domenica 15 giugno 2025

Recensione Narrativa: PARASITE PLANET di Stanley G. Weinbaum

Autore: Stanley Grauman Weinbaum.
Titolo Originale: Parasite Planet.
Anno: 1935.
Genere: Fantascienza / Avventura.
Editore: Black Dog (2021).
Pagine: 128.
Prezzo: 14.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 

Piccolo assaggio della narrativa fantascientifica di Stanley G. Weinbaum, meteora lucente dell'era d'oro dei Pulp Magazine. Nato nel 1902 negli States all'epoca dei vari Robert E. Howard e Howard P. Lovecraft, ha condiviso con gli stessi la prematura morte, oltre che l'apprezzamento di colleghi contemporanei (Lovecraft apprezzò il suo sforzo nel creare nuove forme di alieni) e successivi (Asimov rivelerà di essere un “adoratore di Weinbaum”) fino a diventare un modello di riferimento.

Scomparso all'età di trentatré anni per effetto di un tumore aggressivo ai polmoni, probabilmente sottovalutato e inizialmente ricondotto a una tonsillite e poi a una polmonite, Weinbaum, in appena un anno di attività (era ingegnere chimico), è riuscito a scalare le vette della fantascienza rivoluzionandone l'approccio e qualificandosi quale pioniere della narrativa esplorativa. La vita aliena, liberata dai tratti umani, irrompe con forme, caratteristiche e istinti totalmente diversi da quelli a cui era abituati i lettori del genere. Weinbaum si sforza di creare mondi nuovi che, tuttavia, si poggiano su realtà conosciute dall'uomo salvo poi intervenire per dare campo alla fantasia e riempire gli spazi vuoti dovuti a una conoscenza scientifica da affinare. I suoi racconti sono ambientati sui pianeti della Via Lattea, con un piglio scientifico che guarda tanto alla biologia (animale e vegetale) quanto alla geologia e all'astronomia. Ecco allora entrare in gioco le conformazioni dei pianeti, il clima, il modo in cui il pianeta ruota o si muove nello spazio e le conseguenze che ne derivano, le lotte (alla Antonio Ligabue) tra le varie specie viventi. Da Marte a Titano (satellite di Saturno), passando per Urano e Venere, ogni pianeta è buono per mettere in scena un racconto all'insegna dell'avventura in stile Edgar R. Burroughs. Ed è proprio alla “stella del mattino” che è dedicato l'opuscoletto, 18x11 cm per 126 pagine, pubblicato dalla Black Dog nel 2021. Un dittico, già apparso in altri volumi italiani, facente parte del ciclo “Ham” Hammond e Patricia Burlingame, da cui viene escluso The Planet of Doubt (“Il Pianeta del Dubbio”, 1935).

I due racconti proposti dalla Black Dog si incentrano sulle avventure venusiane della coppia, formando quello che potrebbe essere considerato un piccolo romanzo (i due racconti devono essere letti in ordine). Il dittico si apre con Parasite Planet (“Il Pianeta dei Parassiti”), uscito nel 1935 su Astounding SF, che si presenta quale via di mezzo tra un point to point infarcito di insidie di ogni tipo (ambientali, geologiche, animali e vegetali) e un saggio fantascientifico sul pianeta Venere. In modo leggero ma al tempo stesso approfondito, Weinbaum presenta al lettore, da ogni punto di vista, i misteri del pianeta, la sua fauna e la sua flora, rappresentandolo come una “desertica giungla” dove la morte può arrivare all'improvviso. Eruzioni fangose che destabilizzano il terreno, esseri che anticipano il blob poi portato al successo negli anni cinquanta dal cinema, alberi carnivori, creature bipedi che ricordano scimmie che vivono al buio, vegetali parlanti, muffe che aggrediscono le ferite portando a morte pressoché immediata, insetti eccetera. Va in scena la lotta per la sopravvivenza, in mezzo alla quale si trovano coinvolti i due protagonisti: un commerciante americano, a caccia di prodotti che sulla Terra vengono ricercati per quella che oggi definiremmo la chirurgia estetica (interessante riflessione dell'autore sulla questione e su come tali pratiche non evitino la morte), e un'antipatica biologa inglese che studia e campiona le creature viventi del pianeta. Weinbaum non lesina ironia. I suoi due protagonisti discutono, bisticciano stile Riamondo Vianello e Sandra Mondaini, tirando in ballo le nazioni di provenienza, in una sorta di rappresentazione del colonialismo visto dalla prospettiva dei due distinti stati. Presente il piglio cavalleresco, che pone l'uomo in veste di protettore e di paladino a difesa della donna (testarda e cocciuta).

