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domenica 22 giugno 2014

Festival di LA SERRA del 27 giugno 2014 + Recensione cinematografica: IL DIABOLICO DOTTOR SATANA - Gritos en la Noche (Regia di Jess Franco)





Regia e Sceneggiatura: Jess Franco.
Produttore: Sergio Newman e Marius Losoeur (Francia-Spagna)
Anno: 1963.
Interpreti principali: Howard Vernon, Conrado San Martin, Diana Lorys, Ricardo Valle,
Colonna Sonora: José Pagàn, Antonio Ramirez Angel.
Durata: 82 min.
Giudizio Mancini: ***1/2

Commento di Matteo Mancini
Antipasto in vista del Festival de LA SERRA, località sita in provincia di Pisa nei pressi di San Miniato, che si terrà venerdì e sabato prossimi venturi e che sarà dedicato a due registi culto come DARIO ARGENTO e JESS FRANCO. Nella serata di venerdì girandola di ospiti niente male, tra i quali ho l'onore di figurare anche io grazie all'invito dell'amico IVO GAZZARRINI (sceneggiatore di vari lungometraggi firmati IVAN ZUCCON e distribuiti sul mercato anglo-americano), con la scrittrice di gialli Mondadori CRISTIANA ASTORI, lo sceneggiatore ANTONIO TENTORI (tra l'altro fresco autore della sceneggiatura di Dracula 3D diretto da Dario Argento) e l'esperto cinefilo nonché regista e montatore PIERPAOLO DAINELLI che tutti gli appassionati ricorderanno per le sue splendide presentazioni lancio dei film proiettati nella rassegna I B-MOVIE DI TVR, storica emittente fiorentina. Potrebbe inoltre esserci una sorpresa da mille e una notte, SERGIO STIVALETTI (numero uno a livello nazionale, ma anche internazionale, per quel che riguarda il reparto effetti speciali e make up) infatti potrebbe essere presente alla manifestazione proprio venerdì. Nel corso delle serate saranno proiettati molteplici film di entrambi i registi, per Jess Franco l'orientamento dovrebbe essere costituito dal seguente lotto: Vampyros Lesbos, She Killed in Ecstasy, Paroxismus e Erotikiller - La Comtesse Noire,  riservista Il Conte Dracula (pellicola girata a TIRRENIA).

Prima però di analizzare e vedere questi film, gli ospiti e il sottoscritto parleranno della figura di Jess Franco, regista madrileno morto a Malaga qualche anno fa e insignito del Goya alla carriera dopo anni di critiche e censure. Regista fertilissimo, in virtù di oltre duecento film girati in una carriera cinquantennale, collaboratore di Orson Welles, con cui tentò di portare in scena il Don Chisciotte di Cervantes (pellicola mai conclusa) e infine maestro dell'horror caratterizzato da una forte impronta erotica. Personalmente lo ricordo anche come pioniere dello spaghetti western, in qualità di co-sceneggiatore di Joaquìn Romero Marchent e del mitico José Mallorquì, con Il Coyote (1954) e La Giustizia del Coyote (1954) poi seguiti da Zorro il Vendicatore (1961). Simpaticissimo, perseguitato dal Vaticano che riteneva blasfemi i suoi film e dal regime fascista ispanico che lo odiava per altri motivi (costringendolo, di fatto, a fare il globe trotter), fervente anarchico (atteggiamento caratteriale che lo portò ad allontanarsi da Towers, il produttore con cui fece i suoi migliori film grazie a buoni budget), esperto di musica Jazz e soprattutto umile al punto da sostenere di non amare nessuno dei suoi film, il cinema di Jess Franco si sintetizza in una frase dallo stesso riferita al presentatore livornese Ruffini: "Io penso che l'erotismo, l'espressionismo e l'onirismo vadano insieme meravigliosamente." Jess Franco è stato poi un grande conoscitore di narrativa fantastica e non solo di questa. Due, in particolare, gli scrittori più volte chiamati in causa dalla produzione del regista: SAX ROHMER (da cui ha estrepolato entrambi i personaggi più importanti dello scrittore anglo-irlandese ovvero Fu Manchu e Sumuru) e il MARCHESE DE SADE.
Sul punto sarà certamente d'aiuto un'altra scrittrice: la piemontese CRISTIANA ASTORI, che sicueramente parlerà dei suoi due gioiellini ispirati proprio alle figure di Jess Franco e Soledad Miranda (cioè l'attrice musa del regista, insieme alla moglie Lina Romay) nonché a Dario Argento. Sto parlando, chiaramente, dei due romanzi pubblicati circa un paio di anni fa sulla collana Mondadori intitolati Tutto quel Nero e Tutto quel Rosso.

