domenica 22 giugno 2025

Recensioni Cinematografiche: 28 ANNI DOPO (2025) di Danny Boyle.

Produzione: Danny Boyle, Alex Garland, Andrew MacDonald, Peter Rice e Bernie Bellew.
Sceneggiatura: Alex Garland.
Regia: Danny Boyle.
Montaggio: Jon Harris.
Fotografia: Anthony Dod Mantle.
Colonna Sonora: Young Fathers.

Interpreti Principali: Alfie Williams, Jodie Comer, Aaron Taylor-Johnson, Ralph Fiennes, Edvin Ryding...
Durata: 115 min.

Commento Matteo Mancini.

Dopo oltre venti anni dal rivoluzionario 28 Giorni Dopo, il survival che riscriveva le coordinate del cinema zombi (che poi zombie non erano) guardando a Incubo sulla Città Contaminata (1980) di Umberto Lenzi e a La Città Verrà Distrutta all'Alba (1973) di George A. Romero, si concretizza l'atteso ritorno di Danny Boyle all'horror.

Il regista inglese (ricordiamo premio oscar quale migliore regista nel 2009 con The Millionaire), coadiuvato da Alex Garland (a riformare l'alchimia che aveva esaltato il pubblico di amanti del genere a inizio secolo), sposta l'attenzione dagli infetti agli umani. 28 Anni Dopo è un film di formazione, nonché di ristrutturazione della società "civile" (debole in questo senso) retta da un ideale "razzista" del tutto privato del senso di umanità. Un po' come i redneck de La Notte dei Morti Viventi (1968), i "normali" si divertono a fare il tiro al bersaglio sugli infetti, utilizzando le battute di caccia quali veri e propri rituali di passaggio dall'infanzia all'età adulta.

Il film, potentissimo sul piano visivo e della messa in scena, non convince nella struttura e negli snodi della storia. Garland si porta dietro l'esperienza del più riuscito Civil War (2024) e ripropone una sorta di point to point, che tende a ricadere su sé stesso dopo una prima parte di film funzionale a innescare in egual modo la seconda (elemento focale la visione del falò). Garland fatica a decidere la via da prendere. Non c'è una vera e propria quadratura.  Alla fine si opta per una filosofia esistenziale legata alla contrapposizione tra morte e amore, avendo come elemento di rottura la malattia (sia che sia il morbo o un cancro). Il passaggio all'età adulta va di pari passo con la presa di coscienza che quanti amiamo, a poco a poco, ci lasceranno e che, nonostante questo, si deve andare avanti in cerca dell'amore. Gli sviluppi della trama sono poco verosimili, con tanti momenti proposti in modo frettoloso. Non è verosimile che in un villaggio circondato da protezioni e guardie (un po' come ne La Terra dei Morti Viventi) in ventotto anni non si sia formato neppure un dottore, così come non tiene la “folle” scelta del ragazzino – che ha ben visto cosa lo attenderà - di avventurarsi in una missione suicida e alla fine della fiera del tutto inutile fin dalla partenza, oltretutto portandosi dietro una madre allucinata dalla malattia e che alterna momenti di lucidità ad altri di pura follia (a partire dalla scelta che prenderà a termine del viaggio, assistita da un dottore pazzo). Che dire poi dei soldati svedesi che, pur essendo super tecnologici (visto che nel resto del mondo il morbo non ha attecchito), pensano bene di vagare nella brughiera venendo – a differenza dei due improvvisati – falcidiati dagli infetti? Queste le incongruenze più evidenti, ma ce ne sono altre. A esempio, non si capisce perché in ventotto anni nessuno (anche degli altri Stati) abbia provato a eliminare gli infetti, né come questi abbiano mantenuto l'istinto di riprodursi (forse sarebbe stato opportuno caratterizzarli meglio, intavolare un discorso sociologico di gruppo e di evoluzione della specie). Altro momento che lascia perplessi (pur se di valenza metaforica) è la scena della nascita della bambina, con la madre del protagonista che pur mordendo il cordone ombelicale non contrae il virus, quando invece bastava una goccia di sangue per trasformarsi in mostro. Troppe, troppe, incongruenze per un film che ambisce a diventare il pilota di una trilogia e a proporsi quale punto di riferimento per il futuro. Non mancano poi i vuoti narrativi. Si veda la sequenza del tipo appeso: chi l'ha conciato in quel modo? In egual modo nulla più viene detto - se non alla fine - del padre del ragazzo, del tutto tagliato via dal film una volta che il figlio si è dato alla ricerca del medico.

Boyle riduce i costi di produzione, girando il tutto in piena brughiera, con largo uso di droni, anche nelle inquadrature dal basso, spesso lanciati in senso opposto rispetto agli attori che fuggono, così da aumentare il senso adrenalinico delle scene d'azione. Le scenografie sono esaltate dalla regia e dall'eccellente fotografia (pittorica la sequenza in notturna di rientro sulla strada semi-ingoiata dalle acque) del premio oscar Anthony Dod Mantle (anche lui per The Millionaire). Il montaggio, serratissimo, cerca la via psichedelica alla Natural Born Killers alternando, sotto l'effetto di una musica estraniante particolarmente azzeccata, gli avvenimenti del film con immagini di repertorio che propongono scontri medievali e marce di ragazzini inglesi nelle guerre mondiali del novecento. Una scelta quest'ultima che potrebbe voler alludere alla sete dell'uomo di uccidere i propri simili, pressoché identica, pur cambiandone le modalità di esecuzione, fin dalle origini.

Altissima la componente splatter, tra vomiti di sangue, crani strappati dalle colonne vertebrali, animali sbranati e teste che scoppiano. Finale, versione Splatters di Peter Jackson, lanciato in vista di un imminente sequel che chiude il prologo con cui era iniziato il film: della serie dal "ninja di Dio" di Splatters al ninja di Satana.

La sensazione è che Boyle, assai in forma sul set e talentuoso sotto un profilo tecnico, abbia sprecato una bella occasione, perdendosi insieme a Garland in uno script incerto, che sembra voler criticare le scelte politiche inglesi (Brexit) senza avere la forza di esplicitare certi concetti, celando il tutto dietro a un film di formazione poi non così geniale nel tracciare la maturazione del giovane adolescente.

Notevole Ralph Fiennes, così come il suo monumento alla morte (anche se non si capisce come faccia a stare in piedi). Gustoso l'omaggio a Cillian Murphy, celebre protagonista di 28 Giorni Dopo, proposto in forma infettata sebbene in versione "tale e quale" (l'attore che incarna l'infetto non è il celebre attore, ma una comparsa truccata ad arte). Ordinari gli altri attori, tra cui piace Jodie Comer e un Aaron Taylor-Johnson modalità Christian Bale.

Capolavoro da un punto di vista visivo, lascia a desiderare nella cura dello sviluppo della storia

Danny Boyle e Alex Garland.

 

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