione di Gla'aki, di Ramsey Campbell (recensione del 2019), 90
La Carezza della Paura, di Charles L.Grant, 89
Horror Academy V.2,, AA.VV a cura di Alessandro Manzetti, 88
I Viaggi di Gulliver, di Jonathan Swift (recensione del 2017), 87
I Campioni dell'Inferno, di Andrea Gualchierotti, 84
La Piramide di Fuoco, di Machen (recensione del 2018), 84
4 Dopo Mezzanotte, di Stephen King, 83
La Notte del Demonio, di Straczynski, 83
Per qualche dollaro in più (recensione film del 2011), 83
Gomoria, di De Medici (recensione del 2021), 81
Racconti Grotteschi, Macabri e Orribili, di Lewis (recensione del 2012), 80
Tigre Blu, di Alessandro Girola, 78
Il Club Dumas, di Perez-Reverte (recensione del 2018), 77
Laggiù nell'Abisso, di Huysmans (recensione del 2015),77
Sulle Orme di Alhazred, di Calabrese, 75
Abissi del Tempo e dello Spazio, di Berneschi, 74
Cabal, di Clive Barker, 73
Animali Notturni, di Andrea Cattaneo, 72
Incubo sul mar Nero, di Maurizio Bianciotto, 72
Matteo Mancini, Scrittore a 360 Gradi (articolo del 2019), 71
Invasione, di Massimo Gardella, 70
Spedizione verso il niente, di Koontz, 68
Il Fu Mattia Pascal, di Pirandello (recensione del 2018), 68
Cose Preziose, di Stephen King (recensione del 2017), 68
I Canti di un Sognatore Morto, di Ligotti (recensione del 2017), 68
Incubi e Deliri (recensione del 2013), di Stephen King, 68
La Casa Stregata di Fulham Road, di Jean Ray (recensione del 2016), 67
Magniverne, di Maurizio Cometto, 66
Ennesima antologia che viene analizzata su queste pagine. Come è facilmente intuibile, amo questa tipologia di volumi, sebbene non sempre – come in questo caso – ne esca impressionato. Shivers, uscita negli States col titolo Shivers VIII, è una raccolta di ventitré racconti (ventisette nella versione originale) selezionati nel 2018 da Richard Chizmar, coautore di Stephen King di una serie di romanzi facenti parte della mini-saga Gwendy, e acclamato antologista d'oltreoceano nel campo del fantastico e del terrore. L'antologia fa parte di un progetto avviato nel 2002 che è finito sotto la luce dei riflettori ai Bram Stoker Awards, avendo ottenuto due nomination per la migliore antologia dell'anno nel 2002 (Shivers) e nel 2004 (Shivers III) senza poi riuscire a ripetersi e subendo il lavoro di altri colleghi di Chizmar (Ellen Datlow, su tutti).
La Cut-Up decide di importare l'ottava edizione, quando forse sarebbe stato opportuno valutare la possibilità di realizzare un the best of della serie (sempre se fosse stato possibile acquisire i diritti dei singoli racconti, soluzione certamente più complicata e onerosa), per la sola presenza di un inedito di Stephen King. Il volume infatti si apre con Squad D, una riscoperta risalente alla fine degli anni '70 mai finita in nessuna altra antologia. La scelta è dunque puramente commerciale e non c'è – almeno sulla carta – da dare torno all'editore visto che il solo nome di King dovrebbe garantire il successo di un libro. I completisti del Maestro del Maine infatti dovranno per forza comprare questo volume per poter leggere il racconto, dal momento che lo stesso non è stato incluso neppure nella recente You Like It Darker (2024). Ecco che Shivers ripercorre il cammino della precedente antologia Shining in The Dark (http://giurista81.blogspot.com/2023/12/recensione-narrativa-shining-in-dark.html), edita l'anno prima dalle Independent Legions sempre con un racconto di King ripescato dal passato.
Dunque
un bel biglietto di presentazione, col nome STEPHEN KING che
campeggia in alto in copertina. A differenza però di Shining
in the Dark i
nomi degli altri scrittori alimentano subito nei lettori medi la sensazione di trovarsi
su un livello inferiore. Certo, ci sono nomi importanti, quali
Richard C. Matheson, Laird Barron, il saggista Bev Vincent (Stephen
King – La Guida Definitiva al Re),
Jack Ketchum, la vecchia conoscenza “Urania” David Gerrold (qua
la nostra recensione di un suo vecchio romanzo
http://giurista81.blogspot.com/2017/03/recensioni-narrativa-superbestia-di.html),
Bentley Little (vincitore del Bram
Stoker Awards
nel 1990 e definito “un
discepolo di King”)
e molti altri scrittori non conosciutissimi in Italia ma
pluripremiati negli States.
