UNA MAGLIA ROSA D'ATTACCO PER DUE SETTIMANE E MEZZO DA COLPO GROSSO
A cura di Matteo Mancini.
Termina
oggi a Roma il 101° Giro di Italia, kermesse storica che da oltre un
secolo delizia e trasmette entusiasmo lungo le strade della nostra
penisola. È il primo articolo che dedico, interamente, al mondo del
ciclismo. In passato ho scritto brevi articoli inseriti in altri,
sempre di ambito sportivo, per descrivere le gesta degli eroi a due
ruote. Quest'anno sento il bisogno di stendere queste righe a mia memoria
futura per quello che è stato, per il Matteo Mancini tifoso, il più
bel Giro di Italia degli ultimi trent'anni. Seguo infatti i Giri fin da bambino, appuntamenti inderogabili di stagione in
stagione nei miei programmi di appassionato di sport, specie quando arrivano le salite. Fin da sempre bizzarro
nella scelta dei ciclisti per cui fare il tifo, come del resto per
gli altri contesti in cui è possibile scegliersi i propri paladini,
mi sono ritrovato a vivere un giro dal sapore profetico che mi ha
regalato molte emozioni e più di una punta di orgoglio e
soddisfazione. Mai seguito con tanta partecipazione una prova a cui, ripeto, assisto praticamente da sempre, dai tempi che videro Greg LeMond conquistare il suo ultimo tour de france. Dico questo, perché mai come quest'anno ho accarezzato la possibilità di vedere un mio pupillo, preso da semisconosciuto al grande pubblico, trionfare in una competizione tanto importante.
LE ORIGINI DEL TIFO PER GLI YATES
La storia di questo giro, per me, parte da lontano, in una data ben precisa. Nel
2015, poche settimane prima della San Sebastian, classica di Spagna,
scrivo su facebook un annuncio a un mio amico di penna, tale Carmine
Cantile (scrittore, a tempo perso come me, di racconti di stampo
fantastico, ma anche grande appassionato di sport e tifoso di Vincenzo Nibali), un nome da segnare
sui taccuini. Gli dico che YATES sarà la rivelazione del successivo
anno per i più importanti Giri (di Italia e di Francia). Un pronostico, per
l'epoca, alquanto avventato, o almeno così poteva sembrare. Ma anche un pronostico in linea con i miei gusti e la mia voglia di scegliermi gli atleti preferiti tra quelli non ancora affermati. Una tradizione che va da Mika Hakkinen, quando correva sulla Lotus ormai decaduta di prestigio, ad altri personaggio come Alessandro Florenzi (da me indicato come rivelazione del campionato di Serie A, per l'occasione venni addirittura registrato con audiocassetta così da poter esser dileggiato in caso di flop, eventualità a cui i miei detrattori non poterono attaccarsi) o al cavallo High Master che conquistò tutte le principali prove di categoria sulle siepi italiane riservate ai quattro anni. Allora però il mio pronostico sembrava molto fumoso. Adam
Yates e Simon Yates, al loro secondo anno da professionisti, avevano
infatti terminato in 50° e 89° posizione il Tour de France. Sembrava la
classica sparata priva di riscontri, buttata là quasi a caso. In realtà rimasi molto sorpreso
da alcune prestazioni di questi atleti, specie Adam, che aveva
mostrato, a sprazzi, barlumi di classe in alcune salite transalpine,
piazzandosi per tre volte nella top ten degli arrivi di giornata. Cosa non di poco conto, data la concorrenza e la qualità dei partecipanti in gara. Incuriosito, decisi di documentarmi su questi due ciclisti, trovando
un background molto qualitativo con un passato in pista di grande
livello (Simon Yates campione del mondo juniores nell'americana e argento nell'inseguimento a squadre, titoli che mi facevano venire in mente un altro ciclista per cui ho tifato: Bradley McGee) e la vittoria della classifica finale del Giro di Turchia, non certo un giro di valore ma tale da offrire dati sulla tenuta e sull'adattabilità a tappe di diversa natura. Il fisico
piuttosto minuto e un peso compatibile con le doti da potenziale
scalatori mi fecero così protendere per questi due ciclisti che
diventarono subito coloro per cui fare il tifo. Ormai orfano, da
anni, di Georg Totschnig, primo ciclista per cui ho fatto il tifo dai
primi approcci ai grandi giri (l'altro ciclista per cui ho fatto il
tifo fin dai debutti è stato la meteora Joona Laukka), e con il solo canadese Ryder Hesjedal, prossimo a
ritirarsi dopo un'eccezionale rimonta nel giro di Italia del 2015 che
lo vide risalire in quinta posizione nell'ultima settimana di gara, nel mio
scacchiere di tifoso, trovai negli Yates i nuovi ciclisti in erba da seguire per gli anni successivi.
LA PROFEZIA SI AVVERA OLTRE OGNI PIU' ROSEA ASPETTATIVA
Lo stupore di ADAM YATES
quando viene avvisato, a poche decine di metri dall'arrivo,
di aver vinto la SAN SEBASTIAN del 2015.