A inizio articolo ho parlato di antipasto e allora spazio al vassoio contentente la prima prelibatezza che, di fatto, da avvio alla produzione del nostro. Gritos en la Noche ovvero Urla nella Notte, distribuito in Italia con il poco appropriato Il Diabolico Dottor Satana, è il film con cui Jess Franco approda al cinema fantastico dopo aver già diretto quattro pellicole sospese tra commedia e musicarello.
Franco scrive e dirige la pellicola tra il 1961 e il 1962 dando vita a uno dei primi importanti horror dell'Europa continentale. In questo Franco viene preceduto dal nostro Riccardo Freda, il quale con I Vampiri (1956) e L'Orribile Segreto del Dr. Hichcock (1962) aveva dato avvio a un filone, quello dell'horror gotico, e da Mario Bava che aveva impressionato tutti con La Maschera del Demonio (1960) interpretato dall'irlandese Barbara Steele (la dark lady per eccelenza). Di lì a poco irromperà poi un altro grande ovvero Antonio Margheriti che debutterà nel genere, firmandosi Anthony Matthews (in seguito adotterà lo pseudonimo Anthony Dawson) con Danza Macabra (1963).

Torniamo però alla pellicola, una piccola co-produzione franco-ispanica che segue la scia tracciata da Freda e Bava senza subire troppo sotto il profilo qualitativo. Franco, anche a causa dell'anno di lavorazione, gira in bianco e nero strizzando un occhiolino a Murnau (il riferimento va a Nosferatu), ma al contempo dando origine a una sceneggiatura moderna e coraggiosa per l'epoca. Siamo infatti alle prese con un horror che plasma vari sottogeneri, dando vita a un prodotto interessante. Franco attinge sia da Dracula che da Frankenstein e addiruttura da Lo Strano Caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde. E' proprio Stevenson l'autore a cui il regista sembra ispirarsi maggiormente. La storia infatti ha una costruzione da poliziesco/thriller, con un poliziotto (Conrado San Martin, lo ritroveremo in alcuni spaghetti western come All'Ombra di una Colt) che indaga sua una serie di donne scomparse. Protagonista dei rapimenti è un mad doctor, il dottor Orlof, interpretato dal glaciale svizzero Howard Vernon (il quale diventerà un attore feticcio del regista), che agisce coadiuvato da un gigante (Ricardo Valle) affetto da una lesione al cervello (è persino cieco) e che è una via di mezzo tra Dracula (infatti morde al collo le vittime) e Frankenstein (il volto è deturpato e le movenze sono impacciate). Quest'ultimo, tra l'altro, si scoprirà essere un ex assassino dichiarato morto dal professore, il quale lo ha invece soggiogato al suo volere per sfruttarne la forza. Il movente degli omicidi ha una connaturazione fantascientifica ispirata (si potrebbe dire copiata) piuttosto marcatamente dalla pellicola francese Occhi senza Volto (1960) di Georges Franju. Il Dottor Orlof, infatti, uccide le ragazze per prelevare la pelle necessaria a ricostruire il volto della figlia (Diana Lorys) rimasta sfigurata nel corso di un esperimento scientifico. La follia dell'uomo lo porterà a praticare incisioni (non mostrate nella versione da me visionata) a prigioniere ancora in vita, tenute legate a delle catene nelle segrete di una sorta di magione gotica. Lo script è molto quadrato, rispetto ad altri del regista, così come la regia è piuttosto convenzionale, con Franco che sembra voler richiamare alla memoria l'espressionismo tedesco (peraltro riuscendoci con alcune sequenze tese) nel tentativo di unirlo al nascente horror gotico italiano. Ne deriva un'ambientazione da primi del novecento, dove al posto delle auto ci sono carrozze trainate da cavalli, castelli, cripte e via dicendo.