 
Copertina d'epoca.
 

Parasite Planet sceglie la via dell'azione, con una marcia in ambiente ostile necessaria ai proagonisti per raggiungere un punto in cui resistere all'imminente avanzare dell'estate e alle tempeste che flagellano il torrido pianeta. È il racconto della luce che si contrappone a The Lotus Eaters (“I Mangiatori di Loto”), interamente ambientato nelle tenebre. Weinbaum infatti propone le due facce del pianeta. Da una parte quella sotto la sguardo del sole, dall'altra quella su cui l'astro non si affaccia mai. Se da una parte l'acqua e le piogge evaporano creando una fortissima umidità, dall'altra regna il ghiaccio, con catene montuose che arrivano a sfiorare i 40.000 metri (avete capito bene). Un clima quest'ultimo che riduce (ma non elimina) la vita, togliendo di mezzo insetti, muffe e altre creature ostili. Se Parasite Planet lo potremmo definire un racconto che usa il veicolo del racconto di genere per fare fantascienza sul versante della vita extraterrestre, trattata come si sarebbe potuto fare in un documentario di Piero Angela, The Lotus Eaters prende la via dei grandi dilemmi esistenziali. Attraverso delle creature indigene che vivono nelle grotte (una sorta di calcolatori vegetali) e che dimostrano di adattarsi al linguaggio umano (nel primo racconto c'è persino un accenno a quello che farà Tolkien in Lord of the Rings) oltre che di vivere tra loro quale unico grande organismo interconnesso (King utilizzerà la cosa per gli zombie di Cell), affronta profili di matrice filosofica, arrivando a sposare la teoria del caos. Non c'è nessun Dio, non c'è nessun disegno. “La vita non ha alcun senso”. Domina la brutale teoria darwiniana dell'evoluzione della specie. Tutti sono utili e nessuno è indispensabile. Racconto sicuramente meno action, stanziale (i nostri si muovono con un razzo dotato di luci muovendosi in un arco circoscritto), che anticipa trovate che faranno la fortuna di pellicole come Pitch Black e che propone spunti riflessivi superiori alla media dei prodotti da pulp magazine.

Dunque, aspettatevi grande sense of wonder, un pizzico di horror (bella la scena all'interno delle grotte con i “triocchiuti abitatori delle tenebre”) e l'immancabile storia di amore incastonata in un romanzo che è un antenato di storie come il recentemente recensito The Lost Level di Brian Keene, pur guardando allo spazio piuttosto che immaginare mondi collocati su diversi piani esistenziali.

Pur ammantato da un'aura di leggenda, Weinabaum resta un autore da rivalutare nella nostra penisola. È vero che è stato antologizzato più volte in Italia, ma è altresì vero che se ne parla poco. Il volume della Black Dog, peraltro ben illustrato, è un piccolo assaggino per spingere a recuperare altro materiale.

Stanley G. Weinbaum.
 
 Il regno animale infuria senza sosta contro sé stesso e il mondo delle piante; il regno vegetale contrattacca e spesso supera quello animale nel rigurgitare mostruosi orrori predatori che con le piante hanno ben poco a che fare. Che mondo orribile!

Nessun commento:

Posta un commento