LA PROFEZIA SI AVVERA OLTRE OGNI PIU' ROSEA ASPETTATIVA
Il
mio pronostico non tardò a darmi soddisfazioni. Alcune settimane
dopo dal mio proclama, mi vedo recapitare un messaggio dal mio amico:
“Sei
stato lungimirante! Quel tuo ciclista che mi hai detto ha vinto subito la
San Sebastian.” Una
vittoria clamorosa, non tanto per il trionfo (comuqne da annali essendo il primo di un inglese), ma per come si è sviluppata la gara. Una corsa caratterizzata da assurdi incidenti. Il
belga Van Avermaet, in fuga e involato al successo, viene investito in un tratto in salita da una moto di gara che gli spezza la bici. Adam Yates dietro scatta,
ignaro, all'inseguimento e non si accorge di quanto sia successo al
collega. Non se ne accorge neppure la sua ammiraglia e nemmeno i
commentatori, perché quel giorno le trasmissioni radio e video sono
intralciate dalle difficili condizioni meteorologiche. Adam Yates è
convinto di essere secondo, viene avvisato solo a pochi metri
dall'arrivo. La notizia lo lascia stupito. Si porta le dita
all'orecchio, dove ha l'auricolare, sembra quasi dire: “Ma
ho vinto davvero io...? Dai, non ci credo...Mi prendete in giro?”.
E invece ha vinto davvero, trasformandosi nel primo inglese a
trionfare nella San Sebastian. È il primo grande successo su strada
degli Yates, ventitreenni, gemelli provenienti da Bury, Inghilterra, tifosissimi del Manchester Utd.
All'epoca poco più che scommesse nella squadra australiana della
Orica-Scott che ha in Michael Matthews il terminale dei maggiori successi e nel direttore sportivo Matthew White il cervello che dirige le operazioni.
Il
2016 è la straordinaria emersione degli Yates. Mentre Simon resta
coinvolto in una vicenda doping (sarà squalificato per tre mesi) per aver assunto una sostanza non
dichiarata, sembra per errore della squadra, il fratello stupisce
tutti al Tour de France. Stupisce tutti... beh, non generalizziamo. Stupisce tutti meno me, che avevo
scritto l'anno prima qualcosa di ben preciso, un qualcosa che puntualmente viene riscontrato dagli esiti del più performante giro al mondo. Dapprima il nome di Adam Yates balza alle
cronache per un episodio che ha del grottesco. Durante la settima
tappa del Tour de France, va all'attacco e stacca i migliori. All'altezza dell'ultimo
chilometro, però, viene travolto dall'arco posto a segnalare la
distanza dall'arrivo. Questo infatti si affloscia, sembra per il
sabotaggio di uno spettatore che avrebbe staccato il tubo del
compressore che gonfiava la struttura. Yates cade a terra e vanifica
il tentativo. Chiude sanguinante la tappa, ma non subisce danni di
sorta. La giuria decide di accreditargli il tempo guadagnato prima del cedimento strutturale dell'arco dell'ultimo chilometro e la
decisione lo fa balzare in seconda posizione a cinque minuti e
cinquanta da quel Van Avermaet che era stato investito dalla moto
nella San Sebastian sopraricordata, spianando la strada all'inglese, e che ora è in
maglia gialla. Data la pronuncia del cognome di Yates, che fa saltare
in mente un premio nobel della letteratura irlandese dedito al fantastico e agli studi occultistici (Yeats), verrebbe da
chiamare in causa la cabbala, già verrebbe, anche perché qualche
giorno dopo succede di peggio. Mentre tutti si aspettano che l'inglesino ceda nella tappe più dure, Yates mostra ben pochi cedimenti. Per un bizzarro scherzo del destino,
un giorno prima del mio compleanno, nel dì che ricorda la presa
della Bastiglia (festa nazionale francese), Adam Yates (a ventotto secondi dal leader prima
della partenza) conquista la maglia gialla e lo fa a modo suo. Quel
giorno, un po' come per la San Sebastian, è una giornata dalle
avverse condizione meteorologiche tanto che si decide di accorciare
la tappa. E, come in Spagna, succede di tutto. Ritchie Porte guida un
terzetto, di cui fa parte anche la maglia gialla Chris Froome e
l'olandese Mollema, in uno strappo finale sul leggendario Mont
Ventoux. I tre sono scattati per guadagnare secondi preziosi. Davanti c'è una fuga di poco conto, ormai imprendibile. I tre attaccanti si stanno giocando le più alte
posizioni della classifica generale. Adam Yates segue poco dietro, ma
succede l'imprevedibile proprio come a San Sebastian. Ritchie Porte, accerchiato da un muro di folla, tampona una moto e viene, a sua volta, tamponato dai due avversari che lo seguono. I tre ciclisti cadono a terra. Dei tre ha la peggio Froome, la
maglia gialla. L'inglese, nativo del Kenya e trionfatore seriale nella Grande Boucle (vero e proprio erede di Lance Armstrong), rompe la bici e, rimasto
senza, decide di correre a piedi verso il traguardo, finché non
riceve una mini bici da uno spettatore. Sembra di vedere la maglia
gialla su un triciclo per bambini che sta percorrendo gli ultimi
metri che lo separano dall'arrivo. In cronaca regna il caos e lo
stupore. Scene esilaranti mai viste in tanti anni di carriera. Sembra
di essere in un'esibizione grottesca da harlem globe trotter prestati
alle due ruote. Approfitta della situazione, ancora una volta, Adam
Yates che filtra negli spazi liberi e supera gli avversari. È lui,
all'arrivo, la virtuale maglia gialla, ma la direzione gara decide di
neutralizzare i tempi al passaggio poco prima del misfatto. Torna
allora in maglia gialla Froome, con Adam Yates secondo a 47 secondi. Ricordo che per attendere l'ordine di arrivo, finii con l'arrivare tardi a un triangolare di calcio organizzato dai colleghi di lavoro, comunque contento come una Pasqua.