Molte aspettative comunque, purtroppo disattese nel complesso e anche dai singoli racconti. Non ci sono dei capolavori all'interno di questa raccolta, bensì un livello sufficiente, senza capacità di modificare la storia del genere. L'orrore selezionato da Chizmar è un orrore che tende ad ancorarsi al quotidiano, tanto che in diverse storie compare nelle ultime pagine apparendo persino superfluo e fuori luogo, inserito giusto per trasformare nel genere fantastico un racconto che in realtà verte sul dramma sociale e che si sarebbe potuto mantenere tranquillamente in quel contesto (Alan Peter Ryan, Adam-Troy Castro, Darrell Speegle, Bruce McAllister, Kealan P. Burke, Bentley Little, Jack Dann e Laird Barron). Dimenticate pertanto il weird, ma anche l'extreme horror. Chizmar si assesta sul mainstream horror, ma lo fa selezionando racconti che non hanno la forza di imporsi nel lungo periodo. Certo, ci sono storie più riuscite di altre, ma se pensiamo che un racconto come Squad D, di fatto non considerato neppure dal suo autore che non l'ha mai preso in considerazione per raccoglierlo nelle sue antologie, brilla tra i migliori del lotto, si può già ben intuire come il volume, forse, non sia poi così riuscito. È pur vero che il livello non scende mai sotto l'indecenza, nonostante una traduzione che non convince del tutto, ma quando si vedono certi nomi non si può che confidare in un volume capace di fare la differenza se raffrontato con raccolte di fan, dilettanti o appassionati che – vi assicuro – non sono peggiori di questa (in altre parole, a mio modesto avviso, gli sono superiori).
A tenere a livello di guardia il tutto ci sono, oltre King, Richard C. Matheson, Daniel Braum (che non ha neppure una pagina wikipedia), Darrell Speegle (anche per lui nessuna pagina wikipedia) e in parte Ray Garton. Naufragano invece "luminari" del calibro di Laird Barron, Jack Ketchum e David Gerrold con storie confuse, frettolose o comunque non lineari nella struttura o deformanti nella caraterizzazione dei personaggi. Gli altri testi sono, per lo più, racconti drammatici (alcuni anche validi) o riproposizioni di soggetti triti e ritriti tra zombie, fantasmi, vampiri, baubau e soprammobili maledetti. Insomma, deludente. Vediamo ora la recensione nel dettaglio.
LA RECENSIONE DETTAGLIATA
Ventitré racconti non sono certo pochi, eppure nessuno può considerarsi un vero e proprio capolavoro. L'opinione, peraltro, sembra condivisa da molti lettori (controllate pure su godreads). Manca, o comunque non la si ricerca, la volontà di essere originali o comunque di provare a meravigliare il lettore.
Salvo giusto una mezza dozzina di racconti (non che gli altri siano ciofeche), alcuni dei quali – a mio modo di vedere – rovinati da finali posticci forzati per rendere horror o fantastiche storie che in realtà sono drammatiche. Il racconto più interessante, probabilmente, è quello di Richard C. Matheson, nome che non ha bisogno di presentazioni (non solo per essere l'erede di una delle più importanti firme dell'orrore della seconda metà del novecento). Il suo Transfiguration (Trasfigurazione) è un contorto delirio di un camionista serial killer che si è convinto di essere un angelo e se ne va in giro a seppellire cadaveri lungo le strade ghiacciate dell'Alaska, finché non si rende conto della sua reale natura. Domina il contesto scenografico e vi sono molti momenti affascinanti tra ghiacci che si sciolgono e strade che franano nell'oceano. Tuttavia, come la maggior parte delle storie di Shivers, è una storia drammatica mascherata da horror.
Un altro racconto che gioca con le location è il thriller soprannaturale Above the Buried City (Sopra la Città Sepolta) di Daniel Braum, che mi ha un po' ricordato (pur essendo inferiore) Lo Scorticato di Max Dave (autore Carlo Belli) della serie anni '60 I Racconti di Dracula. Gli ingredienti sono pressoché gli stessi. Un ladro di reperti maya finisce in arresto e muore misteriosamente in carcere. Si tratta però di una morte apparente, poiché il cadavere sparisce e ricompare in un museo dove viene immortalato dalle telecamere di sicurezza. Seguito fino in Messico da un poliziotto statunitense, il ladro si rifugia nel cuore della giungla Messicana ai piedi di una piramide Maya. Finale all'insegna dell'ossessione per uno dei pochi racconti soprannaturali dell'antologia. Daniel Braum si rivela, pertanto, una delle sorprese del gruppo.