L'erotismo è ancora assente e si sostanzia solo in alcuni atteggiamenti galanti di Vernon, il quale seduce ad arte le giovani prede con l'intento di usarle per i suoi biechi esperimenti. E' invece già presente quell'alone malinconico che accompagnerà buona parte della produzione di Jess Franco. Sia lo psicopatico di turno che il suo assistente sono personaggi tristi, quasi abbandonati al loro destino. Il primo cerca di ricostruire ciò che ha perduto costruendosi un sogno che non può far altro che tramutarsi in un incubo (arriva persino a uccidere la compagna); l'altro vaga come un automa fino a ribellarsi al suo padrone, quando troverà il cadavere dell'unica donna che lo ha trattato con amore, cercherà infine di portare in salvo la figlia di Orlof ma sarà abbattuto dalla polizia che invece pensa stia per compiere un altro omicidio. Momenti embrionali di poetica macabra di Franco, che poi da spazio all'intreccio poliziesco. A quest'ultimo riguardo Franco piazza una simpaticissima sequenza, piuttosto comica, con San Martin costretto a vedersela con un gruppo di testimoni convinti della propria idea circa il profilo fisico dell'assassino. Il problema è che i vari commenti sono spesso l'uno contrastante con l'altro, con l'addetto alla stesura dell'identikit costretto a modificare di continuo lo schizzo. Emerge inoltre una vaga vena sarcastica del regista, che meleggia la polizia facendo risolvere il caso grazie all'intervento di un ubriacone accanito di vino e alla fidanzata (sempre la Lorys che interpreta due ruoli) del protagonista, una curiosa che si mette a indagare per conto proprio fino a farsi rapire dal ricercato e a cui il poliziotto a fine film dirà: "Sei il miglior poliziotto che ci potrebbe essere..."

Come ho detto il titolo italiano, piuttosto furbo, è poco appropriato ed è ben diverso da quello originale. Il riferimento al Satana è connesso alla dichiarazione di un testimone che descriverà il rapitore seriale come "un uomo con gli occhi di Satana". La scelta invece de "Il Diabolico Dottore" vuole invece essere un omaggio a un regista amatissimo da Franco, ovvero Fritz Lang, il quale nel 1960 aveva girato Il Diabolico Dottor Mabuse.

Jess Franco sarà così legato al soggetto da riproporlo più volte e con risultati buoni come nel caso de I Violentatori della Notte (1988), horror in cui spingerà il piede sul versante dello splatter mettendo in scena forse il miglior cast artistico di tutta la sua produzione.

Dunque un inizio promettente che spianerà la strada a Jess Franco nel genere, dapprima con l'horror hitchcockiano Miss Muerte (1965), poi con la spy-story Le Carte Scoperte (1965), entrambi cosceneggiati con Jean-Claude Carrière, fino ad arrivare a sposare l'horror all'erotico a partire da Necronomicon (1966), titolo lovecraftiano ma poi sviluppato in modo assai personale, opera che lo porterà a legarsi al produttore inglese Harry Allan Towers con The Blood of Fu Manchu (1967).

Vi aspetto il 27 prossimo a La Serra: non mancate.

giovedì 19 giugno 2014

LE FIGLIE DI DANAO (Las Hijas de Danao) di FRAN KAPILLA


Regia e Sceneggiatura: Fran Kapilla.
Anno di uscita: 2013/14.

Produzione: Antonio Cabrera, Escarlata Godiri, José Ramon Barcelò e Benito Gonzàlez.
Fotografia: Salvador Blanco e Jorge Sacristan.
Interpreti principali: Paco Roma, Fran Millàn, Beatriz Rico, Susanna Pauw, Mònica Aragòn, Antonio Montiel e Erica Prior.
Genere: Thriller/Noir.

Testo di Matteo Mancini

Gradito ospite internazionale sulla pagine del mio blog, lo spagnolo Fran Kapilla debutta nel mondo del cinema con questo Las Hijas de Danao, primo lungometraggio dopo una breve esperienza di filmaker di cortometraggi intrapresa nel 2010 con la trilogia del Muro de Berlin, finanziata dal Consolato tedesco e proiettata oltre i confini iberici.
E' l'amico Davide Melini, con il quale Kapilla collaborerà in occasione del corto Deep Shock affidato alle abili mani del romano, ad avermi segnalato il regista. Appassionato di cinema di genere, lo spagnolo di origini di Malaga propone un thriller dal retrogusto noir con ambientazione teatrale e interamente prodotto da spagnoli (Cabrera-Godiri-Barcelò-Gonzàlez). L'opera è stata girata nel 2012 in Spagna (Malaga) e in Francia (Parigi), con sequenze ambientate all'Ópera de París,all'Avenida Champs Elysees, al Sacre Cor e a Montmartre.