Adam Yates intanto conquista tutti nelle successive tappe, con atteggiamento combattivo. Non attacca quasi mai, si mantiene a centro gruppo, spesso nelle ultime posizioni, un atteggiamento ben diverso da quello che lancerà nei cuori dei tifosi il suo gemello al Giro di Italia del 2018. Adam è più tattico, sceglie di amministrarsi votandosi a uno spettacolo di minore impatto ma calibrato al risultato finale. Sembra sempre sul punto di staccarsi nelle rampe più dure, ma non demorde e alla fine perde poco. Ha pochi cali e battute di arresto, a differenza di molti avversari. Si conferma ciclista di massimo valore internazionale e chiude quarto la Grande Boucle, dopo esser stato per dodici tappe sul podio virtuale della corsa (dapprima secondo e poi terzo), ad appena ventuno secondi dal gradino più basso del podio (conquistato da Nairo Quintana) e a trentasette secondi dalla medaglia d'argento (conquistata da Romain Bardet), venendo scalzato dalla terza posizione nella terzultima tappa complice le cronometro non proprio esaltanti. Conquista anche la maglia bianca del miglior giovane, infliggendo più di due minuti a Meintjes e oltre quaranta al terzo classificato. Un risultato questo che mi fece "ingrassare" di venti chili, come si suol dire, per l'ottima visione esternata e scritta circa undici mesi prima, in tempi non certo sospetti. Facile diventare tifosi dei vincenti, più difficile tifare i vincenti quando tali non sono certo o quando hanno molti avversari sulla carta più appetibili.
Adam Yates intanto conquista tutti nelle successive tappe, con atteggiamento combattivo. Non attacca quasi mai, si mantiene a centro gruppo, spesso nelle ultime posizioni, un atteggiamento ben diverso da quello che lancerà nei cuori dei tifosi il suo gemello al Giro di Italia del 2018. Adam è più tattico, sceglie di amministrarsi votandosi a uno spettacolo di minore impatto ma calibrato al risultato finale. Sembra sempre sul punto di staccarsi nelle rampe più dure, ma non demorde e alla fine perde poco. Ha pochi cali e battute di arresto, a differenza di molti avversari. Si conferma ciclista di massimo valore internazionale e chiude quarto la Grande Boucle, dopo esser stato per dodici tappe sul podio virtuale della corsa (dapprima secondo e poi terzo), ad appena ventuno secondi dal gradino più basso del podio (conquistato da Nairo Quintana) e a trentasette secondi dalla medaglia d'argento (conquistata da Romain Bardet), venendo scalzato dalla terza posizione nella terzultima tappa complice le cronometro non proprio esaltanti. Conquista anche la maglia bianca del miglior giovane, infliggendo più di due minuti a Meintjes e oltre quaranta al terzo classificato. Un risultato questo che mi fece "ingrassare" di venti chili, come si suol dire, per l'ottima visione esternata e scritta circa undici mesi prima, in tempi non certo sospetti. Facile diventare tifosi dei vincenti, più difficile tifare i vincenti quando tali non sono certo o quando hanno molti avversari sulla carta più appetibili.
Simon
Yates, intanto, mostra il suo valore in Spagna, nella Vuelta. Si
aggiudica la sesta tappa e chiude in sesta posizione nella classifica
generale a otto minuti e mezzo da Quintana, battuto anche da Froome,
Esteban Chaves, Contador e Talansky, scusate se i nomi di questi ciclisti vi sembran poco. Gli Yates sono a questo punto
dei veri e propri astri nascenti, ma la loro maturazione non sboccia come sarebbe stato lecito attendersi nel 2017 pur se confermata da altri importanti piazzamenti.
ADAM YATES, con
la maglia bianca del leader dei giovani,
precede il leader della generale CHRIS FROOME
e Quintana, in una tappa del Tour de France del 2016.
ALLA CACCIA DELLA VITTORIA NEI GRANDI GIRI
CONTINUA...
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