Squad D (Squadra D) di Stephen King sceglie la via della metafora fantastica per perseverare sul versante drammatico, seppur amalgamando il tutto a mestiere ed evitando finali posticci. Una foto di una squadra di giovani militari americani periti in una medesima azione in Vietnam subisce, a distanza di anni, un'inattesa modifica: tra i nove militari compare d'un tratto un decimo ragazzo. Il padre di uno dei militari deceduti decide di contattare l'autore dello scatto: l'unico giovane superstite della missione. Scopre così che il poveretto non ha retto allo stress e, colmo di sensi di colpa, si è suicidato il giorno prima della strana comparsa nella foto. Il decimo ragazzo che si vede è proprio il giovane che si è appena suicidato. Racconto quadrato, di certo tra i migliori dell'antologia.
Molto interessante, seppur estremamente allusivo, è Open Wound (Ferita Aperta) di Darrell Speegle. Testo volutamente confusionario, che riprende lo stato di alterazione psichica del protagonista, un uomo con una lunga cicatrice in faccia che non riesce a ricordare il passato. Il lettore intuisce tra le righe. Una setta, dedita al sadismo, muove i fili dietro le quinte e induce i suoi adepti a comportamenti estremi. Epilogo al cardiopalma, tra azione e follia. Discreto, ma più thriller/action che horror pur se impreziosito da qualche omaggio barkeriano.
Sulla stessa lunghezza d'onda si muove, l'ancora più tragico, The Hour in Between (L'Ora in Mezzo) di Castro, in cui va in scena un uxoricidio seguito dal suicidio dell'assassino. Storia triste, che trasuda depressione da ogni poro. La drammaticità accompagna l'intera minuziosa narrazione dei fatti e dei preparativi al suicidio salvo, nell'ultima pagina, prendere toni beffardi e ironici, con gli stanchi usi coniugali che si ripropongono post-mortem. I due racconti sembrano, in altre parole, adattati al formato horror senza essere nati con tale proposito. Sono racconti drammatici che cercano un colpo finale, a mio avviso, fuori luogo e di cattivo gusto, con vizi e abitudini della vita che si rinnovano post mortem. Allo stesso modo ha lavorato il prolifico Jack Dann (è un vincitore di Nebula Award) con The Carbon Dreamer (Il Sognatore di Carbonio), forse la storia più elaborata dell'antologia (30 pagine) che, per gradi e con una lavoro di ricostruzione da parte della ragione, riporta a galla, per mano del protagonista, lo stupro rigettato dall'Io cosciente e perpetrato dallo stesso protagonista, cioè un vecchio insegnate di musica invaghito di una ragazzina sua allieva. Anche qua il finale rovina un testo onirico molto ben gestito.
Si
perde per strada Autophagy
(Autofagia)
di Ray Garton che parte alla grande ma si rivela inconcludente.
Ambientazione distopica che rievoca la parte centrale del romanzo
1984
di
George Orwell, in un futuro in cui l'aborto e gli amori clandestini
sono considerati reato. Due amanti decidono di sfidare le norme, ma
qualcosa di allarmante mina le loro esistenze. Nel defecare
estromettano esseri misteriosi che si radunano nei muri in attesa di
qualcosa... Racconto metaforico, in parte folle, eppure ben costruito, che lascia un po' con
l'amaro in bocca al suo epilogo. La sensazione è che Garton lo abbia
reso troppo criptico. A cavallo tra sci-fi e horror, con qualche
eco de I
Ratti nel Muro di
Lovecraft.
Questo, a mio avviso, il meglio. Per il resto ci si assesta su prove che, nei casi migliori, non aggiungono niente, ma riescono a intrattenere. È il caso di The Blue Cat (Il Gatto Blu), classico racconto che propone un soprammobile (felino) maledetto in grado di animarsi e di uccidere i gatti della padrona di casa. Niente di nuovo al fronte, ma ben gestito. Carino il finale. Lo stesso lo possiamo dire di The Dungeon of Count Verlock di Norman Prentiss che prova a riscrivere le coordinate di Dracula. Un racconto che riprende sia l'eccitazione del vampiro nel vedere che la sua ospite (qua una ragazza) è ferita sia la sua promessa di dare sollievo intervenendo direttamente sulle ferite, ma anche i richiami sessuali di cui è vittima Lucy (la dama a cui Mina Harker faceva compagnia) e l'idea che il vampiro debba essere invitato a entrare nelle abitazioni (qua si ribalta il concetto con la protagonista che chiede di poter esser ricevuta). Una costruzione interessante, cadenzata da illusioni ottiche e da una tensione montante che scema in un finale che strizza l'occhiolino al cosiddetto women in prison, con la protagonista che passa da una prigione protettiva impostale dal fidanzato a una prigione imposta dall'amante (il vampiro). L'arrivo della polizia infine distrugge il climax. Tra alti e bassi.