La sceneggiatura, dello stesso Kapilla, ricorda un po' il soggetto base di Opera di Dario Argento, quanto meno per l'idea iniziale che vede il soprano principale subire una minaccia anonima da un pazzo. Il fatto innesca subito le indagini di due distinti detective che cercheranno di risolvere l'intrigo. Preciso subito che lo sviluppo del soggetto segue tracciati ben più vicini al poliziesco piuttosto che all'horror, ciò che comunque non manca è l'azione e la tensione.

Il budget sembra non essere affatto male, quanto meno dalla visione del trailer, si notano scenari sfarzosi, inoltre Kapilla ha inserito nella pellicola qualcosa come quarantadue musicisti, varie orchestre, tenori e direttori d'orchestra oltre a fare eseguire l’opera di Antonio Salieri (secolo XVIII). Dunque un grande dispendio di risorse che di certo impreziosiranno il lavoro finale.

Del resto non è un mistero il fatto che il film abbia ottenuto un grande successo al Festival del Cinema di Malaga nel 2013, dove però Kapilla giocava in casa, e all'“Academia de las Artes y Cine Español”. Il buon esito ha dunque convinto i distributori a far uscire la pellicola anche in Francia, dove uscirà in quel di Parigi a fine estate.

Un cenno sul cast artistico dove figurano nomi che ritroveremo nel corto dell'amico Davide Melini, mi riferisco al protagonista del film, l'emergente Paco Roma, e a Erica Prior, quest'ultima nota per essere la protagonista dell'horror Second Name (2002) di Paco Plaza. Presente inoltre un altro nome illustrissimo come il pittore Antonio Montiel (non poteva che interpretare un Direttore d'Orchestra), celebre per i suoi ritratti a personaggi quali Fidel Castro, la Regina d'Inghilterra, i Re di Spagna e alcuni Presidenti degli Stati Uniti e qua in veste di guest star in una delle sue rarissime apparizioni cinematografiche (un regalo di cui andare fieri per il regista). Gli altri attori sono un mix di giovani promesse e di professionisti provenienti dal circuito televisivo.

Dunque un prodotto da tenere d'occhio che si spera possa giungere anche nella nostra penisola, anche perché, voci di corridoio, vorrebbero Fran Kapilla prossimo a girare un lungometraggio in Italia, un'opera che potrebbe veder coinvolto anche l'amico Davide Melini. Naturalmente il sottoscritto resterà sulla porta in attesa che quest'ultima eventualità possa concretizzarsi.


Qua il trailer del film: https://www.youtube.com/watch?v=WZPk386Bnvo

Per ulteriori informazioni: www.lashijasdedanao.com / www.frankapilla.com

mercoledì 18 giugno 2014

Recensione Narrativa: LE BELLE E I MOSTRI di Paul Carter (alias Gualberto Titta)


Autore: Paul Carter (pseudonimo di Gualberto Titta).
Genere: Sci-Fi/Horror
Collana: I Racconti di Dracula.
Numero: 22.
Anno: 1961.
Editore: Edizioni Wamp.
Pagine: 130.


Commento di Matteo Mancini
Romanzo da collezionisti inserito nella prima edizione della storica collana de I Racconti di Dracula, celebre negli anni 60 e 70 per aver lanciato, unicamente alla parallela KKK - Classici dell'Orrore, molti autori italiani celati sotto pseudonimi inglesi. 

Il romanzo in questione, riproposto nel dicembre del 2011 dallo studioso Sergio Bissoli in una trilogia raccolta dalla Dagon Press intitolata I Racconti di Dracula Volume Terzo, è considerato una delle migliori opere di Paul Carter o meglio Gualberto Titta.

Scrittore pugliese classe 1906, Titta è stato un vero e proprio tutto fare. Professore di mestiere e scrittore per passione, scrive Bissoli in una presentazione a lui dedicata, con all'attivo oltre cento romanzi spalmati un po' in tutti i generi senza disdegnare la poesia, i fotoromanzi e le opere teatrali. Del resto è stato proprio dal teatro da cui Titta ha preso le mosse, dapprima come attore e poi come adattatore di opere letterarie e autore di testi tutti suoi con una certa predilezione per il cappa e spada. Figlio d'arte, il padre era titolare di una Compagnia d'arte drammatica, è altresì apparso, come comparsa, al cinema in film quali Totò Cerca Casa, I Giganti della Tessaglia (1960) di Riccardo Freda e Quando Dico che ti Amo (1967).

Seppur tradotto all'estero, il nome di Titta è tutt'oggi semisconosciuto in Italia, complice l'abitudine dell'autore di trincerarsi dietro una vera e propria selva di pseudonimi spesso legati alle ambientazioni esotiche dei suoi romanzi, che non ambientava mai in Italia. 

Le Belle e i Mostri viene definito da Bissoli "un uragano di situazioni inaspettate, di colpi di scena che si susseguono come una scarica di adrenalina sul lettore, travolto fin dalle prime pagine dagli sviluppi della vicenda." In realtà, a mio avviso, l'entusiasmo del qualificatissimo (e da me apprezzato) Bissoli  è forse un po' troppo gonfiato. Carter/Titta si rivela un eccellente narratore, capace di piazzare delle fiammate di tensione da narratore provetto e soprattutto di miscelare l'orrore con delle punte di ironia e di macabro sarcasmo difficilmente emulabili. Ciò nonostante si rivela poco abile nel mantenere un ritmo elevato, perdendosi troppo nella caratterizzazione dei personaggi e nella serie di intrecci amorosi che si susseguono nel corso d'opera, tra amori impossibili e altri caratterizzati dal proverbiale "vorrei ma non posso". A questo si aggiunge un soggetto poco originale, incentrato sulla canonica figura del mad doctor e su tematiche legate al celebre L'Isola del Dottor Moreau di Herbert G. Wells. Il fulcro della vicenda infatti ruota attorno a due scienziati che intendono creare un improbabile ibrido frutto dell'unione tra il mondo vegetale e quello umano, allo scopo di dar vita a un essere vivente in grado di trarre direttamente dalla terra l'elemento di sopravvivenza. Il movente è alquanto forzato, perché non vedo la ragione di dar vita a una creatura del genere ma Titta passa sopra all'eccezione giustificandola come un tentativo dei due (caratterizzati, chiaramente, con le canoniche personalità affette da deliri di onnipotenza) di vincere la morte a cui sarà destinata la razza umana nel lunghissimo termine. Ne derivano scomparse ed esperimenti, con indigeni e uomini del posto costretti a subire dolorose metamorfosi fisiche, anche se si scoprirà il tutto solo verso la fine. "Siamo pervenuti a creare un essere vivente che accoppierà la forza pensante dell'uomo d'oggi con l'aspetto e l'organismo proprio del mondo vegetale..." affermeranno i due scienziati nel delirante finale dove dovranno vedersela con lo sceriffo e un gruppo di europei giunti in loco per ragioni di studio.

La storia è piuttosto stanziale anche se a fare da sfondo ai fatti ci sono le bellissime scenografie australiane con Titta che ironizza giustificando così le scomparse degli indigeni: "Mi sembra un tantino assurdo cercare di trovare gli indigeni che cento cause possono aver cancellato dalla faccia della terra... Nemici personali... Incidenti di caccia... il mare... i pantani... i serpenti... i topi selvatici... i dingo. Evvia! Come se difettassero in Australia i mezzi naturali per sopprimere qualcuno!"

E' proprio la verve ironica a salvare il romanzo dalla noia, Titta regala alcuni passaggi esilaranti e divertenti come pochi altri. Bellissimo il capitolo iniziale dove mette in scena il naufragio di un cargo mercantile, filtrandolo dagli occhi e dai pensieri di un marinaio. Riporto, a tal riguardo, lo stralcio più divertente: "Roba da morire dal ridere! Invece, si sarebbe morti senza ridere affatto; ecco tutto. E il bastimento, gloriosa carcassa di ferraccio roso che aveva visto ben due guerre mondiali, avrebbe finalmente riposato sui fondali di duemila e passa metri di profondità col suo carico... E per i dieci uomini dell'equipaggio? La speranza. Ma una simile cambiale, senza l'avallo di una sfacciatissima fortuna, sarebbe stata protestata immancabilmente dalla banca della Triste Signora... 
Qualcosa lo urtò alle spalle; si girò. Una porta; la spessa e larga porta della sentina, tanto larga quanto lunga, galleggiava presso di lui. Vi si aggrappò... E rise, mentalmente ma rise. La porta della sentina, del gabinetto, della cloaca di bordo, alla quale il mare non era riuscito a togliere il puzzo trentennale dello sterco di generazioni di naviganti; ecco in quale modo la speranza di salvarsi si presentava a lui... La porta della latrina! Si, proprio da morir dal ridere!"