Gode di una buona costruzione il deprimente Hoarder (Accumulatore) di Kealan P. Burke, che propone due personaggi perdenti (un'accumulatrice seriale e un rappresentante di detersivi) che dialogano all'interno di un appartamento sommerso dall'immondizia. Finale horror, dal retrogusto metaforico, posticcio. Abile gestione dei dialoghi, ma soggetto debole. Altresì debole e inflazionato è il soggetto di The Shrieking Woman (La Donna Urlante) di Bev Vincent, incentrato sul tema dei manicomi e sui relativi sotterranei dove persistono a muoversi i fantasmi dei ricoverati deceduti. Buona atmosfera, nulla più.
Always and Forever (Sempre e per Sempre) è una storia di zombie, scritta nella forma di un diario, che Greg Kishbaugh scandisce con buon piglio fino all'epilogo. Prevedibile nello sviluppo, non riesce a proporre niente di innovativo. Coinvolge nella lettura, ma è modesto. Così come non spicca Mama's Sleeping (La Mamma sta Dormendo) di Briam James Freeman, ben narrato ma anche qua con tentativi di colpi di coda già visti (penso a un racconto dell'amico Carmine Cantile o a Il Problema di Darla di Kristofer Rufty). Il tema è ancora il sotto filone zombie intrecciato a quello dell'amore. Se nel caso di Kishbaugh il punto di vista è quello del sopravvissuto (che prova a recuperare lo zombie e gestirlo come un uomo), nel caso di Freeman è quello del morto vivente che si desta per salvare la figlia da un tentativo di stupro.
Il livello cala ancora con racconti incentrati sui ragazzini. In Dearly Beloved (Miei Cari) di Bruce McAllister, si propone il crudele assassinio di una ragazzina provocato in un campo solare da un gruppo di bambini asociali intenti a scavare tunnell nella sabbia. Epilogo grandguignolesco senza grandi colpi di coda. Disagi infantili al centro del più fantastico A House for the we Ones (Una Casa per i più Piccoli), una storia di contrasti familiari sull'incapacità degli adulti (a differenza dei bimbi) di vedere oltre la quotidianità, tra amici immaginari ed effettive creature che vivono in una realtà ulteriore alla nostra.
Ancora ragazzini protagonisti nel modesto, ma ben scritto, Ms Wysle and Licorice Man (La Signorina Wysle e L'Uomo Liquirizia) di Shane Nelson, che punisce il conservatorismo istruttivo rappresentato da una Maestra old style che non intende riconoscere come festa i festeggiamenti di Halloween e che, per questo, pratica un regime educativo retto sulla punizione a carico dei bimbi “ribelli”. Una buona costruzione rovinata da un finale strampalato e tirato via, in cui la fantasia di un ragazzino si materializza nella forma di un ragno antropomorfo personificazione della festa di Halloween.
The Chair (La Sedia) di Bentley Little è la storia di un'ossessione che un ex cacciatore prova per una sedia rinvenuta in uno spiazzo nel bosco. Storia psicanalitica di matrice freudiana che è costantemente sul punto di decollare, ma non lo fa mai. Decolla invece Eyes Like Poisoned Wells (Occhi come Pozzi Avvelenati) di Ian Rogers che propone una prima parte noir molto interessante che involve nell'inverosimile fracassone. Un detective privato, che odia accettare incarichi al servizio di mariti gelosi, finisce nelle grinfie del coniuge di un'ex cliente. Quest'ultimo, intenzionato a vendicarsi, innesca una modalità a dir poco folle e ingiustificata rispetto allo spunto iniziale. In altre parole ricorre ai servigi di una creatura uscita da un'altra dimensione. Simile, per la presenza di uno strano mostro licantropico di natura femminile, è Spice (Come una Spezia) di David Gerrold, di nuovo incentrato su un corpo a corpo tra uomo e mostro. Cambia il punto di vista che passa da quello umano a quello del mostro.
Lucien's Tale (Il Racconto di Lucien) di David Niall Wilson propone l'attività di un restauratore di vecchi libri dedito a usare la pelle dei topi per riparare copertine, finché non pensa di ricorrere alla pelle di qualcosa di più grande.
Delude Laird Barron con il frammentato Gamma, una storia dai risvolti apocalittici costruita su un soggetto deflagrato che salta di palo in frasca per ricollegare il tutto nel finale. Irritante.
Anche Jack Ketchum delude con un raccontino ironico di una pagina: Gorilla in my Room (C'è un Gorilla nella mia Stanza).
CONCLUSIONI
E' una delusione, inutile girarci intorno. Non ci sono molti racconti non meritevoli di essere letti, tuttavia è anche vero che non ci sono grandi opere. Spuntato, si mantiene su livelli generali accettabili, ma ci si diverte poco e si ragiona anche meno. Come canterebbero Morandi, Tozzi e Ruggeri: si può fare di più.