Non meno interessanti sono certe caratterizzazioni femminili con Titta che esprime un certo giudizio frizzantino sul gentil sesso che in questa opera ha un ruolo piuttosto forte, seppur sensuale. Ecco come ci presenta la protagonista della vicenda, instaurando un dialogo tra la stessa e lo zio: "Eh, non la conoscete! E' una testolina che quel che vuole, vuole! Guai a chi ci capita! Compiango l'uomo che si innamorerà di lei..."
Ecco che, punta nel vivo, la giovane risponde cercando di ribaltare la questione: "Perché, zio? Potrebbe darsi che anch'io mi innamorassi di lui: e allora?"
Titta a questo punto spara tutta la sua comicità dal retrogusto albionico: "Allora, cara, il mio compianto diventerebbe addirittura universale... Le presento mia nipote Barbara; una volontà da teutone in un involucro britannico."
Sempre sul punto è molto bello un altro passaggio che evidenzia il pensiero ironico dell'autore sul gentil sesso: "Cade in un grave errore il marito che voglia trasformare la propria moglie, creare in lei una volontà di sottomissione. Una donna deve poter dire «Faccio quello che voglio», perché sentendo tutto intero il peso delle responsabilità dei propri atti sia freanata a compierne dei... pericolosi."

Segnalo infine un altro passaggio che mi ha fatto troppo divertire. Uno dei protagonisti porta fuori da una casa andata a fuoco una giovane donna svenuta. Così l'uomo spiega alla poveretta quanto fatto non appena la stessa riprende conoscenza: "Se vi ho portata qui è perché vi ho trovata con indosso solo la vostra pelle, e in simili condizioni non vi potevo depositare nel soggiorno dove, oltre il dottor Murphy, quel tale Gilbert, Seymoor e i suoi uomini, avremmo dato spettacolo delle vostre grazie, e permettete che lo aggiunga, spettacolo d'eccezione, a tutta la vostra servità indigena. Cosa che, senza dubbio, non avreste gradito." Esilarante la risposta della giovane che supera i corteggiamenti impliciti del soccorritore con una simpatia travolgente: "Capisco. A un'edizione popolare ne avete preferita una privata..."

Dunque in conclusione siamo alle prese con una storia di fantascienza con venature horror e al contempo da romanzo rosa (Titta presta troppa cura alle relazioni amorose, curando soprattutto gli aspetti psicologici dei personaggi), ma che deve la propria forza alla vena ironica e sarcastica dell'autore. Le parti dominate dalla tensione sono poche, meglio la prima parte che la seconda. Troppo a corrente alternata, non mi pare eccelso ma Titta, quando vuole, sa scrivere assai bene e sa divertire con il suo umorismo british.

SPAGHETTI WESTERN Volume 2 - La Proliferazione del Genere (anno 1967) di Matteo Mancini


"QUELLA CHE POTREBBE DIVENTARE LA TRILOGIA PIU' ESAUSTIVA SUL WESTERN ALL'ITALIANA" (Ciak, ottobre 2012).

Così scriveva la rivista CIAK, uscita in edicola nel lontano ottobre 2012, in riferimento al primo volume della mini saga acquistato persino in SPAGNA e STATI UNITI (nonostante non tradotto in lingue diverse dall'italiano). Orbene, comunico ufficialmente l'uscita del secondo volume.

260 pagine circa, ottanta spaghetti western analizzati (praticamente tutti quelli usciti nel 1967 oltre a una scheda su tutti i western di FRANCO & CICCIO), il tutto preceduto dalla prefazione del californiano TOM BETTS, che ho l'onore di ospitare in un mio volume, e da una breve analisi sull'approdo dei nostri western nel nuovo continente e sull'iniziale atteggiamento ostruzionistico della critica locale e straniera.

Aneddotiì; Citazioni; Panoramiche sulle carriere di registi, attori, produttori, personale dei cast tecnici; Giudizi comparati tra critica di settore (Bruschini, Betts, Aguilar, Giusti, Lupi e altri), "critica generica" (Morandini, Farinotti), blogger italiani ed esteri e siti specializzati.

Il volume è disponibile sulle librerie internet e nelle migliori librerie di Italia al prezzo di 16,00 euro.

Chiudo con la citazione estrapolata da quello che ho considerato il miglior western dell'annata: FACCIA A FACCIA, di Sergio Sollima.

"LA GENTE PARLERA' MOLTO DI COME SIAMO STATI CAVALLERESCHI CON LE DONNE E POCO DI QUELLO CHE ABBIAMO RUBATO: E' COSI' CHE NASCONO LE LEGGENDE".